Codice Civile art. 8 - Tutela del nome per ragioni familiari.Tutela del nome per ragioni familiari. [I]. Nel caso previsto dall'articolo precedente, l'azione può essere promossa anche da chi, pur non portando il nome contestato o indebitamente usato, abbia alla tutela del nome un interesse fondato su ragioni familiari degne d'essere protette. InquadramentoLa norma in commento va letta in combinato disposto con la precedente. L'art. 7 c.c., infatti, tipizza in modo tassativo le azioni che possono essere esercitate dal titolare a tutela del proprio nome, mentre l'art. 8 c.c. estende la legittimazione ad agire in giudizio ad altri soggetti diversi dal titolare del nome (in ipotesi leso), riconoscendola ai portatori di ragioni familiari. Trattasi, in particolare, di «chi, pur non portando il nome contestato o indebitamente usato, abbia alla tutela del nome un interesse fondato su ragioni familiari degne d'essere protette». La norma, quindi, circoscrive la cerchia dei soggetti in astratto legittimati ad agire in giudizio nell'ambito del nucleo familiare cui il soggetto del cui nome si tratta appartiene. La norma in commento ha lo scopo di tutelare l'interesse di coloro i quali, pur non essendo titolari del diritto, non rimangono del tutto indifferenti nel caso della lesione del nome di un loro familiare, ed intendono quindi agire proprio a tutela di quel diritto, in nome dei valori e delle tradizioni familiari che li legano al soggetto leso (Alpa – Ansaldo, 432) «L'art. 8 c.c., estende la legittimazione attiva anche ai familiari, ma soltanto quando abbiano un interesse proprio, fondato appunto sul legame familiare, alla tutela del nome, inteso sia come segno identificativo, sia come sintesi della personalità dell'intera famiglia» (così, Lenti, 136). Per la dottrina, in particolare, il concetto di “ragioni familiari” contenuto nell'art. 8 va interpretato in senso lato, come riferibile alla “comunità degli affetti” (Alpa — Ansaldo, 299) così ampliando il raggio applicativo della norma in esame anche oltre il tradizionale concetto di famiglia, includendovi anche la famiglia non fondata sul matrimonio, tenuto conto della ratio della disciplina in esame, che intende apprestare tutela a chi, pur non essendone titolare, sia comunque partecipe dei valori e delle tradizioni familiari, tanto da non rimanere indifferente di fronte alla lesione del relativo diritto. Ci si è chiesti se l'art. 8 costituisca una ipotesi legale di sostituzione processuale, ovvero se l'azione esercitata in virtù del medesimo articolo sia fatta valere iure proprio.
La dottrina (Alpa - Ansaldo, 432; Dogliotti, 402) ha precisato che si è in presenza di una specifica forma di sostituzione processuale, caratterizzata dalla coesistenza di un duplice interesse: quello di chi agisce e quello della persona per conto della quale si agisce. Si esclude, quindi, che la norma in commento costituisca un'eccezione al fondamentale principio contemplato dall'art. 81 c.p.c., nel senso che il familiare agisce prevalentemente in nome e nell'interesse proprio al corretto uso del nome, fondato su ragioni familiari meritevoli di protezione, e non nell'interesse altrui. Per la giurisprudenza, si veda Cass. I, n. 3779/1978, secondo cui nel giudizio instaurato per la tutela del diritto al nome, ai sensi dell'art. 7 c.c., la morte dell'attore non consente agli eredi di costituirsi in prosecuzione dell'originario rapporto processuale, stante il carattere strettamente personale e la conseguente non trasmissibilità di detto diritto. Peraltro, poiché la legittimazione a chiedere quella tutela spetta autonomamente anche agli eredi, a norma dell'art. 8 c.c., l'indicata costituzione può assumere valore ed efficacia di intervento adesivo autonomo o litisconsortile, se, pur in difetto della comparsa prescritta dall'art. 267 c.p.c., sia idonea ad introdurre, nel rispetto del principio del contraddittorio, una domanda di tutela del nome secondo la previsione del menzionato art. 8 c.c. Per una applicazione concreta della norma in commento, cfr. Trib. Roma, 28 febbraio 1994, secondo cui, in tema di uso indebito del nome di un socio fondatore da parte dell'associazione, deve concedersi l'inibitoria dell'uso di un tale nome da parte dell'associazione professionale su proposta dei familiari del socio defunto, ai sensi dell'art. 8 c.c. qualora, oltre all'uso indebito, ricorra anche il pregiudizio di cui all'art. 7 c.c. (fattispecie in cui uno studio legale costituitosi in associazione professionale continui ad usare indebitamente il nome del titolare anche dopo la sua morte). Più di recente, Trib. Massa 12.04.2018 secondo cui ai fini dell'esercizio dell'azione inibitoria ex art. 8 c.c. si richiede che l'attore sia portatore di “un interesse fondato su ragioni familiari degne di essere protette”, ad esempio ravvisabile nel timore che gli associati, attraverso la conduzione dell'attività associativa, possano svilire il prestigio del padre (nella specie, maestro di aikido, fondatore di un'associazione sportiva e culturale), finendo per screditarne il nome o anche solo per collegare il nome a un modo di interpretare la disciplina dell'aikido diverso da quello praticato dal defunto maestro.
BibliografiaV. sub art. 7 |