Codice di Procedura Civile art. 709 ter - [Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni] 1[Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni]1 [[I]. Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all'articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore2.] [[II]. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell'altro anche individuando la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. Il provvedimento del giudice costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'articolo 614-bis3 4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende4.] [[III]. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari.]
[1] Articolo inserito dall'art. 2, comma 2, l. 8 febbraio 2006, n. 54 e , da ultimo, abrogato dall'art. 3, comma 49, lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". [2] L'art. 95, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito alla parola: «potestà» la parola: «responsabilità». Ai sensi dell’art. 108, d.lgs. n. 154 del 2013, la modifica entra in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. [3] Numero sostituito dall'art. 1, comma 33, l. 26 novembre 2021, n. 206. Il testo precedente era il seguente: «3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro;». Ai sensi del comma 37 del medesimo articolo, la presente disposizione si applica ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della l. n. 206, cit.. [4] La Corte cost. 10 luglio 2020, n. 145 ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 709-ter, secondo comma, numero 4), del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98. InquadramentoLa l. n. 52/2006 in tema di affidamento condiviso ha introdotto nel nostro ordinamento il generale principio della bi-genitorialità, che tutela il diritto del minore a ricevere apporto affettivo e risorse di mantenimento da entrambi i genitori ed a mantenere con ciascuno di essi un rapporto stabile. La disposizione in esame è volta a realizzare questi obiettivi, spesso compromessi nella pratica da condotte emulative o colpevoli di uno dei genitori, prevedendo l'intervento dell'autorità giudiziaria per la soluzione delle controversie sorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o sulle modalità di affidamento. Questo intervento può condurre sia alla modifica delle condizioni esistenti, sia all'emanazione di misure, anche di carattere sanzionatorio, nei confronti del genitore inadempiente (cfr. Luiso-Sassani, 250). Le misure che possono essere emanate a fronte del grave inadempimento di uno dei genitori rispetto ai doveri enucleati dal provvedimento relativo all'affidamento della prole o di atti comunque pregiudizievoli per la corretta esplicazione delle modalità di affidamento della stessa, sono, secondo un criterio di progressiva afflittività: a) l'ammonimento del genitore inadempiente; b-c) la condanna al risarcimento dei danni a carico del genitore inadempiente ed a favore dell'altro genitore o del minore; d) la condanna del genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, quantificata nel minimo in 75 euro e nel massimo in 5000 euro, a favore della Cassa delle ammende. In assenza di una tipizzazione legislativa delle ipotesi nelle quali, a fronte di un determinato inadempimento o comportamento, deve essere adottata una misura piuttosto che l'altra, la relativa valutazione è rimessa al potere discrezionale del giudice (Doronzo, 625) nonostante la disgregazione del nucleo familiare (su tale principio cfr. Cass. I, n. 9764/2019). PremessaLa l. n. 52/2006 in tema di affidamento condiviso ha introdotto nel nostro ordinamento il generale principio della bi-genitorialità, che tutela il diritto del minore a ricevere apporto affettivo e risorse di mantenimento da entrambi i genitori ed a mantenere con ciascuno di essi un rapporto stabile. L'affido condiviso si sostanzia, infatti, nell'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale anche nell'ipotesi in cui sia venuto meno il rapporto affettivo tra i genitori del minore. La disposizione in esame è volta a realizzare questi obiettivi, spesso compromessi nella pratica da condotte conflittuali tra i genitori o abbandoniche di uno di essi, contemplando l’intervento dell’autorità giudiziaria per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o sulle modalità di affidamento. Questo intervento può condurre sia alla modifica delle condizioni esistenti, sia all’emanazione di misure, anche di carattere sanzionatorio, nei confronti del genitore inadempiente. CompetenzaLa norma in commento detta attualmente due regole di competenza nel comma 1, distinguendo, in particolare, tra l'ipotesi in cui sia in corso il procedimento di separazione o divorzio tra i coniugi, in relazione alle quali sussiste la competenza del giudice del procedimento (in arg., Trib. Milano IX, 9 gennaio 2018) quella in cui detto procedimento si sia già concluso, rispetto alla quale viene invece prevista la competenza del tribunale del luogo di residenza del minore. Diversi problemi interpretativi sono peraltro sorti rispetto ad entrambi i criteri di collegamento della competenza ora richiamati. Con specifico riguardo all’ipotesi in cui la controversia tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o alle modalità di affidamento dei figli sia sorta nel corso del giudizio principale di separazione o di divorzio, sorge l’interrogativo, attesa la collegialità delle cause di famiglia, se anche le controversie di cui alla norma in commento debbano essere decise dal collegio o se la definizione delle stesse sia demandata al giudice istruttore. La dottrina ha assunto sulla questione posizioni estremamente variegate. Secondo un primo orientamento, la competenza dovrebbe essere attribuita in ogni caso al giudice istruttore, stante l'esigenza di ottenere, per la natura delle controversie in esame, una decisione in tempi brevi ed essendo lo stesso giudice istruttore competente ex art. 709, comma 4, a provvedere in tema di revoca e modifica dei provvedimenti presidenziali nell'interesse della prole e dei coniugi (Casaburi, 1610). Questa posizione è stata avallata, nella prassi, da Trib. Messina 5 aprile 2007, Giur. mer., 2007, n. 10, 2635. In senso diverso si è rilevato che, costituendo la controversia sull'esercizio della potestà genitoriale o le modalità di affidamento della prole un sub-procedimento nell'ambito del giudizio principale, la stessa deve essere decisa dal collegio (Carratta, 1559). Analogamente, in sede applicativa, Trib. Pisa 17 dicembre 2007 e Trib.Napoli 29 novembre 2007, in Corr. merito, 2008, 141. Nella giurisprudenza di merito, inoltre, va affermandosi la posizione, ancora diversa rispetto alle predette, per la quale la competenza spetta al giudice istruttore se la causa non è ancora nella fase decisoria ed al collegio quando la causa è in tale fase (v., tra le altre, Trib. Bologna 15 ottobre 2007; Trib. Termini Imerese 12 luglio 2006, in Foro it., 2007, I, 3243; Trib. Modena 29 gennaio 2007). Come evidenziato, invece, per i procedimenti di cui all'art. 710 c.p.c., incardinati quando non è più in corso la controversia sullo scioglimento o attenuazione del vincolo coniugale, è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. Sul punto si segnala una decisione di merito per la quale il comma 1 della disposizione in esame, applicabile ai procedimenti di revisione delle condizioni di divorzio per effetto dell'art. 9 l. n. 898/1970, nella parte in cui prevede la competenza del tribunale del luogo in cui il minore abbia la residenza deve essere interpretata nel senso che tale criterio di competenza valga anche laddove la sentenza di divorzio non sia ancora passata in giudicato per non essere ancora decorso il termine lungo o breve di impugnazione (Trib. Busto Arsizio 26 gennaio 2010). Tale regola di competenza deroga a quella di cui all'art. 18, norma che la giurisprudenza ritiene generalmente applicabile ai procedimenti instaurati ai sensi dell'art. 710 (v. Comm.). In astratto nessun problema di interferenza e quindi sulla competenza dovrebbe porsi in quanto dovrà ricorrersi al procedimento di cui all'art. 710 onde ottenere la revisione delle disposizioni sull'affidamento dei figli e l'attribuzione e l'esercizio della potestà genitoriale sugli stessi, mentre differenti sono le controversie per le quali possono essere richiesti provvedimenti ai sensi della norma in commento. Non può tuttavia escludersi un cumulo originario o successivo (i.e. determinato da una domanda riconvenzionale del coniuge convenuto) tra tali controversie, idoneo a comportare problemi in tema di competenza per territorio laddove non vi sia coincidenza tra la residenza del minore e quella del coniuge convenuto (in arg. Balena (-Bove), 421). Secondo alcuni una soluzione adeguata potrebbe essere individuata nell'interpretare estensivamente il riferimento operato dalla norma in esame ai procedimenti di cui all'art. 710, in modo da includere tutti i procedimenti relativi a provvedimenti sulla potestà genitoriale e l'affidamento dei figli anche nell'ipotesi in cui ne sia chiesta la revisione (Balena(-Bove), 422), ovvero tutte le fattispecie nelle quali non vi sia un procedimento in corso (Luiso-Sassani, 249). Per altri, invece, la soluzione dovrebbe essere individuata nell'applicazione, instaurato il tradizionale procedimento ex art. 710, dell'art. 20 in tema di fori alternativi per le cause in materia di obbligazioni, poiché tale previsione consentirebbe di cumulare, ad esempio, una controversia sulle modalità di affidamento del minore con le questioni di natura economica dinanzi al giudice del luogo ove l'obbligazione di mantenimento deve essere adempiuta, luogo che, probabilmente, è anche quello di residenza del minore (Salvaneschi, 2006, 153). Riparto di competenza tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni ex art. 38 disp. att. c.c L'art. 38 disp. att. c.c., nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dall'art. 3 della l. 20 dicembre 2012, n. 219, demandava alla competenza del tribunale per i minorenni l'emanazione dei «provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 171, 194, comma secondo, 250, 252, 262, 264, 326, 317-bis, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, nonché nel caso di minori dall'articolo 269, primo comma, del codice civile». Nel comma secondo si precisava che rientravano, invece, nella competenza del tribunale ordinario i provvedimenti non attribuiti espressamente alla competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nella vigenza di tale previsione normativa, si riteneva che quando nell'esercizio della potestà genitoriale si realizzava un pregiudizio all'interesse del minore, la competenza ai sensi dell'art. 333 c.c. si radicava in capo al tribunale per i minorenni. In particolare, la S.C. aveva affermato che, poiché il discrimine tra la competenza del tribunale ordinario e quella del tribunale per i minorenni deve essere individuato in riferimento al petitum ed alla causa petendi, rientrano, ai sensi del combinato disposto degli artt. 333 cc. e 38 disp. att. c.c., nella competenza del tribunale per i minorenni le domande finalizzate ad ottenere provvedimenti cautelari e temporanei idonei ad ovviare a situazioni pregiudizievoli per il minore, anche se non di gravità tale da giustificare la declaratoria di decadenza dalla potestà genitoriale, di cui all'art. 330 c.c., mentre appartengono alla competenza del tribunale ordinario, in sede di separazione personale dei coniugi, di annullamento del matrimonio o di divorzio, le pronunzie di affidamento dei minori che mirino solo ad individuare quale dei due genitori sia più idoneo a prendersi cura del figlio (Cass. I, n. 3765/2001). Tuttavia, anche nell'assetto normativo delineato dalla pregressa formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., era problematica l'individuazione dell'autorità giudiziaria competente a decidere in ordine all'esercizio della potestà sul minore, in pendenza di un procedimento di separazione personale tra i genitori. Invero, la questione si correlava al disposto dell'art. 155, comma 3, c.c., che, già nel testo introdotto dall'art. 36 della l. 19 maggio 1975, n. 151, stabiliva che il coniuge separato non collocatario potesse ricorrere al tribunale ordinario nell'ipotesi in cui assumesse l'adozione da parte del coniuge esercente la potestà di decisioni pregiudizievoli al figlio. In effetti, se non sussistevano dubbi in ordine alla «riserva» di competenza del tribunale per i minorenni ai fini dell'assunzione dei provvedimenti ablativi, ci si interrogava sull'attribuzione, da parte dell'art. 155, comma 3, c.c., di una competenza concorrente al tribunale ordinario per l'adozione dei «provvedimenti convenienti» ex art. 333 c.c. Sulla questione, già prima della riforma di cui alla l. 8 febbraio 2006, n. 54, la Corte di legittimità aveva chiarito che la tutela della prole rispetto ad una condotta pregiudizievole dei genitori non costituiva ragione esclusiva per radicare la competenza del tribunale per i minorenni ex art. 333 c.c., potendo, per vero, la stessa essere demandata alla competenza del tribunale ordinario, come causa di adozione dei provvedimenti relativi all'esercizio della potestà nella sentenza di separazione o nei provvedimenti assunti ai sensi dell'art. 155, ultimo comma, c.c. (Cass. I, n. 3159/1997). La problematica è stata, in seguito, oggetto di peculiare attenzione da parte di un'altra decisione della S.C., la quale — considerando i poteri di intervento del tribunale ordinario in pendenza di un procedimento di separazione coniugale tra i gentori ai sensi dell'art. 155 c.c. (anche nella formulazione successiva alla l. n. 54/2006), al disposto dell'art. 6, comma 8, della l. 1° dicembre 1970, n. 898, in tema di divorzio ed ai poteri del giudice ordinario adito ex art. 709-ter c.p.c. — ha statuito che non sussiste alcun limite alla competenza del giudice ordinario correlato alla tipologia dei provvedimenti da assumere nei confronti dei minori. In particolare, la S.C. ha sottolineato che tanto il giudice specializzato (nel caso di coppie non coniugate o tra le quali comunque non penda un procedimento di separazione) che il giudice della separazione e del divorzio, a fronte di una situazione di pregiudizio per i minori, possono assumere i provvedimenti volti alla tutela degli stessi. Non trascurabile, nell'argomentare della Corte, è il rilievo per il quale «è assai difficile, se non impossibile, distinguere una domanda di modifica pura e semplice da quella fondata appunto sul comportamento pregiudizievole (o, magari, sul grave abuso) del genitore: la competenza (in questo caso) speciale del Tribunale ordinario, trattandosi di genitori separati, prevarrebbe su quella generale dell'organo giudiziario minorile in materia di limitazione della potestà» (Cass. I, n. 20352/2011). Il quadro normativo del riparto di competenze tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario è radicalmente mutato a seguito delle modifiche apportate all'art. 38 disp. att. dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219. Nell'attuale formulazione, invero, la norma stabilisce che «sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84,90,330,332,333,334,335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all'articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316, del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario». Peraltro, non può trascurarsi, per la ricostruzione del complessivo quadro normativo, che l'art. 96 del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha aggiunto al richiamato comma 1 dell'art. 38 disp. att. c.c. un altro periodo che demanda alla competenza del tribunale per i minorenni l'emanazione dei provvedimenti previsti dagli artt. 251 e 317-bis c.c. Il testo novellato dall'art. 38 disp. att. c.c. continua quindi ad attribuire alla competenza del tribunale minorile i procedimenti de potestate ed a pronunciare i decreti limitativi o ablativi della potestà genitoriale ove ricorrano i presupposti indicati dagli artt. 330 — 335 c.c., competenza che subisce, tuttavia, una significativa deroga in favore del tribunale ordinario quando sia in corso, tra le stesse parti, un giudizio di separazione o divorzio o penda un giudizio sull'esercizio della responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 316 c.c. La riforma ha la propria ratio nella concentrazione della tutela, ai fini dell'effettività della stessa, dinanzi ad un unico giudice. Il legislatore, perseguendo tale obiettivo, piuttosto che incidere sui criteri di competenza, ha previsto, al ricorrere di determinate condizioni, una vis attractiva tra un procedimento «pilota» ed un procedimento «vicario» (Danovi, 620). Il novellato art. 38 disp. att. c.c. sembra non attribuire, per converso, alcuna competenza per attrazione del tribunale ordinario di fronte al quale sia in corso un procedimento relativo all'affidamento ovvero all'esercizio della responsabilità genitoriale sui figli di genitori non coniugati ai sensi dell'art. 317-bis, ora art. 337-ter c.c. Secondo alcuni tale lacuna non sarebbe superabile in via interpretativa, in ragione del principio per il quale le norme sulla competenza sono di stretta interpretazione (Tommaseo, 560). È stato tuttavia evidenziato, in senso diverso, che andrebbe considerata la finalità normativa di evitare qualsivoglia discriminazione, peraltro con evidenti profili di incostituzionalità, tra i figli correlata allo status giuridico dei genitori (Lupoi, 1293). Molteplici sono, in realtà, gli interrogativi suscitati dalla novellata formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c. La S.C. nell'affrontare la spinosa questione, ha ritenuto che l'art. 38, comma 1, disp. att. c.c. (come modificato dall'art. 3, comma 1, l. n. 219/2012, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di limitazione e decadenza dalla potestà genitoriale di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass. n. 1349/2015). In sede applicativa, con riferimento alle «interferenze» con la norma in esame, si è recentemente evidenziato che la disciplina dell'art. 709- ter c.p.c. attiene alle questioni inerenti all'attuazione dei provvedimenti relativi ai figli, in materia di affidamento ed esercizio della responsabilità genitoriale, ossia a un ambito diverso rispetto a quello relativo ai provvedimenti de potestate di cui agli artt. 330 e 333 c.c., sicché pendenti i giudizi di separazione, divorzio, nullità del matrimonio, della regolamentazione dei rapporti relativi ai figli di genitori non coniugati, la competenza, per i casi di gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, è sempre quella del giudice del tribunale ordinario e, peraltro, rimane ferma la competenza del Tribunale ordinario per i provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c. anche quando la sentenza di separazione e divorzio sia passata in giudicato (Trib. min. Potenza 13 marzo 2017, in Ilfamiliarista, 26 maggio 2017). Su questo contesto è intervenuto il legislatore con le misure, immediatamente precettive decorsi sei mesi dalla pubblicazione della legge in Gazzetta Ufficiale, inserite nella legge di riforma del processo civile - l. 26 novembre 2021, n. 206 - che vanno a modificare l'art. 38 disp. att. c.c., disciplinando espressamente (e opportunamente) quelle ipotesi, non infrequenti, nelle quali il ricorso in esame sia proposto in pendenza o poco prima di un giudizio di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale dinanzi al Tribunale per i minorenni. Più in particolare, l'art. 1, comma 28, di tale legge prevede una novellazione del predetto art. 38 disp. att. c.c. nel senso di attribuire al tribunale per i minorenni la competenza per il ricorso disciplinato dalla norma in esame quando è già pendente o instaurato successivamente, tra le stesse parti, uno dei procedimenti rimessi alla competenza dello stesso tribunale, previsti dagli artt. 330,332,333,334 e 335 c.c. La norma specifica che qualora sia già pendente (al momento dell'instaurazione dei procedimenti dinanzi al tribunale per i minorenni volti ad incidere sulla responsabilità genitoriale) o venga instaurato un autonomo procedimento ai sensi dell'art. 709-ter dinanzi al tribunale ordinario, quest'ultimo, d'ufficio o a istanza di parte, adotta senza indugio tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale per i minorenni, di fronte al quale il procedimento, previa riunione, continua. Si precisa, poi, che i provvedimenti adottati dal tribunale ordinario conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati, con provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni. Tali disposizioni entreranno in vigore per i procedimenti incardinati dalla data del 22 giugno 2022. ProcedimentoIl comma 2 si limita a stabilire, a riguardo, che a seguito del deposito del ricorso, il giudice convoca le parti ed adotta i provvedimenti opportuni. Il procedimento dovrebbe peraltro seguire le forme previste dagli artt. 737 e ss. (contraCarratta1569 ss., il quale ritiene che, trattandosi di un procedimento volto all'accertamento di responsabilità dovrebbero essere applicate le norme sul giudizio di separazione o divorzio). Il procedimento è quindi introdotto mediante ricorso, avente gli elementi di cui all'art. 125, e depositato il quale il giudice fissa in calce allo stesso la data dell'udienza di comparizione, assegnando al ricorrente un termine per la notifica del ricorso e del pedissequo decreto. Ai fini della decisione sull'emanazione di misure sanzionatorie potrà essere espletata attività istruttoria (Luiso-Sassani, 250; Balena (-Bove), 422-423), nel corso della quale, trovando applicazione il rito camerale il giudice istruttore potrà utilizzare anche poteri istruttori officiosi ex art. 738 (Doronzo, 624). Misure comminabili nei confronti del genitore inadempienteLa portata maggiormente innovativa ascrivibile alla norma in commento è la previsione della possibilità per il giudice adito non soltanto di modificare i provvedimenti in vigore ma, altresì, di adottare, anche congiuntamente, provvedimenti sanzionatori. Infatti, se non emergono comportamenti definibili, almeno in senso lato, illeciti, il giudice si limiterà a dirimere la controversia, determinando i comportamenti che devono essere tenuti dai genitori, viceversa emanerà i richiamati provvedimenti (Luiso-Sassani, 250). È controverso, peraltro, in giurisprudenza se le misure in esame possano essere adottate anche solo per la violazione da parte di un coniuge degli obblighi di natura economica (Trib. Lodi, 19 febbraio 2019, n. 189; Trib. Modena II, 20 gennaio 2012, in Giur. mer., 2012, n. 3, 600; Trib. Roma 10 giugno 2011, in Dir. fam., 2012, n. 1, 298) ovvero se le stesse siano riservate a comportamenti pregiudizievoli rispetto alla disciplina dell'affidamento ed all'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti della prole (App. Caltanissetta, 3 maggio 2012, in Guida dir., 2012, n. 25, 7, con nota di Porracciolo). Sulla questione è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 145 del 2020 la quale, mediante una pronuncia interpretativa di rigetto, ha chiarito che l'art. 709-ter c.p.c. ha un ambito applicativo limitato al mancato rispetto degli obblighi, sovente incoercibili, e quindi non di natura meramente economica, a fronte dell'inadempimento dei quali l'ordinamento già predispone mezzi efficaci di tutela. Sull'ambito applicativo della norma in esame, potrebbero peraltro incidere nel prossimo futuro le modalità con le quali il Governo eserciterà la delega contenuta nell'art. 1, comma 23, lett. mm), della stessa l. n. 206/2021, nella parte in cui è demandato allo stesso di <<procedere al riordino della disciplina di cui all'articolo 709-ter del codice di procedura civile, con possibilità di adottare anche d'ufficio, previa instaurazione del contraddittorio, provvedimenti ai sensi dell'articolo 614-bis del codice di procedura civile in caso di inadempimento agli obblighi di fare e di non fare anche quando relativi ai minori>>. Allo stato le misure che possono essere emanate a fronte del grave inadempimento di uno dei genitori rispetto ai doveri enucleati dal provvedimento relativo all'affidamento della prole o di atti comunque pregiudizievoli per la corretta esplicazione delle modalità di affidamento della stessa, sono, secondo un criterio di progressiva afflittività: a) l'ammonimento del genitore inadempiente; b-c) la condanna al risarcimento dei danni a carico del genitore inadempiente ed a favore dell'altro genitore o del minore; d) la condanna del genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, quantificata nel minimo in 75 euro e nel massimo in 5000 euro, a favore della Cassa delle ammende. Manca una tipizzazione legislativa delle ipotesi nelle quali, a fronte di un determinato inadempimento o comportamento, deve essere adottata una misura piuttosto che l'altra, talché la relativa valutazione è rimessa al potere discrezionale del giudice (Doronzo, 625). Sulla portata del potere discrezionale del giudice nella scelta del trattamento sanzionatorio, sia sulla necessità o meno di disporre sanzioni, rispetto alla ratio della norma, v. Trib. min. Milano 14 giugno 2012, n. 529. Nel silenzio del legislatore sul punto, sorge la questione se il giudice possa pronunciare le misure in esame d'ufficio ovvero se sia necessaria una domanda di parte (a fronte dell'omessa pronuncia della quale, nel procedimento principale, è nullo il provvedimento definitivo di merito: Cass. VI, n. 6875/2018). In dottrina si tende a ritenere possibile una pronuncia d'ufficio, ponendo in rilievo il carattere eminentemente sanzionatorio dei provvedimenti in questione, da emanare in vista dell'interesse, di natura pubblica, del minore (v., tra gli altri, Carratta, 1568). Questa posizione sembra avere il conforto della giurisprudenza (cfr., tra le tante, Trib. Milano, IX, 2 maggio 2019, n. 4202; Trib. Padova I, 3 ottobre 2008). Più generale è la qualificazione di tali misure che, per alcuni, sarebbero tutte di coercizione indiretta, sul modello delle astreintes del sistema francese, tese a favorire l'adempimento di obbligazioni familiari di carattere non patrimoniale (cfr. Salvaneschi, 2006, 152), mentre, per altri, dovrebbe operarsi una distinzione, in quanto, se è corretto attribuire natura punitiva alla sanzione amministrativa dell'ammenda, alle medesime conclusioni non può pervenirsi anche per il risarcimento dei danni a favore dell'altro coniuge o del figlio minore, che seguirebbe ad una canonica forma di responsabilità civile nelle relazioni familiari già teorizzata dalla recente giurisprudenza di legittimità (Rossini, 407 ss.). La prima tesi è stata affermata, in sede di pretoria, da diverse decisioni di merito (cfr., tra le altre, Trib. Messina I, 8 ottobre 2012; Trib. Novara, 21 luglio 2011, in Giur. mer., 2013, n. 5, 1048, con nota di Russo; Trib. Reggio Emilia 27 marzo 2008, Fam. e dir., 2009, n. 2, 189; Trib. Napoli 30 aprile 2008, Fam. e dir., 2008, n. 11, 1024).Questa posizione è stata recentemente ribadita, evidenziando che il risarcimento dei danni, previsto a carico del genitore che non abbia adempiuto i provvedimenti giudiziali relativi alla prole, ovvero abbia comunque tenuto condotte pregiudizievoli per il figlio minore, ha natura sanzionatoria, sicché prescinde dal concreto accertamento del pregiudizio arrecato ed è invece rapportabile ai danni punitivi (Trib. Venezia, 18 maggio 2018, in Foro it., 2018, I, 2178, fattispecie nella quale il tribunale ha condannato il padre, che esercitava del tutto sporadicamente il diritto di visita ed era assente dalla vita del figlio minore, con conseguente sofferenza di quest'ultimo, al risarcimento dei danni, in favore del figlio stesso, quantificati equitativamente in un importo corrispondente a quello dovuto per il suo mantenimento a decorrere dall'udienza presidenziale nel giudizio di separazione, disponendone infine l'affido esclusivo alla madre; nel senso della natura sanzionatoria delle misure risarcitorie v. anche Trib. Milano, IX, 2 maggio 2019, n. 4202). Inizialmente in sede di merito era prevalsa la differente impostazione interpretativa sul generale assunto in omaggio al quale in tema di controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affidamento, la condanna al risarcimento del danno non può essere ascritta alla categoria del danno punitivo, o pena privata, in quanto, avendo il legislatore differenziato la condanna in considerazione del soggetto danneggiato prevedendo due ipotesi diverse ai nn. 2) e 3) dell'articolo 709- ter, non può sostenersi che tale condanna debba essere commisurata alla gravità della condotta posta in essere dal genitore inadempiente, e non al pregiudizio arrecato, secondo i principi generali dell'azione risarcitoria (App. Catania 18 febbraio 2010, in Il civilista, 2011, n. 2, 61, con nota di Cimmino). In tale prospettiva, si è affermato, che, per l'adozione della misura risarcitoria, devono sussistere i presupposti tipici del rimedio risarcitorio, e cioè la sussistenza di un concreto pregiudizio, e il nesso di causalità tra la condotta illecita e il pregiudizio stesso, potendo, in mancanza, un determinato comportamento lesivo essere sanzionato attraverso i rimedi dell'ammonizione e della sanzione pecuniaria (Trib. Modena II, 17 settembre 2012, n. 1425; v. anche Trib. Firenze 7 maggio 2012, Foro it., 2012, n. 6, 1941; Trib. Ascoli Piceno 21 maggio 2015). La S.C. ha opinato invece in senso analogo al primo dei ripercorsi orientamenti chiarendo, innanzi tutto, che le misure sanzionatorie previste dall'art. 709-ter c.p.c. e, in particolare, la condanna al pagamento di sanzione amministrativa pecuniaria, sono suscettibili di essere applicate facoltativamente dal giudice nei confronti del genitore responsabile di gravi inadempienze e di atti "che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento". Inoltre, ha evidenziato che dette misure non presuppongono l'accertamento in concreto di un pregiudizio subito dal minore, poiché l'uso della congiunzione disgiuntiva "od" evidenzia che l'avere ostacolato il corretto svolgimento delle prescrizioni giudiziali è un fatto che giustifica di per sé l'irrogazione della condanna, coerentemente con la funzione deterrente e sanzionatoria intrinseca alla norma richiamata (Cass. I, n. 16980/2018). Occorre a riguardo considerare che lo stesso art. 1, comma 33, della legge 26 novembre 2021, n. 206di delega al Governo per la riforma del processo civile, prevede, con disposizione immediatamente precettiva – destinata ad entrare in vigore entro 180 giorni dalla pubblicazione del disegno di legge in Gazzetta Ufficiale e, quindi, dalla data del prossimo 22 giugno 2022, – la sostituzione del secondo comma n. 3) della norma in esame con la previsione secondo cui il giudice nel disporre il risarcimento dei danni di uno dei genitori a carico dell'altro può individuare anche la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. In detta ipotesi, il provvedimento del giudice costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'articolo 614-bis. Questa modifica consente alla misura di operare in maniera più efficace in quanto non limitata a disporre il risarcimento dei danni per la violazione, già avvenuta, di un provvedimento riguardante gli obblighi infungibili nei confronti della prole, ma anche in vista di successive analoghe violazioni. L'ammonimento costituisce una semplice moral suasion nei confronti del genitore inadempiente (Doronzo, 625). Nella prassi si è ritenuto che costituisce una grave inadempienza, da sanzionare con l'ammonimento, la condotta del genitore che non concorda con l'altro, neanche informandolo compiutamente, la partecipazione del figlio minore infradodicenne — in regime di affidamento condiviso — ad un percorso di catechesi, finalizzato al battesimo, quest'ultimo originariamente escluso concordemente dai genitori medesimi (App. Milano 21 febbraio 2011, in Foro it., 2012, n. 3, 919). È stato inoltre ritenuto suscettibile di ammonimento, ai sensi della disposizione in esame, il genitore affidatario esclusivo del figlio minore che trasferisce la residenza sua e del figlio convivente senza il preventivo consenso dell'altro genitore, così rendendo più difficile il mantenimento di un continuo rapporto fra figlio e genitore non affidatario (Trib. Tivoli 1° febbraio 2011). Diversamente, si è esclusa la sanzione dell'ammonimento ove le controversie tra i genitori riguardino, non tanto inadempienze gravi o reali ostacoli al corretto svolgimento dell'affidamento della prole minorenne, ma piuttosto la gestione minimale della concreta vita di tutti i giorni, che i genitori stessi hanno l'onere di risolvere in autonomia, con l'impegno collaborativo che il regime dell'affidamento condiviso impone loro (Trib. Modena II, 28 marzo 2012, in Giur. mer., 2013, n. 5, 1047, con nota di Russo). Con riguardo alla sanzione amministrativa disposta ai sensi del comma 2 n. 4 della norma in esame, devono trovare applicazione le regole generali dettate dalla l. n. 689/1981. Parte della dottrina ha però dubitato della legittimità costituzionale in parte qua della disposizione in esame per contrasto con il principio di tipicità e determinatezza delle condotte che possono comportare l'applicazione delle sanzioni in questione (Doronzo, 625-626). La fondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale, prospettata con riferimento all'art. 25 Cost., è stata esclusa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 145 del 2020, osservando che è possibile individuare i comportamenti sanzionabili in quelle condotte – da ricondurre a “inadempienze o violazioni” di prescrizioni dettate in un provvedimento giurisdizionale, pur non apparentemente “gravi” – che abbiano arrecato alla prole un danno, anche non patrimoniale, accertabile e valutabile secondo gli ordinari criteri. Si è osservato che la condanna al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria debba essere disposta avendo riguardo alla gravità dell'azione compiuta senza svolgere istruttoria sull'esistenza e l'entità dei danni, istruttoria invece necessaria nell'ipotesi in cui venga disposta la condanna al pagamento di una somma di denaro per riparare all'illecito (Di Girolamo). Sul potere del giudice di disporre la sanzione amministrativa pecuniaria in questione cfr., di recente, Cass., n. 13400/2019. Impugnazione dei provvedimentiL'ultimo comma stabilisce che i provvedimenti assunti ai sensi della stessa sono impugnabili nei modi ordinari. La S.C. ha chiarito che tale espressione deve essere intesa nel senso che la legge opera un richiamo ai mezzi «ordinari» di impugnazione previsti per la gamma di provvedimenti indicati nella norma in esame (Cass. n. 21718/2010, in Dir. fam., 2011, n. 2, 651, con nota di Zingales). Sul punto, in sede applicativa si è affermato che le ordinanze emesse dal giudice istruttore ai sensi dell'art. 709-ter, non sono reclamabili ex art. 669-terdecies, ma possono essere reclamate alla Corte d'Appello, ex art. 739, se emesse all'esito o nel corso di un giudizio ex art. 710 ovvero, ex art. 708 comma 4, se emesse all'esito o nel corso della fase presidenziale, mentre qualora detti provvedimenti siano emessi o confermati nella sentenza che definisce il giudizio, gli stessi potranno essere impugnati nelle forme ordinarie di cui all'art. 323 (Trib. Arezzo, 3 febbraio 2009). Sotto un distinto profilo, occorre chiedersi se ed in quali ipotesi i provvedimenti emessi dalla Corte d'Appello (non ovviamente in sede di impugnazione ordinaria della sentenza di separazione o divorzio, ricorribile per cassazione in via ordinaria) possano essere oggetto di ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. Sul punto, la Corte di Cassazione ha statuito che il provvedimento emesso ai sensi della disposizione in esame, con il quale il giudice, nella controversia insorta tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale, abbia irrogato una sanzione pecuniaria o condannato al risarcimento dei danni il genitore inadempiente agli obblighi posti a suo carico, rivestendo i caratteri della decisorietà e della definitività all'esito della fase del reclamo (a differenza delle statuizioni relative alle modalità di affidamento dei minori), è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 18977/2013). Di recente, la S.C. ha più in generale riconosciuto che anche i provvedimenti de potestate adottati ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. dalla corte d'appello in sede di reclamo, al fine di risolvere l'intervenuto contrasto genitoriale, hanno natura stabile e carattere decisorio, pertanto nei loro confronti è ammesso ricorso per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. (e ciò anche ove siano destinati ad avere un'efficacia circoscritta nel tempo, come avviene in riferimento alla scelta della scuola presso cui iscrivere il figlio per un anno scolastico: Cass. I, n. 21553/2021). Casistica L'assenza, volontaria, consapevole e chiara, del genitore di cui tratta l'art. 709-ter c.p.c.si realizza quando la di lui condotta si traduce in una completa non curanza della crescita del figlio, facendogli mancare, senza soluzione di continuità e fin dall'inizio, la presenza affettiva cui il figlio ha diritto e che costituisce uno dei doveri inderogabili della genitorialità (Trib. Ascoli Piceno 21 maggio 2015). Nell'ambito del giudizio finalizzato al riconoscimento della paternità il padre va condannato a risarcire il danno non patrimoniale richiesto dal figlio per mancanza del sostegno morale e materiale ed in particolare per non aver potuto intraprendere gli studi universitari, ciò non ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. come danno punitivo o sanzionatorio ma come danni da c.d. illecito endofamiliare ricompresi nell'alveo della previsione di cui all'art. 2059 c.c. (Trib. Matera, 7 dicembre 2017, n. 1370). È onere di ogni genitore attivarsi per recuperare e mantenere l'immagine dell'altro genitore nei confronti del figlio, sicché in caso di "boicottaggio” di un genitore nei confronti dell'altro, scatta la sanzione del risarcimento del danno prevista dall'art. 709-ter comma 3 c.p.c. (Trib. Roma I, 11 ottobre 2016, n. 18799, in Guida dir. 2016, n. 44, 26, che, nella specie, ha condannato la madre collocataria al pagamento di 30mila euro in favore del padre in quanto la donna, anziché attivarsi per «consentire il giusto recupero del ruolo paterno da parte del figlio», aveva continuato a «palesare la sua disapprovazione in termini screditanti nei confronti del marito"). La madre di un minore non può modificare unilateralmente il regime di affidamento del figlio stabilito con provvedimento del Tribunale (nel caso di specie, oltre all'ammonimento a rispettare il vigente regime di affidamento del figlio minore il Tribunale condanna la madre ricorrente al pagamento di una sanzione ex art. 709-ter c.p.c.: Trib. Avellino 29 settembre 2016). In tema di affidamento condiviso dei figli minori, nella specie in forza di separazione consensuale dei genitori, costituisce condotta illecita, sanzionabile con le misure di cui all'art. 709-ter c.p.c., sia la modifica unilaterale della residenza del minore, ad opera del genitore collocatario, che però non comporta automaticamente il collocamento presso l'altro genitore, dovendosi pur sempre dare prevalenza all'interesse del minore, sia la decisione unilaterale, da parte dell'altro genitore, di far seguire al figlio un corso di catechismo (Trib. Roma, 26 marzo 2016, in Foro it., 2016, n. 7-8, I, 2605, con nota di Casaburi: nella specie, il tribunale ha inflitto ad entrambi i genitori la sanzione dell'ammonimento; pur non disponendo il ritorno della minore nell'originario comune di residenza, ha però statuito che essa continui a frequentare la scuola in quel comune, poco lontano da quello di attuale residenza, ha rimodulato le modalità di permanenza con l'uno e l'altro genitore ed infine ha confermato la frequentazione del catechismo, in conformità alle originarie scelte educative dei genitori, sempre nel comune di origine). Il comportamento del coniuge (madre) che, dopo aver inizialmente manifestato la volontà di addivenire a una separazione pacifica con l'altro coniuge (padre), arbitrariamente si allontani dall'Italia portando con sé le figlie minori, senza il consenso del padre e che non presti adempimento immediato ai reiterati ordini di rientro, costituisce indice rivelatore di non idoneità genitoriale tale da giustificare l'affidamento esclusivo al padre (a cui va attribuita la responsabilità genitoriale ex art. 337-quater, comma 3, c.c. anche in relazione alle decisioni di maggiore interesse per la prole) e l'applicazione, ex officio, delle misure sanzionatorio-coercitive di cui agli artt. 709-ter, comma 2, n. 1 e 614-bis c.p.c. (Trib. Milano, IX, 2 maggio 2019, n. 4202). La condotta alienante del genitore collocatario di un figlio minore preadolescente, intesa non in termini di patologia clinica, ma come insieme di comportamenti, anche non dolosi, per emarginare e neutralizzare l'altro genitore, al punto che il figlio ne abbia una visione distorta e rifiuti di frequentarlo, giustifica l'affidamento del minore stesso al comune di residenza, con collocamento provvisorio (adeguatamente monitorato dai servizi sociali) presso il primo genitore, cui vanno impartite idonee prescrizioni al fine di conseguire un superamento della richiamata alienazione, anche a mezzo di adeguato supporto psicologico al figlio, e con facoltà per l'ente, in caso contrario, di modificare tale collocamento (Trib. Milano IX, 11 marzo 2017, in Foro it., 2017, I, 1212, con nota di Casaburi: nella specie, il tribunale ha anche condannato il genitore alienante, la madre, che aveva chiesto infliggersi al padre le sanzioni di cui all'art. 709-ter c.p.c., al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.). All'interno di un procedimento ex art. 337-quinquies c.c., una volta accertati gli atteggiamenti ostativi alla frequentazione dei figli da parte dell'ex coniuge, oltre all'ammonimento previsto dall'art. 709-ter c.p.c., è possibile disporre, sempre ex officio, le misure ex art. 614-bis in qualità di deterrente a tale condotta pregiudizievole (Trib. Milano IX, 7 gennaio 2018). Va accolta la richiesta risarcitoria avanzata dal padre nei confronti della madre quando il Giudice di merito, attraverso un prudente apprezzamento dei fatti, accerta che la relazione affettiva tra padre e figlio è stata gravemente pregiudicata da una condotta alienante della madre, che si rende così responsabile di ledere sia il diritto del figlio alla bigenitorialità che il diritto del padre di poter vivere il proprio ruolo genitoriale (Trib. Cosenza, II, 7 novembre 2019, n. 549, in Ilfamiliarista.it, con nota di Fiorendi). Il rifiuto della minore nei confronti del padre riconducibile alla sua volontà e non a plagio della madre giustifica la mancata applicazione delle misure previste dall'art 709-ter c.p.c. (Cass. I, n. 27207/2019, in Ilfamiliarista.it, con nota di Viccei). In tema di rapporti con la prole, il diritto dovere di visita del figlio minore spettante al genitore non collocatario, non è suscettibile di coercizione neppure nelle forme indirette previste dall'art. 614-bis c.p.c., trattandosi di un ‘potere-funzione' che, non essendo sussumibile negli obblighi la cui violazione integra una grave inadempienza ex art. 709-ter c.p.c., è destinato a rimanere libero nel suo esercizio, quale esito di autonome scelte che rispondono anche all'interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata (Cass. I, n. 6471/2020; conf. App. Milano, V, n. 1274/2021). In tema di controversie sull'affidamento dei figli la mancata adesione al percorso di mediazione di per sé non integra “ inadempimento” alle prescrizioni dell'autorità giudiziaria posto che l'autorità giudiziaria non può “ imporre” ai genitori la prescrizione di percorsi terapeutici ma può, invece, invitare le parti a seguire percorsi di sostegno alla genitorialità funzionali al superamento di conflittualità pregiudizievoli per i minori potendo però valutare la mancata adesione al percorso “ suggerito” quale elemento rilevante ai fini dell'adozione di un diverso regime di affidamento ovvero di provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, adottabili anche in via ufficiosa a tutela del preminente interesse del minore (Trib. Perugia, 16 settembre 2020). Posto che l'interesse di un minore ancora in tenera età (nella specie, tre anni) non è leso dalla mancata somministrazione di un sacramento, in ordine al quale egli non può ancora esprimere una scelta autonoma, tanto più se cresciuto in una famiglia non praticante, e fermo che, semmai, i genitori devono impartirgli insegnamenti morali (attinenti ad un credo religioso o anche aconfessionali) secondo la propria libera autodeterminazione, è infondato e va rigettato il ricorso proposto, ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c., dal genitore non collocatario volto a conseguire l'ammonimento dell'altro, oltre che l'irrogazione allo stesso di una sanzione pecuniaria, perché ottemperi alle formalità necessarie al battesimo del figlio (App. Napoli, 17 gennaio 2018, in Foro it., 2018, I, 1645). Sanzioni penaliIl d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, in vigore dal 6 aprile 2018, ha inserito nel codice penale l'art. 570-bis, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio, estendendo espressamente le pene previste dall'articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli. Pertanto, non vi è più dubbio che tale responsabilità penale possa essere sancita,a prescindere dallo stato di bisogno dell'altro coniuge, ogni qual volta il coniuge onerato violi gli obblighi di natura economica assunti o determinati in sede di separazione nonché quelli in tema di affidamento della prole. La nuova disposizione ha quale obiettivo quello di ampliare le tutele rispetto a quelle tradizionalmente previste dall'art. 570, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, che è particolarmente limitativo in tal senso, stabilendo che le stesse pene vengano applicate nei confronti di colui che fa mancare i mezzi di assistenza ai discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia separato per sua colpa. Nell'assetto anteriore all'introduzione dell'art. 570-bis c.p., pertanto, le sanzioni penali erano comminabili soltanto ove sussistesse una situazione di bisogno del coniuge separato o della prole minorenne ed in relazione ai minimi mezzi di sussistenza. 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