Limiti soggettivi dell’efficacia diretta verticale delle Direttive UE

15 Luglio 2016

L'articolo 48, paragrafo 2, lettera a), sub ii), secondo trattino, della direttiva 2004/18/CE dev'essere interpretato nel senso che esso soddisfa le condizioni per conferire ai singoli, in assenza di recepimento nel diritto interno, diritti che gli stessi possono far valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti di un'amministrazione aggiudicatrice, purché quest'ultima sia un ente pubblico o sia stata incaricata, mediante atto dell'autorità pubblica, di prestare, sotto il controllo di quest'ultima, un servizio di interesse pubblico e disponga a tal fine di poteri che oltrepassano quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra privati (c.d. efficacia diretta verticale).

La Corte, confermando le Conclusioni dell'Avvocato generale Wathel in tema di capacità tecniche dell'operatore economico, si è soffermata anche sull'annosa questione dell'efficacia diretta delle direttive non trasposte o trasposte in maniera non corretta. È ormai un principio consolidato che i singoli siano legittimati a far valere, dinanzi ai giudici nazionali, solo le disposizioni della direttiva non trasposta che appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise. Si tratta, tuttavia, di un'efficacia diretta verticale e non orizzontale che comporta che il singolo possa far valere il proprio diritto solo nei confronti dello Stato, in quanto unico responsabile della mancata trasposizione. La Corte ha, peraltro, precisato che occorre dare un'interpretazione ampia al termine Stato, tale da comprendere non solo un ente pubblico, ma anche un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest'ultima, un servizio d'interesse pubblico e che disponga a tal fine di poteri che oltrepassano quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli. Nel caso di specie, dalle precisazioni fornite dal governo portoghese nel corso dell'udienza, la Corte ha ricavato che l'AICP, pur rientrando nella nozione di «amministrazione aggiudicatrice», ai sensi dell'art. 1, par. 9, della direttiva n. 2004/18, è un'associazione di imprese di diritto privato che non soddisfa le condizioni summenzionate, utili perché le si possano opporre le disposizioni di tale direttiva, in quanto detto ente non fornisce alcun servizio d'interesse pubblico sotto il controllo delle autorità statali e non dispone di poteri che oltrepassano quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra singoli: circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare. Precisa la sentenza che in particolare spetta al giudice a quo interpretare il diritto interno, per quanto possibile, alla luce del testo e dello scopo della direttiva n. 2004/18, così da conseguire il risultato previsto all'art. 48, par. 2, lett. a, sub ii), secondo trattino. Pertanto, laddove un'interpretazione del diritto nazionale conforme alla direttiva n. 2004/18 non sia possibile, la parte lesa potrebbe invocare la giurisprudenza scaturita dalla sentenza c.d. Francovich per ottenere eventualmente il risarcimento del danno subito.

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