Codice Civile art. 357 - Funzioni del tutore.

Annachiara Massafra

Funzioni del tutore.

[I]. Il tutore ha la cura della persona del minore [371], lo rappresenta in tutti gli atti civili [1387] e ne amministra i beni [362 ss.].

Inquadramento

Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni (art. 357 c.c.).

Per “potestà tutoria” può intendersi il complesso di poteri spettanti al tutore nei confronti del minore, attinenti tanto alla persona quanto al patrimonio, ed aventi natura funzionale in quanto il loro esercizio, cui è assoggettato il minore, è dovuto nell'interesse di questo (così De Cupis, 448; sul punto Campese 182).

La disposizione di cui all'art. 357 c.c. attribuisce, in particolare, al tutore tre distinti poteri/doveri:

aver cura del minore;

rappresentare il minore in tutti gli atti civili;

amministrarne i beni.

A ben vedere, anche per i minori sottoposti alla responsabilità genitoriale esiste una norma, l'art. 320 c.c., che attribuisce analoghi poteri ai genitori ma con una sostanziale differenza.

La disposizione da ultimo citata non fa alcun riferimento al dovere di cura spettante al genitore. Tale diversità deriverebbe dalla considerazione che il dovere di cura, immanente nel rapporto che lega il genitore al figlio, è esercitato liberamente e senza alcun tipo di limite o vincolo, se non direttamente derivante dalla personalità, dai desideri e dalle inclinazioni del minore (sul punto, Dell'Oro, 120).

Diversamente, per quanto concerne il tutore, il dovere di cura non è esercitato liberamente ma soggiace a penetranti limiti e controlli da parte dell'Autorità giudiziaria e tale circostanza appare opportuna e doverosa, anche al fine di meglio definire ambiti di discrezionalità e di responsabilità.

Il dovere di cura, peraltro, si sostanzia nel dovere di educare, istruire e mantenere il pupillo, in modo non dissimile da quanto previsto per il genitore in forza degli artt. 315-bis c.c., 316 c.c. e 316-bis c.c.. Pertanto il tutore è tenuto a prendersi cura del minore, nel rispetto delle sue aspirazioni ed inclinazioni naturali ed a rispettarne i suoi diritti fondamentali adoperandosi per la loro realizzazione.

Ne consegue che, al fine di attuare il dettato normativo, ma soprattutto al fine di realizzare il superiore interesse del minore, il tutore dovrà ascoltarlo, ove abbia compiuto i dodici anni ovvero, se di età inferiore, sia dotato di capacità di discernimento (salvo che nell'ipotesi prevista dall'art. 371 c.c. che riduce il limite di età ad anni dieci).

Una volta conosciute le aspirazioni e le inclinazioni del minore, tuttavia, il tutore, differentemente dai genitori, non è libero di adottare le decisioni che ritenga più appropriate e confacenti alle specifiche necessità del pupillo. Egli soggiace al potere di controllo e di vigilanza del Giudice tutelare il quale, soprattutto, non solo delibera sul luogo ove il minore deve vivere, ma anche impartisce direttive al tutore in tema di educazione, istruzione ed interessi morali (in merito si vedano: Bucciante, 713; Dell'Oro, 120; De Cupis, 449, e Pazè, 409).

A questa significativa differenza, esistente tra la responsabilità genitoriale e quella tutoria se ne aggiungono delle altre. Il tutore non ha l'obbligo di convivere con il minore né è tenuto ad adempiere nei suoi confronti al dovere di mantenimento, dovendo utilizzare a tal fine le sostanze dello stesso minore.

Peraltro, è possibile che oltre al tutore esista un'altra figura giuridica: l'affidatario (ex art. 4 della l. n. 184/1983). In questo caso il tutore non provvede direttamente alle necessità economiche del minore ma consegna il denaro necessario, nei limiti stabiliti dal Giudice tutelare ex art. 371 c.c., all'affidatario il quale convive con il minore. Si discute peraltro, in tal caso, in merito alla competenza in tema di consenso ai trattamenti sanitari invasivi: in quest'ultimo caso (fermo restando il principio secondo cui se il minore è capace di discernimento, dovrà essere sentito e dovrà essere tenuta in considerazione la sua volontà) è controverso a chi debba spettare la competenza atteso che l'affidatario mantiene con le autorità sanitarie rapporti ordinari.

È stato evidenziato che prestare il consenso informato si inquadra nella «cura della personalità minorile e che quindi tale compito dovrebbe trasferirsi a chi quella cura esercita direttamente». Muovendo da tali premesse si ritiene che ove il tutore sia anche affidatario sia lui stesso a decidere; diversamente deliberano gli affidatari con esclusione dell'ente di assistenza (in questo senso, Pazè, 377).

Nell'ambito della cura della persona, peraltro, al tutore spettano altri specifici poteri. Egli può prestare il consenso all'interruzione di gravidanza nei casi previsti dalla l. 22 maggio 1978, n. 194, salvi i casi particolari previsti dalla medesima legge che ammettono l'interruzione anche in assenza del consenso del tutore; deve essere sentito in caso di ricorso al tribunale ex art. 84 c.c., così come nell'ambito del procedimento di adottabilità; può chiedere la nomina di un curatore speciale, nell'interesse del minore, nel caso previsto dall'art. 264 c.c.; presta il proprio consenso in caso di affidamento familiare disposto dai Servizi sociali, ex art. 4 della l. n. 183 del 1984 (poi oggetto di convalida da parte del Giudice tutelare). I poteri riconosciuti al tutore di cui innanzi sussistono anche con riferimento alla tutela delle persone interdette, in virtù del richiamo di cui all'art. 424, comma 1, c.c.

Come sopra evidenziato, il tutore deve avere cura del minore e, per far ciò, deve ascoltarlo e comprenderne la personalità, nonché la sua capacità di discernimento, che varia in funzione dell'età (per una disamina delle possibili fattispecie in tema di scelte terapeutiche e contrasto tra genitore e minore, Vercellone, 998). Ciò implica che il tutore, sia nei confronti della persona interdetta che nei confronti del minore di età, non deve sostituire la propria volontà a quella del tutelato (si fa specifico riferimento per quanto concerne il minore, a quello dotato di capacità di discernimento) ma deve cercare, per quanto possibile, di farsi portavoce della volontà del pupillo così cercando di favorirne lo sviluppo psicofisico.

Il principio è stato chiarito dalla Corte di Cassazione con riferimento alla particolare fattispecie dell'interdetto in stato vegetativo permanente, tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico. In tal caso, ove il tutore presenti un'istanza per la disattivazione del presidio sanitario, devono essere verificate alcune specifiche circostanze, tra le quali, assume particolare rilievo quella per la quale l'istanza, presentata dal tutore non sia espressiva della volontà di quest'ultimo bensì del tutelato da valutarsi sulla scorta di elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignità della persona (Cass. I, n. 21748/2007).

In tema di attività medica e sanitaria, il carattere personalissimo del diritto alla salute dell'incapace comporta che il riferimento all'istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul tutore un potere «incondizionato» di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza. Il tutore deve agire nell'esclusivo interesse dell'incapace e deve decidere non «al posto» dell'incapace né «per» l'incapace, ma «con» l'incapace. Egli deve quindi ricostruire la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche (Cass. I, n. 21748, cit.). La necessità di rispettare la volontà del minore è stata consacrata da ultimo dall'art. 3 della l. 22 dicembre 2017, n. 219, recante norme in materia di consenso informato e di direttive anticipate di trattamento.

Tale disposizione riconosce al minore, il diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione della decisione. A tal fine prevede che anche al minore, e non solo al suo rappresentante legale, debbano essere fornite informazioni sulle scelte relative alla propria condizione di salute. Ovviamente tali informazioni devono essere fornite con modalità appropriate e tenendo conto della sua capacità. La stessa disposizione prevede che il rappresentante legale, del minore sottoposto a responsabilità genitoriale ovvero a tutela, esprima o a neghi il consenso informato ai trattamenti sanitari per il minore. Tuttavia tale potere deve essere esercitato tenendo conto della volontà della persona, in relazione all'età ed al grado di maturità e deve avere lo scopo di di tutelarne la salute psicofisica, della vita e ne deve rispettare la dignità. Ciò comporta che quanto più il minore sia capace di esprimere la propria volontà e di comprendere la propria situazione sanitaria, tanto meno il rappresentante legale potrà discostarsene.

Qualora peraltro il rappresentante legale rifiuti i trattamenti sanitari proposti dal medico curante, e questi differentemente li ritenga necessari ed appropriati, il contrasto è risolto dal Giudice tutelare secondo quanto prevede il quinto comma della disposizione poc'anzi citata.

Il rappresentante legale può inoltre rilasciare il consenso informato anche in relazione alla vaccinazione anti Covid-2019.

Il tutore può dunque anche porre in essere atti personalissimi in nome e per conto dell'interdetto (sempre che sia conforme all'esigenza di protezione) senza che in tal caso debba procedersi alla nomina di un curatore speciale, non sussistendo un'ipotesi di conflitto né evincendosi dal sistema una generale e tassativa preclusione al compimento di atti di straordinaria amministrazione (Cass. I, n. 14669/2018).

Il potere di rappresentanza

La norma che disciplina le funzioni del tutore distingue il potere di cura della persona dal potere di rappresentanza negli atti civili e dall'amministrazione dei beni. Va specificato che l'esercizio di tali poteri è personale e non delegabile, essendo quindi esclusa la possibilità di conferire un mandato generale a terzi (in questo senso, De Cupis, 449).

Si ritiene peraltro che il tutore possa delegare ad un terzo il compimento di uno o più atti, pur rimanendo personalmente responsabile dei medesimi ai sensi dell'art. 382 c.c. (Campese, 186; circa la possibilità di conferire mandato speciale si vedano Santarcangelo, 618, e De Cupis, 449).

Il tutore, in particolare, rappresenta il minore in tutti gli atti civili, sicché gli effetti degli atti posti in essere ricadono direttamente nella sfera del minore rappresentato. Il tutore rappresenta il minore anche nei giudizi civili e penali (Dell'Oro, 126). Il potere di rappresentanza, in particolare, è connesso con il potere di amministrazione spettante allo stesso tutore, essendo lo strumento attraverso il quale si esplica verso l'esterno il potere di amministrazione (in questo senso Pugliatti, 678).

È da sottolineare chela disposizione contenuta nell'art 1388 c.c., secondo cui il rappresentante vincola il rappresentato nei limiti delle facoltà espressamente conferitegli, onde è indispensabile l'espressa spendita del nome del rappresentato, è applicabile all'ipotesi di rappresentanza volontaria, in ordine alla quale il legislatore vuole che l'indagine di fatto sia limitata alla sussistenza o meno della volontaria spendita del nome del rappresentato. Essa non può, invece, estendersi alla rappresentanza legale (nella specie, di un minorenne), in cui i poteri del rappresentante sono stabiliti direttamente dalla legge ed il titolo per il quale il rappresentante spende e deve spendere il nome del rappresentato risiede nella stessa legge. Di talché, appare inutile la spendita espressa del nome del rappresentato; è, cioè, sufficiente che si sappia che chi agisce e il rappresentante legale dell'incapace e basta che egli intenda, anche tacitamente ma inequivocabilmente, agire per il rappresentato (Cass. II, n. 2897/1962).

Con specifico riferimento alla rappresentanza processuale del minore, spettante al tutore, deve rilevarsi che essa non cessa automaticamente allorché questi diventi maggiorenne ed acquisti, a sua volta, la capacità processuale, essendo necessario che il raggiungimento della maggiore età sia reso noto alle altre parti mediante dichiarazione, notifica o comunicazione con un atto del processo. Tale principio dell'«ultrattività» della rappresentanza opera tuttavia- soltanto nell'ambito della stessa fase processuale, attesa l'autonomia dei singoli gradi di giudizio (Cass. II, n. 19015/2010).

È stato inoltre statuito, in tema di notifica della cartella esattoriale, emessa per il recupero di prestazioni di refezione indebitamente erogate in favore di un interdetto, che essa sia illegittima per erronea individuazione del soggetto obbligato, qualora identifichi come debitore il tutore, in luogo dell'interdetto. In tal caso si determina infatti una inammissibile commistione tra il patrimonio dell'interdetto e quello del tutore, così violando il principio della persistente soggettività giuridica dell'incapace e della personalità della responsabilità patrimoniale dello stesso (Cass. VI-I, n. 9135/2015).

Il potere di amministrazione dei beni

Il potere di amministrazione è strettamente connesso con quello di rappresentanza ed è funzionale al soddisfacimento delle esigenze primarie del minore.

Esso, diversamente da quanto previsto per il genitori, è sottoposto a penetranti controlli da parte del Giudice tutelare. Questi infatti delibera, ex art. 371 c.c., in merito all'entità delle somme che annualmente il tutore può liberamente amministrare ed usare nell'interesse del minore. Sempre al Giudice tutelare, il tutore deve anche rendere l'inventario e presentare il rendiconto annuale. Quest'ultimo, inoltre non solo è oggetto di controllo da parte della citata Autorità giudiziaria ma potrebbe essere sottoposto anche al controllo dei parenti, nel caso in cui il Giudice lo ritenesse.

Peraltro, il tutore non può compiere, senza l'autorizzazione del Giudice tutelare, taluni atti di particolare rilievo per il minore e per il suo patrimonio quali: acquistare beni, fatta eccezione per quelli di uso e consumo quotidiano; riscuotere capitali, consentire la cancellazione di ipoteche e assumere obbligazioni, salvo che queste ultime non riguardino spese necessarie; accettare eredità o rinunciarvi; accettare donazioni o legati gravati da oneri o condizioni; stipulare contratti di locazione di immobili ultranovennali; promuovere giudizi (sul punto di vedano: De Cupis, 449, Bucciante, 717; Bisegna, 934). Non è invece necessaria l’autorizzazione del Giudice Tutelare per resistere in giudizio come convenuto.

È necessario inoltre che il tutore chieda l'autorizzazione del Tribunale, che deciderà previa acquisizione del parere del Giudice Tutelare, per compiere uno dei seguenti atti: alienare beni, eccettuati frutti e cose soggetti a deterioramento; costituire pegni od ipoteche; promuovere divisioni o i relativi giudizi; fare compromessi e transazioni o accettare concordati.

In ogni caso il tutore deve amministrare il patrimonio del minore con la diligenza del buon padre di famiglia e risponde dei danni eventualmente arrecati nell'esercizio della sua funzione.

Bibliografia

Bisegna, Tutela e curatela, Nss. D.I., XIX, Torino, 1973; Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, in Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, Torino, 1997; Campese, Il Giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli, Milano 2008; De Cupis, Della tutela dei minori, sub Art. 343-389, in Cian-Oppo Trabucchi (diretto da), Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Dell'Oro, Tutela dei minori, in Comm. S.B., artt. 343-389, Bologna- Roma, 1979; Jannuzzi, in Lorefice (a cura di), Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2000; Pazè, La tutela e la curatela dei minori, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2012; Pugliatti, Della tutela e della emancipazione, in D'Amelio-Finzi (diretto da) Commentario, Firenze, 1940; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, Milano, 2003; Stella Richter- Sgroi, Delle persone e della famiglia, in Commentario del codice civile, Torino, 1958; Vercellone, Il corpo del minorenne: i trattamenti sanitari, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2002

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