Sugli obblighi dichiarativi di errori professionali nel Codice del 2006 e sulla sussistenza del grave errore in caso di varianti al progetto esecutivo

Leonardo Droghini
30 Agosto 2017

L'art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 non esprime un principio di “onnicomprensività della dichiarazione” delle inadempienze contrattuali, tale per cui debba essere dichiarata qualunque circostanza che sia potenziale sintomo di inesatti adempimenti contrattuali.La necessità di introdurre varianti conseguenti a errori od omissioni del progetto esecutivo costituisce indice di un “errore grave nell'esercizio dell'attività professionale” solo nell'ipotesi in cui le varianti stesse eccedano il limite quantitativo del quinto.

La sentenza affronta e risolve due questioni: a) se sussista in capo alle concorrenti di gare pubbliche, in relazione al novero degli “errori professionali” di cui all'art. 38, comma 1, lett. f), Codice del 2006, un obbligo di “onnicomprensività della dichiarazione”, in base al quale il concorrente sarebbe onerato – e a pena di esclusione – di dichiarare qualunque inadempimento che abbia caratterizzato la propria vicenda professionale; b) se costituisca un “errore grave nell'esercizio dell'attività professionale” ai sensi della stessa disposizione il fatto che, nei confronti di un'impresa incaricata di attività di progettazione, sia stata disposta una variante progettuale ai sensi dell'art. 132, comma 1, lett. e).

Il primo quesito è risolto in maniera negativa. L'art. 38 comma 1, lett. f), infatti, assegna alle stazioni appaltanti specifici poteri (peraltro non tipizzati nei loro precisi contorni) per accertare l'eventuale precedente commissione di “gravi errori professionali” negli appalti pubblici, ma non impone ai concorrenti un obbligo, dai contorni lati e malcerti, di dichiarare qualsivoglia inadempimento contrattuale che potrebbe, anche solo astrattamente, concretare ipotesi di “grave errore professionale”. Se si accedesse alla tesi della “onnicomprensività”, pena la esclusione dalle gare per la violazione di tali oneri dichiarativi, si perverrebbe a una situazione di inaccettabile incertezza e imprevedibilità del diritto, fonte di potenziale aporia di sistema e di danno all'economia del settore, per aver connesso la misura dell'esclusione a un novero di violazioni inammissibilmente ampio e potenzialmente indeterminato. È infatti impossibile determinare a priori il novero delle inadempienze contrattuali – anche di minima entità – che possono verificarsi nel corso dell'ordinaria attività di impresa.

Del resto, come chiarito in giurisprudenza (Cons. St., sez. V, 22 ottobre 2015, n. 4870), l'omessa dichiarazione dei fatti richiesta ai sensi dell'art. 38, comma 1, lett. f), non è sanzionata di per sé, cioè per ragioni formali, ma solo se costituisce un effettivo e sostanziale ostacolo alla valutazione da parte della stazione appaltante dell'affidabilità dell'impresa. Spetta pertanto alla singola impresa partecipante ad una gara pubblica rappresentare con sufficiente chiarezza le tipologie di precedenti che possono influire sul giudizio di affidabilità.

Quanto alla seconda questione, il Collegio osserva che, la necessità di introdurre varianti conseguenti a errori od omissioni del progetto esecutivo costituisce indice di un “errore grave nell'esercizio dell'attività professionale” solo nell'ipotesi in cui le varianti stesse eccedano il limite quantitativo del quinto. Lo stesso art. 132 d.lgs. n. 163 del 2006 prevede(va) infatti che solo se le varianti eccedono il limite del quinto dell'importo originario, la stazione appaltante deve procedere alla risoluzione del contratto e all'indizione di una nuova gara. Sono in questo caso, quindi, l'errore può dirsi grave.

Nella fattispecie, in conclusione, è esclusa la gravità dell'errore pregresso, poiché, oltre a non aver causato la risoluzione contrattuale, esso non aveva nemmeno pregiudicando in tutto o in parte la realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione.

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