Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 64 - Sentenze revocabili e motivi di revocazione 1 2 .1. Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado dalle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado possono essere impugnate ai sensi dell'articolo 395 del codice di procedura civile3. 2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 del codice di procedura civile purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al numero 6 dell'art. 395 del codice di procedura civile siano posteriori alla scadenza del termine suddetto. 3. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il termine per l'appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell'avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso.
[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 120 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [3] Comma sostituito dall'articolo 9, comma 1, lettera cc), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. InquadramentoL'articolo in commento, inserito nella Sezione IV del Capo III, dedicato alle impugnazioni, reca la disciplina delle sentenze revocabili e dei motivi di revocazione. Il decreto di riforma ha modificato il comma 1, con una formulazione analoga a quella dell'articolo 395 c.p.c., al fine di eliminare, come chiarito dalla relazione illustrativa di accompagnamento, le incertezze interpretative a cui aveva dato luogo la precedente formulazione dell'articolo 64. Contrariamente alla precedente versione, che prevedeva che «Contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell'art. 395 del c.p.c.», l'attuale formulazione fa espresso riferimento alle sentenze pronunciate in grado di appello ovvero in unico grado dalle commissione tributarie (laddove per sentenze «in unico grado» devono intendersi quelle interessate dal c.d. ricorso per saltum di cui all'articolo 62, comma 2-bis del decreto n. 546). Tali sentenze possono essere oggetto sia di revocazione ordinaria (nn. 4 e 5 dell'articolo 395 c.p.c., la cui proposizione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza) sia straordinaria (nn. 1, 2, 3 e 6 del medesimo articolo, che può proporsi anche dopo il passaggio in giudicato della stessa). Di contro, le sentenze pronunciate dalla commissione tributaria provinciale, disciplinate dal comma 2 dell'articolo 64, sono soggette solo a revocazione straordinaria, in quanto i motivi di revocazione ordinaria devono essere fatti valere con l'appello. La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso per cassazione. Inoltre, la notificazione di un ricorso per revocazione è idonea a determinare, sia per il notificante che per il destinatario della notificazione, la decorrenza del termine breve per l'impugnativa della pronuncia, come chiarito più volte dalla Corte di cassazione (cfr. Cass. n. 7261/2013; Cass. n. 14267/2007) (Circ. Ag. Ent. n. 38 del 29 dicembre 2015, par. 1.14.). Nozione e funzione della revocazioneL'istituto della revocazione costituisce uno dei mezzi di impugnazione previsti e disciplinati dall'ordinamento. Oltre che nel processo civile, l'istituto della revocazione trova altresì applicazione nel processo tributario ove, già previsto dall'art. 41 del d.P.R. n. 636/1972, è specificamente disciplinato nella sezione IV, capo III, titolo II del d.lgs. in commento. Ad ogni modo, occorre sottolineare che, in forza dell'esplicito richiamo di cui agli artt. 1,49 e 64 del d.lgs. n. 546/1992, tale disciplina deve essere integrata con la disciplina in materia di revocazione di cui agli artt. 395-403 c.p.c. Da un punto di vista sistematico, si ricorda che l'istituto della revocazione si inquadra tra i mezzi di impugnazione c.d. «a critica vincolata», giacché i motivi per i quali è possibile esperire la revocazione sono tassativamente previsti dall'art. 395 c.p.c.; tale peculiarità comporta l'inammissibilità di ogni censura non compresa in detta tassativa elencazione, ed esclude di conseguenza anche la deduzione di motivi di nullità afferenti alle pregresse fasi processuali, che restano deducibili con le ordinarie impugnazioni. Inoltre, la revocazione è un mezzo di impugnazione a carattere eccezionale in quanto attraverso tale istituto sono impugnabili le sole sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado (ovvero nel caso di ricorso per saltum). Nonostante la riforma operata dal d.lgs. n. 156/2015, il giudizio di revocazione rimane caratterizzato da una prima fase rescindente e da una successiva fase rescissoria le quali, di regola, si svolgono contestualmente (Russo, 1987, 826; Pistolesi, 743). La fase rescindente è finalizzata all'accertamento della fondatezza del motivo del ricorso per revocazione. Si rileva, infatti, che nel caso di accertamento con esito positivo, il giudice rescinderà la sentenza impugnata e procederà all'annullamento della stessa. Di contro, la fase rescissoria è finalizzata alla formulazione della nuova sentenza di merito che andrà a sostituire quella rescissa. Si deve sottolineare come la contestualità tra le due fasi non sia arbitraria ma prevista e disciplinata dallo stesso legislatore all'art. 402, comma 1, c.p.c.: «con la sentenza che pronuncia la revocazione il giudice decide il merito della causa e dispone l'eventuale restituzione di ciò che sia conseguito con la sentenza revocata». Solo nell'eventualità in cui il giudice della revocazione ritenga, una volta riscontrati sussistenti i motivi della revocazione, di non avere a sua disposizione tutti gli elementi utili per la pronuncia sul merito e che quindi siano necessari ulteriori elementi, dispone con sentenza la revocazione della sentenza e con ordinanza rimette le parti all'istruttoria (art. 402, comma 2, c.p.c.) (Di Paola, 718). In tema di contenzioso tributario, a norma dell'art. 64, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l'istanza di revocazione è ammessa solo nei confronti di sentenze che, involgendo accertamenti di fatto, non siano ulteriormente impugnabili sul punto controverso o che non siano state impugnate nei termini, con la conseguenza che la richiesta di revocazione è inammissibile allorché una sentenza, involgente accertamenti di fatto, sia impugnabile o sia stata impugnata coi mezzi ordinari di gravame (Cass. n. 5827/2011; Cass. n. 11613/2015). Nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, il ricorso per revocazione è soggetto al disposto dell'art. 366 c.p.c., secondo cui la formulazione del motivo deve risolversi nell'indicazione specifica, chiara ed immediatamente intellegibile del fatto che si assume avere costituito oggetto dell'errore nell'esposizione delle ragioni per cui l'errore presenta i requisiti previsti dall'art. 395 c.p.c.; ne consegue che il mancato rispetto di tali requisiti espone il ricorrente al rischio di una declaratoria d'inammissibilità dell'impugnazione, non consentendo la valorizzazione dello scopo del processo, volto, da un lato, ad assicurare un'effettiva tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost., nell'ambito dei principi del giusto processo di cui all'art. 111, comma 2, Cost. e in coerenza con l'art. 6 CEDU e, dall'altro, ad evitare di gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (Cass. n. 26161/2021). In tema si contenzioso tributario, l'art. 64, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, nella parte in cui subordina l'ammissibilità della revocazione ordinaria alla non ulteriore impugnabilità della sentenza sul punto dell'accertamento in fatto, non si riferisce all'inoppugnabilità derivante dalla scadenza dei termini per l'impugnazione, ma a quella derivante dalle preclusioni relative all'oggetto del giudizio, ovverosia, per le sentenze di secondo grado, all'impossibilità di contestare l'accertamento in fatto in sede di legittimità: è pertanto ammissibile la revocazione ordinaria avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale inoppugnabile sotto il profilo dell'accertamento in fatto, ancorché non sia ancora scaduto il termine per la proposizione del ricorso per Cassazione (Cass. n. 19522/2008). Non è ammessa la revocazione di una sentenza pronunciata dal giudice tributario che sia impugnabile o sia stata impugnata con gli ordinari mezzi di gravame (nella specie, ricorso per Cassazione). La revocazione delle sentenze pronunciate dal giudice tributario è ammissibile anche nel caso di contrasto con un precedente giudicato, ai sensi dell'art. 395, n. 5), c.p.c., poiché, là dove l'art. 64, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, menziona gli accertamenti di fatto, intende riferirsi anche allo specifico motivo di revocazione costituito dall'errore (revocatorio) sul «fatto» dell'esistenza di un precedente giudicato esterno formatosi tra le stesse parti (Cass. n. 11596/2007). Il rapporto tra la revocazione e il ricorso in CassazioneLa revocazione si pone nei confronti del ricorso per cassazione quale mezzo di impugnazione concorrente. Ciò significa che, essendo diversi i motivi di censura che giustificano il ricorso ai due mezzi di gravame, la sentenza pronunciata in grado di appello o in unico grado può essere impugnata sia con l'uno che con l'altro mezzo (Di Paola, 724). La problematica che suscita il concorso dei due rimedi attiene al loro coordinamento, che nel nuovo contenzioso risulta diversamente regolato rispetto al precedente per effetto della modifica dell'art. 398, comma 4, c.p.c. disposta con la l. 26 novembre 1990, n. 353 (Cantillo, 490). In precedenza, infatti, la norma da ultimo citata sanciva espressamente la concorrenza tra i due rimedi e disponeva che la notificazione della domanda di revocazione sospendeva il termine per proporre il ricorso per cassazione o, nel caso in cui quest'ultimo fosse stato già proposto, sospendeva il relativo procedimento fino al passaggio in giudicato della sentenza che avesse pronunciato sulla revocazione. Il fondamento di tale disciplina andava individuato nel fatto che la revocazione riveste per sua natura carattere pregiudiziale rispetto al ricorso per cassazione. L'analisi delle tappe del ragionamento del giudice, evidenzia che nell'iter logico della decisione i vizi che si fanno valere con la revocazione si collocano in un momento antecedente ai vizi che si denunciano in Cassazione, giacché il giudice perviene all'applicazione delle norme dopo la ricostruzione del fatto; e se questo è ricostruito male, perché la prova è falsa o perché non è stato possibile esibire un documento decisivo, tra i due mezzi di impugnazione dovrebbe avere la precedenza quello che riguarda tale accertamento (Cantillo, 491). Al contrario, secondo la nuova formulazione dell'art. 398, comma 4, c.p.c., la proposizione della revocazione non sospende il termine del ricorso per cassazione, né il relativo procedimento. Ad ogni modo, il giudice davanti al quale è proposta la domanda di revocazione, su istanza delle parti interessate, può disporre la sospensione qualora ritenga che questa non sia manifestamente infondata e sempre che la valuti come necessaria ed opportuna. Di conseguenza questo comporterà il profilarsi di situazioni e risvolti differenti a seconda che la sospensione venga o meno concessa ed in particolare: – nel caso in cui il giudice della revocazione ritiene non manifestamente infondata la proposta potrà decidere se disporre o meno la sospensione del termine per il ricorso in Cassazione o del procedimento relativo. Laddove decida per la sospensione, la comunicazione della sentenza che decide sulla revocazione comporterà il venir meno della sospensione medesima, senza che occorra attendere il passaggio in giudicato della sentenza; – nel caso in cui la sospensione non venga concessa, questo comporterà il contemporaneo svolgimento del giudizio di revocazione e del giudizio di cassazione in modo del tutto autonomo stante la diversità dell'oggetto di causa (Di Paola, 724). Con particolare riguardo ai problemi di coordinamento che sorgono soprattutto laddove sia noto l'esito di uno dei due procedimenti, nel silenzio normativo è stato ritenuto che nel caso in cui la sentenza di accoglimento della revocazione passa in giudicato in pendenza del giudizio di legittimità, la stessa andrà a sostituirsi alla sentenza che è stata impugnata con ricorso per cassazione e quest'ultimo giudizio dovrà essere dichiarato estinto per cessazione della materia del contendere. Al contrario, laddove intervenga prima la sentenza di rigetto del ricorso per cassazione, stante la pregiudizialità dell'accertamento da compiersi con il giudizio di revocazione, questo dovrà proseguire e, in caso di accoglimento dello stesso, la pronuncia di cassazione sarà priva di effetti. Infine, nell'ipotesi in cui il ricorso per cassazione sia accolto e la sentenza impugnata sia annullata, diventa inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per cassazione precedentemente proposto avverso la pronuncia di rigetto della richiesta di revocazione, ormai priva di oggetto. La giurisprudenza, partendo dal presupposto che la decisione del ricorso per cassazione è subordinata all'esito del giudizio di revocazione pendente avverso la stessa sentenza, in forza del carattere pregiudizievole del giudizio di revocazione rispetto al ricorso per cassazione, ha affermato che nell'ipotesi in cui siano pendenti contemporaneamente il ricorso per cassazione avverso la sentenza già impugnata per revocazione e quello contro la sentenza emanata in sede di revocazione, quest'ultimo deve essere deciso in via prioritaria. Di conseguenza, laddove venga rigettato il ricorso per revocazione si procederà all'esame del ricorso per cassazione. Al contrario, se il ricorso per revocazione viene accolto, il giudizio relativo al ricorso per cassazione rimarrà sospeso fino al momento della comunicazione della sentenza del giudice della revocazione (Cass. n. 1814/2004). I motivi della revocazione. Dolo di una delle parti in danno dell'altraL'art. 64 del d.lgs. n. 546 del 1992 richiama integralmente nel processo tributario la disciplina dettata dall'art. 395 c.p.c. per ciò che concerne i motivi di revocazione, i quali si distinguono in tre gruppi a seconda che riguardino l'attività delle parti (art. 395, n. 1), le prove (art. 395, nn. 2 e 3) o l'attività del giudice (art. 395, nn. 4, 5 e 6). Il primo motivo di revocazione, previsto e disciplinato dall'art. 395 n. 1 del codice di rito si riferisce all'ipotesi in cui la sentenza sia l'effetto del dolo posto in essere da una parte in danno dell'altra. Pertanto, il motivo di cui al n. 1 è fondato, per sua natura, su circostanze che vengono ad arte tenute nascoste e che tali possono rimanere anche per molto tempo; così anche, in certo senso, il motivo di cui al n. 6 (dolo del giudice) per il quale tuttavia la legge, considerata la sua gravità, richiede che risulti da una sentenza passata in giudicato (Mandrioli, 2011, 336). Secondo l'orientamento consolidato in giurisprudenza, il dolo revocatorio deve consistere in artifici e raggiri soggettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa della controparte e a impedire al giudice l'accertamento della verità e non può essere ravvisabile in semplici omissioni della parte nella produzione di documenti utili per la sua tesi, in mendacio o in false allegazioni (Cass. n. 5522/2008; nello stesso senso cfr. Cass. n. 6595/2006), comportamenti questi ultimi censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma che non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall'ordinamento al fine di pervenire all'accertamento della verità. In forza di tale ragionamento, la Corte ha rigettato la domanda di revocazione proposta da uno dei coniugi nei confronti di una sentenza di divorzio, con determinazione dell'assegno, non ritenendo sussistere i presupposti del dolo processuale revocatorio nel comportamento del coniuge che non aveva dichiarato di avere svolto attività lavorativa, celando la sua reale situazione economica (Cass. n. 23866/2008). Per integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ex art. 395, n. 1, c.p.c., non basta la semplice violazione del dovere di lealtà e di probità, richiedendosi, invece, un'attività intenzionalmente fraudolenta, concretantesi in artifizi o raggiri tali da pregiudicare o sviare la difesa avversaria, facendo apparire una situazione diversa da quella reale e, quindi, da impedire al giudice la conoscenza della verità; requisiti, questi, ravvisabili anche nel mendacio o nel silenzio su fatti decisivi della causa, specie quando la domanda giudiziale trovi fondamento su tale atteggiamento ed il successivo contegno processuale, attuativo di questo iniziale disegno fraudolento, sia tale da impedire un'efficiente attività difensiva della controparte o, comunque, da pregiudicare l'accertamento della verità (Cass. n. 1207/2020). Il giudice della revocazione deve, quindi, individuare ed accertare i singoli fatti in cui si è estrinsecata l'attività dolosa o la corrispondente condotta omissiva e darne, quindi, motivazione congrua e logicamente ineccepibile in merito alla deficienza difensiva e all'errore della sentenza che hanno determinato onde evitare il sindacato in sede di legittimità. (Cass. 1155/2002; Cass. 23866/2008). In forza di tali principi, la Cassazione ha recentemente affermato che il silenzio su fatti decisivi può integrare gli estremi del dolo processuale revocatorio, rilevante ai fini ed agli effetti di cui all'art. 395, primo comma, numero 1), c.p.c., a condizione che esso costituisca elemento essenziale di una macchinazione fraudolenta diretta a trarre in inganno la controparte e idonea, in relazione alle circostanze, a sviarne o pregiudicarne la difesa e a impedire al giudice l'accertamento della verità (Cass. n. 25761/2013). Non è configurabile un motivo di revocazione allorquando il comportamento asseritamente doloso della parte poteva desumersi dalla stessa lettura della sentenza di primo grado e doveva quindi essere fatto valere come motivo di appello (Cass. n. 11697/2013). Prove riconosciute o dichiarate false Il secondo motivo previstoex art. 395, comma 1, n. 2 c.p.c., e per il quale è ammissibile il ricorso per revocazione, consiste nell'aver giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false. Tale motivo richiede per l'appunto che il riconoscimento o la dichiarazione della falsità della prova debba avvenire in un momento successivo alla pronuncia della sentenza impugnata, poiché altrimenti la falsità avrebbe potuto essere fatta valere nel corso del giudizio o con l'impugnazione ordinaria (Mandrioli, 2011, 336). Invero, sia il riconoscimento che la dichiarazione di falsità devono preesistere al momento della proposizione della domanda di revocazione, dal momento che si esclude che la falsità della prova possa essere accertata nel corso del giudizio di revocazione, senza che ciò comporti alcuna esclusione per il giudice della revocazione di valutare liberamente l'effettiva esistenza della falsità (Mandrioli, 2006, II, 556, nota n. 31). La giurisprudenza ha precisato che ai fini della proponibilità dell'impugnazione per revocazione, il riconoscimento della falsità della prova, previsto dall'art. 395 n. 2 c.p.c. come motivo di revocazione, è solo quello proveniente dalla parte a favore della quale la prova è stata utilizzata, mentre è irrilevante l'accertamento della falsità compiuto in giudizi vertenti tra terzi. Pertanto nella controversia tra il contribuente e l'erario riguardante la determinazione del valore di un fondo oggetto di compravendita, ai fini del computo dell'imposta di registro, non costituisce motivo di revocazione della sentenza che abbia rigettato il ricorso l'accertamento, avvenuto in sede penale nei confronti del sindaco, della falsità del certificato di destinazione urbanistica allegato all'atto di compravendita. (Cass. n. 2896/2009). Inoltre, per l'accertamento della falsità di una prova, al fine di poter proporre sulla base di esso azione di revocazioneex art. 395 n. 2 c.p.c., la dichiarazione giudiziale di falsità potrà ottenersi col mezzo speciale della querela di falso tutte le volte in cui l'impugnativa sarà rivolta contro un documento avente fede privilegiata, e in tutti gli altri casi mediante la proposizione di un'azione di mero accertamento, in quanto la regola secondo la quale le azioni di mero accertamento possono avere ad oggetto solo i diritti e non anche i fatti subisce eccezione nei casi espressamente previsti dalla legge, tra i quali rientra l'autonomo giudizio di falsità della prova, propedeutico alla proposizione della domanda di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 2 c.p.c. (Cass. n. 3947/2009). La querela di falso è proponibile in via incidentale nel giudizio di cassazione, dando luogo alla sua sospensione, solo quando riguardi atti dello stesso procedimento di cassazione (il ricorso, il controricorso e l'atto-sentenza) o i documenti di cui è ammesso, nel suddetto procedimento, il deposito ai sensi dell'art. 372 c.p.c., e non anche in riferimento ad atti del procedimento che si è svolto dinanzi al giudice del merito e la cui falsità vuole essere addotta per contestare il vizio di violazione di norme sul procedimento in cui sia incorso il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Rinvenimento di documenti decisivi dopo la sentenza Il motivo di revocazione di cui all'art. 395, comma 1, n. 3 c.p.c. consiste nel ritrovamento, dopo l'emanazione della sentenza, di uno o più documenti decisivi che la parte non sia stata in grado di produrre nel giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario. Dal tenore letterale della norma si ricava che la mancata produzione del documento deve essere imputata o a «forza maggiore» o a «fatto dell'avversario». L'onere della prova incombe al soccombente. Occorre che si tratti di un documento decisivo e tale requisito costituisce una condizione per l'ammissibilità della revocazione. Il ricorso per revocazione deve essere presentato, a pena di inammissibilità, entro il termine di sessanta giorni dalla data della scoperta dei documenti. A tal riguardo, ciò che ha rilievo non è la data di apprensione materiale del documento bensì la data in cui si viene a conoscenza della decisività del documento, data che deve essere sempre indicata nell'atto di impugnazione a pena di inammissibilità ai fini del corretto accertamento del rispetto del termine perentorio (Di Paola, Tambasco, 322). La fattispecie in esame presuppone il concorso di tre requisiti. Trattasi, più in particolare: a) dell'esistenza di prova documentale relativa a fatti oggetto della controversia; b) dell'impossibilità di produrre tale documentazione nel corso del giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario; c) della «decisività» del documento o dei documenti che il giudice non ha potuto esaminare. Con riferimento al requisito sub a) è pacifico in giurisprudenza che il documento posto a fondamento della domanda di revocazione deve riguardare direttamente e strettamente i fatti di causa già allegati nella precedente fase processuale e non può limitarsi ad offrire dati indiziari; esso deve necessariamente essere anteriore alla pronuncia di cui si chiede la revocazione (Cass. S.U., n. 16402/2007), sicché è inammissibile il ricorso per revocazione fondato su un documento formato successivamente alla sentenza impugnata (Cass. n. 3116/2000), ancorché il fatto sia anteriore alla decisione. Detto altrimenti, l'ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c. presuppone sempre che un documento preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto produrre a suo tempo per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione e quindi non può essere utilmente invocata facendo riferimento a un documento formato dopo la decisione (Cass. n. 7839/2010). Quanto al requisito sub b), la Cassazione ha precisato che in tema di revocazione, l'ipotesi prevista dall'art. 395, primo comma, n. 3, c.p.c., laddove presuppone il ritrovamento, dopo la sentenza, di uno o più documenti decisivi non prodotti in giudizio per causa di forza maggiore, si riferisce ad un avvenimento straordinario, in nessun modo riconducibile ad un comportamento negligente della parte, sicché non è configurabile nel caso di omessa produzione in giudizio del ricorso introduttivo personalmente sottoscritto dal contribuente, sul quale incombe l'onere di controllarne l'effettivo deposito (Cass. n. 12162/2014). Pertanto, è inammissibile l'impugnazione per revoca- zione, ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., quando la parte abbia recuperato tardivamente il documento decisivo per fatto imputabile a sua negligenza (Cass. n. 15242/2012; Cass. n. 22159/2014; Cass. ord. n. 22246/2016). Il profilo che giustifica la domanda di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c. non consiste nella sola impossibilità di produrre i documenti che si assumono decisivi, ma altresì nella circostanza che l'impossibilità non sia derivata da colpa del soccombente. Da ciò consegue che un tal profilo non può ritenersi configurabile ove risulti che, attraverso una elementare indagine (nella specie, richiesta all'ufficio postale di attestazione dell'avvenuta spedizione della dichiarazione i.v.a., da produrre in giudizio in copia autenticata, nella previsione di una possibile contestazione formale della corrispondenza all'originale), la parte avrebbe potuto acquisire la disponibilità dei documenti stessi (Cass. 12188/2002). I principi appena esposti sono stati da ultimo ripresi dalla Corte, la quale ha affermato che ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione straordinaria, ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., è necessario non solo il rispetto dei termini di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., ma anche che la parte indichi nel ricorso sia le ragioni che hanno impedito all'istante di produrre i documenti rinvenuti in ritardo sia quelle relative alla decisività dei documenti stessi, incombendo sulla parte che si sia trovata nell'impossibilità di produrre i documenti asseritamente decisivi nel giudizio di merito, l'onere di provare, con particolare rigore soprattutto quando si tratti di documenti esistenti presso una P.A., facilmente reperibili dai dipendenti, che l'ignoranza dell'esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava non è dipesa da colpa o negligenza, ma dal fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore (Cass. n. 22159/2014; Cass. ord. n. 22246/2016). Infine, l'elemento della «decisività» dei nuovi documenti rinvenuti dopo la sentenza, richiesto per l'impugnazione per revocazione a norma dell'art. 395 c.p.c. n. 3, ne postula la diretta attinenza a fatto risolutivo per la definizione della controversia e, pertanto, va esclusa, con riguardo all'atto che sia in grado di offrire meri elementi indiziari, utilizzabili solo per una revisione del convincimento espresso dalla sentenza revocando in esito ad un riesame complessivo del precedente quadro probatorio coordinato con il nuovo dato acquisito (Cass. n. 8202/2004). Ancora, si precisa che l'apprezzamento sull'efficacia probatoria e sulla decisività della documentazione prodotta a sostegno dell'istanza di revocazione è ricompreso nei poteri istituzionali del giudice di merito, così da risultare incensurabile in sede di legittimità quando sia sorretto da motivazione congrua e priva di vizi (Cass. n. 8916/2002). Errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa Si è in presenza del motivo di cui all'articolo 395, n. 4, quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o, viceversa, quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. È richiesto che il fatto non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e può anche riguardare una materiale svista che abbia indotto il giudice a ritenere risultante dagli atti la sussistenza di un fatto che non esiste. L'errore di fatto, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, deve consistere in un errore di percezione risultante dagli atti o dai documenti della causa direttamente esaminabili dalla Corte, vale a dire quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto del quale è supposta l'esistenza o l'inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare. E quindi, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre l'esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Sicché detto errore deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche (Cass. n. 1304/2016; conf. Cass. n. 16439/2021). L'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., consiste in una svista su dati di fatto produttiva dell'affermazione o negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, sicché non può essere dedotta come errore revocatorio della Corte la qualificazione giuridica di un ente come pubblica amministrazione (Cass. S.U., n. 4413/2016). Del pari, l'errore di fatto revocatorio non ricorre nell'ipotesi di erroneo, inesatto od incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai ad un ipotetico errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione (Cons. St. n. 440/2016). L'accertamento circa l'esistenza di «overrulling» non costituisce errore meramente percettivo della esistenza (o inesistenza) di un fatto positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, ma in una valutazione di diritto e, dunque, si traduce in un preteso inesatto apprezza- mento di norme giuridiche, sicché non è idoneo a determinare la revocazione ex art. 395, n. 4), c.p.c. della sentenza (Cass. n. 6669/2015). La denuncia di un errore di fatto, consistente nell'inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ma di revocazione a norma dell'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 2529/2016). La deducibilità quale errore revocatorio ai sensi del n. 4) dell'art. 395 c.p.c. dell'omesso esame di domande, motivi, censure o eccezioni è configurabile solo se l'errore percettivo che ha determinato la mancata pronuncia risulti in via immediata dall'esame del testo della pronuncia e della sua motivazione, senza la necessità di argomentazioni induttive, e purché in ogni caso un implicito rigetto del motivo non sia comunque configurabile dalla lettura complessiva del ragionamento posto a base della decisione censurata con il rimedio revocatorio (Cons. St. n. 1498/2016). Costituisce errore di fatto revocatorio, ai fini degli artt. 391-bis e 395, n. 4, c.p.c., la pretermissione, da parte della Corte di cassazione, di una doglianza di giudicato esterno fondata su una sentenza di legittimità intervenuta dopo la proposizione del ricorso, ove tale questione sia stata oggetto di specifica eccezione proposta nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c. e non presa in considerazione nella disamina del ricorso (Cass. n. 15608/2015). La Corte giunge alle stesse conclusioni anche nel caso di errore sul computo del termine annuale per la proposizione di impugnazione. Tale fattispecie può integrare un errore revocatorio, rilevante ai sensi del n. 4 dell'art. 395 c.p.c., atteso che esso riguarda un fatto interno alla causa e si risolve in una falsa percezione dei fatti rappresentati dalle parti, costituendo il rilievo del «dies ad quem» e l'applicazione del calendario comune, adempimenti indispensabili per valutare la tempestività dell'impugnazione, elementi facilmente riscontrabili dalla lettura degli atti da parte del giudice. (Cass. n. 23445/2014; Cass. n. 4521/2016). Infine, come rilevato dalla Cassazione la domanda di revocazione della sentenza della Corte di cassazione per errore di fatto deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione del motivo della revocazione, prescritto dall'art. 398, secondo comma, c.p.c., e la esposizione dei fatti di causa rilevanti, richiesta dall'art. 366, n. 3, c.p.c. (Cass. S.U., n. 13863/2015). Contrasto con sentenza precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata Costituisce motivo di revocazione il fatto che la sentenza sia contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione (articolo 395, n. 5). Sussiste contrasto con una sentenza passata in giudicato quando i due giudizi abbiano identità di soggetti e di oggetto, nel senso che i presupposti di diritto e di fatto contenuti nella sentenza passata in giudicato siano uguali a quelli contenuti nella sentenza oggetto di revoca (Di Paola, Tambasco, 325). Nel contenzioso tributario, ai fini dell'applicazione dell'art. 395, n. 5, c.p.c. (richiamato dall'art. 64 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che l'oggetto del secondo giudizio sia costituito dal medesimo rapporto tributario definito irrevocabilmente nel primo, ovvero che in quest'ultimo sia stato definitivamente compiuto un accertamento radicalmente incompatibile con quello operante nel giudizio successivo; ne consegue che, posto che, ex art. 7 TUIR, l'imposta sui redditi è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde un'obbligazione tributaria autonoma, non è configurabile il detto motivo di revocazione allorché il precedente giudicato si riferisca ad un'annualità di imposta sui redditi diversa dal periodo d'imposta considerato nella impugnata sentenza (Cass. n. 14719/2013; in senso conforme v. C.t.r. Lazio 3/2008; Cass. n. 14714/2001). È inammissibile il ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 5, c.p.c., volto a far valere la contrarietà a precedente sentenza, avente tra le parti autorità di cosa giudicata, di un'ordinanza resa dalla Corte di cassazione in sede di procedimento di correzione di errori materiali, assumendosi l'avvenuto superamento dei limiti propri di detto procedimento per l'operata attribuzione alla sentenza da correggere di un contenuto diverso da quello effettivo, atteso che l'ordinanza di correzione, in quanto priva di funzione decisoria, non è soggetta ad alcuna impugnazione, mentre le stesse sentenze della Corte di cassazione sono impugnabili per revocazione soltanto per errore di fatto, e non anche per contrasto con precedente giudicato (Cass. n. 11508/2012, Cass. n. 17557/2013; Cass. n. 23833/2015). Posto che l'art. 395, n. 5, c.p.c. configura espressamente come motivo di revocazione l'ipotesi che la sentenza sia «contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione», nel caso in cui il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e l'esistenza di tale giudicato non sia eccepita in giudizio dalla parte che ne abbia interesse, la sentenza di appello che abbia giudicato in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con il ricorso per cassazione. Tale soluzione non discende dai limiti alle produzioni documentali di cui all'art. 372 c.p.c. ma dalla stessa inammissibilità del mezzo (Cass. n. 21493/2010; Cass. n. 22506/2015; Cass. n. 22177/2016). Dolo del giudice Può essere impugnata per revocazione la sentenza che è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato (articolo 395, n. 6). Il dolo del giudice deve essere accertato con sentenza (penale) passata in giudicato, onde la revocazione segue senza che vi sia bisogno di alcun ulteriore accertamento (Circ. min. 23 aprile 1996 n. 98/E/II-3-1011). In realtà tale motivo è di difficile applicazione pratica soprattutto nel processo tributario in cui la composizione collegiale dei giudici richiederebbe la prova che l'intero collegio abbia posto in essere un comportamento doloso, ed infatti ad oggi non esiste alcun precedente giurisprudenziale al riguardo (Di Paola, Tambasco, 325). In virtù dei principi costituzionali del giusto processo e dell'effettività della tutela giurisdizionale, la previsione di cui all'art. 395, numero 6), c.p.c. deve essere interpretata nel senso di non inibire alla parte, vittima di una sentenza pronunciata da giudice corrotto, la possibilità di agire direttamente per il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., allorché ricorra una situazione di oggettiva carenza di interesse ad avvalersi dell'impugnazione straordinaria, in ragione sia dell'impossibilità di soddisfare, attraverso l'eventuale pronuncia resa all'esito della fase rescissoria della re- vocazione, le pretese già in precedenza azionate in giudizio, sia della sopravvenienza di un fatto, nella specie, la conclusione di un contratto di transazione, stipulato nell'ignoranza della vicenda corruttiva, che esplichi effetto preclusivo in ordine alla attitudine della sentenza, frutto di corruzione, ad assumere autorità di cosa giudicata (Cass. n. 21255/2013). Per integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ai sensi dell'art. 395 c.p.c., n. 1, non è sufficiente la sola violazione dell'obbligo di lealtà e probità previsto dall'art. 88 c.p.c., né, in linea di massima, sono di per sé sufficienti il mendacio, le false allegazioni o le reticenze, ma si richiede un'attività («macchinazione») intenzionalmente fraudolenta che si concretizzi in artifici o raggiri subiettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a impedire al giudice l'accertamento della verità, pregiudicando l'esito del procedimento (Cass. n. 5329/2005; Cass. n. 25761/2013). BibliografiaBasilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, Torino, 2009; Cantillo, Il processo tributario, Napoli, 2014; Consolo, Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2012; Di Paola, Come applicare la procedura civile nel contenzioso tributario, Maggioli, 2011; Di Paola,Trattato del nuovo contenzioso tributario, vol. I, Santarcangelo di Romagna, 2016; Di Paola, Tambasco, Il processo tributario nel c.p.c., Santarcangelo di Romagna, 2014; Finocchiaro A., Finocchiaro M., Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996; Giuliani, Codice del contenzioso tributario, Commentario, Milano, 2012; Gobbi, Il processo tributario, Milano, 2001; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile. Il processo di cognizione, Torino, 2011; Mandrioli, Diritto processuale civile, Torino, 2006; Pistolesi, Commento all'art. 64 del d.lgs. 546/1992, in AA.VV., Il nuovo processo tributario, Commentario, a cura di Baglione, Menchini, Miccinesi, 2004; Rosito, La revocazione nel processo tributario, in AA.VV., Il processo tributario, a cura di Loiero, Battella, Marino, Torino, 2008; Russo, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005; Russo, Processo tributario, in Enciclopedia del diritto, XXXVI, Milano, 1987; Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2013. |