Indagini fiscali e contraddittorio: occorre un cambio di rotta

Saverio Capolupo
10 Luglio 2018

“Il legislatore deve recepire, con norma primaria, le reiterate indicazioni della Corte di Giustizia e delle organizzazioni internazionali del settore (in primis l'OCSE) che, da sempre, ritengono che il contraddittorio in sede di attuazione delle obbligazioni tributarie debba essere assicurato in ogni fase del procedimento, pena la illegittimità dell'atto impositivo.La dilazione della difesa non è sufficiente a dare completa attuazione ai principi costituzionali sicché l'ordinamento deve consentire al contribuente di poter adire con immediatezza il giudice naturale ogni qualvolta ritenga leso un suo diritto, a maggior ragione se si versa nel campo tributario ove il prelievo deve essere sempre parametrato alla effettiva capacità contributiva del cittadino”.
Premessa

È indubbio che le indagini fiscali costituiscano uno dei poteri istruttori più invasivi e, nel contempo, più incisivi nella lotta all'evasione e all'elusione fiscale (oltre che, ovviamente, in materia di contrasto al riciclaggio).

Da sempre, però, continua a discutersi se l'Amministrazione finanziaria, nell'esaminare le singole operazioni intercorse con gli intermediari finanziari, debba coinvolgere sempre il contribuente attivando, cioè, il contraddittorio, oppure se nella verifica della corrispondenza degli addebiti e degli accrediti con le risultanze contabili possa anche prescindere da tale fase endoprocedimentale rinviando l'eventuale esercizio dei diritti difensivi in sede di impugnazione dell'atto impositivo.

Il contraddittorio

Il contraddittorio si sostanzia nell'utilizzo di una speciale forma procedimentalizzata di partecipazione del contribuente all'attività istruttoria dell'ufficio.

Tale istituto risulta, infatti, essenziale nella fase prodromica dell'accertamento in quanto l'indagine, pur realizzando un'importante attività istruttoria, non costituisce uno strumento di applicazione automatica, atteso che i relativi esiti devono essere successivamente elaborati e valutati per assumere, non solo in sede amministrativa ma anche in quella giudiziaria, la valenza di elementi precisi e fondanti ai medesimi fini impositivi.

In sostanza, il preventivo contraddittorio si configura, in via di principio, come passaggio opportuno per provocare la partecipazione del contribuente, finalizzata a consentire un esercizio anticipato del suo diritto di difesa, potendo lo stesso fornire già in sede precontenziosa la prova contraria, e rispondente a esigenze di economia processuale, al fine di evitare l'emissione di avvisi di accertamento che potrebbero risultare immediatamente infondati alla luce delle prove di cui il contribuente potesse disporre.

La posizione della Giurisprudenza

In termini strettamente giuridici, la giurisprudenza di legittimità, ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi e dell'Iva, riconosce la legittima utilizzazione degli elementi acquisiti per effetto delle indagini finanziarie anche in assenza di una preventiva convocazione del contribuente nella fase istruttoria in mancanza di una norma giuridica che preveda, ai fini della legittimità dell'accertamento, l'instaurazione di un contraddittorio precontenzioso con il contribuente; l'amministrazione ha solo la facoltà ma non l'onere di invitarlo a comparire per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento stesso.

Ne deriva che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, è legittima l'utilizzazione da parte dell'Amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari del contribuente, anche se questo non è stato convocato per giustificare le operazioni finanziarie oggetto di verifica; invero nessuna norma imporrebbe la convocazione del contribuente medesimo in sede amministrativa prima dell'accertamento, potendo l'Ufficio procedere al ritiro eventuale del provvedimento, nell'esercizio del potere di autotutela, in caso di osservazioni e/o giustificazioni proposte dall'interessato anche dopo il suo intervento nella stesura del verbale di constatazione della Guardia di Finanza o dei funzionari dell'Agenzia delle entrate.

L'accertamento tributario, in sostanza, per sua natura e funzione, non costituisce una decisione su contrastanti interpretazioni di fatti e norme giuridiche, da adottarsi nel rispetto del contraddittorio, né esprime un apprezzamento critico in ordine ai dati noti ad entrambe le parti, ma si esaurisce in un provvedimento autoritativo con il quale l'Amministrazione fa valere la propria pretesa tributaria.

Conseguentemente, l'omessa partecipazione del contribuente non solo non fa venire meno l'inversione dell'onere della prova stabilita dalla norma - sicché grava sul contribuente anche dopo la notifica, l'onere di fornire la prova contraria, ma non ne compromette affatto la difesa, come pure è stato affermato, potendo egli far valere le sue ragioni, depositando documenti e memorie, fino alla data di trattazione del ricorso in primo grado, ex art. 32 del D.Lgs. n. 546/1992.

Invero, è pacificamente riconosciuto nella giurisprudenza di legittimità che il vigente quadro giuridico di riferimento, nella parte in cui prevede l'invito al contribuente a fornire dati e notizie in ordine agli accertamenti finanziari, non impone all'ufficio l'obbligo di uno specifico e previo invito attribuendogli, per contro, una mera facoltà della quale può avvalersi o meno in assoluta discrezionalità sicché, in caso negativo, mancano i presupposti per configurare una possibile illegittimità del conseguente atto impositivo.

Anche secondo l'Amministrazione finanziaria, dal tenore letterale della disposizione e secondo un recente consolidato orientamento, l'invito a comparire costituisce una mera facoltà dell'ufficio e non un obbligo; pertanto, il mancato invito dell'ufficio medesimo non inficia la legittimità della rettifica, ove basata sulle presunzioni previste dalle norme dei decreti delegati.

Peraltro, detto orientamento sostiene che la mancata instaurazione del contraddittorio non degrada la prevista presunzione legale a presunzione semplice, fermo restando, quindi, l'onere probatorio contrario in capo al contribuente.

Le indicazioni della Guardia di Finanza

Occorre riconoscere che, da sempre, le indagini finanziarie sono utilizzate dalla Guardia di Finanza in quanto strettamente connesse alla sua natura di Polizia economico finanziaria.

Nel disciplinare la materia nell'ambito delle istruzioni operative impartite alle articolazioni periferiche con una corposa circolare (n. 1/2018 del 27 novembre 2017), è stata confermata una tendenza che implica una responsabile valutazione in ordine all'utilizzo di tale strumentotenuto anche conto dell'esigenza di osservare i principi di economicità e proficuità cui si ispira l'attività ispettiva nel suo complesso” e deve essere “sempre motivata nell'ottica di un'azione amministrativa trasparente”.

Con specifico riferimento alla partecipazione del contribuente, la circolare avverte che questa “dovrà avvenire” allorquando “il Comandante regionale abbia eventualmente rilasciato la relativa autorizzazione”.

Dall'esame della circolare della Guardia di Finanza pare di poter rilevare due importanti principi.

Innanzitutto “l'utilizzo del modello presuntivo è limitato al solo contribuente ni conforti del quale l'amministrazione finanziaria abbia attivato la formale procedura di acquisizioni prevista dai decreti in materia di accertamento delle imposte dirette ed IVA nonché al soggetto la cui documentazione finanziaria sia stata acquisita in sede penale…”.

Il secondo attiene alla obbligatorietà del contraddittorio. In particolare, con riferimento ai rapporti contribuente - terzo, è stato chiarito che la contestazione della rilevanza fiscale delle transazioni finanziarie di cui si ha traccia nei rapporti tra il contribuente e coinvolgente un terzo “deve” avvenire “all'esito del contraddittorio del contribuente stesso” e nel contempo, deve essere avviato ai fini dell'accertamento in capo al terzo, “ulteriore contraddittorio con quest'ultimo e motivare l'eventuale constatazione producendo le relative fonti di prova secondo le regole proprie della tipologia di accertamento esperito”.

In sostanza, per le indagini esperite dalla Guardia di Finanza, il contraddittorio è stato previsto in via generale.

La necessità di una inversione di tendenza

Occorre premettere che, l'indagine finanziaria non costituisce uno strumento di conversione automatica delle operazioni finanziarie in capacità contributiva in quanto, i relativi esiti devono essere successivamente elaborati e valutati prima di poter essere utilizzati.

Il contraddittorio, pertanto, si pone come esigenza elementare per provocare la partecipazione del contribuente, come peraltro riconosciuto dalla stessa Agenzia delle entrate, anche al fine di ottimizzare l'azione di controllo evitando, nel contempo, un inutile contenzioso.

Indubbiamente, va riconosciuto che la stessa giurisprudenza, pur nella sua posizione restrittiva, esclude che l'omessa partecipazione del contribuente possa indurre a ritenere, sul piano letterale come su quello logico, che la presunzione legale posta dalla norma scada a presunzione semplice.

Nonostante i vari interventi legislativi sullo specifico comparto è rimasto immutato il principio di fondo nel senso che il valore probatorio degli elementi raccolti, configurando una presunzione di natura iris tantum, esonera l'ufficio dal dimostrare, relativamente agli elementi medesimi, la sussistenza dei requisiti, ex art. 2729 c.c., delle presunzioni richieste come gravi, precise e concordanti.

Tale conclusione attiene al capovolgimento dell'onere della prova di cui le indagini finanziarie costituiscono una delle tante manifestazioni.

Il problema, però, non attiene a tale profilo, essendo insindacabile la scelta del legislatore sotto il profilo della legittimità costituzionale. Il Parlamento, in sostanza, non ha fatto altro che mutuare il particolare regime probatorio ricadente nel sistema delle presunzioni legali «relative» di cui all'art. 2729 c.c. esonerando l'ufficio da tale adempimento per trasferirlo a carico del contribuente.

Ma è proprio tale aspetto – quantunque non si possa configurare una estensione generalizzata dell'istituto che dovrebbe consentire al contribuente sottoposto a controllo di partecipare al procedimento, anche nell'ottica della sbandierata compliance, già in sede pre-contenziosa per poter fornire, a seconda dei diversi ambiti impositivi: la dimostrazione circa l'irrilevanza ai fini impositivi dei movimenti finanziari acquisiti o rilevati; l'indicazione dei soggetti effettivamente beneficiari dei prelevamenti; l'annotazione dei predetti movimenti nelle scritture contabili o in dichiarazione, ai fini della determinazione del reddito, ecc.

In definitiva, l'indicazione di qualsivoglia ulteriore chiarimento ritenuto necessario dall'ufficio procedente per la valorizzazione dei dati e delle informazioni ai fini della loro presuntiva utilizzazione in sede di accertamento.

Va da sé che il contribuente potrebbe anche non aderire all'invito dell'amministrazione finanziaria senza che tale comportamento possa incidere negativamente nella successiva eventuale fase contenziosa.

Qualora tale fase «dialettica» sia stata svolta con l'intervento di altro organo competente e, segnatamente, dalla Guardia di Finanza, il contributo offerto da tale contraddittorio, se ritenuto appagante per l'analisi dell'ufficio, esonera quest'ultimo dalla successiva ripetizione dell'esperimento, sempreché formalizzato in un processo verbale.

Per converso, qualora gli esiti di tale contraddittorio non si rivelino coerenti con le risultanze istruttorie e le elaborazioni analitiche dell'ufficio, questo, al precipuo fine di utilizzare la presunzione legale, provvederà ad approfondire direttamente le incongruenze o le esigenze successivamente evidenziatesi rispetto al contenuto del verbale pervenuto, tramite la ripetizione del contraddittorio già effettuato.

Conclusioni

Uno dei motivi che ha indotto finora la giurisprudenza a negare la obbligatorietà del contraddittorio è stato individuato nella previsione legislativa secondo cui è la stessa legge a garantire il diritto del contribuente a una forma di partecipazione al procedimento, anche se indiretta, sia attraverso lo specifico obbligo informativo posto a carico dell'operatore finanziario sia mediante la doverosa disponibilità dello stesso a fornirgli tutti gli elementi informativi resi all'amministrazione procedente.

Al riguardo va anche ricordato che, per giurisprudenza pacifica, è esclusa non solo la sussistenza di una tutela immediata dinanzi al giudice amministrativo ma anche di quella, in via immediata, dinanzi alle stesse Commissioni tributarie.

Infatti, l'attività istruttoria è sindacabile - in via differita - innanzi a tale giudice speciale solo contestualmente all'impugnazione dell'atto conclusivo del procedimento di accertamento o eventualmente - prima e in via autonoma - contro il provvedimento che irroghi le sanzioni per la mancata risposta.

La mancanza di una disciplina omogenea della materia indubbiamente è alla base dell'indirizzo della giurisprudenza e dell'inosservanza di un obbligo che, a livello comunitario, costituisce una delle manifestazioni principali dell'esercizio dei diritti difensivi.

Non si comprende, cioè, per quali ragioni, ad esempio, in materia di accertamento utilizzando gli studi di settore il contraddittorio è previsto in via obbligatoria, addirittura sanzionato con la “nullità” dell'atto impositivo, e per il caso in esame, le norme di riferimento nulla dicono.

Né vale obiettare che la richiamata contraddizione è una delle tante carenze del nostro sistema impositivo caratterizzato, non solo per la elevatezza della pressione tributaria, ma anche per palesi sperequazioni, l'utilizzo eccessivo delle presunzioni (ancorché di carattere relativo), da evidenti limitazioni all'esercizio dei diritti difensivi, da incomprensibili oneri amministrativi, ecc.

In conclusione, pare di poter affermare che il legislatore debba recepire le reiterate indicazioni della Corte di Giustizia e delle organizzazioni internazionali del settore (in primis l'OCSE) che, da sempre, ritengono che il contraddittorio in sede di attuazione delle obbligazioni tributarie debba essere assicurato in ogni fase del procedimento, pena la illegittimità dell'atto impositivo.

La dilazione del diritto alla difesa non è sufficiente per una completa attuazione dei principi costituzionali.

È necessario, per contro, che tale diritto debba poter essere azionato, a meno che non si tratti di liti puramente temerarie, ogni qualvolta l'interessato ritenga leso un suo diritto, a maggior ragione se si versa nel campo tributario ove il prelievo va sempre parametrato alla effettiva capacità contributiva del cittadino.

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