Dispositivi medici: illegittima l'esclusione per mancata dichiarazione del produttore della conformità dei prodotti ai requisiti del capitolato tecnico

Benedetta Barmann
26 Novembre 2018

È illegittima l'esclusione dalla procedura per l'affidamento di un contratto di fornitura di dispositivi medici per la mancata produzione della «dichiarazione sottoscritta dal produttore che i prodotti offerti siano fabbricati con materiali idonei, sterili, apirogeni e atossici».Il rimedio apprestato dalla normativa di settore per il caso in cui un dispositivo recante la marcatura CE ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo n. 46 del 1997 possa compromettere la salute e la sicurezza dei pazienti, degli utilizzatori o di terzi, non può essere quello di imporre ai soggetti che partecipano ad una gara, in aggiunta all'obbligo di comprovare la conformità del prodotto offerto alla normativa di settore, anche l'obbligo di dichiarare che il prodotto possiede ulteriori requisiti. Tale rimedio è infatti costituito dalla procedura di salvaguardia di cui all'art. 7 del decreto legislativo n. 46/1997 (che recepisce l'art. 8 della direttiva 93/42/CEE), in base al quale il Ministero della salute dispone il ritiro dal mercato del dispositivo pericoloso e ne vieta o limita l'immissione in commercio o la messa in servizio, informando contestualmente il Ministero dello sviluppo economico e la Commissione delle Comunità europee.

Il caso. L'Agenzia provinciale per gli appalti e contratti della Provincia autonoma di Trento indiceva una «Procedura aperta per l'affidamento della fornitura di materiale protesico e di consumo (dispositivi medici), suddivisa in 26 lotti, occorrente alla U.O. di Cardiochirurgia dell'ospedale di Trento». Si prevedeva la suddivisione dell'appalto in 26 lotti, tra i quali in questa sede rilevano quelli aventi ad oggetto la fornitura di protesi di vario genere. Con riferimento ai lotti aventi ad oggetto tale fornitura, la società ricorrente presentava la propria offerta.

Secondo quanto disposto dal capitolato tecnico, i prodotti offerti per ciascun lotto dovevano soddisfare taluni requisiti minimi, prevedendosi, in particolare, a pena di esclusione, che «il prodotto offerto deve: a) essere conforme alla direttiva 93/42 CEE e D.lgs. 46 del 1997 e successive modifiche; b) essere fabbricato con materiali idonei, sterili, apirogeni e atossici». Nulla si disponeva, invece, circa le modalità per attestare la conformità dei prodotti offerti ai suddetti requisiti, limitandosi a indicare la possibilità di inserire l'apposita dichiarazione nella scheda tecnica dei prodotti offerti, ovvero di produrre l'apposita dichiarazione «firmata dal produttore ed inserita nella busta contenente l'offerta tecnica del lotto per il quale la ditta intende partecipare».

Nel corso della procedura di gara, la società ricorrente è stata esclusa «per carenza dei requisiti minimi previsti dal Capitolato tecnico», in quanto la Commissione ha attestato, per ciascun lotto, di non aver rinvenuto «la dichiarazione sottoscritta dal produttore che i prodotti offerti siano fabbricati con materiali idonei, sterili, apirogeni e atossici, dichiarazione costituente elemento essenziale dell'offerta tecnica come richiesto da Capitolato Tecnico», e che «tali informazioni non sono altresì rinvenibili nella scheda tecnica e non risultano presenti in etichetta elementi e simboli tali da far comprendere la presenza di tali caratteristiche essenziali richieste».

Avverso tale provvedimento di esclusione la società ha proposto ricorso al Tar di Trento, ritenendolo illegittimo sotto diversi profili.

L'idoneità dei dispositivi medici: due tesi a confronto. La controversia portata all'attenzione del Tar è frutto di due tesi radicalmente contrapposte. Da un lato vi è quella della ricorrente, secondo la quale in base alla normativa di settore (costituita dal decreto legislativo n. 46/1997, che recepisce la direttiva 93/42/CEE) un dispositivo medico per essere immesso in commercio deve preventivamente ottenere la marcatura CE, che viene rilasciata solo se il dispositivo possiede i requisiti essenziali di cui all'Allegato I del decreto legislativo n. 46/1997, e la lex specialis deve essere interpretata nel senso che non prevede l'esclusione del concorrente che non abbia espressamente attestato che i dispositivi sono stati fabbricati “con materiali idonei, sterili, apirogeni e atossici”, perché la marcatura CE dimostra, di per sé, il possesso di tutti i requisiti richiesti.

Secondo siffatta impostazione, pertanto, l'impugnato provvedimento di esclusione è illegittimo (per violazione della normativa di settore e della lex specialis) perché tutti i prodotti offerti, essendo provvisti di marcatura CE, «sono stati incontrovertibilmente progettati e fabbricati con materiale idoneo, sterile, apirogeno ed atossico, in modo da garantire la sicurezza degli utilizzatori finali in ottemperanza a quanto imposto dalla Direttiva 93/42/CE».

Secondo la tesi sostenuta dalle Amministrazioni resistenti, invece, la marcatura CE è l'adempimento che consente l'immissione in commercio dei dispositivi medici, ma il committente può esigere livelli di sicurezza maggiori rispetto a quelli garantiti dalla suddetta marcatura qualora lo ritenga necessario per garantire un adeguato livello di protezione della salute dei pazienti.

Il giudizio del Tar. I giudici, pur valutando positivamente le precauzioni adottate dall'amministrazione resistente, ritengono illegittimo il provvedimento di esclusione della società ricorrente.

Anzitutto, il Tar rileva che «un dispositivo medico della specie di quello oggetto del lotto n. 13 per essere immesso in commercio deve preventivamente ottenere la marcatura CE, che viene rilasciata solo se il dispositivo possiede i requisiti essenziali di cui all'Allegato I al decreto legislativo n. 46/1997. (…) l'Allegato I al decreto legislativo n. 46/1997 precisa che “i dispositivi devono essere progettati e fabbricati in modo che la loro utilizzazione non comprometta lo stato clinico e la sicurezza dei pazienti, né la sicurezza e la salute degli utilizzatori ed eventualmente di terzi, quando siano utilizzati alle condizioni e per i fini previsti, fermo restando che gli eventuali rischi debbono essere di livello accettabile, tenuto conto del beneficio apportato al paziente, e compatibili con un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza” (paragrafo 1)». In ogni caso, secondo l'art. 6 del decreto legislativo n. 46/1997 si presume conforme ai requisiti essenziali di cui all'art. 4 «il dispositivo fabbricato in conformità delle norme tecniche armonizzate comunitarie e delle norme tecniche nazionali che le recepiscono», mentre ai sensi dell'art. 5, comma 1, «è consentita l'immissione in commercio e la messa in servizio, nel territorio italiano, dei dispositivi recanti la marcatura CE di cui all'articolo 16 e valutati in base all'articolo 11».

In definitiva, il fabbricante per produrre un dispositivo medico conforme al decreto legislativo n. 46/1997 e ottenere la relativa marcatura CE, funzionale all'immissione in commercio dello stesso, deve dimostrare che il prodotto ed il relativo processo produttivo sono conformi ai requisiti essenziali di cui al suddetto Allegato I, fermo restando che: A) la rispondenza di un dispositivo medico a tali requisiti non viene valutata ex ante da un soggetto pubblico (come invece avviene per i farmaci); B) non sono prescritte, a livello normativo, le regole tecniche alle quali il fabbricante deve attenersi.

Spetta, dunque, al fabbricante accertare la conformità del suo prodotto ai predetti requisiti essenziali e, a tal fine, il fabbricante può far riferimento alle c.d. norme tecniche armonizzate, che «riflettono lo stato dell'arte relativamente alle conoscenze in un determinato settore»; tali norme tecniche, quindi, non hanno carattere prescrittivo, ma il rispetto delle stesse «assicura ... una presunzione di conformità, che invece il fabbricante dovrà compiutamente dimostrare nel caso in cui non le abbia prese a riferimento». A fronte di tale particolare rilievo assume l'art. 7 (rubricato «Clausola di salvaguardia») del medesimo decreto legislativo, il quale dispone, al comma 1, che il Ministero della salute, «quando accerta che un dispositivo di cui all'articolo 5, commi 1 e 2, lettera b), ancorché installato e utilizzato correttamente secondo la sua destinazione e oggetto di manutenzione regolare, può compromettere la salute e la sicurezza dei pazienti, degli utilizzatori o di terzi, ne dispone il ritiro dal mercato a cura e spese del fabbricante o del suo mandatario, ne vieta o limita l'immissione in commercio o la messa in servizio, informandone il Ministero dello sviluppo economico. Il Ministero della salute comunica, immediatamente i provvedimenti adottati alla Commissione delle Comunità europee, indicando in particolare se la non conformità del dispositivo al presente decreto deriva: a) dalla mancanza dei requisiti essenziali di cui all'articolo 4; b) da una non corretta applicazione delle norme tecniche di cui all'articolo 6; c) da una lacuna delle norme tecniche indicate all'articolo 6».

Quanto poi agli effetti della dichiarazione di conformità dei dispositivi medici ai requisiti essenziali previsti dal decreto legislativo n. 46/1997 e alla funzione che la procedura di salvaguardia di cui all'art. 7 di tale decreto legislativo assolve nell'ambito della disciplina dei dispositivi medici, particolare rilevo assume la sentenza dalla Corte di Giustizia UE 14 giugno 2007, n. 6. La Corte ha ricordato che i dispositivi medici «una volta che siano conformi alle norme armonizzate e certificati seguendo le procedure previste da tale direttiva, devono presumersi conformi ai summenzionati requisiti essenziali e, di conseguenza, devono essere considerati adeguati all'uso cui sono destinati».

I giudici, in conclusione, ritengono fondato il ricorso della società, sposandone la tesi secondo la quale «la marcatura CE del prodotto offerto per il lotto n. 13, conseguente anche alla verifica di biocompatilità del prodotto stesso alla stregua delle indicazioni contenute nella normativa tecnica EN ISO 10993, attesta il possesso di tutti i requisiti richiesti della lex specialis, ivi compreso quello della non pirogenicità».

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