Legge - 27/07/2000 - n. 212 art. 17 - Concessionari della riscossione.

Andrea Antonio Salemme

Concessionari della riscossione.

1. Le disposizioni della presente legge si applicano anche nei confronti dei soggetti che rivestono la qualifica di concessionari e di organi indiretti dell'amministrazione finanziaria, ivi compresi i soggetti che esercitano l'attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura.

Inquadramento

Lo Statuto dei diritti del contribuente dà attuazione ai principi di democraticità e trasparenza del sistema impositivo, migliorando il rapporto tra Fisco e cittadini. Contiene disposizioni generali dell'ordinamento tributario in attuazione dei principi costituzionali di uguaglianza (art. 3 Cost.); di riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali (art. 23 Cost.); di capacità contributiva e progressività del sistema tributario (art. 53 Cost.); di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione (art. 97 Cost.).

Tutti tali principi e a fortiori tutti gli obblighi previsti nello Statuto per l'A.F., per effetto dell'art. 17 in commento, devono essere rispettati anche dai c.d. concessionari della riscossione e più in generale dagli organi indiretti dell'A.F., ivi compresi, quelli che esercitano l'attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura. L'effetto concreto di enorme portata pratica consiste in ciò che, a prescindere dal mancato incardina mento di concessionari et similia nella P.A., i loro atti sono annullabili in sede giurisdizionale per il vizio di violazione di legge sub specie della violazione dello Statuto. La qual cosa equivale a dire che il legislatore statutario esige indiscriminata osservanza delle «disposizioni» dello Statuto nell'intero universo tributario-finanziario, in cui esso, per vocazione, pretende ex se di essere applicato, affiorando come pietra miliare di legalità a protezione del contribuente. Di riflesso, il rispetto e l'applicazione dello Statuto sono meramente dovuti da tutti i soggetti, pubblici e «para-pubblici», intervenienti nel meccanismo impositivo.

Si potrebbe opinare che detti soggetti, in disparte la nozione (apparentemente) consolidata di concessionari della riscossione, specialmente per quel che concerne l'inusuale figura di organi indiretti della P.A., siano sfuggenti, con conseguente evanescenza di formule solo pretesamente estensive dell'operatività dello Statuto: in realtà non è così, sol che si consideri che, in concomitanza con la perimetrazione obiettiva derivante dall'esistenza di rapporto d'imposta in sé e per sé considerato, i soggetti di cui si tratta, fase per fase di quel rapporto, coincidono con l'alter ego del contribuente, parte debole cui lo Statuto giust'appunto costantemente offre i mezzi per far valere le proprie ragioni.

Alla luce di quanto precede, gli organi indiretti – che letteralmente rappresentano un ossimoro del diritto amministrativo, dove gli organi sono diretti per definizione, giacché appartengono alla P.A. (Sandulli, 565; per una disamina della evoluzione della teoria dell'organo indiretto con particolare riferimento alla posizione assunta dai padri del diritto amministrativo, si veda: De Leonardis, 347) – alludono a tutti gli enti non inquadrati nell'A.F., e perciò anche privati, che tuttavia assistono l'A.F. medesima, in forza dei titoli amministrativo-civilistici più vari, nell'assolvimento delle proprie funzioni e, nel far ciò, entrano in contatto con il contribuente allo stesso modo in cui la stessa in loro assenza entrerebbe in contratto con lui: pertanto, poiché in tal caso l'A.F. sarebbe tenuta ad ossequiare lo Statuto, pur nell'evenienza dell'esternalizzazione di specifiche attività, i delegati vi sono sottoposti, per così dire, per traslazione.

La riscossione fiscale dal punto di vista obiettivo

La locuzione «riscossione dei tributi» figurante nella parte finale dell'art. 17 in commento – che, a mente della storia, su cui ci si intratterrà in seguito, spicca nella triade composta da accertamento, liquidazione e riscossione, in cui i primi due momenti sono tendenzialmente pubblicistici – suole comprendere al suo interno la totalità degli istituti attraverso i quali l'ente impositore attua, in concreto, la pretesa tributaria nei confronti dei contribuenti obbligati a titolo di tributo (Colella, 893; Basilavecchia, 1179).

La riscossione, oltre a caratterizzarsi quale momento finale dell'attività impositiva, svolge un ruolo indispensabile per l'ordinamento tributario, poiché l'interesse generale all'effettività delle entrate può ben definirsi vitale per la collettività, al fine di attuare i servizi pubblici (cfr. Corte cost., n. 45/1963, , in Giur. Cost., 1963, 173).

Non v'è dubbio che tale interesse non può che trovare un giusto contemperamento, e per certi versi un forte limite, nella tutela del contribuente, inciso in via potenzialmente coattiva nelle sue sostanze.

Proprio per la potenziale coattività testé evocata, l'esigenza di tutela del contribuente risulta più avvertita che in altri luoghi dell'ordinamento tributario.

Lo è in specie dopo il decreto-legge 30 settembre del 2005, n. 203, conv., con modif., nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, che, recando Disposizioni in materia di servizio nazionale della riscossione, ha proceduto alla «statalizzazione» di prestazioni tradizionalmente svolte in regime di privativa, mediante l'attribuzione delle relative funzioni all'Agenzia delle entrate, la quale, sino al 30 giugno 2017, le ha esercitate tuttavia non direttamente, ma mediante una società appositamente costituita sotto la ragione dapprima di Riscossione S.p.a. dappoi di Equitalia S.p.a., capogruppo di un insieme di società analogamente avvinte dal fine di realizzazione dei crediti tributari (Colella, 895). Correttamente si fa rilevare che «siamo in presenza di una struttura tipicamente societaria, a base azionaria prevalentemente pubblica, esercente un servizio pubblico costituito per la consecuzione, altresì forzosa, dei crediti tributari» (Parlato, 13708).

In quanto funzione pubblica, la riscossione, il cui esercizio prescinde da una qualsivoglia forma di disponibilità o facoltà da parte del soggetto impositore, risulta subordinata ai principi e ai valori costituzionali (artt. 2,3,23,53 Cost.). L'intransigibilità ed indisponibilità dell'obbligazione tributaria, che connotano la funzione vincolata di riscossione, pur non avendo un riconoscimento costituzionale esplicito, sono il risultato di una conseguenza logica e necessaria del teorema costituzionale (Falsitta, 1057), riconducibile alla copertura della spesa pubblica (Colella, 894). La rinuncia, totale o parziale, all'imposta dovuta, infatti, inficerebbe il principio dell'equa ripartizione della spesa pubblica in ragione della capacità contributiva, con conseguente violazione dell'art. 53 Cost. Se dunque già in astratto, a prescindere cioè dalla titolarità attiva del rapporto tributario, devono escludersi rinunce incidenti sull'an e sul quantum dell'imposta dovuta, viceversa, per ciò che riguarda gli interventi che hanno ad oggetto il quomodo ed il quando dell'imposta, la legge riconosce all'Amministrazione Finanziaria, e da ultimo anche all'agente della riscossione, ampi spazi di manovra discrezionale, pur sempre finalizzati però all'ottimizzazione dell'esazione. Difatti, la discrezionalità della P.A., così come intesa in questa sede – ovvero come attività che attribuisce alla P.A. un potere di scelta tra più soluzioni astrattamente possibili, funzionali al raggiungimento dell'interesse pubblico specifico consacrato dalla norma giuridica – non potrà mai attenere all'esistenza o all'ammontare del debito d'imposta (an o quantum debeatur); semmai potrà incidere su aspetti dell'azione amministrativa diretti all'attuazione del prelievo tributario, in un'ottica di comparazione comparativa di più interessi secondari rispetto all'interesse primario dello Stato a finanziarsi con le entrare nei limiti del dovuto.

Gli interessi secondari da ponderare sono pubblici, collettivi e privati e non devono necessariamente essere tutelati dall'ordinamento con specifiche norme; basta che esistano di fatto e che siano comunque meritevoli di tutela alla luce dei criteri informatori dell'ordinamento stesso (si pensi, in momenti di crisi economica come quelli che l'Italia sta attraversando, alla preservazione al massimo grado dei livelli occupazionali); l'interesse primario è sempre un interesse pubblico (Giannini, 616). Anzi, in ambito tributario, l'interesse primario è vincolato, nel senso che si identifica con la realizzazione, tuttavia effettiva (e, quindi, realistica, ossia al massimo grado possibile), della pretesa.

L'accertamento e la liquidazione

Proseguendo a ritroso nella sequenza di determinazione del credito tributario, per «liquidazione» si intende l'operazione – più o meno complessa – mediante la quale si applica ad un determinato parametro – la base imponibile – una certa aliquota, al fine di quantificare l'entità della prestazione pecuniaria dovuta. Il termine, tuttavia, con il passare del tempo, ha assunto significati eterogenei ed attualmente la liquidazione ha, quanto meno, una duplice accezione: da un lato, è identificabile con un'«attività», sia dell'A.F. sia più modernamente in prima battuta del contribuente che si sostituisce all'A.F.; dall'altro lato, è identificabile con un atto amministrativo, comunemente denominato «avviso di liquidazione», tradizionalmente riconducibile alla disciplina delle imposte sui trasferimenti.

La liquidazione, nell'ambito degli schemi applicativi dei tributi, si pone in una fase precedente ed autonoma rispetto a quelle, eventuali, di controllo ed accertamento in senso stretto, con la funzione di quantificare l'imposta dovuta, partendo da quanto dichiarato e versato dal contribuente in sede di «auto- liquidazione».

Con il termine «accertamento», invece, si indicano sia l'attività (generalmente degli organi della P.A.) volta al controllo del contribuente e/o dell'obbligazione tributaria che gli compete sia l'atto che conclude, sebbene non tecnicamente, quell'attività. In altre parole, tale termine individua sia l'insieme dei poteri di controllo di cui l'ente impositore è dotato sia l'esito – pregiudizievole per il contribuente perché difforme dal dichiarato – del procedimento.

Spostati i compiti di determinazione dell'imponibile e di calcolo dell'imposta in capo al contribuente che si accinge al versamento, l'attività di accertamento non può essere più intesa, alla stregua di un'elaborazione primigenia, come attività istruttoria di un procedimento unico, o unitario, che si salda con la liquidazione. In questo senso, l'attività di accertamento non è più direttamente preordinata alla misurazione della obbligazione tributaria (e, dunque, al recupero dei tributi evasi), quanto piuttosto all' accertamento dell'inadempimento, da parte del contribuente, degli obblighi tributari in svolgimento di un paradigma ad un tempo repressivo e deterrente. Sicché, rispetto al modello puro di accertamento in senso proprio della base imponibile e per tal via di liquidazione del debito tributario, la contaminazione, che ha finito per essere prevalente, della proiezione repressivo-deterrente ha affiancato all' accertamento un contenuto di acquisizione di elementi di fatto, dati e notizie fiscalmente rilevanti per la verifica ex post dell'evasione. Talché l'accertamento è anzitutto attività «conoscitiva», condotta attraverso la ricostruzione della realtà economico-finanziaria del contribuente, vocata ancora alla ricostruzione del debito tributario, tuttavia in guisa ortodontica rispetto a quello dal contribuente autonomamente liquidato e dichiarato. I due momenti acquisitivo e ricostruttivo sono strettamente collegati perché il secondo trova giustificazione e fondamento nel primo. La ratio repressivo-deterrente giustifica la riserva pubblica, con la conseguenza che in subiecta materia solo la P.A. seguita a confrontarsi con lo Statuto.

Il concessionario (agente) della riscossione in particolare

L'art. 17 in commento esige che l'attività dei concessionari della riscossione osservi gli stessi principi che presiedono l'azione amministrativa pubblica, cioè imparzialità e trasparenza, oltreché affidamento e buona fede (art. 97 Cost.), principi peraltro richiamati anche dallo Statuto (Parlato, 1177). Pertanto il tenore letterale dell'art. 97, comma 1, Cost. assurge a criterio primario d'orientamento (D'Ayala Valva, 1). A questo proposito, valga ricordare che, in tema di c.d. cartelle mute, Corte cost., ord. n. 377/2007, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 2, lett. a), St., censurato, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., nella parte in cui prevede che gli atti dei concessionari della riscossione devono indicare — fra l'altro — il responsabile del procedimento: invero, l'art. 7 St. si applica ai procedimenti tributari (oltre che dell'amministrazione finanziaria) dei concessionari della riscossione, in quanto soggetti privati cui compete l'esercizio di funzioni pubbliche e tali procedimenti comprendono sia i «procedimenti di massa» (che culminano, cioè, in provvedimenti di contenuto omogeneo o standardizzato nei confronti di innumerevoli destinatari), sia quelli di natura non discrezionale; inoltre, l'obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa, la piena informazione del cittadino e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione sanciti dall'art. 97, comma 1, Cost.

Peraltro, sul tema dell'indicazione in cartella del responsabile del procedimento, costituendo esso una vexata quaestio nella giurisprudenza di legittimità, conviene ricordarne l'approdo, ancora recentemente confermato, per cui «la cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore all'1 giugno 2008, non è affetta da nullità, atteso che l'art. 36, comma 4-ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito nella l. n. 31/2008, ha previsto tale sanzione solo in relazione alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dall'1 giugno 2008, né è affetta da annullabilità, essendo la disposizione di cui all'art. 7 della l. n. 212 del 2000 priva di sanzione, trovando applicazione l'art. 21-octies della l. n. 241/1990, che esclude tale esito ove il provvedimento, adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, per la natura vincolata dello stesso non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato» (Cass. VI, ord. n. 332/2016. Il medesimo principio è stato successivamente ribadito anche da Cass. V, ord., n. 1150/2019).

Indiscusso che l'A.F., in quanto P.A. operativa, soggiaccia all'art. 97, comma 1, Cost., si tratta di spiegare per quale ragione alla stessa sono equiparati i concessionari della riscossione e, in progresso di evoluzione storica, cui non si è adeguata la lettera dell'art. 17 in commento a partire dalla rubrica, gli agenti della riscossione.

Pare che la risposta possa essere agevolmente ricavata dalla teoria degli organi indiretti, di cui i concessionari rappresenterebbero i primi esempi, sul presupposto della statalizzazione della riscossione. I concessionari sono attributari di funzioni pubbliche. A Maggior ragione lo sono gli agenti, alla cui guida era posta – in seguito alla statalizzazione del 2005 – Equitalia. Sino all'estate del 2017, quest'ultima agiva in veste di organo indiretto dell'A.F., nel senso che «la difesa dell'interesse giuridico alla riscossione del tributo, un tempo trasferito alla società concessionaria del servizio, non può oggi che essere riconosciuto, in particolare, alla stessa Agenzia delle entrate, che può farlo valere, in proprio, attraverso la sua società-organo Riscossione [di poi Equitalia] s.p.a.» (C.t.r. Venezia, 31 dicembre 2007, n. 24).

La forma giuridica privatistica di Equitalia non le impediva di essere una proiezione – intrinsecamente amministrativa – della P.A., detentrice di una serie di poteri lato sensu persino discrezionali per delega della P.A. medesima (Monti, 426).

Equitalia, però, proprio perché siffattamente costituita centro di poteri pubblicistici, for's'anche – come tosto si vedrà – non discrezionali nel senso amministrativo del termine, ma per certo autoritativi, ben lungi dall'essere un soggetto estraneo alla P.A., ne era la longa manus, ancorché sul piano, non ordinamentale, bensì procedimentale; ma tanto era sufficiente (Cass. I, n. 7662/1999, in Dir. e prat. soc., 2000, 1, 82; PuotiIcolari, 14).

Per completezza val la pena di rilevare che ci si è chiesti se, nell'esercizio della sua autoritatività, Equitalia godesse dell'attribuzione di un'autentica discrezionalità amministrativa ovvero fosse costretta dai binari di un'attività solo vincolata. Pareva dovesse propendersi per la seconda alternativa, in quanto essa mai era chiamata ad effettuare alcun contemperamento tra interessi pubblici e privati, di guisa che il suo agere era meramente strumentale all'ottimizzazione dell'esazione (Comelli, in Comelli-Glendi, 132), con conseguente invariabile tensione al perseguimento del suo fine istituzionale, che solo contabilmente si strutturava come quello tipico delle società per azioni.

Ciò però non poneva in ombra l'apprezzamento di un'autonoma soggettività, d'altronde tradita da una forma giuridica distinta dall'erezione amministrativa, proiettata ad estrinsecarsi nella conoscenza diretta ed effettiva della situazione concreta del contribuente, talvolta condizionata da conoscenze tecniche finalizzate al tempestivo, oltreché efficiente, recupero delle somme dovute. Sicché Equitalia, se non poteva incidere sull'an e sul quantum dell'imposta, riconducibili all'alveo della discrezionalità amministrativa (oltretutto assai stringentemente vincolata), godeva tuttavia della capacità di governare il momento attuativo – nel quomodo e più limitatamente nel quando – della realizzazione della pretesa, in funzione della massima soddisfazione possibile con i minimi costi: in tal senso le si attagliavano limitati profili di discrezionalità non amministrativa, la qual cosa, d'altronde, rendeva conto del fatto che processualmente i suoi atti erano sindacabili bensì sotto il profilo della violazione di legge, ma non anche sotto quello dell'eccesso di potere (Colella, 893).

Attività del concessionario (agente) della riscossione e conformità allo Statuto

Tutte le previsioni contenute nello Statuto sono pienamente applicabili, perché di per sé suscettibili di esserlo, alla fase di consecuzione del tributo: ciò spiega per quale motivo lo Statuto reclama di essere osservato anche dal concessionario della riscossione che ne è responsabile; e, se tanto vale per il concessionario, deve valere a maggior ragione per l'agente, che, pur in una dimensione soggettiva diversa, agisce su delega della P.A.

L'affermazione trova riscontro nella giurisprudenza di merito (C.t.p. Pescara I, 30 giugno 2009, n. 248) e nell'elaborazione dottrinale (Cerioni, in Boll. trib., n. 17 del 2009), in seno alle quali si evidenzia come, in particolare, la logicità e la ragionevolezza, che improntano l'agire della P.A., si irradiano anche all'agente, il cui segmento di intervento completa il procedimento amministrativo sul piano attuativo (Puoti-Icolari, 14). Occorre tuttavia puntualizzare, con la S.C., che «la legge 27 luglio 2000, n. 212, si applica, in ragione di quanto stabilito nell'art. 17 ed in relazione all'ambito di applicazione dell'intero testo, all'azione dei concessionari finalizzata all' accertamento, alla liquidazione ed alla riscossione dei tributi e non quando i concessionari medesimi operino per la riscossione delle sanzioni amministrative per contravvenzione al codice della strada, in quanto in tale situazione le norme dell'ordinamento tributario sono applicabili solo se espressamente richiamate e nei limiti di tale richiamo» (Cass. VI, ord. n. 19377/2011; conf. Cass. II, ord., n. 10372/2018, la quale ha escluso che fossero applicabili gli art. 6 e 7 St. ad un concessionario per la riscossione che aveva formulato una richiesta di pagamento delle sanzioni dovute per infrazione al Codice della Strada); tuttavia, «poiché, in virtù dell'art. 17 della l. 12 luglio 2000, n. 212, le disposizioni in essa contenute si applicano anche nei confronti di soggetti che esercitano l'attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura, il cosiddetto « statuto del contribuente» trova applicazione anche nella materia dei contributi di bonifica, posto, peraltro, che gli stessi hanno natura tributaria e che la loro disciplina non è estranea all'ordinamento tributario, di cui le disposizioni della legge citata costituiscono principi generali, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione» (Cass. V, n. 8750/2008).

Nel discorso che si va esponendo, acquisiscono preminente rilevanza i blocchi di disposizioni dello Statuto concernenti

– la garanzia di una conoscenza effettiva degli atti da parte dei destinatari, con il retroterra dell'efficacia dei procedimenti notificatori (sul punto, ad es., ricorda inflessibilmente Cass. V, n. 21852/2016, che «prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 223/2006, il termine di 60 giorni previsto per l'impugnazione da parte del contribuente dell'iscrizione ipotecaria su immobili decorre dalla comunicazione della iscrizione che, ove ritualmente effettuata a mezzo posta direttamente dagli uffici finanziari, mediante lettera raccomandata o telegramma, fonda la presunzione legale di conoscenza legale dell'atto nonché del suo contenuto da parte del destinatario, sicché incombe sullo stesso l'onere di fornire la prova che il plico non contiene alcuna lettera ovvero ha un oggetto diverso rispetto a quello indicato dal mittente»);

– la motivazione degli atti {che, quanto ai ruoli, deve essere completa nei ruoli impositivi o comunque per la parte impositiva dei ruoli ordinari, giusta l'art. 7, comma 3, St., secondo cui «sul titolo esecutivo va [soltanto] riportato il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria»; svolgendo il principio, afferma da ultimo Cass. V, n. 9799/2017, che «la cartella esattoriale, che non sia stata preceduta da un avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile, tale obbligo derivando dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dall'art. 3 l. n. 241 del 1990, e recepiti, per la materia tributaria, dall'art. 7 della l. n. 212 del 2000»; peraltro, secondo Cass. V, n. 11466/2011, in tema di riscossione delle imposte sul reddito, per la validità del ruolo e della cartella esattoriale, ex art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non è indispensabile l'indicazione degli estremi identificativi o della data di notifica dell' accertamento precedentemente emesso nei confronti del contribuente ed al quale la riscossione faccia riferimento, essendo, al contrario, sufficiente l'indicazione di circostanze univoche ai fini dell'individuazione di quell'atto, così che resti soddisfatta l'esigenza del contribuente di controllare la legittimità della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti. A tale interpretazione non è di ostacolo la previsione contenuta negli artt. 1, comma 2 e 6, comma 1 del d.m. Finanze 3 settembre 1999, n. 321 (che nel caso di iscrizione a ruolo o di cartella che conseguano ad un atto precedentemente notificato, richiede l'indicazione degli «estremi di tale atto e la relativa data di notifica»), in quanto essa va letta in combinato disposto con le di poco successive norme primarie contenute, prima in via generale nello Statuto del contribuente (art. 7, comma 3, l. 27 luglio 2000, n. 212) e poi, con specifico riferimento ai ruoli ed alle cartelle, nel d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32 (art. 8, comma 1, lett. a) che ha modificato gli artt. 1 e 12 del d.P.R. n. 602 cit.), che si limitano a richiedere che gli atti da ultimo indicati contengano soltanto «il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione anche sintetica della pretesa»};

– l'effettività del contraddittorio, in termini di coinvolgimento e quindi di partecipazione al sub-procedimento di riscossione;

– nonché, in una dimensione omnicomprensiva, la tutela del legittimo affidamento e della buone fede, nell'ottica di una leale collaborazione tra Fisco e contribuente.

Detto ciò, il discorso è assai più complesso di quanto possa sembrare ad una lettura superficiale.

Comprendendo la consecuzione del tributo segnatamente la sua realizzazione coattiva, legittimata da un titolo pubblicistico, da sempre, nella storia del diritto tributario italiano, si assiste alla contrapposizione tra una visione intransigente, per cui l'esecuzione tributaria è meramente tesa alla legittima, e quindi regolare, percezione dei tributi (Gallo, 2007) ed una visione temperata, per cui la funzione sociale degli stessi non può comunque comportare una compressione oltre una ragionevole misura dei diritti dei contribuenti, ancorché inadempienti (Marongiu, 41). Affidata la realizzazione coattiva a quella prosecuzione della P.A. rappresentata, dapprima, dai concessionari, dappoi, dagli agenti della riscossione, l'esecuzione è interamente de-giurisdizionalizzata, al punto che non è dall'art. 49 d.P.R. n. 602/1973 contemplato l'intervento né dell'ufficiale giudiziario né, soprattutto, di un giudice dell'esecuzione. Siffatta de-giurisdizionalizzazione ha come conseguenza l'amministrativizzazione del procedimento, nondimeno affidato – per vero un poco paradossalmente – alle cure di soggetti diversi dalla P.A. Se a ciò si aggiunge che, a termini dell'art. 57 d.P.R. n. 602/1973, vi è una drastica limitazione delle opposizioni, giacché non sono ammesse quelle ex art. 615 c.p.c., eccezion fatta che ai fini della contestazione della pignorabilità dei beni, e quelle ex art. 617 c.p.c., mentre, a termini dell'art. 58, le opposizioni di terzo proposte in particolare dai prossimi congiunti del debitore soggiacciono ad una rigorosissima prova dell'altruità del diritto derivante da un atto pubblico o da una scrittura privata con data certa anteriori all'insorgere del debito e comunque alla sua cristallizzazione, il quadro è completo.

Compiutasi, dunque, con il d.lgs. 9 luglio 1997, n. 237 (Modifica della disciplina in materia di servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari) e il d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), l'amministrativizzazione indiretta della riscossione (per il tramite dell'assorbimento nel circuito soggettivo dei concessionari), ad un'amministrazione pubblica solo in senso lato competendo di surrogarsi al giudice dell'esecuzione, il procedimento e solo il procedimento finiva per essere il baluardo di legalità del debitore contro pretese propriamente illegittime e come tale dal legislatore statutario esso è stato percepito: nella sua ottica, l'estensione compiuta dall'art. 17 in commento avrebbe dovuto costituire il grimaldello in forza del quale far impregnare altresì l'esecuzione della ventata di novità portata dallo Statuto, in specie quanto a tutela della buona fede. A pensarci bene, ciò ha una ricaduta sistematica di portata epocale, dal momento che, sul piano oggettivo, «allunga» il procedimento alla fase esecutiva, di modo che il momento di determinazione del tributo, con a latere l'accertamento delle sanzioni, e quello di riscossione si inseriscono come segmenti consecutivi in un'unica linea retta.

Evoluzioni normative circa la titolarità della riscossione

Per comprendere appieno la portata delle conclusioni poc'anzi espresse ed in prospettiva per raccordarle alla stretta attualità, va ricordato che, sino al biennio 1997-1999, la riscossione era imperniata, per le imposte dirette, sull'iscrizione a ruolo (costituente titolo esecutivo) e sulla translatio del (solo) diritto di esercitare il credito così formalizzato dall'ente impositore all'esattore, soggetto di natura privata incaricato di provvedere al realizzo del credito e comunque obbligato ad anticiparne l'importo in favore del primo; e, per le imposte indirette, sino all'assimilazione a quelle dirette realizzata dal d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, sull'ingiunzione fiscale, che consentiva alla stessa A.F. di procedere al recupero del credito (Basilavecchia, 2012). Fino al 2005, la translatio cui si accennava era realizzata tecnicamente mediante lo strumento di diritto amministrativo dell'affidamento della riscossione in concessione a circa 40 aziende – i concessionari, cui per l'appunto si riferisce l'art. 17 in commento, nel chiaro intento di un allargamento soggettivo dell'ambito di applicazione statutario – di proprietà di istituti bancari e soggetti privati. Ogni concessionario, titolare per titolo derivativo di frammenti di funzioni pubbliche (sul tema delle concessioni nel diritto amministrativo si vedano: D'Alberti, 2; Sandulli, 183; Vignoli, 75; Ceruti, 637; Proietti, 1041) e perciò ammantati di una pubblicità funzionale, operava nella propria area geografica di competenza, spesso con modalità operative diverse. Facilmente immaginabili sono le sacche di inefficienza venutesi ben presto a determinare a macchia di leopardo.

A fronte di tale situazione, la riforma del 2005 ha il pregio di aver disegnato, attraverso la statalizzazione della riscossione, un sistema centralizzato improntato al superamento dei concessionari, sostituiti dagli agenti della riscossione, società pubbliche, e perciò già dal punto di vista soggettivo enti di diritto pubblico, sottoposte al controllo dell'holding Equitalia, il cui capitale era detenuto per il 51% dall'Agenzia delle Entrate e per il 49% dall'INPS. La mediazione dell'iscrizione a ruolo restava ferma, quale, però, semplice snodo procedimentale, in guisa di anello di congiunzione tra « accertamento» (in senso lato) del credito tributario e « riscossione».

La l. 1 dicembre 2016, n. 225, di conv. con modif., del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, ha previsto la soppressione di Equitalia S.p.A. e lo scioglimento delle società del Gruppo Equitalia (con l'esclusione di Equitalia Giustizia S.p.A. che continuerà ad occuparsi della gestione del Fondo unico giustizia) a decorrere dal 1° luglio 2017. Successivamente, l'esercizio delle funzioni relative alla riscossione nazionale è assegnato all'Agenzia delle Entrate- Riscossione, ente pubblico economico strumentale dell'Agenzia delle entrate, sottoposto all'indirizzo e alla vigilanza del MEF, con il monitoraggio costante dell'Agenzia delle entrate, che provvede a far rispettare – e qui sta il punto rilevante nella presente sede – i principi di trasparenza e pubblicità. L'ente subentra, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi, passivi e processuali, delle società del Gruppo Equitalia. In particolare, assume la qualifica di Agente della riscossione con i poteri e secondo le disposizioni che regolano la riscossione mediante ruolo (di cui al titolo I, capo II, e al titolo II, d.P.R. n. 602/1973).

La soppressione del castello di Equitalia tocca anche la riscossione delle entrate degli enti locali, che, dal 1° luglio 2017, possono, con deliberazione (si ritiene) del consiglio, decidere di continuare ad avvalersi, per sé e per le società da essi partecipate, di Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Lo Statuto dell'Agenzia delle Entrate- Riscossione

Con d.P.C.M. 5 giugno 2017, è stato approvato lo Statuto dell'Agenzia delle Entrate-Riscossione.

L'attività dell'Agenzia è regolata dal d.l. n. 193/2016, dallo Statuto in esame, ma anche dalle disposizioni del codice civile e dalle altre leggi relative alle persone giuridiche private. L' Agenzia delle Entrate- Riscossione ha autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e di gestione e adotta propri regolamenti di amministrazione e di contabilità. I riferimenti contenuti in disposizioni vigenti agli ex concessionari del servizio nazionale della riscossione e agli agenti della riscossione di cui all'art. 3 d.l. n. 203/2005, si intendono riferiti, in quanto compatibili, all' Agenzia delle Entrate- Riscossione.

Per quanto attiene ai compiti, quest'ultima, avente sede legale in Roma, con la possibilità di articolarsi in strutture centrali e periferiche, svolge le funzioni relative alla riscossione nazionale, la cui titolarità è attribuita all'Agenzia delle Entrate ai sensi dell'art. 3, c. 1, d.l. n. 203/2005. Assume la qualifica di agente della riscossione. Inoltre: a) effettua l'attività di riscossione mediante ruolo, secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II, e al titolo II d.P.R. n. 602/1973; b) può effettuare: 1) le attività di riscossione spontanea delle entrate, tributarie o patrimoniali, delle amministrazioni locali, come individuate dall'ISTAT, con esclusione delle società di riscossione, e, fermo restando quanto previsto dall'art. 17, commi 3-bis e 3-ter, d.lgs. n. 46/1999, delle società da esse partecipate; 2) altre attività, strumentali e accessorie alla riscossione e alle attività dell'Agenzia delle entrate, già svolte dalle società del Gruppo Equitalia alla data del 30 giugno 2017, anche attraverso la stipula di appositi contratti di servizio. Può realizzare, purché in via strumentale alle proprie finalità e ai compiti istituzionali, tutte le operazioni mobiliari, immobiliari, commerciali e finanziarie, nonché assumere, previa autorizzazione del MEF e nel rispetto delle disposizioni del d.lgs. n. 175 del 2016, partecipazioni in società, imprese ed enti costituiti o da costituire, anche esercitando attività di direzione e coordinamento. Per il perseguimento delle proprie finalità, può stipulare convenzioni con soggetti pubblici e privati.

In sede di costituzione, il patrimonio è rappresentato da un fondo di dotazione costituito dal patrimonio netto consolidato del Gruppo Equitalia al 30 giugno 2017. È consentita, previa autorizzazione del MEF, la destinazione di quote di patrimonio riservate a specifiche gestioni separate, ovvero a rami d'azienda. Anche il personale è quello del Gruppo Equitalia.

L' Agenzia delle Entrate-Riscossione, chiamata ad operare con criteri di efficienza gestionale, economicità dell'attività ed efficacia dell'azione, è sottoposta al controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria ai sensi degli artt. 2 e 3 l. n. 259/1958. La sua organizzazione ed il suo funzionamento rispettano i principi di legalità, imparzialità e trasparenza. Nello svolgimento della propria attività, si conforma, ovviamente, allo Statuto, con particolare riferimento ai principi di trasparenza e leale collaborazione ad implementazione degli obiettivi individuati dall'art. 6 l. n. 23/2014, in materia di cooperazione rafforzata, riduzione degli adempimenti, assistenza e tutoraggio del contribuente (art. 1, comma 5, d.l. n. 193/2016).

I rapporti con la Agenzia delle entrate, per i servizi prestati e per la condivisione delle banche dati e delle informazioni necessarie per lo svolgimento del servizio della riscossione, sono regolati convenzionalmente. Ai fini di assicurare la massima trasparenza e pubblicità, l'attività di riscossione svolta dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione è soggetta a monitoraggio da parte dell'Agenzia delle entrate. A tal fine, l' Agenzia delle Entrate- Riscossione trasmette rendicontazioni periodiche su stato e andamento della riscossione.

Tirando le somme del discorso, tenuta a dare applicazione allo Statuto Equitalia, nonostante la forma giuridica di società per azioni, lo è maggior ragione l'Agenzia delle Entrate- Riscossioni, vero e proprio ente pubblico incastonato nell'A.F. Sicché, al tempo presente, l'art. 17 in commento, è destinato a spiegare concretamente effetto residualmente nel sub-settore degli enti locali in confronto dei concessionari diversi da Agenzia delle Entrate- Riscossione cui gli stessi intendano affidare la riscossione dei tributi in loro titolarità.

Breve bilancio critico

È lecita la domanda se, allo stato attuale della giurisdizione, il dettato dell'art. 17 in commento non costituisca in realtà un'ampollosa velleità normativa. Credesi, purtroppo, di doversi dare una risposta affermativa. Sia consentito di proporre la seguente riflessione: se è vero che l'applicazione dello Statuto al sub-procedimento di riscossione è una conquista in termini di garanzia, involgendo detta applicazione la formazione degli atti all'interno del procedimento, sono detti atti ad essere eventualmente viziati. Nondimeno, non prevista l'impugnazione diretta degli stessi, tanto più dinanzi al giudice tributario (laddove, invece, il giudice in fase esecutiva è quello ordinario), è noto che, secondo l'art. 59 d.P.R. n. 602/1973, «chiunque si ritenga leso dall'esecuzione può proporre azione contro il concessionario dopo il compimento dell'esecuzione stessa ai fini del risarcimento dei danni».

Se, dunque, si insiste nel ricostruire la riscossione come «blindata», le garanzie statutarie restano scritte soltanto sulla carta, in difetto di un giudice – che non potrebbe che essere quello tributario – deputato a riempirle di consistenza. Forse è per tale ragione che una voce brillante della dottrina si profonde nell'inserimento della riscossione in un giusto processo esecutivo, il quale, tuttavia, ancorato all'art. 111 Cost., è dichiaratamente proiettato a svilupparsi in chiave extra-statutaria (Tinelli, 3).

Bibliografia

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