Presupposti concreti per l’emanazione di un’informativa interdittiva antimafia

Roberto Fusco
28 Aprile 2017

Le imprese sono legittime destinatarie di informative interdittive negative solo quando la Prefettura evidenzia la presenza di atti idonei e diretti in modo non equivoco a condizionarne le scelte gestionali. Pertanto è illegittima un'informativa che, pur motivatamente articolata e basata su un complesso quadro investigativo, si fondi su elementi che non appaiano tali da indicare, sul piano induttivo, “significativi” rapporti commerciali con soggetti di spicco delle consorterie mafiose.

La controversia ha ad oggetto un'informativa prefettizia interdittiva adottata dalla Prefettura di Palermo nei confronti della società ricorrente, sulla base della quale si è avuto il diniego d'iscrizione alla c.d. white list e la risoluzione di vari rapporti contrattuali.

Preliminarmente il Collegio evidenzia il mutato atteggiamento della più recente giurisprudenza amministrativa siciliana in senso maggiormente favorevole alle imprese, le quali sono considerate legittime destinatarie di interdittive negative solo quando la Prefettura indica atti idonei diretti in modo non equivoco a conseguire lo scopo di condizionarne le scelte gestionali (in tal senso vedasi la decisione del C.G.A., 29 luglio 2016, n. 247).

Sempre secondo tale recente indirizzo giurisprudenziale, i legami di natura parenterale in sé considerati non possono essere ritenuti idonei a supportare autonomamente un'informativa negativa, assumendo rilievo solo qualora emerga una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di controllo o di condizionamento sull'impresa da parte del soggetto unito da tali legami al responsabile o all'amministratore dell'impresa, ovvero risulti sussistente un intreccio di interessi economici e familiari dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell'oggettivo pericolo che rapporti di collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l'infiltrazione mafiosa nell'impresa considerata (per tutte vedasi: C.G.A., 16 novembre 2016, n. 398 con richiamo a decisione del C.G.A., 8 maggio 2013, n. 456).

Alla luce di tali considerazioni il Collegio non ritiene gli elementi fondanti della presente interdittiva idonei a sorreggere adeguatamente tale provvedimento (pur diffusamente motivato) alla luce degli esposti orientamenti giurisprudenziali.

Più precisamente, le circostanze poste alla base del gravato provvedimento dalla Prefettura sono cinque: 1) un modesto sconto sulla vendita di una fornitura di fieno effettuato dall'amministratore della società ricorrente a causa di subite pressioni da parte di un soggetto poi destinatario di un'ordinanza cautelare; 2) un sequestro patrimoniale a carico di un soggetto che intratteneva rapporti con la società ricorrente; 3) il ritrovamento del numero di telefono della società ricorrente nell'agenda di un soggetto gravato da un'ordinanza di custodia cautelare; 4) la proprietà di un ufficio in un palazzo ove si svolgevano riunioni mafiose; 5) alcuni rapporti parentali sospetti.

A parere del Collegio l'informativa in questione, pur articolata nella sua motivazione e basata su di un complesso quadro investigativo, finisce per essere basata in concreto su un rapporto parentale, su ordinarie relazioni commerciali e sulla proprietà di un appartamento; ovverosia su elementi che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Prefettura, non appaiono tali da indicare, sul piano induttivo, “significativi” rapporti commerciali con soggetti di spicco delle consorterie mafiose.

Conclusivamente pertanto si deve rilevare come nel campo delle interdittive antimafia non può trovare applicazione il noto detto«un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Per l'emanazione di un (legittimo) provvedimento interdittivo occorre ben altro. Infatti, come evidenziato anche da altra giurisprudenza, è necessario che tale strumento sia utilizzato con estrema attenzione e cautela, perché il suo meccanismo opera incidendo nel delicato equilibrio che sussiste tra diritti di libertà di impresa da un lato ed esigenze di politica repressiva e preventiva dall'altro. Pertanto, se non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto in sede penale, non possono tuttavia ritenersi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale: al contrario, è pur sempre richiesta l'indicazione di circostanze e di indizi obiettivamente sintomatici di connessioni, condizionamenti e collegamenti dell'impresa con la criminalità organizzata (in tal senso TAR Emilia Romagna,Parma, sez. I, 24 dicembre 2015, n. 319).

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