Piano del consumatore e falcidia dell'IVA
24 Dicembre 2018
L'IVA relativa ad un consumatore finale (perdita dell'agevolazione prima casa - al momento dell'acquisto è stata applica l'Iva al 4%; successivamente non essendo stata acquistata una nuova abitazione nei cinque anni successivi l'Agenzia ha rettificato l'IVA dal 4% al 10%, liquidando la maggiore imposta) può essere falcidiata nel piano del consumatore in quanto non è da considerarsi risorsa propria dell'Unione Europea? Tale imposta, infatti, non deriva da prestazioni di servizi e/o vendita di beni (art. 2, par. 1, lett. a), b), c) della direttiva 2006/112 CE del Consiglio 20.11.2008 e art. 250, par. 1), ma consiste semplicemente in una perdita di agevolazione.
Riferimenti normativi – L'art. 7 L. n. 3/2012 prevede che: “E' possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi. In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”. La Direttiva del Consiglio dell'Unione Europea del 28/11/2006, all'art. 2, stabilisce che “sono soggette all'IVA le operazioni seguenti: a) le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale; b) gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro: i) da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente non soggetto passivo, quando il venditore è un soggetto passivo che agisce in quanto tale che non beneficia della franchigia per le piccole imprese prevista agli articoli da 282 a 292 e che non rientra nelle disposizioni previste agli articoli 33 e 36; ii) quando si tratta di mezzi di trasporto nuovi, da un soggetto passivo, o da un ente non soggetto passivo, i cui altri acquisti non sono soggetti all'IVA in forza dell'articolo 3, paragrafo 1, o da qualsiasi altra persona non soggetto passivo; iii) quando si tratta di prodotti soggetti ad accisa, per i quali le accise relative sono esigibili nel territorio dello Stato membro a norma della direttiva 92/12/CEE, da un soggetto passivo o da un ente non soggetto passivo i cui altri acquisti non sono soggetti all'IVA, in forza dell'articolo 3, paragrafo 1; c) le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale; d) le importazioni di beni”; lasciando poi alla legge dei singoli stati il compito di quantificare secondo i propri criteri l'aliquota da applicare (art. 96 Direttiva citata).
Per fornire un'esaustiva risposta al quesito giova prendere le mosse dalla questione relativa alla "falcidiabilità" dell'IVA, questione che è stata, nel corso dell'ultimo anno, uno degli argomenti centrali del panorama concorsuale. Il tema ha riguardato prevalentemente la possibilità di proporre un piano di concordato che prevedesse il pagamento non integrale dell'IVA, sottoponendo tale ultima voce di debito allo stesso trattamento degli altri crediti privilegiati. Sulla base di un'interpretazione estensiva operata dalla giurisprudenza della Corte di legittimità sulla previgente versione dell'art. 182-ter l.fall., il piano concordatario non poteva che fondarsi sul pagamento integrale dell'IVA laddove l'imprenditore ne fosse debitore, in quanto la risorsa doveva considerarsi non disponibile dagli Stati membri dell'Unione europea. La sentenza del 7 aprile 2016 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha dato agli interpreti una nuova chiave di lettura della normativa europea, sancendo che l'ammissione di un pagamento parziale di un credito iva da parte di un imprenditore in stato d'insolvenza, nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, non contrasta con gli obblighi degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell'IVA sul territorio, nonché con la necessità di assicurare la riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione perché la procedura di concordato preventivo prevista dalla normativa italiana consento allo Stato interessato di accertare se, a causa dello stato d'insolvenza dell'imprenditore, non possa recuperare il proprio credito in misura maggiore. In sostanza, sarebbe ammissibile una proposta concordataria con cui si offre un adempimento, non solo dilazionato, ma anche parziale dell'IVA, sempre che tale soluzione sia comunque vantaggiosa rispetto all'ipotesi liquidatoria. Successivamente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sentenza n. 26988 del 27/12/2016) stabilivano che la previsione dell'infalcidiabilità del credito IVA di cui all'art. 182-ter l.fall. poteva trovare applicazione solo nell'ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale. Il legislatore italiano è, poi, intervenuto modificando la norma di cui all'art. 182-ter l.fall. (L. n. 232/2016), la quale ora sancisce espressamente la falcidiabilità dell'IVA esclusivamente mediante lo strumento della transazione fiscale previsto dal medesimo articolo. Diverso il percorso del trattamento riservabile al tributo nel caso di composizione della crisi da sovraindebitamento prevista dalla L. n. 3/2012. Nel corpo normativo citato, l'art. 7 esclude, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la possibilità di un pagamento non integrale. La normativa italiana predispone diversi meccanismi di calcolo dell'aliquota IVA, concedendo agevolazioni in funzione di diversi criteri anche di ordine soggettivo. Il venir meno dei requisiti per poter usufruire dell'agevolazione prevista dalla legge, si ritiene, non è in grado di modificare la natura del tributo, dovendosi lo stesso considerare comunque un'imposta prevista nel novero dell'art. 7 L. n. 3/2012 e, come tale, non falcidiabile. Ad ogni buon conto, sul tema della falcidiabilità dell'IVA nel piano del consumatore si registrano aperture giurisprudenziali nel senso di una loro ammissibilità. Le pronunce riguardanti il trattamento dell'imposta in discorso in ambito concordatario, infatti, non hanno – né avrebbero potuto – prendere in considerazione il trattamento dell'imposta nel contesto degli strumenti di composizione da sovraindebitamento, dal momento che, nella normativa specifica, si prevede testualmente l'inammissibilità di un piano che non ne preveda l'integrale pagamento. Secondo un orientamento giurisprudenziale di merito, tuttavia, anche la norma riferita al trattamento dell'IVA prevista nella regolamentazione del sovraindebitamento deve essere interpretata alla luce della normativa europea come letta dalla Corte di Giustizia dell'Unione con la sentenza sopra citata, ossia in base alla regola implicita per cui gli Stati membri, ove non sia possibile il prelievo integrale, devono garantire il maggior prelievo possibile paragonato all'alternativa liquidatoria. Così argomentando, il Tribunale di Pistoia, con provvedimento del 26 aprile 2017 (in questo portale con nota di Gallio), ha ritenuto ammissibile una proposta di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento che prevedeva una parziale falcidia dell'IVA, rappresentando, comunque, la convenienza della soluzione adottata in quanto stimava una soddisfazione maggiore (pari a 0,3%) rispetto alla liquidazione dei beni. Il Trib. Udine 14.5.2018 (in questo portale con nota di Gallio) ha a sua volta sollevato questione di costituzionalità per la mancata possibilità di falcidiare l'IVA nell'ambito delle procedure di sovra-indebitamento. |