Codice Civile art. 149 - Scioglimento del matrimonio (1).Scioglimento del matrimonio (1). [I]. Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge (2). [II]. Gli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, ai sensi dell'articolo 82 o dell'articolo 83, e regolarmente trascritto, cessano alla morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge. (1) Articolo così sostituito dall'art. 31 l. 19 maggio 1975, n. 151. (2) V. l. 1° dicembre 1970, n. 898 e art. 4 l. 14 aprile 1982, n. 164. InquadramentoL'art. 149 del codice civile regola i casi di scioglimento del matrimonio, mediante una norma di rinvio. Le ipotesi prese di mira dall'articolato sono diverse: il matrimonio celebrato davanti all'Ufficiale di Stato civile (che riceve integrale regolamentazione nell'ambito dell'Ordinamento civile); il matrimonio celebrato davanti a un ministro del culto cattolico (che è regolato in conformità del Concordato con la Santa Sede e delle leggi speciali sulla materia, art. 82 c.c.); il matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato (che è regolato dalle disposizioni del capo seguente, salvo quanto è stabilito nella legge speciale concernente tale matrimonio; v. art. 83 c.c.). L'istituto dello scioglimento riguarda, tuttavia, solo il matrimonio civile: negli altri casi, il giudice adito può limitarsi, sussistendone i presupposti, a pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso restandone la validità regolata dall'Ordinamento di appartenenza. È bene precisare, sul piano processuale, che la distinzione tra scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio è meramente terminologica in quanto la regolamentazione delle due forme è assolutamente identica nei presupposti e negli effetti. Pertanto, non rileva se la domanda di divorzio sia presentata nell'una o nell'altra forma, dovendo il giudice far riferimento al petitum e alla causa petendi sostanziali ed effettivi (Cass. n. 9236/ 2012). Morte del coniugeL'istituto del divorzio è stato introdotto in Italia nel 1970 con la legge 898. Per effetto della legislazione di nuovo conio, l'art. 149 c.c. è stato riscritto includendo, accanto alla morte del coniuge, anche lo scioglimento del vincolo matrimoniale e lo cessazione dei suoi effetti civili, quali cause di cessazione della vita comune sancita dal connubio matrimoniale. La morte del coniuge resta causa comune di scioglimento del rapporto matrimoniale. Per effetto del decesso del partner, il coniuge consegue nuovamente lo stato libero. La morte di uno dei coniugi può sopravvenire in pendenza del giudizio di separazione personale o di divorzio, anche nella fase di legittimità: ove la morte sopravvenga prima della declaratoria sullo status, diviene inammissibile ogni pretesa, ivi inclusa quella all'assegno divorzile, avente la prima come indefettibile presupposto (Cass. n. 33346/2021): in questo caso, il decesso comporta la declaratoria di cessazione della materia del contendere. Tuttavia, nel caso di passaggio in giudicato della pronuncia parziale sullo "status", con prosecuzione del giudizio al fine dell'attribuzione dell'assegno divorzile, il venir meno dell'ex coniuge nei confronti del quale la domanda era stata proposta nel corso del medesimo non ne comporta la declaratoria di improseguibilità, ma il giudizio può proseguire nei confronti degli eredi, per giungere all'accertamento della debenza dell'assegno dovuto sino al momento del decesso (Cass. S.U. n. 20494/2022); stesso dicasi per il decesso che subentri nel corso del procedimento per la revisione dell'assegno divorzile (Cass. S.U. n. 20494/2022). Avverso la sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, intervenuta successivamente alla morte di una delle parti, è ammissibile l'appello della parte superstite, al fine di ottenere una pronuncia di cessazione della materia del contendere, essendo gli effetti civili del matrimonio già venuti meno per la morte di uno dei coniugi, sicchè nel giudizio d'impugnazione sono legittimati processuali ex art. 110 c.p.c. gli eredi della parte deceduta in qualità di successori universali, ancorché ad essi non sia trasmissibile il diritto controverso (Cass. n. 1079/2021). DivorzioLa famiglia ha il fine di realizzare lo sviluppo della personalità dei membri che la compongono: ne consegue che ove il rapporto familiare non garantisca più a detti membri una tale finalità, lo scioglimento del rapporto costituisce un diritto. Nell'ordinamento italiano il regime divorzile è regolato dalla legge 898 del 1970. Eccezionalmente, sono ammessi casi di cd. divorzio diretto in cui i coniugi possono ricorrere direttamente alla pronuncia divorzile senza avere prima ottenuto la separazione: è il caso, ad esempio, della inconsumazione del matrimonio. Fuori dai casi in esame, per proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e di sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale ovvero dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile. I termini così riferiti (12 mesi e 6 mesi) sono stati introdotti dalla legge 55 del 2015 (prima il termine era di tre anni). Nulla osta, comunque, a riconoscere in Italia sentenze straniere in cui il divorzio è stato pronunciato senza preventiva separazione, non costituendo un requisito di ordine pubblico (Cass. n. 16978/2006). Alla separazione e al divorzio, le regole per determinare la legge applicabile sono quelle unionali stabilite dal Regolamento europeo n. 1259/2010, cd. ROMA III. Divorzio e rettificazione del sessoCon la sentenza n. 170 del 2014, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità delle norme in tema di rettifica del sesso (artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 e art. 31, comma 6, del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150) nella parte in cui non prevedono la possibilità di mantenere in vita il rapporto di coppia con altra forma di convivenza giuridicamente riconosciuta, con modalità da statuire dal legislatore. La Suprema Corte, al lume di questa pronuncia del giudice delle Leggi, ha precisato che la sentenza n. 170 del 2014 non è di mero monito ma autoapplicativa, con la conseguenza che è costituzionalmente necessario conservare alla coppia il riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al matrimonio fino a quando il legislatore non intervenga (Cass. n. 8097/2015). La giurisprudenza di merito ha dunque affermato che il coniuge che muti sesso ha diritto a conservare, d'accordo con il partner, il legame affettivo consolidatosi nel tempo accedendo alla diversa forma di unione regolata dalla Legge. In particolare, in occasione del procedimento giurisdizionale di rettifica dell'attribuzione di sesso, i coniugi possano formulare istanza al giudice per essere autorizzati a mantenere in vita la coppia, anche se in forma diversa dal matrimonio; in difetto, la sentenza produce naturalmente e fisiologicamente lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili, senza necessità di intervento giudiziale e tramite gli strumenti della rettifica promossi dall'ufficiale dello Stato Civile. Pertanto è in occasione del procedimento che «trasforma» l'identità di genere del coniuge che i partners, (entrambi da considerarsi, quindi, litisconsorti necessari), possono richiedere al giudice di pronunciare anche il diritto al passaggio alla diversa forma di convivenza: in difetto, invece, segue ope legis il divorzio cd. imposto a cui può provvedere l'Ufficiale dello Stato Civile, sulla scorta della lettura del dispositivo della sentenza di rettifica (Trib. Milano, 22 aprile 2015). Finché il Legislatore non interverrà per regolare le nuove forme di convivenza civile, i coniugi attraversati dalla vicenda di rettifica, ove scelgano di restare uniti, rimangono uniti in matrimonio. Il d.lgs. 19 gennaio 2017 n. 7 — adeguamento delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell'articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76 — all'articolo 31 del decreto legislativo 1°(gradi) settembre 2011, n. 150, dopo il comma 4 ha inserito il comma 4-bis ove oggi si prevede che: «4 Fino alla precisazione delle conclusioni la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso ed il coniuge possono, con dichiarazione congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda, di costituire l'unione civile, effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti la scelta del cognome ed il regime patrimoniale. Il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda, ordina all'ufficiale dello stato civile del comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto all'estero, di iscrivere l'unione civile nel registro delle unioni civili e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti relative alla scelta del cognome ed al regime patrimoniale». Legge 206/2021L'art. 1, comma 24 della legge 26 novembre 2021 n. 206, ha introdotto, nell'ordinamento giuridico italiano, il «Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie» (TPMF) che comporta l'istituzionalizzazione di un unico Ufficio giudiziario che assorbe il tribunale ordinario e il tribunale per i minorenni. Al contempo, l'art. 1, comma 23, lett. a) della medesima normativa ha introdotto nuove disposizioni in un apposito titolo IV-bis del libro II del codice di procedura civile, rubricato «Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie»; per i procedimenti civili elencati nel comma 23, lettera a), si applica il rito unificato in materia di persone, minorenni e famiglie previsto dal medesimo comma 23. Le previsioni in esame sono oggetto di delega legislativa da emanare entro il 24 dicembre 2022 e le norme relative al TPMF saranno efficaci decorsi due anni dalla data della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Nel complesso, la nuova architettura riguarda “tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare”; restano esclusi solo i procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, i procedimenti di adozione di minori di età e i procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea. Rito UnitarioIl decreto legislativo n. 149 del 2022 (cd. Riforma Cartabia) ha modificato il codice di procedura civile prevedendo, in particolare, nuove disposizioni nel libro II, titolo VI-bis ove sono state introdotte: «Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie», cd. pPMF). Quanto al campo di applicazione del nuovo rito unitario – che non è più un procedimento speciale – l'art. 473-bis c.p.c. prevede che le disposizioni contenute nel nuovo titolo IV-bis si applichino a tutti i procedimenti (di natura contenziosa) relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, di quello per i minorenni e del giudice tutelare, salvo che non sia diversamente stabilito e salve le esclusioni espressamente indicate dallo stesso articolo. Queste riguardano, in particolare, sia i procedimenti che in questa materia siano espressamente sottoposti dal legislatore ad altra disciplina processuale, sia i procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilità, dei procedimenti di adozione dei minori, sia, infine, i procedimenti (di diversa natura e oggetto) attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea. La clausola generale di esclusione del rito unitario poggia le basi su due circostanze: 1) che il procedimento “non sia contenzioso”; 2) che sia “diversamente stabilito”. In virtù della cd. Riforma Cartabia, il procedimento di divorzio è regolato dagli artt. 473-bis e ss c.p.c. BibliografiaBianca, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014; Buffone, Volontaria Giurisdizione: tutela dei soggetti deboli, Milano, 2012; Cian, Trabucchi - a cura di -, Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Finocchiaro, Matrimonio in Comm. S. B., artt. 84 - 158, Bologna - Roma, 1993; Jemolo, in La famiglia e il diritto, in Ann. fac. giur. Univ. Catania, Napoli, 1949, 57; Lipari, Del matrimonio celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile in Comm. Dif., II, Padova, 1992; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta - a cura di -, Codice della famiglia, Milano, 2015. |