Codice Civile art. 217 - Amministrazione e godimento dei beni (1).

Gustavo Danise

Amministrazione e godimento dei beni (1).

[I]. Ciascun coniuge ha il godimento e l'amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo.

[II]. Se ad uno dei coniugi è stata conferita la procura ad amministrare i beni dell'altro con l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli è tenuto verso l'altro coniuge secondo le regole del mandato [185, 1703 ss.].

[III]. Se uno dei coniugi ha amministrato i beni dell'altro con procura senza l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli ed i suoi eredi, a richiesta dell'altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli consumati [185].

[IV]. Se uno dei coniugi, nonostante l'opposizione dell'altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti [185].

(1) Articolo così sostituito dall'art. 85 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 82 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione.

Inquadramento

L'art. 217 c.c. è dedicato all'amministrazione dei beni nel regime di separazione. In considerazione del fatto che la separazione dei beni attribuisce a ciascun coniuge la proprietà esclusiva dei beni che acquista dopo il matrimonio, anche l'amministrazione di tali beni deve spettare esclusivamente a lui; questa regola generale è prevista nel primo comma. I commi successivi regolano le ipotesi in cui i beni di un coniuge siano amministrati dall'altro su procura con (comma 2) e senza (comma 3) obbligo di rendiconto; mentre l'ultimo comma disciplina gli effetti dell'amministrazione dei beni di un coniuge contro la volontà del titolare (comma 4). La norma si applica alle parti di una unione civile ex art. 1 comma 13 l. n. 76/2016.

L'amministrazione esclusiva dei beni personali.

La disposizione ha sostituito l'art. 212 c.c. sull'amministrazione dei beni parafernali della moglie da parte del marito, ricalcandone sostanzialmente la disciplina, ad eccezione dell'amministrazione invito domino che ivi non era prevista, mentre era regolata l'amministrazione tollerata, non riprodotta invece nella disposizione in commento (Cattaneo, 427). Il primo problema da porsi è se le norme sull'amministrazione dei beni contenute nell'art. 217 c.c. trovino applicazione anche quando la separazione dei beni si instauri legalmente ed automaticamente in presenza di una causa di scioglimento della comunione legale. Il problema è stato affrontato in sede di commento dell'art. 215 c.c.; la dottrina maggioritaria ritiene che, sciogliendosi la comunione legale, si instauri automaticamente la separazione dei beni, con conseguente applicazione della disciplina ad essa dedicata, quindi anche dell'art. 217 (opinione sostenuta dalla dottrina maggioritaria, Cattaneo, 428; Perego, 3; Maiorca, 100; Galletta, 451 ss.; Sesta-Valignani, 516 ss.); altri autori, diversamente, sostengono che si verifichi un'assenza di regime patrimoniale, con conseguente riespansione delle disposizioni codicistiche comuni, per cui di fatto si verifica una separazione dei beni,ma non in senso tecnico, con riferimento al regime descritto negli artt. 215 ss. c.c., ma come effetto giuridico naturale dello scioglimento della comunione legale (cfr. commento all'art. 215 c.c. in quest'opera ove si affronta la questione in relazione ad ogni singola causa di scioglimento della comunione legale). Un secondo problema da affrontare attiene al rapporto tra l'art. 185 c.c. e l'art. 217; il primo, collocato sistematicamente nella disciplina dedicata alla comunione legale, stabilisce che ai beni personali di un coniuge (art. 179 c.c.), che non rientrino nel fondo patrimoniale, si applichino le disposizioni dei commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 217 sulla separazione dei beni. La dottrina maggioritaria ritiene che l'intero art. 217 debba trovare applicazione, anche con riguardo ai beni personali che ricadranno in comunione de residuo al momento dello scioglimento della comunione, spiegando il mancato richiamo del comma 1 da parte del legislatore con la superfluità della previsione, in considerazione del fatto che l'amministrazione esclusiva costituisce la regola generale dell'amministrazione dei beni personali, che deriva, quale conseguenza naturale, dalla pienezza dei poteri, diritti e facoltà riconosciuta al proprietario dall'art. 832 c.c. (Cattaneo, 429; Sesta-Valignani, 516). Il principio del godimento e dell'amministrazione esclusiva dei beni di cui ciascun coniuge è titolare deve essere coordinato con l'obbligo che incombe su entrambi di contribuire ai bisogni della famiglia secondo l'indirizzo familiare concordato (Valignani, 627; Oberto, 130; Cavallaro, 133), che rappresenta quindi un limite tacito ed intrinseco del godimento e dell'amministrazione dei beni personali, ancorché non richiamato nel comma 1 (Cattaneo, 429; Santosuosso, 351 ss.; Valignani, 627; Sesta-Valignani, 516; Oberto, 130; Galletta, 451). Pertanto, se un coniuge mette un suo bene a disposizione della famiglia (ad es. l'immobile che viene adibito a casa familiare o l'autovettura di proprietà di uno dei coniugi che viene messa a disposizione anche dell'altro e dei figli), il suo godimento risulterà inevitabilmente limitato dalla condivisione del bene tra i componenti della famiglia; anche l'amministrazione ne sarà fortemente limitata, poiché il coniuge dovrà rispettare l'accordo sull'indirizzo familiare raggiunto con il coniuge; in particolare non potrà amministrare il bene assumendo decisioni che siano contrarie agli interessi ed ai bisogni della famiglia, come l'alienazione a terzi dell'immobile adibito a casa famigliare, senza provvedere in altro modo alla collocazione dei congiunti. Per questo motivo, un interessante opinione dottrinale assegna all'art. 217 la natura di norma di carattere secondario destinata a trovare applicazione con riferimento ai beni su cui non sia stato impresso un vincolo di destinazione nell'interesse della famiglia, nell'ambito della programmazione dell'indirizzo familiare compiuta dai coniugi ai sensi dell'art. 144 comma 1 c.c. (Valignani, 627; Cavallaro, 133).

Sebbene in tema di imposte, va segnalata la sentenza della Cass. n. 1651/2010 che incidenter tantum precisa che l'art. 217 c.c. sull'amministrazione dei beni personali di un coniuge da parte dell'altro è inapplicabile in tutte le ipotesi in cui il godimento del bene del coniuge da parte dell'altro coniuge sia fondato da un rapporto diverso da quello disciplinato da dette norme, come nell'ipotesi di assegnazione (volontaria o giudiziale) al coniuge affidatario dei figli minori della casa di abitazione di proprietà dell'altro coniuge, atteso che il potere del primo non deriva né da un mandato conferito dal secondo, né dal godimento di fatto del bene (ipotizzante il necessario consenso dell'altro coniuge), ma da un atipico diritto personale di godimento sul bene (per l'effetto, la Cassazione ha escluso nella fattispecie che l'obbligo di pagare l'ICI sull'immobile del padre, ricadesse sulla madre, cui l'immobile era stato assegnato nel giudizio di separazione personale per coabitarvi coi figli). In merito alla pienezza dei poteri di godimento ed amministrazione dei beni personali spettante al coniuge proprietario, si riporta il principio di diritto espresso in sentenza della Cass. n. 5420/2002 secondo cui il sistema delineato dal diritto di famiglia non attribuisce, in costanza di matrimonio, al coniuge non proprietario alcun potere sulla proprietà esclusiva dell'altro coniuge, né gli conferisce il potere di impedirgli il compimento degli atti di disposizione che non condivide, a meno che non si dimostri che tali atti comportino la concreta violazione degli obblighi di assistenza economico — materiale della famiglia incombenti sul coniuge proprietario (conforme a Cass. n. 6192/2007). Tale principio di diritto supporta i rilievi formulati nel commento dell'articolo nella parte in cui si è evidenziato come la pienezza ed esclusività del godimento e dell'amministrazione dei beni personali che derivano al coniuge proprietario dall'art. 832 c.c. trovino un limite tacito ed intrinseco, nei doveri di contribuzione ai bisogni della famiglia posti a suo carico dall'art. 143 comma 3 c.c., nel caso in cui secondo l'indirizzo familiare concordato abbia impresso su uno dei suoi beni un vincolo di destinazione agli interessi del nucleo familiare (come l'adibizione di un suo immobile ad uso abitativo della famiglia).

L'amministrazione dei beni dell'altro coniuge su procura con o senza obbligo di rendiconto

Dopo l'enunciazione del principio generale secondo cui l'amministrazione ed il godimento dei beni personali spettano esclusivamente al ciascun che ne è proprietario, nei successivi commi sono regolate le ipotesi in cui l'amministrazione dei beni di un coniuge sia affidata all'altro. Non si tratta di una previsione speciale, ma una normale applicazione ai rapporti interni tra i coniugi delle norme sulla rappresentanza negoziale volontaria (art. 1392 ss. c.c.) e sul mandato (art. 1703 c.c.). Il comma 2 richiama espressamente la procura ad amministrare conferita da un coniuge all'altro, configurando una fattispecie di mandato con rappresentanza, ma la disposizione, secondo la dottrina più accreditata, deve estendersi anche alla fattispecie di mandato senza rappresentanza (Cattaneo, 435; De Paola-Macrì, 273; Maiorca, 100; Gabrielli, 35; Cavallaro, 140; Zaccaria, 366 ss.; Bruscuglia-Gorgoni, 547; Valignani, 633). Il richiamo alle norme sul mandato, ad opera della disposizione in commento, non deve ritenersi integrale, ma in quanto compatibili con l'intenso vincolo di solidarietà e fiducia che caratterizza il rapporto coniugale (in tal senso Corsi, 69; De Paola-Macrì, 273; Giusti, 1448; Valignani, 634; Bruscuglia-Gorgoni, 547). La dottrina si è interrogata, pertanto, sulle singole norme del mandato che sono compatibili con il rapporto coniugale e che quindi possono integrare i commi 2 e 3 dell'art. 217. Non vi è dubbio che con riferimento all'art. 1710 c.c. che prevede che il mandatario è tenuto a eseguire l'incarico con la diligenza del buon padre di famiglia (Cattaneo, 436) debba rispondersi in termini affermativi. Taluno in dottrina ritiene applicabile anche l'art. 1714 c.c., che obbliga il mandatario a corrispondere al mandante gli interessi legali sulle somme riscosse, con decorrenza dal giorno in cui avrebbe dovuto fargliene la consegna o la spedizione (De Paola-Macrì, 274; Sesta-Valignani, 519); ma lo scrivente dissente, ritenendo incompatibile tale previsione con la solidarietà e l'obbligo di reciproca collaborazione caratterizzanti il vincolo coniugale. Vi è certamente compatibilità, poi, con l'obbligo di custodia delle cose in capo al mandatario fino alla consegna al mandante (art. 1718 c.c. in tal senso Oberto, 137; Zaccaria, 564) e con il divieto, salva autorizzazione, di compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione (art. 1708 c.c.; in tal senso Maiorca, 100; Cattaneo, 429; Tatarano-Capobianco, 555; Valignani, 521). Per quanto riguarda la previsione della onerosità del mandato (art. 1709 c.c.), lo scrivente ritiene che in assenza di una previsione espressa di tal tenore, deve presumersi che l'incarico sia gratuito, perché la onerosità sarebbe incompatibile con i principi di solidarietà del rapporto coniugale e del reciproco dovere di collaborazione — fermo restando che i coniugi nell'ambito della loro autonomia negoziale possono convenire un compenso in favore del coniuge che amministra — (Giusti, 1450; Tatarano-Capobianco, 554; Zaccaria, 368; Valignani, 637). Se si accede a tale opzione ermeneutica, deve trovare applicazione, come è stato giustamente rilevato, la previsione dell'art. 1710 c.c., in tema di mandato gratuito, secondo cui la colpa del mandatario nell'esercizio dell'incarico deve essere valutata con minor rigore. Per quanto riguarda l'obbligo di rendiconto (art. 1713 c.c.), che costituisce una delle obbligazioni principali del mandatario, può anche non trovare applicazione tra i coniugi, come previsto dal comma 3 dell'art. 217 (a differenza del comma 2 che lo afferma); pertanto, dalla lettura in combinato dei due commi si ricava agevolmente che il legislatore concede piena autonomia contrattuale ai coniugi in merito alla scelta di prevedere a carico del coniuge amministratore l'obbligo o meno di rendere conto dei frutti percepiti; ma alcuni autori rilevano che anche in caso di dispensa dalla rendicontazione, il mandatario vi sarebbe tenuto, su richiesta dell'altro, in caso di mala gestio che ha determinato una perdita patrimoniale o di dolo o colpa grave (Giusti, 1449; Galasso, 611; Zaccaria, 638). Se non è previsto l'obbligo di rendiconto (comma 3), il coniuge titolare dei beni o i suoi eredi avranno diritto, alla scadenza del mandato, di richiedere e percepire solo i frutti ancora esistenti e non consumati (Bruscuglia-Gorgoni, 549; Oberto, 139; Corsi, 69; Santosuosso, 354; Zaccaria, 369). Il mandato ad amministrare può, secondo le regole ordinarie, essere conferito in via generale su tutti i beni del coniuge titolare o speciale su singoli beni e cespiti. Deve darsi conto di una contraria opinione (Gabrielli-Cubeddu, 310) secondo cui il mandato ad amministrare i beni di un coniuge dovrebbe riguardare l'intero patrimonio; si afferma che la limitazione dell'oggetto del mandato sarebbe contrario alla ratio dei commi 2 e 3 dell'art. 219 c.c. che presuppongono il rapporto di solidarietà familiare e di fiducia sussistente tra i coniugi. In tal senso deporrebbe anche il tenore letterale delle norme ove si fa riferimento ai «beni» dell'altro coniuge, espressione che dovrebbe riguardare tutti quelli che fanno parte del suo patrimonio. Personalmente si dissente da tale conclusione, sia perché non ha un fondamento normativo solido, sia perché non trova riscontro nell'applicazione pratica. Nulla osta all'interpretazione estensiva della norma nel senso di consentire ad un coniuge di conferire procura all'altro di amministrare anche uno solo dei suoi beni (si pensi ad un imprenditore che opera in diversi settori, il quale rilasci al coniuge, in regime di separazione di beni, l'incarico di amministrare i fitti di un locale concesso a terzi in locazione commerciale, non avendone tempo e considerata la semplicità incarico conferito). Questa conclusione è corroborata, altresì, dal riconoscimento dell'ampiezza dell'autonomia contrattuale esplicabile dai coniugi in sede di determinazione dell'oggetto e del contenuto delle convenzioni matrimoniali (artt. 160 ss.), assicurata dal legislatore della riforma del diritto di famiglia, che ne ha consacrato i limiti in disposizioni imperative circoscritte (es. art. 210 comma 3 c.c.). Pacificamente si esclude in dottrina che il mandato possa essere conferito in via esclusiva all'altro coniuge e con clausola di irrevocabilità; in tali casi, infatti, soprattutto si vi si aggiunge la clausola di dispensa dal rendiconto dei frutti (comma 3), rimarrebbe in capo al dominus solo il diritto di proprietà formale sul bene, che però verrebbe gestito arbitrariamente dall'altro che sarebbe messo in condizione di goderne come se ne fosse il proprietario. Per tali motivi, si ritiene in dottrina che il conferimento di una procura ad amministrare esclusiva ed irrevocabile, senza obbligo di rendere il conto dei frutti, rappresenterebbe il modo per aggirare il divieto di costituzione in dote di beni di un coniuge in favore dell'altro, ex art. 166-bis c.c., perché a prescindere dall'intestazione formale, il coniuge mandatario ne diventerebbe sostanzialmente il proprietario (Cattaneo, 436; Finocchiaro A. e M., 1212; Zaccaria, 366; Sesta-Valignani, 521; Gabrielli-Cubeddu, 310; Saturno, 357).

L'amministrazione dei beni dell'altro coniuge «invito domino»

L'ultimo comma dell'art. 217 c.c. regola l'ipotesi dell'amministrazione di beni dell'altro coniuge invito domino, contro cioè la volontà del coniuge titolare e pone a carico del coniuge amministratore l'obbligo di risarcire all'altro i danni causati dalla mala gestio e dalla mancata percezione dei frutti. Poiché la previsione di tale responsabilità è fondata sulla colpa del coniuge amministratore, si è sottolineata la superfluità della norma, il cui disposto sarebbe ricavabile comunque dall'applicazione delle norme e dei principi codicistici in materia di responsabilità (Gabrielli-Cubeddu, 311; Oberto, 144, rileva che la norma costituisce un retaggio normativo dell'abrogato art. 212 c.c.). Si è rilevato che ai fini del risarcimento del danno da mancata percezione dei frutti, debba applicarsi il disposto dell'art. 1148 c.c. che pone a carico del possessore l'obbligo di rimborsare i frutti che avrebbe potuto percepire, usando la diligenza del buon padre di famiglia (Cattaneo, 438; Oberto, 145; Bruscuglia-Gorgoni, 551; Valignani, 637), ma sempre tenendo a come riferimento il criterio di redditività media dei beni (Cavallaro, 170). Il tenore della disposizione secondo cui il coniuge amministratore «risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti» induce a ritenere che questi debba risarcire ogni tipologia di danno causato al coniuge titolare dalla gestione proibita dei suoi beni (Cavallaro, 172). In merito alla forma dell'opposizione, poiché nell'art. 219 non è stato riprodotto l'obbligo della forma scritta, presente nel testo del previgente art. 212 c.c., si ritiene che l'opposizione all'amministrazione possa essere espressa anche oralmente e per facta concludentia (Cattaneo, 438; Maiorca, 102; Cavallaro, 178; Valignani, 638; Galasso, 612). Per quanto concerne i rapporti con i terzi, si ritiene comunemente che debbano trovare applicazione le norme sul mandato, per cui se il coniuge amministratore agisce come falsus procurator l'atto è inefficace salva la ratifica del coniuge dominus (art. 1398 c.c.); che, in caso di alienazione di beni mobili senza l'autorizzazione del coniuge titolare, l'acquisto del terzo è fatto salvo, se sussistono tutti i presupposti dell'art. 1153 c.c.; e che il terzo che abbia eseguito il pagamento al coniuge sedicente amministratore, che dalle circostanze obiettive gli appariva essere legittimato a riceverlo, sarà liberato dall'obbligazione ai sensi dell'art. 1189 c.c. (Bruscuglia-Gorgoni, 552; De Paola-Macrì, 273; De Paola, 13; Perego, 4; Cavallaro, 178; Zaccaria, 371). Nell'abrogato art. 212 c.c. era prevista anche l'ipotesi in cui uno dei coniugi si intromettesse nell'amministrazione dei beni dell'altro, senza che quest'ultimo né lo avesse autorizzato né glielo avesse proibito. Tale norma non è stata riprodotta nel testo attuale dell'art. 217 c.c.; e ciò ha fatto sorgere in dottrina il dubbio sulla disciplina applicabile in questa ipotesi, che può ancora verificarsi frequentemente nella pratica, ma è rimasta priva di regolamentazione. Parte della dottrina qualifica la tolleranza del coniuge proprietario all'amministrazione dei suoi beni da parte dell'altro come un mandato tacito senza obbligo di rendiconto, che rientrerebbe quindi nel campo di applicazione del comma 3 dell'art. 217 c.c. (Gabrielli-Cubeddu, 312; Cavallaro, 175; Sesta-Valignani, 525). Altra parte della dottrina contesta che la tolleranza nell'amministrazione possa configurare una manifestazione di volontà tacita, soprattutto se non è accompagnata da circostanze di fatto univoche; vi sono anche casi in cui l'amministrazione dei beni dell'altro coniuge avvenga senza che quest'ultimo ne sia a conoscenza. Per l'effetto, tale diversa impostazione ritiene che all'amministrazione dei beni debba applicarsi la disciplina sulla gestio negotiorum (art. 2028 ss. c.c., ivi compresi l'obbligo di rendicontazione, di rimborso spese ed il regime di responsabilità per le obbligazioni assunte dal gestore), mentre il semplice godimento sarebbe regolato dall'art. 217 comma 3 c.c. (Cavallaro, 224; Maiorca, 102; Bruscuglia-Gorgoni, 548; Sesta-Valignani, 526). Altre posizioni minoritarie sostengono che l'amministrazione tollerata debba essere regolate dalle norme sulla responsabilità extracontrattuale o sull'ingiustificato arricchimento (cfr. Oberto, 152, ove vi è una dettaglia ricostruzione sulle ipotesi in cui sono attivabili i suddetti rimedi) o sugli obblighi del possessore (artt. 1147 ss. c.c.) integrate da quelle sugli obblighi dell'usufruttuario (De Paola-Macrì, 273; De Paola, 12; Perego, 4); sennonchè, con riferimento a quest'ultima tesi, si eccepisce che l'applicazione della richiamata disciplina è impedita dalla tolleranza dell'amministrazione dei beni, che ai sensi dell'art. 1144 c.c. non rileva ai fini dell'acquisto del possesso (Sesta-Valignani, 525 che configura, diversamente, in capo al coniuge che amministra i beni dell'altro, con la sua tolleranza, una relazione coi beni di mera detenzione).

Bibliografia

Bruscuglia-Gorgoni, La separazione dei beni, in Bessone (a cura di), Trattato di diritto civile, , Il diritto di famiglia, IV, 2, Torino, 1999, 547 ss.; Cattaneo, Del regime di separazione, in Cian-Oppo-Trabucchi (a cura di), Commentario al codice civile, III, Padova, 1992, 427 ss.; Cavallaro, Il regime di separazione dei beni fra i coniugi, Milano, 1997; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Cicu-Messineo (a cura di), Trattato di diritto civile commentato, Milano, 1984, I, 69 ss.; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, III, Milano, 2002; De Paola-Macrì, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978; Di Rosa, Rappresentanza e gestione, Milano, 1997; Finocchiaro A. e M., Diritto di famiglia, Milano, 1984; Gabrielli, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Convenzioni matrimoniali. Effetti patrimoniali della separazione, del divorzio e dell'annullamento del matrimonio, Trieste, 1983; Gabrielli-Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997; Galasso, Del regime patrimoniale della famiglia, in Scialoja-Branca (a cura di), Commentario al codice civile, I, Bologna-Roma, 2003, 611 ss.; Galletta, Il regime di separazione dei beni, in Cendon (a cura di), La famiglia, II, Torino, 2000, 451 ss.; Giusti, Separazione dei beni tra coniugi, in Enc. dir., XLI Milano, 1989, 1448 ss.; Maiorca, Separazione dei beni tra coniugi, in Noviss. Dig. it., App., VII, Torino, 1987, 100 ss.; Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi. Artt. 215-219, in Comm. Schlesinger, Milano, 2005; Perego, Separazione dei beni tra coniugi, in Enc. giur., XXVIII, Roma, 1992; Santosuosso, Beni ed attività economica nella famiglia, in Giur. sist. Bigiavi, 1995, 277 ss.; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, in Comm. cod. civ., I, 2, Torino, 1983, 338 ss.; Saturno, La separazione dei beni, in Autorino Stanzione (diretto da), Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza, Trattato teorico-pratico, III, Torino, 2005, 337 ss.; Sesta-Valignani, Il regime di separazione dei beni, in Trattato a cura di Zatti, III, Milano, 2002, 516 ss.; Tatarano-Capobianco, Il regime della separazione dei beni tra coniugi, in Rass. dir. civ., 1996, 526 ss.; Tedeschi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato Vassalli, 4 ed., III, 1, Torino, 1963, 280 ss.; Valignani, L'amministrazione nel regime di separazione dei beni, in Familia, 2002, 627 ss.; Zaccaria, Commentario breve al diritto della famiglia, Padova, 2008; Zaccaria, La separazione dei beni, in Il diritto di famiglia, Tratt. Bonilini-Cattaneo, 2 ed., Torino, 2007, 366 ss.

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