Omesso deposito di copia autentica della comunicazione telematica dell’inammissibilità e ricorso per cassazione
10 Luglio 2018
Massima
È improcedibile il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza di primo grado a seguito della declaratoria di inammissibilità dell'appello ex artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., quando il ricorrente non abbia depositato in cancelleria copia autentica di detta ordinanza di inammissibilità e della comunicazione telematica ad essa relativa. Il caso
La società Alfa interponeva appello contro la sentenza del Tribunale ordinario di Parma che – pronunciandosi su un'opposizione a decreto ingiuntivo intentata dalla società francese Beta – aveva declinato la giurisdizione italiana in favore di quella francese. L'impugnazione veniva dalla Corte distrettuale di Bologna dichiarata inammissibile per assenza di ragionevoli probabilità di accoglimento, ai sensi degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c..
Avverso detta ordinanza Alfa ricorreva per cassazione sulla base di tre motivi, cui Beta resisteva mediante controricorso e successiva memoria. La questione
Il Supremo Collegio si è, preliminarmente, domandato se il mezzo di gravame fosse stato proposto tempestivamente, ossia – come previsto dal comma 3 dell'art. 348-ter c.p.c. - entro 60 giorni dalla comunicazione (o notificazione, qualora anteriore) dell'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello, il cd. termine lungo semestrale applicandosi solo in mancanza di ambedue le formalità (= comunicazione e notifica).
Inoltre, la Corte di legittimità si è chiesta se la ricorrente avesse – in ossequio al disposto del secondo alinea dell'art. 369 c.p.c. – provveduto a depositare una copia autentica sia della sentenza di I° grado, sia dell'ordinanza ex artt. 348-bis/348-ter c.p.c.: il tutto a pena di improcedibilità, salvo che il Supremo Collegio, esaminando il fascicolo d'ufficio richiesto dal ricorrente a norma del terzo comma dell'art. 369 c.p.c., rilevasse la tempestività dell'impugnazione. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione ha affermato che:
Osservazioni
Come noto, laddove un atto (o provvedimento) notificato via PEC sia stato prodotto nel giudizio di Cassazione senza essere accompagnato dalla rituale attestazione di conformità della copia analogica all'originale informatico, la Suprema Corte ha – a partire dalla pronuncia della sez. III civile n. 17450 del 14 luglio 2017 – costantemente concluso per l'improcedibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 369, comma 2, numero 2, c.p.c. (cfr., per tutte, Cass. nn. 16334/2018, 16325/2018, 12605/2018, 10941/2018, 5588/2018, 30765/2017, 26613/2017, 26612/2017, 26606/2017, 26520/2017, 25429/2017, 24422/2017, 24347/2017, 24292/2017 e 23668/2017).
Nella fattispecie in commento, tuttavia, il ricorrente risulta essere stato dal Collegio onerato del deposito non solo di una copia autentica della sentenza di I° grado (completa della relazione di notifica, se effettuata), ma pure di un esemplare conforme – corredato della comunicazione (ormai solo telematica: v. art. 16, commi 4 e 9, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221) di cancelleria - dell'ordinanza che ha dichiarato l'appello inammissibile a norma degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.: e ciò sembra confliggere col tenore letterale dell'art. 369, comma 2, numero 2, c.p.c., in quanto il ricorso per cassazione previsto dal terzo alinea dell'art. 348-ter c.p.c. ha ad oggetto (unicamente) “il provvedimento di primo grado”.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione erano già state chiamate ad esprimersi sulla specifica tematica, decidendo (con sentenza 13 dicembre 2016, n. 25513) che: (i) l'assoggettamento dell'azione giudiziale a termini e condizioni anche stringenti non è incompatibile col principio d'effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo, sancito dagli artt. 24, 111 e 113 Cost., nonché artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU), il quale richiede di non esaltare oltre misura i presìdi di carattere formale contemplati dal legislatore per l'accesso al rimedio di legittimità;
(ii) il processo stesso deve essere governato, per esigenze di certezza e ragionevole durata, da scansioni temporali, il cui mancato rispetto va assoggettato alla sanzione della decadenza dal compimento di determinate attività (Corte cost., sent. nn. 11/2008 e n. 462/2006 e ord. n. 163/2010);
(iii) l'improcedibilità prevista dall'art. 369 c.p.c. non pone di per sé problemi nemmeno nell'ottica della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, incidendo non sulla possibilità di agire, bensì sulla prosecuzione del procedimento per l'inattività della parte in un tempo equilibrato;
(iv) viene invece meno la proporzionalità tra detto scopo e il mezzo impiegato, allorchè i requisiti di procedibilità in esame siano altrimenti dimostrati sulla base delle risultanze degli atti e, segnatamente, del fascicolo d'ufficio, che il ricorrente ha l'onere di richiedere alla cancelleria del giudice di appello e che contiene a) l'originale dell'ordinanza d'inammissibilità ex artt. 348-bis/348-ter c.p.c. e, di regola, b) gli estremi della sua comunicazione;
(v) infatti, “deve ritenersi che non debba essere sanzionata usque ad extremum una condotta omissiva i cui effetti siano stati altrimenti risolti senza danno o ritardo per la procedura” (sent. n. 25513 cit.);
(vi) di conseguenza, in caso di omessa presentazione di una copia autentica (anche) dell'ordinanza in questione e della relativa comunicazione di cancelleria, l'improcedibilità del ricorso non può essere dichiarata quando “in esito alla trasmissione del fascicolo d'ufficio da parte della cancelleria del giudice a quo, che il ricorrente ha l'onere di richiedere ai sensi del comma 3 del predetto articolo, la Corte, nell'esercitare il proprio potere officioso di verificare la tempestività dell'impugnazione, rilevi che quest'ultima sia stata proposta nei 60 gg. dalla comunicazione o notificazione ovvero, in mancanza dell'una e dell'altra, entro il termine c.d. lungo di cui all'art. 327 c.p.c.” (ibidem).
La sentenza oggi in commento, pur asserendo di voler recepire il princìpio testé enunciato (addirittura menzionando la propria pronuncia n. 25513/2016), finisce in realtà col disattenderlo, là ove ha fatto discendere dall'omissione della parte ricorrente (responsabile di non aver documentato l'avvenuta comunicazione dell'ordinanza d'inammissibilità) il corollario dell'improcedibilità del ricorso per cassazione; così ragionando, la Corte mostra di considerare irrilevante il reperimento aliunde (= all'interno del fascicolo d'ufficio del procedimento di II grado) della data dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello, salvo peraltro – e contraddittoriamente – utilizzare detta informazione per la valutazione di tardività del gravame.
Un simile assunto, provenendo dalle Sezioni Unite del Supremo Collegio, rischia di disorientare gli operatori del diritto; e a chi scrive pare che una pronuncia di inammissibilità (per intempestività del ricorso) sarebbe stata più coerente con il lucido e persuasivo insegnamento espresso dalla massima di fine 2016, che si confida – dunque - possa presto, anche per esigenze di certezza nomofilattica, trovare univoca conferma. |