CGUE: rilevanza della condanna non definitiva incidente sulla moralità professionale a carico dell’amministratore cessato dalla carica

21 Dicembre 2017

La Corte di Giustizia dell'UE ha affermato che, a fini della configurabilità della causa di esclusione di cui all'art. 45, par. 2, co. 1, lett. c), della direttiva 2004/18 rileva anche la condanna non definitiva incidente sulla moralità professionale a carico dell'amministratore cessato dalla carica. La sentenza ha fornito alcune precisazioni sull'onere di dimostrare la dissociazione a carico dell'impresa partecipante alla gara e ha esteso il parametro normativo invocato dal giudice a quo anche all'interpretazione dell'art. 45 par. 2 co. 1 lett. d, della direttiva 2004, recante la disciplina della causa di esclusione per grave errore professionale.

Il caso. La provincia di Bolzano bandiva una gara (soggetta ratione temporis al d.lgs. n. 163/2006) per la progettazione e costruzione di una nuova casa circondariale per la stessa provincia. Una delle imprese partecipanti produceva due dichiarazioni sui requisiti generali previsti all'art. 38 del Codice del 2006: nella prima (risalente al 4 dicembre 2003) dichiarava che nei confronti dell'ex amministratore delegato, cessato dalla carica nell'anno precedente alla pubblicazione del bando, non era stata pronunciata alcuna condanna passata in giudicato; nella seconda (resa il 16 dicembre 2013) confermava il contenuto di tale dichiarazione.

Successivamente, l'amministrazione aggiudicatrice acquisiva il casellario giudiziale del suddetto amministratore, dal quale risultava che lo stesso aveva patteggiato una condanna a un anno e dieci mesi di reclusione risalente al 5 dicembre 2013 e passata in giudicato il 29 marzo 2014. L'amministrazione aggiudicatrice, acquisito anche un parere dell'ANAC favorevole all'esclusione, estrometteva l'impresa dalla procedura sulla base della motivazione che i requisiti generali di cui all'art. 38 del Codice 2006 non erano soddisfatti adducendo «l'insufficiente e tardiva dimostrazione della dissociazione dalla condotta penalmente rilevante posta in essere dal soggetto cessato dalla carica» e che la condanna «è intervenuta in un momento antecedente alla dichiarazione resa in gara e come tale avrebbe potuto essere dichiarata dalla Mantovani in sede di partecipazione».

Il TAR Trento confermava la legittimità dell'esclusione, sicché l'impresa impugnava la sentenza dinanzi al Consiglio di Stato deducendo, tra gli altri motivi, la contrarietà al diritto dell'Unione dell'art. 38 del Codice del 2006 e chiedendo che venisse deferita alla Corte UE una domanda di pronuncia pregiudiziale.

La questione pregiudiziale. Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con ordinanza 21 marzo 2016 n. 1160, chiedeva alla Corte di giustizia UE di chiarire, in via pregiudiziale:

«Se osti alla corretta applicazione dell'art. 45, paragrafi 2, lettere c) e g), e 3, lett. a) della Direttiva 2004/18 e dei principi di diritto europeo di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, di parità di trattamento, di proporzionalità e di trasparenza, di divieto di aggravio del procedimento e di massima apertura alla concorrenza del mercato degli appalti pubblici, nonché di tassatività e determinatezza delle fattispecie sanzionatorie, una normativa nazionale, quale quella dell'art. 38, comma 1, lett. c), del decreto legislativo n. 163/2006, nella parte in cui estende il contenuto dell'ivi previsto obbligo dichiarativo sull'assenza di sentenze definitive di condanna (comprese le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti), per i reati ivi indicati, ai soggetti titolari di cariche nell'ambito delle imprese concorrenti, cessati dalla carica nell'anno antecedente la pubblicazione del bando, e configura una correlativa causa di esclusione dalla gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata di tali soggetti, rimettendo alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione sull'integrazione della condotta dissociativa che consente alla stazione appaltante di introdurre, su un piano effettuale, a pena di esclusione dalla gara:

  1. oneri informativi e dichiarativi relativi a vicende penali non ancora definite con sentenza irrevocabile (e, quindi, per definizione di esito incerto), non previsti dalla legge neppure in ordine ai soggetti in carica;
  2. oneri di dissociazione spontanea, indeterminati quanto alla tipologia delle condotte scriminanti, al relativo riferimento temporale (anche anticipato rispetto al momento di irrevocabilità della sentenza penale) e alla fase della procedura in cui devono essere assolti;
  3. oneri di leale collaborazione dal contorno indefinito, se non con richiamo alla clausola generale della buona fede».

La soluzione della Corte di Giustizia dell'UE. Per quanto riguarda l'interpretazione dell'art. 45, par. 2, primo comma, lett. c), della direttiva 2004 (che consente l'esclusione per condanna con sentenza passata in giudicato conformemente alle disposizioni di legge dello Stato membro, per un reato che incida sulla moralità professionale) la Corte, accogliendo le osservazioni dall'Avvocato Generale precisa che il diritto dell'Unione “muove dalla premessa che le persone giuridiche agiscono tramite i propri rappresentanti. Il comportamento contrario alla moralità professionale di questi ultimi può quindi costituire un elemento rilevante ai fini della valutazione della moralità professionale di un'impresa” sicché “il fatto di prendere in considerazione, nell'ambito della causa di esclusione prevista all'articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/18, la condotta degli amministratori di un offerente costituito come persona giuridica non configura quindi un'«estensione» dell'ambito di applicazione di tale causa di esclusione, bensì costituisce un'attuazione del medesimo che preserva l'effetto utile di detta causa di esclusione” (paragrafo 34 della sentenza).

La Corte UE afferma inoltre che “per quanto concerne la condizione secondo cui la sentenza deve essere passata in giudicato, va osservato che tale condizione è stata soddisfatta nel procedimento principale, dato che la decisione di esclusione è stata adottata dopo che la sentenza relativa al sig. B. era passata in giudicato” (paragrafo 40).

La dimostrazione della dissociazione. La Corte sottolinea che lo Stato membro può comunque “attenuare” la suddetta causa di esclusione determinando se e come la dissociazione dell'impresa dalla condotta del precedente amministratore impedisca l'estromissione dalla gara. Nell'ipotesi in cui lo Stato membro (come effettuato dall'ordinamento italiano) decida di inserire tale attenuazione potrà richiedere ai concorrenti di informare l'amministrazione aggiudicatrice della condanna subìta dal proprio (ex) amministratore, anche se tale condanna non è ancora definitiva.

L'impresa offerente, che deve soddisfare tali condizioni, può presentare tutte le prove che, a suo avviso, dimostrano una siffatta dissociazione, ma “se detta dissociazione non può essere dimostrata in modo tale da convincere l'amministrazione aggiudicatrice, ne consegue necessariamente che si applica la causa di esclusione” (paragrafo 43).

L'errore grave nell'esercizio dell'attività professionale. Sebbene il Consiglio di Stato avesse invocatocome parametri normativi di riferimento solo l'art. 45, par. 2, primo comma, lettere c) e g), e l'art. 45, par. 3, lett. a), della direttiva 2004, la Corte, accogliendo le osservazioni della Commissione UE, ritiene che i fatti di causa rientrino anche nell'ambito della causa di esclusione prevista all'art. 45, par. 2, primo comma, lett. d), della direttiva 2004/18, che consente di escludere un offerente che, nell'esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall'amministrazione aggiudicatrice.

A tale riguardo, la Corte afferma che “i rilievi di cui ai punti da 34 a 43 della presente sentenza sono validi e applicabili mutatis mutandis per quanto concerne l'errore grave commesso nell'esercizio dell'attività professionale” evidenziando che rispetto all'art. 45, par. 2, co. 1, lett. c), della direttiva 2004/18, la causa di esclusione per grave errore professionale può essere provata dall'amministrazione aggiudicatrice con «qualsiasi mezzo di prova».

La Corte precisa che, di conseguenza, una sentenza “pur non ancora definitiva, può, a seconda dell'oggetto di tale decisione, fornire all'amministrazione aggiudicatrice un mezzo di prova idoneo a dimostrare la sussistenza di un grave errore professionale, ove tale decisione può comunque essere sottoposta a controllo giurisdizionale”.

L'interpretazione dei diversi “principi” invocati dal giudice a quo. La Corte evidenzia infine che l'ordinanza di rinvio del Consiglio di Stato, pur invocando come parametri normativi anche diversi principi (tra cui anche principi propri del diritto UE) non ha tuttavia precisato sotto quale profilo, riguardo ai fatti del caso di specie, “essi possano risultare pertinenti e ostare alla normativa nazionale di cui al procedimento principale”.

In particolare, al paragrafo 52 della sentenza la Corte evidenzia, con riferimento ai principi di certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento e di trasparenza, che “dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non emerge in che misura potrebbe rendersi necessario interpretarli, tenuto conto del procedimento principale”.

Principio di diritto. Il principio affermato dalla Corte è quindi il seguente:

“La direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, in particolare l'articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettere c), d) e g), di tale direttiva, nonché i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che consente all'amministrazione aggiudicatrice:

  • di tener conto, secondo le condizioni da essa stabilite, di una condanna penale a carico dell'amministratore di un'impresa offerente, anche se detta condanna non è ancora definitiva, per un reato che incide sulla moralità professionale di tale impresa, qualora il suddetto amministratore abbia cessato di esercitare le sue funzioni nell'anno precedente la pubblicazione del bando di gara d'appalto pubblico, e
  • di escludere tale impresa dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione di appalto in questione con la motivazione che, omettendo di dichiarare detta condanna non ancora definitiva, l'impresa non si è effettivamente e completamente dissociata dalla condotta del suddetto amministratore”.

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