Codice Civile art. 43 - Domicilio e residenza.Domicilio e residenza. [I]. Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi [343, 354, 456; 14 Cost.; 18, 139 c.p.c.; 614, 615-bis c.p.]. [II]. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale [94, 144 1; 18, 139 c.p.c.]. InquadramentoDella sede della persona fisica, e cioè il criterio di collegamento di un individuo con un determinato luogo con un minimo di continuità (così Bianca, 243), si occupano gli artt. 43 ss. c.c.. L' art. 43 c.c. , introduce i concetti di domicilio e di residenza. Si intende, quindi, per domicilio il luogo prescelto dall'individuo quale «sede principale dei suoi affari e interessi» (comma 1), interessi non solo di carattere patrimoniale ma anche morali e sociali, almeno per l'opinione dominante. Il domicilio può essere legale (o necessario, se è stabilito dalla legge a tutela di soggetti più deboli, o comunque incapaci di scegliere consapevolmente un proprio domicilio: art. 45, commi 2 e 3, c.c. ), ovvero volontario (se liberamente «eletto» per volontà dell'interessato, in relazione alle proprie esigenze). Dal domicilio differisce il concetto di residenza, intesa come luogo in cui la persona ha la propria «dimora abituale», e cioè il luogo di normale abitazione, secondo quanto previsto dall'art. 43, comma 2. Il codice non qualifica espressamente la dimora, il cui concetto è ricavato, a contrario, da quello di domicilio e residenza, nel senso che se il domicilio è rappresentato dal centro degli affari ed interessi di una persona, senza che sia richiesta necessariamente e continuativamente la presenza della persona in quel luogo, e se tale ultimo requisito è richiesto per la residenza, al contrario la dimora è la permanenza di una persona in un determinato luogo, priva del requisito dell'abitualità e stabilità ma, comunque, non occasionale né momentanea (così Dogliotti, 431). Il domicilioIl domicilio, dato il suo carattere di tendenziale stabilità ed unicità, rileva in numerose disposizioni di diritto sostanziale (sul carattere dell'unicità, si rinvia all'art. 47 c.c.): così, ad es., assume rilievo esclusivamente il criterio di collegamento del domicilio ai fini della determinazione luogo di apertura della successione ( art. 456 c.c. ) oppure ai fini del diritto internazionale privato (per tutti, art. 3 della l. n. 218/1995); il domicilio del minore assume rilievo, sempre in via esclusiva, anche in tema di competenza territoriale del tribunale ( art. 343, comma 1, c.c.); il domicilio rileva, poi, ai fini della determinazione del luogo di adempimento dell'obbligazione (art. 1182, commi 3 e 4, c.c.), sempre in via esclusiva (anche se qui, per Bianca, 254, il termine domicilio è utilizzato in senso ampio ed atecnico di «sede della persona», tale cioè da ricomprendere anche la residenza); al concetto di domicilio si richiama anche la disciplina dettata in tema di dichiarazione di assenza e morte presunta (artt. 49 e 58 c.c.). Da un punto di vista processuale, invece, il criterio del domicilio è equiparato a quello della residenza, con cui concorre, ad es., ai fini della determinazione della competenza territoriale del giudice, determinando il c.d. foro generale della persona fisiche (art. 18 c.p.c.), ed anche ai fini della fissazione del luogo di notificazione (art. 139, comma 6, c.p.c.). Al concetto di domicilio si richiama pure la Costituzione, all'art. 14, con un rinvio in generale ai luoghi della vita privata. Il richiamo è, per la dottrina dominante (Bianca, 243), atecnico, poiché incapace di discernere tra il domicilio in senso stretto e la residenza. In questo senso, è stato sostenuto in dottrina che il concetto di domicilio attiene al «luogo geometrico del patrimonio» (Montuschi, 17; Candian, 118; contra Tedeschi , 194), con ciò volendosi sottolineare il carattere prevalentemente patrimoniale degli interessi che fanno capo al domicilio (mentre, al contrario, la residenza atterrebbe ad interessi di carattere non patrimoniale: così Morozzo della Rocca, 1015, facendo leva sul termine «affari» contenuto nella norma in esame): apertura della successione per causa di morte, apertura della tutela, luogo di adempimento delle obbligazioni. Secondo altri, è forse più corretto ritenere il domicilio come «il centro della vita di relazione» di un soggetto, ricomprendente sia gli interessi economici che possono riguardarlo sia gli interessi a carattere non strettamente patrimoniale (Bianca, 244; conforme, per quanto riguarda la rilevanza anche non patrimoniale del domicilio, anche Tedeschi, 178; contra, però, Mazzoni - Piccinni, 248): il concetto di «affari e interessi» si colora, quindi, anche degli interessi inerenti la sfera strettamente personali dell'individuo, quali quelli morali, sociali e familiari (così anche Dogliotti, 428, che esclude la limitazione del domicilio ad una nozione puramente economico-patrimoniale; conforme Riva, 35, che sottolinea come se il termine "affari” attiene alla sfera patrimoniale, il termine "interessi" ha un'estensione maggiore, intendendo riferirsi tale termine a qualunque sorta d'interesse di cui il soggetto è portatore). In particolare, si è sostenuto che tanto il domicilio quanto la residenza costituiscono esplicazioni della personalità dell'individuo: «domicilio e residenza non sono luoghi in cui si svolge la personalità … ma piuttosto relazioni del soggetto (e della sua personalità) con i luoghi» (così Dogliotti, 429). A quest'ultima tesi, più estensiva, sembra aderire anche la giurisprudenza. Infatti, per la Cass. VI, n. 21370/2011, il domicilio individua il luogo ove la persona, alla cui volontà occorre avere principalmente riguardo, ha stabilito il centro principale dei propri affari e interessi, sicché riguarda la generalità dei rapporti del soggetto – non solo economici, ma anche morali, sociali e familiari – che va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto dai quali, direttamente o indirettamente, risultino la presenza di tale complesso di rapporti in quel determinato luogo ed il carattere principale attribuitogli dall'interessato, a prescindere dalla dimora o dalla presenza effettiva ivi dello stesso. Nel medesimo senso, anche Cass. II, n. 24284/2006, secondo cui il domicilio, anche ai fini della competenza per territorio nelle cause ereditarie, deve essere inteso come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e dei suoi interessi, che non va individuato solo con riferimento ai rapporti economici e patrimoniali, ma anche ai suoi interessi morali, sociali e familiari, che confluiscono normalmente nel luogo ove la stessa vive con la propria famiglia; ne consegue che il domicilio è caratterizzato dall'intenzione di costituire in un determinato luogo il centro principale delle proprie relazioni familiari, sociali ed economiche. Per quanto riguarda l'elezione del domicilio volontario, si ritiene debbano ricorrere, congiuntamente, sia l'elemento soggettivo, inteso quale volontà di stabilire in quel determinato luogo il centro principale dei propri affari ed interessi, sia l'elemento oggettivo, costituito dall'oggettiva concentrazione nella sede prescelta di tali affari ed interessi, concentrazione che abbia il carattere della stabilità e continuità (alla non occasionalità ed alla non provvisorietà, anche in mancanza della presenza effettiva dell'individuo, fa riferimento Giardina, 331). Secondo l'opinione maggioritaria in dottrina, l'atto con cui si elegge il domicilio, attraverso cui cioè l'individuo sceglie volontariamente il luogo in cui abitualmente si svolgeranno gli affari che lo riguardano, ha natura di atto giuridico in senso stretto, essendo i suoi effetti predeterminati dalla legge (così Bianca, 244, secondo cui la volontarietà del soggetto di concentrare in un determinato luogo i propri affari ed interessi si desume «dallo stesso comportamento della persona, secondo una comune valutazione sociale»; conforme Messineo, 253, che ritiene trattarsi di tipici «atti materiali», e non di dichiarazioni; così sostanzialmente anche Forchelli, 847, che qualifica l'elezione di domicilio quale «un atto materiale di destinazione»; nello stesso senso, più di recente, Riva, 28 ss., che afferma la natura non negoziale degli atti in cui si sostanzia la fissazione di domicilio: si discorre di atto giuridico in senso stretto che rileva giuridicamente laddove vi sia la mera capacità di intendere e di volere): è bene chiarire che, in vista del suo carattere di mero atto giuridico, esso è come tale sottratto alla disciplina dei negozi giuridici, soprattutto in tema di impugnazione per vizi della volontà. Per altra tesi, più tradizionale, il domicilio veniva qualificato come res iuris, in contrapposizione alla residenza ed alla dimora, che sarebbero res facti. Invero, per la c.d. teoria della finzione, ormai superata, il domicilio si distingueva dalla dimora e dalla residenza in quanto creazione puramente giuridica (res iuris). Così, in virtù di quest'orientamento, vi è una prevalenza dell'elemento soggettivo dell'atto di elezione di domicilio, che è costituito come detto dalla volontà di costituire e mantenere in un determinato luogo il centro principale dei propri affari ed interessi: per questo motivo, era sostanzialmente frutto di una finzione giuridica considerare una persona presente nel luogo in cui ha eletto il proprio domicilio, a prescindere dalla sua presenza effettiva. Ne conseguiva il carattere negoziale dell'atto di elezione, sorretto cioè da una consapevole volontà in grado altresì di governare gli effetti dell'atto. La dottrina più avveduta, si è nel tempo prodigata a sconfessare tale impostazione, dato che nel concetto di domicilio, esattamente come per la residenza, è insito anche l'elemento materiale della presenza fisica in un dato luogo, di modo che «tra le persone ed il luogo si costituisce un nesso che ha rilevanza giuridica anche senza dover ricorrere necessariamente ad una finzione di presenza» (così Candian, 110, secondo cui «anche nel domicilio vi è pur sempre un quid che lega le persone al luogo»; Forchelli, 848). L'impostazione tradizionale è stata quindi da tempo superata dalla dottrina (Montuschi, 11; Tedeschi, 190) che, favorevole alla tesi che vede nell'elezione di domicilio un mero atto giuridico privo di carattere negoziale, ha posto in luce come in realtà nell'atto di elezione di domicilio l'elemento intenzionale assume rilievo secondario, quale antecedente storico del fatto materiale (elemento oggettivo) costituito dall'effettiva concentrazione degli affari ed interessi in un dato luogo, il quale ultimo, legandosi con il primo elemento, determina l'effetto proprio dell'elezione di domicilio (così Montuschi, 11). L'esaltazione dell'elemento oggettivo pone sullo stesso piano domicilio e residenza, in entrambi essendo prevalente un dato di fatto (Forchelli, 848): nel primo caso, la concentrazione degli affari ed interessi, nel secondo caso, l'abitualità della dimora (così, da ultimo, Mazzoni - Piccinni, 244, secondo cui l'elemento intenzionale rileva quindi rispetto al domicilio come semplice antecedente storico, privo di autonoma rilevanza ed esterno alla struttura del fatto materiale della sede principale dei propri affari ed interessi; similmente a come l'elemento intenzionale si atteggia nei confronti del fatto materiale dell'abitazione che caratterizza la residenza). Sembra dare maggiore risalto all'elemento volontaristico la Cass. VI, n. 21370/2011 , già in precedenza citata. A favore della tesi soggettiva, anche Cass. S.U. , n. 9380/1997, secondo cui l'elezione di domicilio cui fa riferimento l'art. 4 c.p.c., (prima dell'abrogazione ad opera dell'art. 73 l. 31 maggio 1995 n. 218) è determinata dalla esclusiva volontà del soggetto al di fuori di uno specifico riferimento ad una realtà obiettiva e, in particolare, al di fuori dell'esistenza, nel luogo eletto, di un centro di imputazione di interessi. Ne consegue che, siccome caratterizzata da un determinante elemento volontaristico, tale elezione non può non restare limitata agli affari per i quali è intervenuta, senza possibilità di estendersi ad altri. Pertanto con riguardo a domanda proposta nei confronti di uno straniero non può essere utilmente invocata, quale criterio di collegamento atto a fondare la giurisdizione del giudice adito, l'elezione di domicilio effettuata dal convenuto presso l'immobile da lui condotto in locazione, quando la domanda sia totalmente estranea al rapporto locativo, per essere proposta da chi è terzo rispetto a tale rapporto e per avere un contenuto in nessun modo riconducibile a quest'ultimo. Il domicilio fiscale, come disciplinato dall'art. 58 d.p.r. n. 600/1973, coincide con la residenza anagrafica: tale concetto risulta quindi ancorato a parametri obiettivi che, a differenza del domicilio in senso stretto, potrebbero anche prescindere dalla presenza fisica del soggetto in un determinato luogo. La residenzaLa residenza è invece il luogo in cui la persona ha la propria «dimora abituale», e cioè il luogo di normale abitazione (al luogo in cui il soggetto «vive normalmente l'intimità sua e della sua famiglia», fa rinvio Bianca, 249; per Messineo, 254, il concetto di residenza ricorre quando «il soggetto dimori con una certa stabilità (abitualmente) – ossia soglia svolgere effettivamente la propria vita – in un dato luogo»; per Riva, 52 ss., la residenza è il luogo in cui un soggetto consapevolmente dimora abitualmente, con l'intenzione di stabilirvisi in modo non temporaneo: cd. animus manenti). Molto spesso i concetti di residenza e domicilio vengono a coincidere, nel caso in cui si intenda far confluire nello stesso luogo domicilio e residenza. La residenza, quale criterio di collegamento spaziale, rileva in via esclusiva, ad es., per determinare il luogo dove devono essere richieste le pubblicazioni matrimoniali (art. 94 c.c.), ed anche, e sempre esclusivamente, in merito al radicarsi della giurisdizione in tema di adozione ordinaria (art. 311 c.c.); sempre al concetto di residenza si deve aver riguardo per la disciplina della determinazione della residenza familiare (artt. 144, 145 e 146 c.c., soprattutto in vista dell'assolvimento dei doveri coniugali di cui all'art. 143 c.c.). Essa inoltre, da un punto di vista processuale, in concorso con il criterio del domicilio, radica la competenza territoriale del giudice, secondo il criterio del foro generale delle persone fisiche (art. 18, comma 1, c.p.c.), ed è poi rilevante anche in tema di notificazioni (art. 139 c.p.c.). Come si vede, il criterio della residenza tende a soddisfare interessi puramente personali: in tema pubblicazioni in vista del matrimonio, in tema di individuazione della residenza familiare. Anche in tema di residenza è dato riscontrare un elemento oggettivo, costituito dall'abitualità della permanenza, ed un elemento soggettivo, e cioè l'intenzione del soggetto di abitare stabilmente in quel luogo, manifestata dalle consuetudini di vita. Anche l'opinione unanime della giurisprudenza, scorge nel concetto di residenza sia un elemento oggettivo (abituale permanenza dell'individuo in un determinato luogo) ed un elemento soggettivo (volontà di rimanervi). In questo senso, tra le tante, Cass. I, n. 25726/2011, secondo cui la residenza di una persona è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioè dall'elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. Così, il T.A.R. Lazio (Latina) I, n. 321/2015, la residenza di una persona è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, ossia dall'elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rilevata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali; pertanto, qualora la residenza anagrafica non corrisponda a quella di fatto, è di questa che bisogna tener conto con riferimento alla residenza effettiva, quale si desume dall' art. 43 c.c., e la prova della sua sussistenza può essere fornita con ogni mezzo, indipendentemente dalle risultanze anagrafiche o in contrasto con esse (cfr. anche T.A.R. Abruzzo (Pescara) I, n. 185/2016). Secondo Cass. I, n. 662/2000, Il comune della residenza della persona, cioè del luogo della sua dimora abituale (art. 43 c. c.), anche ai fini della validità della notificazione a norma degli artt. 139 e segg. c.p.c., è presuntivamente determinabile sulla scorta delle risultanze anagrafiche, fino a prova contraria. Alla luce di tale pacifico principio, devono essere letti l'art. 44 c.c., secondo cui il trasferimento della residenza non è opponibile ai terzi di buona fede se non denunciato nei modi prescritti, e l'art. 31 disp. att. c. c., secondo cui il trasferimento stesso va provato con la duplice dichiarazione al comune che si abbandona ed al comune dove si intende fissare la nuova dimora abituale; la relativa dimostrazione si rende necessaria per superare la presunzione fornita da certificato anagrafico dell'epoca della notificazione, ove si adduca un tramutamento abitativo in altro comune, già attuato e denunciato, ma non ancora annotato. Di recente, si veda Cass. I, n. 3841/2021 secondo cui la residenza di una persona, secondo la previsione dell'art. 43 c.c., è determinata dall'abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l'elemento oggettivo della permanenza e per l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali (nella specie, ha ritenuto la S.C. che la stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altra attività fuori del comune di residenza, sempre che conservi in esso l'abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali). Nello stesso senso Cass. I, n. 8982/2023 la quale ha rimarcato che la verifica dell'effettività della residenza dichiarata - ossia l'accertamento che un soggetto abbia realmente stabilito la propria dimora abituale in una determinata località e che non vi si rechi solo nei periodi dell'anno in cui il soggiorno si caratterizzi come più conveniente, ma vi torni abitualmente, in modo sistematico, una volta assolti gli impegni lavorativi o di studio - impone il ricorso a controlli che, se da un lato, devono essere svolti in modo non incompatibile con l'esigenza di ogni cittadino di poter attendere quotidianamente alle proprie occupazioni, dall'altro, non necessariamente richiedono che siano previamente concordati con l'interessato, in quanto, diversamente, si vanificherebbe la ratio della norma. In ogni caso, per la tesi tradizionale, nella residenza risulta certamente preminente il substrato «fattuale» (per Messineo, 254, trattasi di res facti, in cui cioè rileva esclusivamente il dato di fatto del dimorare in un dato luogo; nel medesimo senso anche Forchelli, 846, il quale ritiene che l'animus permanendi abbia un ruolo subalterno rispetto al dato obiettivo del permanere del soggetto in una dimora piuttosto che nell'altra, sicché «non sembra che la valutazione dell'attualità della residenza possa essere affidata a criterio diverso da quello della prevalenza quantitativa e qualitativa del permanere del soggetto in una dimora piuttosto che nell'altra»), nel senso che conta esclusivamente la presenza effettiva della persona in un determinato luogo con il carattere di abitualità (sulla c.d. residenza familiare, si veda sub art. 45 c.c.). Per la dottrina prevalente (Montuschi, 23; Riva, 62), anche la residenza, come il domicilio, deve essere tendenzialmente unica, essendo di fatto inammissibile una pluralità di dimore, tutte «abituali» (così anche Forchelli, 847: «La residenza ... non può essere che unica»; contra, però, Tedeschi, 170). Una parte della dottrina (Dogliotti, 430), invece, ammette l'esistenza di una pluralità di domicili o di residenze poiché, in caso contrario, si dovrebbe affermare - apoditticamente - che la plurima scelta elida ogni possibile collegamento del soggetto con un determinato luogo. Ne consegue, almeno per una parte della dottrina, che anche in questo caso si è in presenza di un mero atto giuridico o atto giuridico in senso stretto, il che sarebbe dimostrato dalla preminenza dell'elemento oggettivo su quello soggettivo (così, Bianca, 250, senza però necessariamente svalutare l'elemento volontaristico della fissazione della residenza, rilevante soprattutto ai fini della tutela del legittimo affidamento dei terzi, ai sensi e per gli effetti di cui all' art. 44 c.c.; così anche Riva, 55, che fa rientrare l'atto di fissazione della residenza nel novero degli atti di destinazione di un luogo ad una determinata vocazione, così ritenendosi sufficiente la mera capacità naturale ). Differente il concetto di residenza anagrafica, che è la residenza esplicitata dalle risultanze anagrafiche del Comune di riferimento (cfr., al riguardo, l'art. 2 l. n. 1228/1954, che fa obbligo di richiedere l'iscrizione nell'anagrafe del Comune di dimora abituale, nonché di dichiarare eventuali mutamenti, stabilendo la presunzione secondo cui la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune dove ha stabilito il proprio domicilio, e che, in mancanza del domicilio, si considera residente nel comune di nascita). Deve essere poi rilevato che, ai sensi dell'art. 1, comma 36, l. n. 76/2016, definendo «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile, specifica poi al comma successivo che per l'accertamento della stabile convivenza si deve far riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. Differente ancora il concetto di residenza fiscale, che viene utilizzato esclusivamente ai fini dell'assolvimento, da parte dei contribuenti, degli obblighi tributari su di loro gravanti. Al riguardo, stabilisce il TUIR che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile (art. 2, comma 2, d.P.R. n. 917/1986): pertanto, il requisito della residenza anagrafica è di norma sufficiente anche per la residenza fiscale. In ordine alla questione del possesso, da parte dello straniero, di regolare permesso di soggiorno ai fini, in particolare, della trascrizione di un contratto di convivenza di fatto, è interessante sottolineare che per un certo orientamento giurisprudenziale sorto in tema di convivenze di fatto disciplinate dall'art. l'art. 1 comma 36 della legge 76 del 2016, ai fini dell'accertamento della stabilità della convivenza (comma 37), il requisito dell'iscrizione anagrafica deve essere opportunamente ridimensionato quale elemento di mero accertamento, di carattere presuntivo, della stabile convivenza, ciò in ossequio ad un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata di tipo sostanziale della disciplina in esame, che focalizza la propria attenzione sulla stabile convivenza in senso stretto, unico requisito di carattere sostanziale richiesto per la formazione sociale denominata convivenza di fatto. In altri termini, quindi, la mancanza della dichiarazione anagrafica non osta alla configurabilità della convivenza di fatto, in presenza degli altri indici presuntivi atti a dimostrare la stabilità del rapporto di convivenza instaurato tra persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolati da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile (Trib. Foggia, ord. 30 novembre 2022, nella fattispecie un cittadino italiano ed una straniera avevano richiesto al Comune di appartenenza del primo l'iscrizione anagrafica della seconda nel registro della popolazione residente ed il suo inserimento nello stato di famiglia del primo, il tutto ai fini dell'annotazione del contratto di convivenza stipulato tra i due; il Tribunale, con ordinanza resa ex art. 700 c.p.c. ha ritenuto di dover optare per un'interpretazione conforme del diritto interno al diritto europeo applicando direttamente l'art. 3, comma 2 della direttiva n. 38/2004/CE (diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), in base alla quale è possibile riconoscere valenza alla relazione stabile, con effettiva esplicazione del diritto ad ottenere l'iscrizione anagrafica nella popolazione residente in qualità di membro di una coppia di fatto, anche attraverso la produzione di documentazione diversa dal permesso di soggiorno, posto che, diversamente opinando, si attribuirebbe al permesso di soggiorno una valenza costitutiva della fattispecie in contrasto con l'art. 2 e 3 Cost. e con l'art. 8 CEDU; in questi termini, si v. anche Trib. Torre Annunziata, ord. 11 novembre 2022, Trib. Torre Annunziata, 9 novembre 2022 e Trib. Napoli ord. 27 giugno 2022). La dimoraSebbene il codice non fornisce una definizione di dimora, essa può essere tratta interpretando a contrario l'art. 43, comma 2, in tema di residenza e domicilio. Se infatti la residenza è il luogo in cui la persona ha la propria «dimora abituale», vuol dire che la dimora deve essere intesa come il luogo in cui la persona attualmente risiede, ma in modo non abituale (la definisce come «il luogo in cui la persona attualmente abita o permane in modo non abituale», Forchelli, 842; per Riva, 47, la dimora è la permanenza di un determinato luogo non stabile, bensì occasionale, ma con un minimo grado di consistenza e permanenza nel tempo, sì da radicare un legame tra l'individuo ed il luogo; in questo senso anche Dogliotti, 431), quale relazione più tenue, e di mero fatto, della persona fisica con un luogo (De Ruggiero, 374): al carattere dell'abitualità, propria della residenza, si sostituisce quello dell'attualità, quale «relazione materiale del soggetto col luogo in cui la dimora essenzialmente consiste» (sempre Forchelli, 843, dal quale requisito l'A. ritiene di poter rinvenire l'ulteriore carattere dell'unicità della dimora, dato che «la logica non consente infatti di concepire due dimore contemporaneamente «attuali», ma ammette solo due dimore che si alternino nel tempo»; sulla necessaria unicità della dimora anche Montuschi, 27). Il carattere della temporaneità ha indotto il legislatore a fare sporadico impiego di tal criterio, ma in ogni caso vi è un esplicito riferimento alla dimora: ad es., nell'art. 18, comma 1, c.p.c., in tema di foro generale delle persone fisiche, ovvero nell'art. 139, comma 6, c.p.c., in tema di notificazioni. In questi casi, però, il criterio della dimora ha carattere residuale, e non quindi esclusivo, rispetto alla residenza ed alla dimora. Anche l'art. 318 c.c. fa rinvio alla dimora assegnata, dai genitori, al figlio ancora soggetto alla responsabilità genitoriale, luogo dal quale il figlio non può allontanarsi se non senza permesso. Solo eccezionalmente il concetto di dimora viene posto sullo stesso piano di quello di domicilio e residenza, così come avviene, in taluni casi, nella legge delle adozioni (l. n. 184/1983, art. 40). Al concetto di dimora si richiama pure l'art. 614 c.p. in tema di reato di violazione di domicilio. Più in generale, secondo la dottrina i riferimenti costituzionali (art. 14 Cost.) e convenzionali (art. 8 CEDU) al concetto di domicilio fanno rinvio al concetto civilistico di dimora e non di domicilio in senso stretto (Riva, 46). La persona che non ha fissa dimora si considera residente nel Comune ove ha il domicilio, e in mancanza di questo, nel Comune di nascita (art. 2 comma 3, l. n. 1228/1954). Ciò costituisce un'ulteriore figura di dimora, la cd. dimora temporanea. Essa risponde alla necessità di determinare la popolazione senza fissa dimora: la dimora temporanea necessita della presenza fisica di un soggetto in un comune per un periodo non inferiore ai 4 mesi senza l'intenzione di fissarvi la residenza (riferimenti in Candian, 110 ss.). Per comune opinione in giurisprudenza il carattere della non abitualità non va inteso nel senso di mera occasionalità, poiché a tal fine è sempre necessario che ricorra una certa stabilità di permanenza in un determinato luogo. Così, in giurisprudenza, Cass. pen. II, n. 51986/2016, secondo cui il concetto di dimora, al quale è collegata la competenza territoriale, ha un contenuto più ampio di quello di residenza, in quanto, mentre per quest'ultima, mutuando la nozione espressa dall'art. 43, comma 2, c.c. è necessaria la dimora abituale in un determinato luogo, accompagnata dalla volontà di rimanere stabilmente nel luogo medesimo, ad integrare la dimora è sufficiente la presenza della persona in loco, sia pure in via transitoria ma con un minimo di stabilità. Così anche la prevalente dottrina (Montuschi, 26), secondo cui il luogo in cui una persona dimora è, precisamente, quello in cui viene continuativamente (ma non abitualmente) esplicata la propria vita personale e familiare (Bianca, 253, secondo cui la dimora si identifica principalmente nel luogo di abitazione di un individuo, con esclusione quindi del mero soggiorno; Messineo, 254, secondo cui la «dimora è il luogo, nel quale il soggetto si trovi occasionalmente e, quindi, per un tempo più o meno breve»). L'indirizzoIl termine indirizzo è, in sé, equivoco (Giardina, 333). Nel Titolo III non vi sono riferimenti espliciti all'indirizzo. L'unico riferimento al concetto di indirizzo è contenuto nell'art. 1335 c.c., che stabilisce una presunzione (relativa) di conoscenza della proposta, dell'accettazione e della loro eventuale revoca, in qualità di atti recettizi, nel momento in cui questi giungono all'indirizzo del destinatario (c.d. presunzione di conoscenza degli atti «indirizzati»). Per un certo orientamento, il termine indirizzo, quindi, può ben coincidere con quello di residenza, di dimora e/o di domicilio, dato che tale termine, per la sua genericità, può essere identificato alternativamente con tutti i luoghi idonei a consentire al destinatario di ricevere la dichiarazione (così Candian, 110, secondo cui l'indirizzo è «il più tenue ed instabile criterio di localizzazione del soggetto»; per Giardina, 334, il termine indirizzo, inteso quale luogo di reperibilità della persona, «si è manifestato di recente lo strumento più idoneo a rappresentare un mezzo di individuazione al passo con i tempi», anche alla luce della nozione di indirizzo elettronico, rilevante per la trasmissione dei documenti informatici ai sensi dell'art. 45, comma 2, d.lgs. n. 82/2005). Ma, in realtà, prevale in dottrina la tesi secondo cui l'indirizzo non costituisce un valido criterio di localizzazione della persona con un determinato luogo, sicché esso non può essere ricompreso tra le possibili sedi della persona fisica (Montuschi, 29; Candian, 125; contra Riva, 133, secondo cui l'indirizzo è un luogo non definibile a priori ma determinabile di volta in volta, con riguardo al singolo atto da indirizzare, il cui scopo è quello di portare l'atto a conoscenza del destinatario: il concetto di indirizzo è quindi legato al luogo dove il destinatario abbia le più ampie possibilità di venire a conoscenza della dichiarazione). BibliografiaCandian, voce Domicilio, residenza, dimora, in D. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, 110; Cattaneo, voce Emancipazione, in D. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, 416; Costanza, voce Domicilio, residenza, dimora (dir. priv.), in Enc. giur., XII, Roma, 1989; Coviello, Manuale di diritto civile italiano, Milano, 1929; Dogliotti - Figone, sub artt. 43-78, in Comm. al c.c., diretto da Cendon, Torino, 1991; De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, vol. I, Messina-Milano, 1934; Dogliotti, Persone fisiche. Capacità, status, diritti, vol. II, in Tratt. dir. civ., diretto da Bessone, Torino, 2014; Forchielli, voce Domicilio, residenza e dimora (dir. priv.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 842; Giardina, Le persone fisiche, in Dir. civ., vol. I, 1, Le fonti e i soggetti, Milano, 2009, 330; Mazzoni - Piccinni, La persona fisica, in Tr. I.Z., Milano, 2016; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. I, Milano, 1957; Montuschi, Del domicilio e della residenza, sub artt. 43-47, in Comm. S.B., I, Delle persone e della famiglia, Roma - Bologna, 1970; Morozzo Della Rocca, Il diritto alla residenza: un confronto tra principi generali, categorie civilistiche e procedure anagrafiche, in Dir. fam. e pers. 2003, 4, 1013; Riva, Domicilio e residenza, in Comm. S., Milano, 2015; Tedeschi, voce Domicilio, residenza e dimora, in Nss. Dig. It., IV, Torino, 1967; Santoro Passarelli, voce Atto giuridico (dir. priv.), in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 203; Vitucci, voce Domicilio speciale (elezione di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 897. |