Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 56 - Questioni ed eccezioni non riproposte 1 2 .1. Le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, s'intendono rinunciate. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 110 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Inquadramento.Sebbene la disposizione in esame contempli una presunzione di rinuncia, gli effetti della condotta della parte, consistente nell'omessa tempestiva riproposizione delle questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, sono del tutto analoghi a quelli di una preclusione, che impedisce il conseguimento di un certo risultato in difetto del tempestivo compimento di una determinata attività (Pistolesi, 322). Come è stato osservato, la norma pone un limite all'effetto devolutivo automatico dell'appello, contribuendo a delimitare il thema decidendum ac probandum, sicché, in mancanza della rituale e tempestiva riproposizione, la commissione tributaria regionale dovrà astenersi da ogni pronuncia sui temi del primo grado, pena la violazione dell'art. 112 c.p.c. (Gianoncelli, 784). La presunzione di rinuncia di cui all'art. 56 del d.lgs. n. 546/1992 ha, difatti, natura assoluta, non suscettibile di prova contraria: da essa deriva la formazione del giudicato interno, sicché la questione o eccezione non riproposta non può essere successivamente dedotta in sede di giudizio di legittimità (Santi Di Paola – Tambasco, 48). L'obiettivo del legislatore è stato individuato nell'esigenza di una celere trattazione dell'appello, in cui la commissione regionale è tendenzialmente esonerata dall'affrontare le questioni non riproposte, le quali, stante la peculiare natura del processo tributario ed il termine decadenziale che caratterizza l'impugnazione, non potranno essere riproposte in un nuovo giudizio (Gianoncelli, 786). Nel processo ordinario, la medesima regola è dettata, con la rubrica «decadenza dalle domande ed eccezioni non riproposte», dall'art. 346 c.p.c., ai sensi del quale le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate. La diversa terminologia dell'art. 56, che si riferisce in modo più ampio e generico a tutte le questioni e non solo alle domande, a differenza dell'art. 346 c.p.c., potrebbe essere una scelta consapevole del legislatore, che sembra aver imposto la riproduzione non solo delle domande condizionate o subordinate non accolte, ma anche delle ragioni (da intendersi quali motivi del ricorso introduttivi, causa petendi dell'azione esperita o fatti costitutivi, impeditivi, estintivi e modificativi), e delle richieste probatorie (Pistolesi, 325). Così, ad esempio, affinché la commissione tributaria regionale possa pronunciarsi sul punto, il contribuente, che abbia impugnato l'avviso di accertamento, unitamente all'atto di irrogazione delle sanzioni, ed abbia ottenuto l'annullamento dell'atto impositivo, dovrà specificamente riproporre in appello la domanda assorbita relativa alle sanzioni; parimenti, ove sia stata accolta la sua eccezione di decadenza dalla pretesa impositiva, dovrà in appello espressamente sottoporre alla commissione tributaria regionale l'eccezione di prescrizione già formulata, ma non esaminata in primo grado; infine, qualora, impugnato un accertamento, abbia contestato la congruenza dei ricavi attribuitigli per una pluralità di ragioni, di cui solo alcune recepite, dovrà specificamente riproporre le altre ragioni prospettate; in ogni caso, comunque, è tenuto a riformulare le istanze istruttorie sottese alle domande, eccezioni e questioni non esaminate (conclusione a cui la giurisprudenza sembra pervenuta, comunque, anche nel rito ordinario). Tuttavia, secondo un'altra impostazione, che tende a conciliare il principio dispositivo con il carattere devolutivo dell'appello, l'onere di riproposizione delle ragioni e delle istanze istruttorie sorgerebbe solo se la domanda sia stata espressamente accolta in virtù di uno specifico fatto o se la dimostrazione di una circostanza sia stata fondata su un determinato mezzo di prova, ma non anche laddove non vi sia stata alcuna pronuncia, essendo in tale ipotesi sufficiente la riproposizione della questione, che ricomprende anche le ragioni e istanze istruttorie ad essa collegate (Gianoncelli, 788). Un'altra questione alquanto controversa riguarda la necessità dell'appello incidentale o, al contrario, la sufficienza della mera riproposizione laddove la domanda della parte sia stata accolta in base ad una ragione, ma siano state espressamente negate le altre prospettate e/o rigettate le relative istanze istruttorie, sicché, pur non essendovi una vera e propria soccombenza pratica, vi è, comunque, una pronuncia negativa e, cioè, una soccombenza teorica e non un mero assorbimento delle questioni sollevate (sulle diverse posizioni di Burana, 690). Ad ogni modo, l'onere di riproposizione non riguarda le mere argomentazioni giuridiche. Si esclude, inoltre, la sua estensione alle contestazioni dei fatti allegati dalla controparte, le quali sono ricomprese nella richiesta di rigetto; ai fatti costitutivi della pretesa impositiva, che, in considerazione del ruolo della parte pubblica e della natura impugnatoria del processo tributario, devono ritenersi acquisiti al giudizio; alle eccezioni rilevabili di ufficio, che non siano state sollevate in primo grado e sui cui, pertanto, non via sia stata una pronuncia o un'omessa pronuncia, che necessiti di una specifica impugnazione (Gianoncelli, 792). La giurisprudenza non riconosce, nonostante il diverso tenore letterale, una portata più ampia all'art. 56 del d.lgs. n. 546/1992 rispetto all'art. 346 c.p.c. e, comunque, esclude che vi possano essere ricomprese le mere argomentazioni giuridiche svolte in primo grado, ma non condivise dalla commissione tributaria provinciale (Cass. V, n. 21506/2010 e Cass. V, n. 3653/2001, secondo cui la disposizione di cui all'art. 56 del d.lgs. n. 546/1992 va interpretata nel senso che il termine «questioni», in essa adottato, non ha un'accezione più ampia di quella contenuta nell'art. 346 c.p.c., il quale si riferisce alle «domande», e non comprende quindi, per l'effetto, anche le mere argomentazioni giuridiche). Parimenti esclude che l'onere di riproposizione possa riguardare le mere contestazioni delle altrui allegazioni difensive. Così, ad avviso di Cass. V, n. 14951/2006, il richiamo, operato dall'Amministrazione finanziaria nel ricorso per cassazione, all'inversione dell'onere della prova prevista per l'accertamento sintetico delle imposte sui redditi dall'art. 38, comma 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non incorre nella preclusione posta dall'art. 56 del d.lgs. n. 546/1992, in quanto, essendo semplicemente diretto a contrastare l'eccezione che il contribuente, convenuto in senso sostanziale, ha opposto alla pretesa erariale, non configura a sua volta eccezione in senso tecnico, su cui il giudice non può pronunciarsi in difetto di allegazione di parte, ma mera difesa, giacché incide su fatti devoluti alla cognizione del giudice di secondo grado quali elementi costitutivi della domanda dedotta in controversia. Nello stesso senso è orientata pure Cass. V, n. 29368/2017, secondo cui, in tema di processo tributario, a carico della parte appellata vittoriosa in primo grado non sussiste alcun onere di specifica contestazione dei motivi d'appello, ai sensi degli artt. 57 e 58 del d. lgs. n. 546 del 1992, essendo il thema probandum già fissato in primo grado; unico suo onere è quello di riproporre le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, intendendosi altrimenti rinunciate, ex art. 56 del citato d.lgs., che ricalca l'art. 346 c.p.c. Relativamente alla possibile applicazione dell'art. 56 del d.lgs. n. 546/1992 alle istanze istruttorie, va ricordato che il problema appare risolto in altro modo anche nel giudizio civile, in cui, pur riferendosi l'art. 346 c.p.c. solo alle domande ed eccezioni, se ne esige la specifica reiterazione in sede di appello (v. Rascio, 227). Secondo l'orientamento ormai consolidatosi, di cui sono espressione Cass. II, n. 5812/2016, Cass. III, n. 17904/2003, Cass., III, n. 5308/2003, Cass. III, n. 16573/2002, Cass. III, n. 14135/2000, la presunzione di rinunzia prevista dall'art. 346 c.p.c. riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie, che, tuttavia, ove non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall'art. 359 c.p.c. Non appare, dunque, sufficiente da parte dell'appellato un mero rinvio agli atti al fine di insistere nelle istanze istruttorie già formulate ma non esaminate in primo grado (in questo senso, invece, Cass. lav., n. 2756/1999). Per quanto concerne, invece, la possibilità della mera riproposizione — in luogo dell'appello incidentale — delle questioni espressamente rigettate, su cui, però, non sia configurabile una soccombenza pratica, la questione era stata rimessa alle Sezioni Unite da Cass. V, n. 21808/2016. Gli atti sono stati, però, restituiti alla sezione semplice, con decreto presidenziale del 12 dicembre 2016, all'esito della deliberazione nel frattempo assunta, sulla medesima questione sollevata da Sezione della Suprema Corte, con riguardo al processo civile ed all'art. 346 c.p.c., da Cass. S.U., n. 11799/2017, che ha affermato che, in tema di impugnazioni, qualora un'eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un'enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d'appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all'esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell'art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l'eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest'ultimo l'esercizio ex art. 345, comma 2, c.p.c. Già precedentemente, del resto, Cass. S.U., n. 25246/2008, aveva ritenuto che la parte risultata vittoriosa nel merito nel giudizio di primo grado, al fine di evitare la preclusione della questione di giurisdizione risolta in senso ad essa sfavorevole, è tenuta a proporre appello incidentale, non essendo sufficiente ad impedire la formazione del giudicato sul punto la mera riproposizione della questione, ai sensi dell'art. 346 c.p.c.., in sede di costituzione in appello, stante l'inapplicabilità del principio di rilevabilità d'ufficio nel caso di espressa decisione sulla giurisdizione e la non applicabilità dell'art. 346 c.p.c., riferibile, invece, a domande o eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione o non autonome e interne al capo di domande deciso, a domande o eccezioni autonome espressamente e motivatamente respinte, rispetto alle quali rileva la previsione dell'art. 329, comma 2, c.p.c., per cui in assenza di puntuale impugnazione opera su di esse la presunzione di acquiescenza. Risulta, pertanto, confermata la posizione della più recente giurisprudenza di legittimità: è sufficiente rinviare a Cass. V, n. 16477/2016, secondo cui nel processo tributario, la parte, totalmente vittoriosa nel merito, rimasta soccombente su una determinata questione (nelle specie, omessa notifica della cartella di pagamento), onde evitare la formazione del giudicato interno, deve necessariamente proporre impugnazione incidentale sul punto, non essendo sufficiente la mera riproposizione della questione in appello, ai sensi dell'art. 56, poiché la dizione «non accolte» ivi utilizzata riguarda le sole domande ed eccezioni su cui il giudice non si sia espressamente pronunciato; Cass. V, n. 23228/2015, secondo cui, nel processo tributario, la parte rimasta soccombente sull'eccezione preliminare di decadenza, onde evitare la formazione del giudicato interno, deve necessariamente proporre impugnazione — principale o incidentale — sul punto, non essendo sufficiente la mera riproposizione della questione in appello, ai sensi dell'art. 56 del d.lgs. n. 546/1992, poiché la dizione «non accolte» ivi utilizzata riguarda le sole domande ed eccezioni su cui il giudice non si sia espressamente pronunciato. Il mancato assolvimento dell'onere di cui all'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 preclude il ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, che legittimamente non ha preso in esame le questioni non accolte (Cass. V, n. 14925/2011; v. da ultimo, v. Cass. VI, n. 12191/2018, secondo cui l'onere di riproposizione in appello delle eccezioni non accolte in primo grado - nella specie, di prescrizione - opera anche nel processo tributario, a norma dell'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, sicché l'omessa specifica riproposizione in sede di gravame preclude l'esame del relativo motivo di ricorso per cassazione). La parte onerata della riproposizioneSi identifica il soggetto onerato della riproposizione con l'appellato totalmente vittorioso in primo grado, il quale non ha interesse, difettando la sua soccombenza, alla proposizione dell'appello incidentale, ma, tramite il riesame delle questioni non esaminate, mira ad evitare l'accoglimento dell'appello principale o, comunque, a contenerne gli effetti e, cioè, a conservare il vantaggio già conseguito in esito al giudizio dinanzi alla commissione tributaria provinciale. Al contrario, l'appellato parzialmente soccombente è tenuto, onde evitare la formazione del giudicato interno ed ottenere un risultato migliore di quello del primo grado, alla proposizione del gravame incidentale. L'onere di riproposizione non si pone, invece, relativamente alle questioni ed eccezioni dell'appellato accolte in primo grado, che s'intendono automaticamente riproposte con la costituzione in giudizio e la richiesta di conferma della sentenza impugnata (Santi Di Paola – Tambasco, 48). Invero, anche l'appellante principale, vittorioso in ordine ad un determinato capo, poi investito da appello incidentale, è tenuto a riproporre le proprie questioni ed eccezioni non accolte in relazione al suddetto capo, se intende che queste siano riesaminate dal giudice di appello (Santi Di Paola – Tambasco, 47). Può, invece, discutersi circa la necessità della riproposizione, da parte dell'appellante, relativamente alle questioni assorbite: si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui il ricorso sia stato dichiarato inammissibile o rigettato in virtù di una sola ragione pregiudiziale, sicché i motivi dell'appello, che devono essere specifici, non possono che investire tale pronuncia, dalla cui rimozione sembra, però, necessariamente discendere la devoluzione al giudice dell'impugnazione del thema decidendum del primo grado. Tuttavia, relativamente all'Amministrazione finanziaria si esclude categoricamente che sulla stessa incomba l'onere della riproposizione della pretesa impositiva, implicita nell'atto impugnato e, pertanto, oggetto del giudizio di impugnazione, tenuto conto, peraltro, della possibilità di rinunciarvi solo in sede di autotutela (Burana, 692). Si ritiene, comunque, che l'onere in esame incomba anche sul contumace, il quale, dunque, in conseguenza della sua scelta processuale di omessa costituzione, dovrà sopportare le conseguenza della mancata riproposizione (Gianoncelli, 785; v. anche Pistolesi, 334, che, pur giustificando la tesi contraria in considerazione della mancanza di un atto volitivo della parte non costituita e, dunque, del fondamento della rinuncia presunta dal legislatore, solleva perplessità sul trattamento più favorevole riservato, con tale interpretazione, a colui che non partecipa al giudizio). In giurisprudenza è ormai pacifica l'applicazione degli artt. 56 d.lgs. n. 546/1992 e art. 346 c.p.c. anche alla parte contumace (v. Cass. V, n. 20062/2014 e Cass. V, n. 7316/2007, secondo cui, nel processo tributario, l'art. 346 c.p.c., riprodotto, per il giudizio di appello davanti alla commissione tributaria regionale, dall'art. 56 del d.lgs. n. 546/1992, per cui le questioni ed eccezioni dell'appellato non accolte dalla sentenza di primo grado e non espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate, si applica anche quando il contribuente non si sia costituito in giudizio, restando contumace, e va riferita a qualsiasi questione proposta dal ricorrente, a condizione che sia suscettibile di essere dedotta come autonomo motivo di ricorso o di impugnazione). Risulta, dunque, superato il precedente orientamento secondo cui le domande della parte pienamente vittoriosa in primo grado e rimasta contumace in appello debbono essere riesaminate d'ufficio dal giudice d'appello, ancorché non siano state esaminate o siano state ritenute assorbite dal giudice di prime cure (così Cass. n. 7316/2003). Del resto, alle medesime conclusioni si è ormai pervenuti nel giudizio civile (v., tra le tante, Cass. n. 28454/2013, secondo cui il principio sancito dall'art. 346 c.p.c., che intende rinunciate e non più riesaminabili le domande ed eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte in appello, trova applicazione anche nei riguardi dell'appellato rimasto contumace in sede di gravame, in coerenza con il carattere devolutivo dell'appello, così ponendo appellato e appellante su un piano di parità, senza attribuire alla parte, rimasta inattiva ed estranea alla fase di appello, un posizione sostanzialmente di maggior favore, sì da far gravare su entrambi, e non solo sull'appellante, l'onere di prospettare al giudice del gravame le questioni — domande ed eccezioni — risolte in senso ad essi sfavorevole). Si è sovente affermato che l'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all'appellato e non all'appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l'onere dell'espressa riproposizione riguarda, nonostante l'impiego della generica espressione «non accolte», non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perché ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via — riproposizione/rinuncia — rappresentata dagli artt. artt. 56 e 346 del codice di rito, rispetto all'unica alternativa possibile dell'impugnazione — principale o incidentale — o dell'acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno (Cass. V, n. 14534/2018 e Cass. V, n. 7702/2013). Tuttavia applicano l'art. 56 del d.lgs. n. 546/1992 anche all'appellante principale Cass. V, n. 33580/2019 e Cass. II, n. 22954/2011, secondo cui qualora la sentenza impugnata, nel definire il giudizio, abbia deciso esclusivamente una questione preliminare di rito, i motivi di appello, che hanno la finalità di denunciare gli errori di diritto o l'ingiustizia della decisione, non possono concernere anche il merito della domanda che non ha formato oggetto della pronuncia, essendo al riguardo sufficiente che l'appellante abbia riproposto, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., la domanda non esaminata. Recentemente, però, Cass. V, n. 1322/2018 ha affermato che la regola per cui le domande non esaminate perché ritenute assorbite, pur non potendo costituire oggetto di motivo d'appello, devono comunque essere riproposte ai sensi dell'art. 346 c.p.c., non trova applicazione in caso di impugnazione della decisione che ha giudicato inammissibile il ricorso di primo grado, la quale costituisce comunque manifestazione di volontà di proseguire nel giudizio, con implicita riproposizione della domanda principale, specialmente quando tale volontà sia anche chiaramente espressa con l'esplicito rinvio, nelle conclusioni dei motivi di appello, al ricorso introduttivo, non avendo altrimenti alcuna valida e concreta ragione la sola impugnativa della questione pregiudiziale di rito: in particolare, nella decisione in esame, si è ritenuto che, nel processo tributario, il rinvio al ricorso introduttivo contenuto nell'appello è sufficiente ad investire il giudice del gravame della domanda di annullamento dell'atto impositivo, senza che sia necessaria la riproposizione anche dei motivi di censura, essendo potere-dovere del giudice enucleare, nell'ambito del ricorso originario, il contenuto ancora attuale e quello assorbito dalla precedente dichiarazione di inammissibilità. In effetti, quest'ultima pronuncia, pur enunciando un principio apparentemente difforme da quello espresso da Cass. V, n. 33580/2019 e Cass. II, n. 22954/2011, finisce piuttosto con il definire in modo attenuato il contenuto dell'onere di riproposizione ex art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992 nell'ipotesi di impugnazione di sentenza di inammissibilità del ricorso. Si esclude, comunque, in capo all'Amministrazione appellante, l'onere di riproposizione della pretesa impositiva sottesa all'atto impugnato: così Cass. VI, n. 10906/2016, secondo cui l'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente proposte in appello, si intendono rinunciate, tenuto conto del carattere impugnatorio del giudizio, della qualità di attore in senso sostanziale del Fisco e dell'indisponibilità della sua pretesa, alla quale non può rinunciare se non nei limiti di esercizio di autotutela, non si applica all'Amministrazione rimasta soccombente in primo grado per un profilo preliminare di legittimità formale dell'atto, per cui dalla circostanza che l'appello proposto abbia per oggetto solo la suddetta statuizione non può desumersi la rinuncia a far valere la pretesa tributaria (v. anche, tra le altre, Cass. V, n. 8332/2016; da ultimo, Cass. V, n. 12591/2020, secondo cui l'Amministrazione soccombente, che impugni la sentenza di primo grado sulla sola questione preliminare, non rinuncia a far valere nel merito la pretesa tributaria, atteso che l'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 va riferito solo all'appellato e non anche all'appellante). . Allo stesso modo, si è specificato che l'appello dell'Ufficio nel giudizio riguardante l'impugnazione di un avviso di accertamento non necessita di uno specifico ed autonomo motivo sulle sanzioni, costituendo queste un'obbligazione accessoria a quella principale, direttamente discendente da essa, sicché deve escludersi che sia affetta dal vizio di ultra-petizione, ex art. 112 c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale che, in assenza del predetto autonomo e specifico motivo, confermi in toto l'avviso di accertamento, anche con riguardo alle sanzioni (Cass. V, n. 12631/2017). Cass. V, n. 18559/2010 , ha confermato, invece, la sentenza di appello che, accogliendo il gravame dell'Ufficio, aveva riformato la sentenza di primo grado con cui era stata dichiarata la decadenza dall'accertamento ed, in assenza di specifiche doglianze del contribuente, aveva dichiarato legittimo l'accertamento medesimo, atteso che nel processo tributario, qualora il giudice di primo grado abbia accolto l'eccezione proposta dal contribuente di decadenza dell'azione accertatrice, è validamente proposto l'appello da parte dell'Amministrazione fondato sulla sola contestazione delle ragioni della declaratoria della decadenza e sulla generica richiesta di conferma dell'accertamento, essendosi concluso il precedente grado di giudizio con l'accertamento, di un vizio del procedimento amministrativo e non di quello giudiziale, mentre è onere del contribuente, vincitore in primo grado, eventualmente riproporre specifici motivi di gravame in ordine al merito dell'accertamento medesimo, motivi ritenuti assorbiti, in primo grado, nella pronuncia di decadenza. Le modalità della riproposizioneIl tenore letterale dell'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 impone una riproposizione specifica e, dunque, inequivocabile, che non può limitarsi al generico ed indistinto richiamo agli atti processuali del primo grado, risultato a cui, peraltro, si è pervenuti anche nell'interpretazione dell'art. 346 c.p.c., in cui l'avverbio espressamente viene inteso come sinonimo di specificamente, in antitesi a genericamente. Si ritiene, pertanto, necessaria, anche al fine di evitare un'inammissibile disparità di trattamento rispetto all'appellante, la specifica enunciazione delle questioni ed eccezioni non accolte (Pistolesi, 2002). La sede della riproposizione è l'atto contenente le controdeduzioni, deputato eventualmente anche alla proposizione dell'appello incidentale, mentre si ritiene insufficiente una mera verbalizzazione delle relative istanze alla pubblica udienza, ove ne sia stata chiesta la fissazione. Discussa è, comunque, la perentorietà del termine di costituzione di cui al combinato disposto degli artt. 23 e 61 del d.lgs. n. 546/1992 ai fini di tale attività, da taluni ritenuta ammissibile, in assenza di una esplicita previsione di decadenza, anche nella memoria illustrativa depositata successivamente ai sensi dell'art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, a cui sono possibili repliche o all'udienza pubblica o, in caso di trattazione camerale, in virtù del citato art. 32, comma 3 (per una sintesi delle diverse opinioni si rinvia a Gianoncelli, 795; propende per la possibilità della riproposizione anche oltre il termine di costituzione, sino a dieci giorni prima dell'udienza di trattazione, nell'apposita memoria difensiva che sino a quel momento può essere depositata Pistolesi, 335, non essendo contemplato nell'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 alcun termine e non derivando dallo slittamento in avanti di tale attività difensiva alcun pregiudizio al principio del contraddittorio). La giurisprudenza è, invece, convinta che nel processo tributario, improntato a criteri di speditezza e concentrazione, la volontà dell'appellato di riproporre le questioni assorbite deve essere espressa, a pena di decadenza, nell'atto di controdeduzioni da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio, e non può essere manifestata in atti successivi, che esplicano una funzione meramente illustrativa (Cass. VI, n. 12937/2016; Cass. V, n. 26830/2014 e Cass. V, n. 17950/2012). Questa posizione va oggi coordinata con la recente pronuncia delle Sezioni Unite riguardante l'art. 346 c.p.c., con cui si è affermato che, nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell'autoresponsabilità e dell'affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell'art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e, comunque, non oltre la prima udienza (Cass. U, n. 7940/2019). Si ritiene, inoltre, che l'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 imponga la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure per relationem, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, per cui è insufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale (così Cass. V, n. 24267/2015). Cass. VI, n. 30444/2017 ha ribadito che, nel processo tributario, l'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 impone la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure per relationem, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, sicché non è sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale, ed ha, pertanto, ritenuto che i motivi posti a fondamento del ricorso introduttivo del primo grado di giudizio erano da intendersi rinunciati, essendosi la parte limitata nelle controdeduzioni depositate nel giudizio di appello a richiamare i fatti e agli argomenti esposti nel suddetto ricorso. Nel processo civile ha assunto la stessa posizione Cass. II, n. 10796/2009, secondo cui, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l'appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse; tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice; mentre , ad avviso di Cass. III, n. 413/2017, la presunzione di rinuncia alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado, sancita dall'art. 346 c.p.c., non è impedita da un richiamo, del tutto generico, agli atti di quel grado, così da tradursi in una mera formula di stile, ma, ove ciò non sia accaduto e l'appellato abbia soltanto omesso di riproporre espressamente una determinata domanda, occorre tenere conto dell'intero contenuto delle sue difese e della posizione da lui complessivamente assunta, sicché quando questi, con qualsiasi forma, abbia evidenziato la sua volontà di mantenere comunque ferma la propria domanda, sollecitando il giudice di secondo grado a decidere in merito, va escluso che vi abbia rinunciato (in tale ultima fattispecie la S.C. ha ritenuto non configurabile la rinuncia in una fattispecie in cui il convenuto appellato, pur senza riproporre espressamente la domanda di manleva nei confronti del terzo chiamato, si era costituito resistendo non solo verso l'appellante principale, ma anche nei confronti del terzo, appellante incidentale). Qualora la parte erroneamente riproponga le questioni assorbite tramite la proposizione di un appello incidentale, dichiarato correttamente inammissibile, il giudice non è esonerato dal loro esame in funzione della decisione sull'appello principale (Cass. IV, n. 2146/2006). Il confine tra la riproposizione e l'appello incidentaleL'individuazione dei confini tra la necessaria proposizione dell'appello incidentale e la mera riproposizione delle questioni non risulta sempre ben definita. Così, in caso di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. una parte della dottrina esclude la sufficienza della mera riproposizione ritenendo indispensabile la proposizione dell'appello incidentale (Gianoncelli, 790; Pistolesi, 330), mentre, secondo altre opinioni, sussistono entrambe le possibilità, in via alternativa tra di loro (Burana, 693). Dubbi sussistono in dottrina anche in ordine alle questioni oggetto di una soccombenza solo teorica ovvero alle questioni sollevate dalla parte totalmente vittoriosa nel merito, su cui vi sia una pronuncia espressa negativa nella pronuncia di primo grado, per le quali, da un lato, si ritiene sufficiente la mera riproposizione, non essendovi alcun interesse all'impugnazione, mentre, dall'altro lato, si richiede, onde evitare il giudicato interno, all'esito dell'acquiescenza, la proposizione dell'appello incidentale (per la sintesi delle posizioni si rinvia a Burana, 690, e Gianoncelli, 783). Anche nella giurisprudenza di legittimità sembra sussistere un contrasto circa la necessità, ove il giudice di primo grado abbia omesso di pronunciarsi su una domanda ovvero su un punto di essa, al di fuori dell'ipotesi del suo assorbimento, di dedurre uno specifico motivo di appello ex art. 342 c.p.c. ovvero di riproporre la questione ex art. 346 c.p.c. In particolare, secondo la recente Cass., II n. 2855/2016, il giudizio di appello integra una revisio prioris instantiae, sicché l'omessa pronuncia su una domanda (o su un punto di essa) non può essere oggetto di mera riproposizione ex art. 346 c.p.c. ma deve essere denunciata, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., con la formulazione di uno specifico motivo di appello, mediante il quale si deduca l'errore commesso dal giudice di primo grado, sebbene la specificazione delle ragioni poste a fondamento di tale motivo possa esaurirsi nell'evidenziare l'omessa decisione sulla domanda ritualmente proposta. Tuttavia, ad avviso di Cass. I, n. 9485/2014, in caso di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un punto della domanda, l'appellante, ai fini della specificità del motivo di gravame, deve soltanto reiterare la richiesta non esaminata in prime cure, sicché è stata cassato la sentenza con cui la corte d'appello, a fronte dell'omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado, aveva ritenuto nullo l'atto di appello nel quale la parte si era limitata ad insistere per l'accoglimento della domanda non esaminata, senza formulare un apposito motivo di impugnazione. Quest'ultimo orientamento era stato espresso anche in passato da Cass. n. 3054/1978, secondo cui, in caso di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un punto della domanda, l'appellante, ai fini della specificità del motivo di gravame, deve soltanto reiterare la richiesta non esaminata in prime cure e da Cass. I, n. 8655/2000, secondo cui, quando la sentenza di primo grado manchi di statuire su una delle domande introdotte in causa — e non ricorrano gli estremi di una sua reiezione implicita, né risulti che la stessa sia rimasta assorbita dalla decisione di altra domanda da cui dipenda — deve riconoscersi alla parte istante la facoltà di far valere tale omissione in sede di gravame, pena la rinuncia implicita alla domanda medesima, ex art. 346 c.p.c. Le problematiche relative alla soccombenza teorica appaiano, invece, recentemente risolte dalle Sezioni Unite. In particolare, ad avviso di Cass. S.U., n. 11799/2017, in tema di impugnazioni, qualora un'eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un'enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d'appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all'esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell'art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l'eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest'ultimo l'esercizio ex art. 345, comma 2, c.p.c. Proprio alla luce di tale decisione delle Sezioni Unite, concernente il processo civile, ma estensibile anche a quello tributario, la questione sollevata da Cass. V, n. 21808/2016 non è stata decisa e gli atti sono stati restituiti alla sezione semplice, con decreto presidenziale del 12 dicembre 2016. Già precedentemente, del resto, Cass. S.U., n. 25246/2008, aveva ritenuto che la parte risultata vittoriosa nel merito nel giudizio di primo grado, al fine di evitare la preclusione della questione di giurisdizione risolta in senso ad essa sfavorevole, è tenuta a proporre appello incidentale, non essendo sufficiente ad impedire la formazione del giudicato sul punto la mera riproposizione della questione, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., in sede di costituzione in appello, stante l'inapplicabilità del principio di rilevabilità d'ufficio nel caso di espressa decisione sulla giurisdizione e la non applicabilità dell'art. 346 c.p.c., riferibile, invece, a domande o eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione o non autonome e interne al capo di domande deciso, a domande o eccezioni autonome espressamente e motivatamente respinte, rispetto alle quali rileva la previsione dell'art. 329, comma 2, c.p.c., per cui in assenza di puntuale impugnazione opera su di esse la presunzione di acquiescenza. Anche se non pienamente pertinente rispetto al contenzioso tributario va ricordata la recente Cass. III, n. 8674/2017, allorché la parte abbia proposto, nello stesso giudizio, due o più domande alternative, ma tra loro compatibili, ovvero legate da rapporto di subordinazione, l'accoglimento della principale o della domanda alternativa compatibile non obbliga l'attore, che voglia insistere su quella non accolta, a proporre appello incidentale, essendone sufficiente la riproposizione ex art. 346 c.p.c.; diversamente, qualora si tratti di domande incompatibili, ovvero sia stata accolta la subordinata, l'attore che voglia insistere nella domanda alternativa incompatibile non accolta, ovvero nella domanda principale, ha l'onere di farlo mediante appello incidentale, eventualmente condizionato all'accoglimento del gravame principale, in quanto solo in tal modo può evitare la formazione del giudicato sull'accertamento dei fatti posti a fondamento della pretesa accolta ed incompatibili con quella disattesa. La pronuncia completa e precisa le precedenti Cass. S.U., n. 7700/2016, secondo cui, in caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all'accoglimento, la devoluzione di quest'ultima al giudice investito dell'appello sulla domanda principale non richiede la proposizione di appello incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell'art. 346 c.p.c. BibliografiaBurana, Sub art. 58, in AA.VV., Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo-Glendi, Padova, 2012, 690; Finocchiaro, Appunti sugli art. 56 e 75 D.Lgs. n. 546 del 1992, in Giust. civ. 2001, I, 1491; Gianoncelli, Sub art. 56, in AA.VV., Codice commentato del processo tributario, a cura di Tesauro, Padova, 2016, 783; Lolli, I confini tra l'appello incidentale ex art. 343 c.p.c. e la mera riproposizione prevista dall'art. 346 c.p.c., in Judicium, 2017; Pistolesi, L'appello nel processo tributario, Torino, 2002; Santi Di Paola – Tambasco, Le impugnazioni delle sentenze tributarie, Santarcangelo di Romanga, 2013; Rascio, La riproposizione espressa dall'art. 346 c.p.c., l'appellato contumace, l'effetto devolutivo e un atteso ripensamento della Suprema Corte, in Foro it. 2003, I, 3330; Rascio, Una (condivisibile) decisione circa la necessità di riproporre in appello le istanze istruttorie disattese dal giudice di primo grado, in Foro it. 2002, I, 227; Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2014; Ronco, L'onere dell'appello incidentale sulle questioni pregiudiziali di rito (come baluardo per la sopravvivenza della decisione di merito), in Giur. it. 2009, 2001. |