Non è ammessa la regolarizzazione postuma della posizione previdenziale

Francesco Pignatiello
15 Settembre 2016

Ai fini della partecipazione alle gare di appalto, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 31, comma 8, d.l. n. 69 del 2013, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l'impresa essere in regola con l'assolvimento degli obblighi contributivi fin dal momento di presentazione dell'offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, risultando irrilevanti sia un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva, sia la sussistenza di crediti vantati nei confronti di amministrazioni pubbliche, in quanto non sussiste un immanente e generalizzato diritto alla compensazione fra tali crediti e i debiti contributivi.

Il Consiglio di Stato, richiamando gli insegnamenti dell'Adunanza Plenaria n. 5 del 2016, secondo cui anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 31, comma 8, d.l. 21 giugno 2013, n. 69, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l'impresa essere in regola con l'assolvimento degli obblighi previdenziali fin dal momento di presentazione dell'offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura e del rapporto con la stazione appaltante, atteso che l'istituto dell'invito alla regolarizzazione può operare unicamente nei rapporti tra l'impresa concorrente e l'ente previdenziale, ha ritenuto irrilevante un adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva, non potendo neppure essere invocata la disciplina sulla compensazione dei debiti previdenziali di cui al d.l. n. 52 del 2012, in quanto non sussiste un immanente e generalizzato diritto alla compensazione fra i crediti vantati nei confronti di amministrazioni pubbliche e i debiti contributivi.

Il Collegio ha precisato, inoltre, che nella specie non osta all'esclusione dalla gara il principio di autoresponsabilità e di buona fede basato sulla persistente validità, al momento in cui le dichiarazioni di gara erano state rese, di un DURC di contenuto positivo, considerato, da un lato, che l'importo rilevante dell'insoluto e le altre circostanze rilevanti del caso rendono inverosimile, oltre ogni ragionevole dubbio, la sussistenza di uno stato di ignoranza incolpevole circa l'esistenza del debito, dall'altro, che il DURC ha un effetto ricognitivo dell'insoluto e non presenta una valenza costitutiva.

Il Consiglio di Stato ha escluso, inoltre, la sussistenza di un contrasto con le previsioni di cui all'art. 45 della direttiva 2004/18/CE, in quanto la possibilità di allegare, ai fini partecipativi, «un certificato rilasciato dall'Autorità competente dello Stato membro» (nella specie, parte appellante intendeva valorizzare la portata liberatoria della presentazione di un DURC positivo al momento della presentazione della domanda di partecipazione) non può essere intesa nel senso di precludere alla stessa amministrazione la verifica in concreto della corrispondenza al vero delle richiamate certificazioni, essendo comunque consentito al privato di fornire la prova contraria circa la corrispondenza al vero dell'originaria certificazione.

Né è fondata la prospettazione di una violazione del diritto eurounitario (art. 45 direttiva 2004/18/CE) nell'impedire una regolarizzazione postuma, atteso che il testo della disposizione invocata non osta ad una normativa nazionale che vieti forme di sanatoria ex post con riferimento ai requisiti soggettivi di partecipazione e considerato che una siffatta possibilità determinerebbe un'evidente alterazione del bilanciamento fra i principi del favor partecipationis e della par condicio concorrenziale, non sussistendo nella specie le medesime ragioni che hanno determinato l'ordinanza del Cons. St., Sez. IV, 11 marzo 2015, n. 1236 di rimessione alla Corte di Giustizia dell'art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 sul tema, mancando l'ignoranza incolpevole del concorrente in ordine alla propria situazione di irregolarità contributiva.

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