Denuncia di danno temuto

24 Luglio 2018

La denuncia di danno temuto disciplinata nell'art. 1172 c.c. viene concessa qualora vi sia pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa derivante da qualsiasi altra cosa, e la condizione di quest'ultima azione non deve individuarsi in un danno certo o già verificatosi, bensì anche nel solo ragionevole pericolo che lo stesso danno si verifichi. Risultano molte le fattispecie ricorrenti nella realtà condominiale che hanno registrato l'esercizio di tale azione, potendo interessare vari beni comuni o di proprietà esclusiva, laddove la contemplata tutela cautelare potrebbe intervenire...
Inquadramento

Le azioni di nunciazione tendono a conservare uno stato di fatto con finalità tipicamente cautelare, in quanto sostanzialmente mirano, a tutela del possesso, della proprietà o di altro diritto reale di godimento, a prevenire un danno che possa derivare da una nuova opera o dalla cosa altrui, in attesa che successivamente si accerti il diritto alla proibizione.

Nello specifico, la denuncia di danno temuto ex art. 1172 c.c. è data nel caso in cui vi sia pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa medesima derivante da qualsiasi altra cosa, e la condizione di quest'ultima azione non deve individuarsi in un danno certo o già verificatosi, bensì anche nel solo ragionevole pericolo che lo stesso danno si verifichi (Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2004, n. 10282; Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1992, n. 4531).

Il criterio discretivo rispetto ad altre azioni similari

La denuncia di danno temuto, prevista nel titolo IX del libro III del codice civile, proponibile dal proprietario, dal titolare di altro diritto reale di godimento o dal possessore, è istituto diverso dall'azione ex art. 1170 c.c., contemplata nel titolo VIII dello stesso codice, ed in virtù della quale chi è molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di un'universalità di mobili può chiedere la manutenzione del possesso medesimo; detta diversità si riverbera anche sui termini entro i quali le rispettive azioni possono essere esercitate: la prima entro l'ordinario termine prescrizionale di cui all'art. 2946 c.c., mentre per l'azione di manutenzione il termine previsto è di un anno dalla turbativa (Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2001, n. 10403).

In parole povere, la denuncia di danno temuto mira a prevenire il danno minacciato dallo stato attuale della cosa altrui (rispettivamente, rapporto attività umana-cosa, e rapporto cosa-cosa).

A sua volta, rispetto alla denuncia di nuova opera, la differenza risiede soltanto nel diverso modo in cui l'attività umana ha determinato l'insorgere del pericolo e nella conseguente diversità del rimedio da adottare: infatti, l'azione ex art. 1171 c.c. postula un facere, cioè l'intrapresa di un quid, nel proprio o nell'altrui fondo, capace di arrecare pregiudizio al bene oggetto della proprietà o del possesso del denunciante, e prevede come rimedio l'inibizione di tale intrapresa o la subordinazione della sua prosecuzione all'adozione di determinate cautele, mentre l'azione di cui all'art. 1172 c.c. postula, invece, un non facere, ossia l'inosservanza dell'obbligo di rimuovere una situazione di un edificio, o di qualsiasi altra cosa, comportante pericolo di un danno grave e prossimo per il bene in proprietà o in possesso del denunciante, e prevede come rimedio l'ordine, a chi abbia la piena disponibilità della cosa costituente pericolo, di eseguire quanto necessario per la rimozione della causa di quest'ultimo.

Le fattispecie più frequenti nella realtà condominiale

In materia condominiale, per quanto riguarda la denuncia di danno temuto, si pensi all'azione del condomino per la tutela della sua proprietà esclusiva contro il pericolo proveniente da un muro condominiale, derivante dall'omissione da parte del condominio delle necessarie opere di conservazione e manutenzione della stessa cosa comune, che, quindi, per il suo intrinseco modo di essere, attenta all'integrità dell'appartamento che il denunciante vuole tutelare.

Qualora l'omessa manutenzione del terrazzo, in proprietà esclusiva di condomino, danneggi, per infiltrazione di acqua, il vano del proprietario sottostante, anche con pericolo per la stabilità dell'edificio condominiale e il proprietario del terrazzo rifiuti l'accesso all'impresa incaricata delle riparazioni dal condominio, questo può utilmente esperire l'azione di danno temuto, ma non può richiedere, in via di urgenza, l'accesso al fondo del condomino, ex artt. 843 c.c. e 700 c.p.c., in quanto tale possibilità è data solo per costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino o comune (Trib. Roma 5 luglio 2001).

L'azione de qua richiede che il bene pericoloso e quello minacciato appartengano a due diversi titolari, ma va ritenuto ammissibile il ricorso ex art. 1172 c.c. proposto dal proprietario esclusivo di un garage, in relazione alle infiltrazioni derivate al solaio di copertura e ai muri perimetrali dello stesso a causa della cattiva manutenzione delle tubature condominiali del fabbricato sovrastante, di cui il ricorrente risulti, al contempo, condomino (Trib. Salerno 27 gennaio 2005); pertanto, è esperibile l'azione di denuncia di danno temuto proposta dal condomino, ancorché comproprietario della cosa comune, qualora il pericolo derivi da una cosa di proprietà condominiale e sia diretto su una cosa di esclusiva proprietà del denunciante (Trib. Roma 14 febbraio 1983).

I poteri processuali dell'amministratore

Tra le attribuzioni dell'amministratore di condominio di cui all'art. 1130, n. 4, c.c., relativo al compimento degli «atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio», rientrano sia le azioni possessorie tendenti al recupero o al mantenimento del godimento della cosa comune, sottratto illecitamente o molestato dal terzo, sia le azioni nunciatorie per ottenere, oltre che le cautele suesposte, anche il risarcimento del danno cagionato alle parti comuni dello stabile condominiale, quando tale danno si concreti nelle spese occorrenti per la rimessione delle cose comuni nel pristino stato (trattandosi di azioni a tutela di parti condominiali, il relativo esercizio per entrambe, da parte dell'amministratore, non è subordinato all'autorizzazione dell'assemblea).

In quest'ottica, si è affermato (Cass. civ., sez. II, 23 marzo 1995, n. 3366) che l'amministratore, oltre a chiedere i provvedimenti cautelari, è abilitato anche a compiere tutti gli atti diretti alla conservazione dell'integrità delle cose comuni, con la conseguenza che il medesimo può esercitare sia l'azione di danno temuto, sia quella di cui all'art. 1669 c.c. contro l'appaltatore, al fine di ottenere il risarcimento del danno cagionato alle parti comuni dell'edificio nel caso di rovina di questo o di gravi vizi di costruzione che ne mettano in pericolo la sicurezza (in ordine alla decorrenza del termine per la relativa denuncia, v., di recente, Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2008, n. 1463).

Le iniziative del singolo condomino

All'azione dell'amministratore contro il costruttore-venditore, si può aggiungere anche l'azione proponibile dal singolo condomino contro il condominio per i difetti della cosa comune (restando irrilevante, al fine della proponibilità di tale domanda, la mancanza di una preventiva richiesta del danneggiato circa un intervento dell'amministratore o dell'assemblea condominiale, v. Cass. 6 novembre 1986, n. 6507); si è, infatti, costantemente ammessa la possibilità per il condomino di esercitare l'azione di danno temuto per la tutela della sua proprietà esclusiva contro il pericolo derivante dalla cosa comune, e ciò anche quando il pericolo derivi da omissione di opere di conservazione o/e di manutenzione della cosa comune medesima (v., ancorché remota, Cass. civ., sez. II, 17 luglio 1967, n. 1808).

Infatti, con riguardo ai danni subiti da una porzione di proprietà esclusiva, sita in un edificio condominiale, per vizi delle parti comuni imputabili all'originario costruttore-venditore, si è dato atto (Cass. civ., sez. II, 21 giugno 1993, n. 6856) che il titolare di detta porzione possa esperire azione risarcitoria contro il condominio - non in forza dell'art. 1669 c.c., dato che il condominio, quale successore particolare di detto costruttore, non subentra nella responsabilità posta a suo carico da tale norma, ma - in base all'art. 2051 c.c., in relazione alla ricollegabilità di questi danni all'inosservanza, da parte del condominio medesimo, dell'obbligo di provvedere, quale custode, ad eliminare le caratteristiche dannose della cosa; l'azione a tutela di un diritto comune, come l'impugnativa di una sentenza di condanna emessa nei confronti del condominio, può essere esercitata anche da un singolo condomino, senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini non appellanti, né intervenienti in appello e senza che ciò determini passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti di questi ultimi, dato che l'interesse per il quale il singolo agisce è comune a tutti i condomini, dovendo in tal caso ravvisarsi nei rapporti fra i condomini una forma di rappresentanza reciproca, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva nascente dal fatto che ogni compartecipe non può tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l'analogo diritto degli altri.

Il singolo condomino, allorché agisce per il risarcimento dei danni derivanti alla sua proprietà individuale per la difettosità delle parti comuni dell'edificio, si presenta, infatti, in posizione di terzo nei confronti del condominio; quest'ultimo è obbligato a risarcire il danno ai sensi dell'art. 2051 c.c. e, qualora la situazione dannosa sia potenzialmente produttiva di ulteriori danni, è anche tenuto a rimuovere, a seguito della denuncia di danno temuto ex art. 1172 c.c., le cause del danno stesso; e ciò pur quando trattasi di vizi costruttivi dell'edificio, in relazione all'obbligo del condominio, nella sua qualità di custode dei beni e servizi comuni ed in virtù del precetto generale del neminem laedere, di rimuovere le caratteristiche dannose delle cose comuni, anche se da altri create, e salvo eventuali azioni di rivalsa.

In evidenza

In buona sostanza, il condomino uti singuli è soggetto diverso dagli altri condomini e dal condominio che, seppure inteso come ente di gestione, deve considerarsi come punto di legittimazione soggettiva di conseguenze giuridiche; invero, il fatto che più beni immobili, ciascuno di proprietà esclusiva di un singolo soggetto, si trovino all'interno dello stesso edificio, con conseguente applicabilità delle norme sul condominio negli edifici, non esclude l'operatività nei rapporti tra i vari proprietari, o tra ogni singolo proprietario ed i comproprietari delle parti comuni dell'edificio (rappresentati dall'ente di gestione condominiale), delle altre norme del codice in tema di responsabilità civile, ivi comprese le azioni di cui agli artt. 1171 e 1172 c.c. ove sussista una situazione di pericolo.

L'eventuale integrazione del contraddittorio

In materia di legittimazione passiva rispetto alle azioni di nunciazione, in generale, si è rilevato (Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1987, n. 2897) che le condizioni delle due azioni nunciatorie, di nuova opera e di danno temuto, sono previste, rispettivamente dagli artt. 1171 e 1172 c.c., esclusivamente con riferimento al procedimento cautelare disciplinato dagli artt. 689 ss. c.p.c., che si esaurisce con l'emissione o con il diniego dei provvedimenti temporanei indicati dalle citate norme, e non anche con riferimento al successivo, autonomo giudizio di merito a cognizione ordinaria diretto ad accertare l'esistenza del diritto per la cui tutela erano stati chiesti quei provvedimenti; in quest'ultimo giudizio, pertanto, la legittimazione passiva si determina in base alla domanda proposta secondo le norme generali, nel senso che il legittimato passivo si identifica in colui che è destinatario della norma invocata dall'attore; ne consegue che, quando la domanda di merito è quella di risarcimento del danno derivato dalla nuova opera, legittimato passivo è colui che, al momento della verificazione del danno, era tenuto, quale possessore o proprietario dell'area ed esecutore (in proprio o quale committente) dei lavori, ad osservare l'obbligo del neminem ledere nell'esecuzione dei lavori medesimi.

In particolare, nella denuncia di danno temuto, legittimato passivo è sempre colui che, essendovi obbligato, abbia omesso di espletare l'attività necessaria per evitare l'insorgenza della situazione di pericolo e, pertanto, nell'una e nell'altra fase, il proprietario della cosa o, comunque, il titolare del diritto reale portatore dell'obbligo.

Tuttavia, si è ritenuto che l'amministratore del condominio, tenuto ex art. 1126 c.c. alla manutenzione della terrazza a livello di proprietà esclusiva - da assimilarsi all'ipotesi codificata del lastrico solare di uso esclusivo, avendo in comune la funzione di copertura della parte sottostante dell'edificio - sia da considerarsi legittimato passivo quanto alla denuncia di danno temuto proposta dal condomino proprietario della sottostante unità, il quale lamenti infiltrazioni causate dalle condizioni della terrazza stessa (Pret. Catania 13 dicembre 1993); in generale, una volta affermato il concorso del condominio nella manutenzione della suddetta terrazza (o del manto impermeabile del pavimento), si è concluso per la legittimazione passiva del suo amministratore in ordine alla domanda volta alla condanna ad eseguire le riparazioni necessarie ad eliminare le cause del danno arrecato agli appartamenti sottostanti: in buona sostanza, affermato il principio secondo cui la manutenzione di tale bene grava - non solo sul relativo usuario che ne ha la disponibilità e custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c., ma anche - sul condominio, quest'ultimo è tenuto a vigilare, tramite l'amministratore, ai fini delle necessarie riparazioni ed a rispondere delle eventuali omissioni; tutto ciò in un'ottica in cui l'obbligo viene correlato non tanto alla proprietà quanto piuttosto alla utilitas che il condominio trae dalla cosa, applicando analogicamente il principio di cui all'art. 1123, comma 2, c.c. (salva ovviamente ogni considerazione relativamente all'incidenza causale del comportamento negligente del suddetto proprietario esclusivo).

Resta sempre fermo che, in tema di azioni nunciatorie, qualora il ripristino della situazione anteriore alla turbativa debba avvenire con la demolizione di un'opera appartenente a più proprietari, sussiste il litisconsorzio necessario nei confronti non soltanto degli autori della turbativa ma anche dei comproprietari i quali, per effetto dell'abbattimento del bene, subirebbero gli effetti della condanna (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 14 maggio 2003, n. 7412).

Il procedimento lato sensu cautelare

Prima della riforma del processo civile del 1995, si era statuito (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2001, n. 14561)che, in tema di denuncia di danno temuto, i provvedimenti temporanei ed urgenti di natura cautelare assunti ai sensi dell'art. 1172 c.c. caratterizzano ed esauriscono la fase cautelare del procedimento cui dà luogo il ricorso del denunciante, mentre del tutto distinto ed autonomo rimane, rispetto ad essa, il successivo giudizio di merito a cognizione piena diretto ad accertare l'esistenza del diritto per la cui tutela erano stati chiesti quei provvedimenti; pertanto, in caso di azione proposta a tutela del possesso, il giudizio di merito successivo alla chiusura della fase cautelare del procedimento ha ad oggetto la verifica della ricorrenza dell'effettiva esistenza del pericolo di danno, della sua riconducibilità al comportamento del denunciato e dell'illiceità di tale comportamento, sicché, ricorrendo siffatti elementi, i provvedimenti emessi con sentenza a chiusura del giudizio di merito non rilevano di per sè ma in funzione dell'effettiva e piena tutela della situazione di possesso invocata.

Pertanto, la prima fase aveva finalità cautelare ed in essa il Pretore, con cognizione sommaria e con competenza funzionale, poteva emettere le misure dirette ad evitare che l'ulteriore durata del processo determinasse il pregiudizio denunciato, mentre la seconda fase, dominata dalle normali regole sulla competenza, riguardava il merito della domanda e si svolgeva con cognizione piena; entrambe le fasi del procedimento di nunciazione, però, costituivano momenti di un unico giudizio; il Pretore, se era competente per il merito, procedeva “alla trattazione della causa”, altrimenti rimetteva le parti davanti al giudice competente fissando un termine “per la riassunzione”.

Si trattava, pur sempre, di provvedimenti immediati caratterizzati dalla strumentalità, nel senso che erano di regola preordinati all'emanazione di un provvedimento definitivo, di cui tendevano ad assicurare gli effetti in via preventiva; pertanto - a differenza del regime precedente - una volta emesso il provvedimento cautelare, non si poteva più procedere alla trattazione del merito senza soluzione di continuità, dovendo il denunciante dare “inizio” ad un apposito giudizio di merito.

Il quadro di riferimento normativo sopra delineato era mutato a seguito dell'istituzione del giudice unico di primo grado (1999): infatti, le azioni cautelari di denuncia di nuova opera e di danno temuto - previste nell'art. 8, comma 2, n. 1), c.p.c., soppresso dall'art. 49 del d.lgs. n. 51/1998 - si presentavano innanzi al Tribunale, cui erano state trasferite in blocco le originarie competenze esclusive del Pretore: il Tribunale decideva la fase sommaria in composizione monocratica, mentre in forma collegiale (in cui non poteva far parte il giudice che aveva emanato il provvedimento reclamato) esaminava gli eventuali reclami ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c.

Orbene, disponendo che, in caso di domanda cautelare proposta ante causam, il giudice, qualora avesse accolto la misura cautelare, avrebbe dovuto sempre fissare un termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito, e stabilendosi l'inefficacia del provvedimento cautelare (anche quello immediatamente satisfattivo dell'interesse del ricorrente) in caso di mancato (o ritardato) inizio, l'art. 669-octies c.p.c. confermava lo stretto rapporto di collegamento esistente, nel nostro ordinamento processuale, tra il provvedimento cautelare e la pronuncia del giudizio di merito, della quale il primo mirava ad assicurare gli effetti mediante la tecnica dell'anticipazione o della conservazione (anche al fine di impedire ogni abuso della tutela cautelare, che non poteva mai essere fine a se stessa).

Tale impostazione, connotata dalla predetta rigida “strumentalità” tra tutela cautelare ed ordinaria, è stata messa parzialmente in crisi dalla legge n. 80/2005, secondo cui, nell'ottica di una razionalizzazione (in termini di efficienza e celerità) della tutela sommaria, le disposizioni relative al termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito - e, quindi, anche quelle correlate all'eventuale caducazione - non si applicano, tra gli altri, ai provvedimenti emessi a seguito di denuncia di nuova opera o di danno temuto, provvedimenti i quali, pertanto, sono equiparati ai “provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito” ai sensi dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., anche se piuttosto finalizzati a prevenire o impedire la continuazione della lesione del diritto azionato.

In tutti questi casi, le eventualità processuali sono: i concessi provvedimenti cautelari rimangono efficaci anche se il giudizio di merito non venga iniziato o si estingua, pur quando la domanda cautelare sia stata avanzata lite pendente (a stretto rigore, qualora il giudice ordina la sospensione della nuova opera, il contenuto del provvedimento nunciatorio costituisce solo un'anticipazione parziale del contenuto della futura sentenza di accoglimento, nel senso che il provvedimento cautelare non può contenere l'ordine di demolizione di quanto illegittimamente costruito, mentre nella denuncia di danno temuto si può avere una completa anticipazione); il giudice non assegna il termine perentorio per l'instaurazione della causa di merito; rimane la libertà, in capo a ciascuna parte processuale, di iniziare il medesimo giudizio in qualsiasi momento (sarà spesso il destinatario passivo del provvedimento cautelare anticipatorio ad avere interesse ad instaurare la causa a cognizione piena, con l'onere di provare l'insussistenza del diritto già accertato esistente a livello di fumus);il provvedimento cautelare non acquista autorità di giudicato “esterna” invocabile in un diverso processo (venendo meno solo con l'instaurazione del giudizio a cognizione piena).

In altri termini, chi, come nel caso delle azioni nunciatorie, beneficia di un provvedimento cautelare d'urgenza o comunque anticipatorio degli effetti della sentenza di merito, non è più tenuto, a decorrere dal 1° marzo 2006, a notificare l'atto introduttivo del giudizio a cognizione piena - l'obbligo del giudice che sottoscrive il provvedimento positivo di fissare ugualmente un termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito, contemplato nel comma 1 dell'art. 669-octies c.p.c., troverebbe, però, conferma nel fatto che, come prescritto dal successivo capoverso, in mancanza di fissazione da parte del magistrato, si applica automaticamente il termine fissato dalla legge - mentre le sorti della concessa cautela non sono influenzate dal giudizio di merito, poiché l'estinzione dello stesso non ne determina più la caducazione, anche quando la relativa istanza sia proposta in corso di causa.

Casistica

CASISTICA

Rigurgito della fognatura

In tema di danno temuto, il pericolo di danno alla salute, ai fini dell'ammissibilità dell'istanza cautelare ex art. 1172 cod. civ., non assume rilievo caratterizzante ed esclusivo ove tale pericolo costituisca conseguenza della menomazione delle facoltà di godimento pieno ed esclusivo della cosa in proprietà (nella specie, trattavasi di una domanda di tutela cautelare proposta in presenza di una situazione per cui il bagno dell'istante risultava invaso dai rigurgiti della fognatura, e nell'escludere che fosse stata nel caso richiesta la tutela del solo diritto alla salute, di per sé estraneo alla proposta azione nunciatoria, si è enunziato il suddetto principio di cui in massima) (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1778).

Omessa manutenzione della terrazza

Qualora l'omessa manutenzione del terrazzo, in proprietà esclusiva di condomino, danneggi, per infiltrazione di acqua, il vano del proprietario sottostante, anche con pericolo per la stabilità dell'edificio condominiale e il proprietario del terrazzo rifiuti l'accesso all'impresa incaricata delle riparazioni dal condominio, questo può utilmente esperire l'azione di danno temuto, ma non può richiedere, in via di urgenza, l'accesso al fondo del condomino, ex artt. 843 c.c. e 700 c.p.c., in quanto tale possibilità è data solo per costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino o comune (Trib. Roma 5 luglio 2001).

Ordine di sospensione dei lavori

L'osservanza dell'ordine giudiziale di sospensione dei lavori denunciati come causa di danno alla proprietà del vicino non esime l'autore di questi dal dovere di porre in essere tutti gli accorgimenti necessari ad evitare che il danno stesso si produca, ovvero si realizzi in forma più grave, non comportando un intervento del genere inottemperanza del comando giudiziale bensì la realizzazione della sua finalità preventiva e conservativa (Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 1992, n. 11425).

Guida all'approfondimento

Pirastu, Brevi osservazioni in tema di azione di manutenzione e denuncia di danno temuto, in Riv. giur. sarda, 2009, 740;

Gliatta, Denunzia di danno temuto e oggetto della tutela, in Corr. giur., 2008, 1742;

Castro, Estensione della legittimazione ad agire nell'azione di danno temuto, in Il Civilista, 2007, fasc. 2, 6;

Valeri, Denuncia di danno temuto e legittimazione ad agire in capo al comproprietario di bene indiviso, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 1147;

Pennanzio, Danno temuto e timori del danno alla salute dei comproprietari, in Giur. it., 2007, 2714;

Basilico, La denuncia di danno temuto: il procedimento, in Riv. dir. civ., 2005, II, 297;

Della Ventura, Danno temuto ed esperibilità dell'azione in riferimento al codice civile, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 2, 74;

Carrato, Brevi note sulle condizioni di ammissibilità della denunzia di danno temuto, in Rass. loc. e cond., 2003, 122;

Santersiere, Lavori indifferibili su terrazzo di proprietà esclusiva in ambito condominiale - Azione di danno temuto, in Arch. loc. e cond., 2002, 326.

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