Regolamento - 20/12/2010 - n. 1259 art. 5 - Scelta della legge applicabile dalle parti

Gustavo Danise
aggiornato da Francesco Bartolini

Scelta della legge applicabile dalle parti

1. I coniugi possono designare di comune accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione personale purché si tratti di una delle seguenti leggi:

a) la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell'accordo; o

b) la legge dello Stato dell'ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell'accordo; o

c) la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell'accordo; o

d) la legge del foro.

2. Fatto salvo il paragrafo 3, l'accordo che designa la legge applicabile può essere concluso e modificato in qualsiasi momento, ma al più tardi nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale.

3. Ove previsto dalla legge del foro, i coniugi possono del pari designare la legge applicabile nel corso del procedimento dinanzi all'autorità giurisdizionale. In tal caso, quest'ultima mette agli atti tale designazione in conformità della legge del foro.

Inquadramento

L'art. 5 è il cuore pulsante del Regolamento n. 1259/10, la norma fondamentale perché elenca i criteri di collegamento cui le parti possono concordemente attingere per la scelta della legge applicabile alla loro separazione o al loro divorzio. Mutuando dalla tecnica di formulazione dell'art. 3 Reg. n. 2201/2003, il legislatore del Regolamento prevede quattro criteri alternativi e fungibili; non sono posti in ordine gerarchico, ma le parti possono indifferentemente sceglierne uno di essi. L'accordo dei coniugi sulla scelta di una delle quattro discipline normative nazionali opzionabili deve essere concluso al più tardi entro il momento in cui si adisce l'autorità giudiziaria (quindi il testo dell'accordo deve essere contenuto nel corpo dell'atto introduttivo del giudizio di separazione o divorzio o in atto scritto separato ad esso allegato). Il par. 3 consente anche il raggiungimento dell'accordo in corso di causa, ma solo se la legge del Foro ammette il mutamento della domanda e della legge in corso di causa.

I criteri di collegamento rimessi all'accordo delle parti. Considerazioni generali

L'art. 5 costituisce la disposizione fondamentale del Regolamento, quella che consente di apprezzarne l'importanza e di valorizzarne la finalità di assicurare prevedibilità e certezza sulla legge applicabile senza dimenticare l'esigenza di flessibilità dei cittadini che si muovono liberamente nello spazio comune europeo, e che è assicurata dando ampio risalto all'autonomia privata. Il Regolamento rinuncia a predeterminare unilateralmente i criteri per stabilire la legge applicabile alla separazione o divorzio, in caso di conflitto tra norme, lasciando ampia autonomia alle parti di sceglierla di comune accordo. Si tratta di una formulazione sicuramente innovativa rispetto alla tradizione normativa dei singoli Stati nazionali ove la risoluzione dei conflitti tra leggi mediante l'emanazione di norme di diritto internazionale privato è stata sempre considerata una materia indisponibile e regolata imperativamente dai legislatori nazionali [la Legge n. 218/1995 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato contiene principalmente norme imperative; consente alle parti di scegliere la disciplina regolatrice della controversia, tra quelle che entrano in conflitto sulla base dei criteri di collegamento e degli elementi di estraneità che vengono in rilievo nel caso concreto, solo in materia dei rapporti patrimoniali tra coniugi (art 30) di successioni (art. 46), mentre prevede solo una limitata facoltà di scelta per la disciplina della responsabilità da illecito (art. 62 comma 1) e in materia di responsabilità extracontrattuale per danno da prodotto (art. 63) e in materia di donazione (art. 56)]; e va aggiunto che la preferenza accordata all'autonomia privata nella scelta della legge regolatrice della controversia rappresenta una tendenza che va consolidandosi in ambito europeo, essendo stata già sperimentata in altri settori (si pensi al Regolamento n. 4/2009 che fa espresso rinvio al Protocollo dell'Aja del 2007, che introduce, per gli Stati che hanno ratificato il Protocollo stesso, il criterio dell'autonomia delle parti sia per la scelta della lex fori al momento della presentazione della domanda, sia per la electio iuris in qualsiasi momento, anche prima dell'instaurazione del giudizio ex artt. 7 e 8 del Protocollo; si pensi altresì al Regolamento n. 864/2007 sulle obbligazioni extracontrattuali, c.d. «Roma II», il cui all'art. 14 prevede che le parti possano scegliere quale sia la legge applicabile alla loro obbligazione extracontrattuale). I quattro criteri su cui può ricadere l'optio iuris delle parti sono: la legge dello Stato della loro residenza abituale comune; quella dell'ultima loro residenza abituale comune purché uno di essi vi risieda ancora; quella della cittadinanza di uno di essi; e infine la lex fori. Il criterio di collegamento della residenza o della cittadinanza con il sistema giuridico designato deve sussistere al momento della scelta, che può anche coincidere con il momento dell'instaurazione del giudizio come si evince dai paragrafi 2 e 3 dell'art. 5.

La l. 20 maggio 2016, n. 76, ha poi aggiunto alla l. 218/1995 l'art. 30-bis, per il quale ai contratti di convivenza si applica la legge comune ai contraenti; se la cittadinanza è diversa si applica quella del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata, salve le norme nazionali, europee e internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima. L'art. 31 della stessa l. 218/1996 è stato sostituito dal d.lgs. n. 149/2022 e attualmente: rinvia per la disciplina della separazione personale e del divorzio al Regolamento 2010/1259/UE del Consiglio 20/12/2010; e lascia alle parti la libertà di designare di comune accordo, in tali materie, la legge applicabile, ai sensi dell'art. 5 del Regolamento, mediante scrittura privata, e ciò anche nel corso del procedimento, sino alla conclusione dell'udienza di comparizione delle parti oppure con dichiarazione resa a verbale dai coniugi personalmente o a mezzo di un procuratore speciale.

Si segnala un'interessante pronuncia della Corte giustizia Unione Europea n. 249/2020 in cui è stato affermato che in una situazione in cui il giudice competente ritiene che la legge straniera applicabile in forza delle disposizioni del regolamento n. 1259/2010 consenta di chiedere un divorzio solo a condizione che esso sia stato preceduto da una separazione personale della durata di tre anni, mentre la legge del foro non prevede norme procedurali in materia di separazione personale, tale giudice, pur non potendo pronunciare egli stesso una tale separazione, deve tuttavia verificare che le condizioni sostanziali previste dalla legge straniera siano soddisfatte e accertarle nell'ambito del procedimento di divorzio di cui è investito.

Il criterio della residenza abituale

Il criterio di residenza abituale deve essere interpretato, in assenza di una definizione giuridica nel Regolamento, come residenza effettiva e prevalente, privilegiandosene, quindi, un'accezione sostanziale ed effettuale rispetto ad una meramente formale e documentale, in linea con il consolidato orientamento della Corte di Giustizia europea sul punto (Mellone, 685 ss.; in giurisprudenza tale accezione di residenza abituale è stata enunciata dalla Corte di giustizia in sentenza del 2 aprile 2009, nella causa C-523/07, ed Corte di giustizia in sentenza del 22 dicembre 2010, nella causa C-497/10). La previsione di tale criterio risponde alle esigenze di flessibilità che la cittadinanza europea e la libera circolazione delle persone richiedono. Già nel Libro Verde della Commissione del 2005 (cfr. commento all'art. 1) si evidenzia la necessità di perseguire tale finalità ed allo scopo si formula l'esempio pratico di una coppia di cittadini italiani, da lungo tempo residenti in Germania, che intendono divorziare consensualmente; il Regolamento n. 2201/2003 consente loro di rivolgersi indifferentemente al giudice tedesco o a quello italiano; ma, poiché le leggi interne di diritto internazionale privato sia italiana che tedesca pongono come criterio prioritario di risoluzione del conflitto la cittadinanza, qualunque dei due giudici nazionali adito avrebbe applicato la legge italiana, corrispondente alla cittadinanza dei coniugi, che impone condizioni più restrittive per la pronuncia di divorzio, richiedendo che debbano trascorrano tre anni dalla separazione, e non uno, come prevede la legge tedesca (quest'esempio risale al 2005 quando la l. n. 898/1970 richiedeva tale presupposto temporale. Attualmente tale condizione restrittiva è venuta meno per effetto dell'introduzione della l. n. 55/2015 che ha modificato l'art. 3 l. div. riducendo il termine di attesa tra la pronuncia di separazione e quella di divorzio ad un anno in caso di separazione giudiziale ed a sei mesi in caso di separazione consensuale; tra l'altro, il suddetto termine decorre dalla data in cui le parti compaiono dinanzi al Presidente del Tribunale nella udienza di comparizione coniugi e non più dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione o dalla data del decreto di omologa dell'accordo di separazione consensuale, come previsto antecedentemente). Il criterio della residenza abituale dei coniugi supererebbe la criticità riscontrata nell'esempio fatto ed offrirebbe una risposta concreta alle esigenze dei coniugi (Franzina, 492 ss. e Pocar, Osservazioni a margine della proposta di regolamento sulla giurisdizione e la legge applicabile al divorzio, in Bariatti, 267-278, il quale, proprio in nome dell'esigenza di assicurare la maggior flessibilità possibile ai coniugi ha evidenziato che sarebbe stata preferibile la scelta del legislatore del Regolamento di ampliare i criteri di scelta a disposizione delle parti, come nel caso del Reg. 2201/2003 che negli artt. 3-6 prevede ben sette fori alternativi tra cui i coniugi possono scegliere dove incardinare la controversia. La decisione finale assunta prevede i quattro criteri di scelta della legge più prossimi e riferibili ai coniugi, in linea con i timori espressi già nel Libro Verde della Commissione del 2005 che l'ampliamento del ventaglio di opzioni di leggi applicabili avrebbe potuto indurre i coniugi a scegliere leggi di Stati con cui non avevano alcun collegamento materiale). Si può ben notare come le esigenze dei coniugi possano trovare la massima soddisfazione dalla combinazione dei Regolamenti n. 2201/2003 e n. 1259/2010; infatti, possono adire il giudice del luogo in cui risiedono, così evitando costosi spostamenti in altri Stati, e chiedere congiuntamente a lui l'applicazione della legge, tra le quattro opzioni possibili, che prevede condizioni meno gravose per conseguire il divorzio. Gli altri tre criteri, indicati nelle lett. b), c) e d) non pongono particolari problemi; sono di semplice interpretazione; va sottolineato solo un aspetto: la lett. c) prevede il criterio della legge dello Stato «di cui uno dei coniugi» ha la cittadinanza al momento della conclusione dell'accordo; orbene desta perplessità e curiosità la scelta del Regolamento di non aver previsto analoga formulazione anche per la residenza abituale, aggiungendo quale ulteriore criterio di collegamento la residenza abituale «di uno dei coniugi», come era stato, peraltro, proposto del Gruppo europeo di diritto internazionale privato, ancor prima della pubblicazione del Libro verde della Commissione.

Si è affermato, a proposito dell'art. 3 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio che ai fini dell'attribuzione della competenza a ciascun coniuge può essere riconosciuta soltanto una residenza abituale. Qualora un coniuge divida la sua vita tra due o più Stati membri e non sia possibile identificare uno di essi come quello in cui si trova la sua residenza abituale, la competenza giurisdizionale internazionale deve essere determinata conformemente ad altri criteri dettati dal Regolamento e, se del caso, a quelli residuali in vigore negli Stati membri (Conclusioni Avv. Gen. in causa C-289/2020, 8/7/2021).

 

I limiti temporali dell'accordo

I par. 2 e 3 non necessitano di particolari approfondimenti. L'accordo sulla legge applicabile ai giudizi di separazione o divorzio può essere raggiunto in ogni tempo, al più tardi entro il momento in cui si adisce l'autorità giudiziaria (quindi il testo dell'accordo deve essere contenuto nel corpo o in atto scritto separato allegato all'atto introduttivo del giudizio di separazione o divorzio). La previsione del par. 2 si spiega alla luce della mutevolezza della residenza e della cittadinanza nel corso del matrimonio; può infatti accadere che in costanza di matrimonio vi sia un accordo tra i coniugi per l'applicazione della legge corrispondente alla loro residenza abituale. Se poi nel corso della crisi matrimoniale, mutano le condizioni, uno dei due potrebbe non avere più interesse a mantenere fede all'accordo precedente. Di qui la possibilità conferita dal par. 2 di poter modificare l'accordo in ogni momento fissando quale termine ultimo la presentazione dell'atto introduttivo del giudizio, quando la situazione tra i coniugi sarà cristallizzata e i due avranno potuto soppesare le rispettive esigenze e convenire una legge che le soddisfi in pari misura. Laddove l'accordo sia intervenuto prima dell'introduzione della domanda, occorre evidenziare che la scelta resta efficace anche se le connessioni di cittadinanza o di residenza siano venute successivamente a mancare, poiché il criterio di collegamento è e rimane la volontà delle parti e non le connessioni indicate nelle quattro lettere del par. 1; occorrerà come visto una modifica espressa dell'accordo per rendere inoperante la precedente scelta. Il par. 3 consente anche il raggiungimento dell'accordo in corso di causa, ma solo se ammissibile secondo la legge del Foro, come la legge italiana (che consente ad es. il mutamento della domanda originaria da divorzio contenzioso in congiunto). La previsione del par. 3 è innovativa, in quanto non era presente nella proposta originaria della Commissione.

In merito al par. 3 si segnalano diverse pronunce di merito, tutte del Trib. Milano, ove è stato ritenuto ammissibile l'accordo ex art. 5 Reg. n. 1259/10 sulla legge applicabile presentato in corso di causa. Una prima pronuncia è costituita dall'Ord. dell'11 dicembre 2012 ove durante l'udienza di comparizione coniugi dinanzi al Presidente, le parti raggiungevano un accordo per l'applicazione della legge ecuadoriana. Una seconda pronuncia è stata emessa il 10 febbraio 2014. Durante l'udienza presidenziale in un giudizio di divorzio giudiziale incardinato dal marito, entrambi i coniugi, cittadini marocchini che risiedevano stabilmente a Milano, raggiungevano un accordo sulle statuizioni anche patrimoniali per pervenire allo scioglimento in forma congiunta del matrimonio civile e contestualmente depositavano, unitamente all'istanza di mutamento del rito, un altro accordo, in atto separato, sottoscritto personalmente da entrambi, in cui chiedevano ai sensi dell'art. 5 lett. c) Reg. UE n. 1259/2010 l'applicazione della legge marocchina. Chiaramente il loro intento era di sciogliere nel più breve tempo possibile il vincolo, prevedendo il codice marocchino l'istituto del divorzio per mutuo consenso, quindi un divorzio diretto, non preceduto da separazione. La legge marocchina sul punto diverge notevolmente dalla disciplina italiana che prevede un certo lasso di tempo dalla separazione, dichiarata giudizialmente, prima che si possa pronunciare il divorzio. Nell'ordinanza in commento, il Trib. Milano ha accolto l'istanza, disponendo il mutamento del rito da divorzio contenzioso a divorzio congiunto ed ha riconosciuto l'ammissibilità e validità dell'accordo ex art. 5 lett c) Reg. 1259/10 disponendo l'applicazione della legge marocchina. Nel motivare la compatibilità di tale legge con il nostro ordinamento il collegio milanese ha valorizzato i principi del giusto processo (art. 111 Cost.) e la natura giuridica dell'accordo. Quanto al primo aspetto, richiamando i principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale, ha rammentato che il codice di procedura civile, nel regolare questioni di rito, s'ispira costantemente al principio secondo cui le disposizioni processuali sono finalizzate alla miglior qualità della decisione di merito, in sintonia con quello che alla luce delle nuove disposizioni costituzionali è conosciuto come «diritto della parte ad una decisione nel merito» (Corte cost. n. 77/2007); principio condiviso anche delle Sezioni unite della Cassazione (Cass. S.U., n. 9962/2010), secondo cui l'ordinamento vigente impone la necessità di interpretare ed applicare le norme processuali in armonia con il principio del giusto processo di cui all'art. 111 Cost. Per l'effetto il Tribunale meneghino ha concluso che il disattendere l'accordo dei coniugi sull'individuazione della legge regolatrice del divorzio avrebbe portato ad una decisione «sul rito» e non «nel merito» contrastando il principio di diritto sopra enunciato. In secondo luogo, il collegio giudicante si è soffermato sulla natura giuridica dell'accordo ex art. 5 Reg. Roma III, evidenziando che rientra nel novero dei cd. «negozi processuali» o meglio «negozi di diritto processuale», categoria individuata dalla dottrina processuale civilistica tradizionale in cui l'autonomia privata viene esercitata per regolare, nei limiti in cui è consentito dall'ordinamento giuridico, determinati aspetti del processo. Ne costituiscono esempi il pactum de non petendo, il pactum de foro prorogando, la clausola compromissoria ed il ricorso per saltum ex art. 360 n. 2 c.p.c. (su cfr. Cass. n. 22956/2010 e Cass. n. 16993/06 ove il ricorso per saltum è stato configurato come negozio giuridico processuale). L'ultima ord. del Trib. Milano ove è stato giudicato un accordo sulla legge applicabile ex art. 5 è stata emanata il 10 febbraio 2015 nell'ambito di una controversia instaurata congiuntamente dai coniugi per ottenere pronuncia di divorzio diretto secondo la legge svedese. I coniugi erano residenti a Milano, luogo dell'ultima residenza della famiglia, ed hanno presentato un ricorso volto ad ottenere pronuncia divorzile, allegando un accordo sulla legge applicabile, optando per la disciplina giuridica svedese che prevede la possibilità del divorzio diretto, non preceduto quindi da un periodo di separazione personale, ma con obbligo di rispettare un «periodo di riflessione» di sei mesi, quale condizione dell'azione. L'A.G. adita, su ricorso congiunto, ha fissato l'udienza a due mesi dal deposito del ricorso; le parti hanno quindi presentato istanza di differimento dell'udienza per consentire il superamento del suddetto periodo di riflessione. L'istanza è stata accolta nell'ordinanza in commento. Il Collegio, dopo aver ricordato il proprio precedente pronunciamento in cui ha configurato l'accordo sulla legge applicabile ex art. 5 Reg. Roma III come un negozio processuale, che è stato nel caso di specie tempestivamente presentato, nell'arco temporale delineato dal par. 2 Art. 5 (il ricorso giurisdizionale per divorzio congiunto), si è soffermato sulla disciplina giuridica svedese, prescelta dalle parti. Il «periodo di riflessione», ivi previsto, è un istituto attualmente conosciuto anche dall'Ordinamento italiano, ed in particolare dall'art. 12 del d.l. n. 132/2014 (conv. in l. n. 162/2014), che, nell'introdurre l'istituto della separazione consensuale e del divorzio su domanda congiunta dei coniugi, dinanzi all'Ufficiale di Stato Civile, prevede che questi, ricevuta la domanda, fissi la loro comparizione dopo il decorso di un termine di almeno 30 giorni, utile per consentire alle parti di riflettere e decidere se confermare la decisione e gli accordi. Per tale motivo, il Tribunale ha sottolineato che il «periodo di riflessione» non contrasta con «l'ordine pubblico del foro» ex art. 12 Reg.; ha quindi ammesso l'applicazione della legge Svedese ed ha concesso il differimento richiesto per consentire l'avveramento della condizione per l'azione stabilita dalla disciplina giuridica del suddetto ordinamento.

Ed ancora degna di interesse è la pronuncia del Tribunale Parma Sez. I, 15 novembre 2018 che In una controversia avente ad oggetto una domanda di scioglimento di un matrimonio celebrato in Ghana in base alla legge ghanese, nonche´ di affidamento e mantenimento dei figli minori proposta da una cittadina ghanese abitualmente residente in Italia  insieme ai figli nei confronti del marito anch'esso cittadino ghanese, ha affermato la sussistenza della giurisdizione italiana rispettivamente ai sensi degli artt. 3 lett. a e 8 del regolamento (CE) n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 (applicabile a prescindere dalla nazionalità delle parti); ciò, per quanto riguarda la domanda sul vincolo, in ragione del fatto che, al momento della domanda, l'attrice risultava aver fissato la residenza abituale in Italia da oltre un anno, e, per quanto riguarda la domanda relativa all'affidamento, in ragione della residenza abituale degli stessi in Italia. Ai sensi dell'art. 5 n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, applicabile ratione temporis in luogo del regolamento (CE) n. 4/2009 del 18 dicembre 2008 ai sensi dell'art. 76 di quest'ultimo, la giurisdizione italiana sussiste anche per la domanda di mantenimento dei minori, posto che in Italia è localizzata residenza abituale dei creditori alimentari. Alla domanda sul vincolo si applica la legge ghanese quale legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda ai sensi dell'art. 31 comma 1 della legge 31 maggio 1995 n. 218, applicabile ratione temporis in luogo del regolamento (UE) n. 1259/2010 del 20 dicembre 2010, mentre sono soggette alla legge italiana le domande sull'affidamento dei figli minori ai sensi degli artt. 1 e 2 della convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, richiamata dall'art. 42 della legge n. 218/1995, in forza della localizzazione in Italia della residenza abituale dei minori. Ai sensi dell'art. 4 della convenzione dell'Aja del 2 ottobre 1973, resa applicabile in ogni caso dall'art. 45 della legge n. 218/1995 e applicabile ratione temporis , la legge italiana si applica altresì alla domanda di mantenimento dei minori in virtù della localizzazione in Italia della dimora abituale del creditore alimentare.

Aggiornamento:

Il Parlamento ha approvato in data il 21 settembre 2021 il disegno di legge n. 3289 contenente la “Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”. Una parte della delega interessa anche il Regolamento n 1259/2010 ed in particolare l'art. 5 in commento. Infatti l'art. 1, comma 23, lett. cc) delega il Governo ad emettere uno o più decreti legislativi in cui debba prevedersi che nei procedimenti di separazione personale e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio le parti possano, sino alla prima udienza di comparizione, concludere un accordo sulla legge applicabile alla separazione e al divorzio ai sensi degli articoli 8 e 9 del regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010. La delega al Governo si conforma al testo del comma 2 dell'art. 5 che, come visto, prescrive che l'accordo che designa la legge applicabile possa essere concluso e modificato “al più tardi nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale”.  

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