Art. 30, comma 3, c.p.a. e omessa impugnazione della revoca dell'aggiudicazione

19 Ottobre 2018

La scelta di rimanere inerte a fronte della revoca della aggiudicazione e di attivare il solo rimedio risarcitorio, a distanza di quasi quattro mesi dall'adozione del provvedimento asseritamente lesivo, non risulta rispettosa delle ordinarie regole di diligenza, con conseguente elisione di ogni collegamento causale fra la revoca e il danno prospettato.

La vicenda. L'aggiudicataria di una procedura di affidamento del servizio di trasporto scolastico indetta da un Comune proponeva azione autonoma di risarcimento del danno a seguito alla revoca dell'aggiudicazione – intervenuta successivamente all'anticipata esecuzione del servizio –, segnalando al contempo l'inutilità dell'azione di annullamento, data la limitata durata dell'appalto, inconciliabile con i tempi per ottenere tutela in forma specifica in sede giurisdizionale. La società, limitandosi ad allegare l'illegittimità della revoca quale prova dell'elemento soggettivo, sosteneva che tale provvedimento avrebbe inciso su una fase – quella dell'aggiudicazione definitiva – che potrebbe essere oggetto di revisione solo in correlazione a circostanze direttamente collegate alla stessa e connesse agli obblighi assunti in sede di gara. La revoca disposta nella fattispecie avrebbe trovato, al contrario, il proprio presupposto in condotte idonee a minare il rapporto fiduciario tra l'Amministrazione e l'aggiudicataria; secondo la ricorrente, pertanto, un comportamento avente natura contrattuale sarebbe stato trasfuso nella fase precontrattuale, antecedente alla stipula, con conseguente contraddittorietà del provvedimento di revoca adottato.

Sulla qualificazione del titolo di responsabilità invocata dalla ricorrente. Il Collegio ha preliminarmente ricordato che la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, ha più volte sottolineato che, nello svolgimento dell'attività autoritativa, l'Amministrazione è tenuta a rispettare non solo norme di diritto pubblico, ma anche le norme generali dell'ordinamento civile, che impongono di agire con lealtà e correttezza e la cui violazione può far sorgere una responsabilità da comportamento scorretto, incidente non su interessi legittimi ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, ovvero sulla libertà di compiere scelte negoziali senza subire ingerenze indebite, frutto dell'altrui scorrettezza (in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 633; Id., Sez. IV, 6 marzo 2015, n. 1142; Id., Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6; Cass., Sez. un., 12 maggio 2008, n. 11656; Id., Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636; Id., 3 luglio 2014, n. 15250; analogamente, cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5). Nella fattispecie, come evidenziato dal TAR, è stata invero prospettata una responsabilità dell'Amministrazione da provvedimento prospettato come illegittimo – la revoca – non impugnato e divenuto inoppugnabile.

Sulle conseguenze della mancata impugnazione della revoca. La pronuncia ha, pertanto, sottolineato che – pur non sussistendo preclusioni in rito in ordine all'ammissibilità dell'azione risarcitoria per lesione dell'interesse legittimo non accompagnata dall'impugnazione del provvedimento asseritamente causativo dei danni lamentati – è necessario fare corretta applicazione dell'art. 30, comma 3, c.p.a. che, anche non menzionando esplicitamente quanto disposto dall'art. 1227, comma 2, c.c., individua nell'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti dall'ordinamento – alla luce del comportamento complessivo delle parti – un dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3).

In virtù di tali presupposti, il Collegio ha respinto la pretesa risarcitoria, rilevando che nella fattispecie la ricorrente avrebbe potuto promuovere tempestivamente domanda di annullamento, con annessa tutela cautelare anche monocratica, onde evitare i danni asseritamente patiti ed impedire l'interruzione del servizio già in corso di espletamento. La decisione di rimanere inerte e di attendere quasi quattro mesi dall'adozione della revoca assunta come lesiva per attivare il rimedio risarcitorio non risulterebbe, infatti, rispettosa delle ordinarie regole di diligenza, soprattutto in considerazione della rilevanza che il provvedimento stesso ha assunto nella definizione degli elementi costitutivi dell'illecito nella stessa prospettazione della ricorrente.

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