Il datore di lavoro in quanto sostituto d’imposta ha diritto al recupero dei crediti al lordo delle ritenute fiscali
21 Febbraio 2019
Il caso. Una società propone ricorso in appello contro la decisione del Tribunale di Roma che aveva condannato il lavoratore al pagamento in suo favore di una certa somma a titolo di restituzione di quanto ottenuto a titolo di differenze retributive in forza di una sentenza del Tribunale di Ancona successivamente riformata dalla Corte d'appello di Ancona.
La società appellante chiede ai giudici di appello di Roma la condanna del lavoratore alla restituzione della ulteriore somma a suo tempo versata – quale sostituto di imposta – all'Erario in esecuzione della sopra richiamata sentenza del Tribunale di Ancona.
Recupero dei crediti al lordo delle ritenute fiscali erogate dal datore di lavoro quale sostituto d'imposta. Con riferimento alla somma versata dalla società a titolo di IRPEF, la Corte d'appello ricorda anzitutto come, a norma dell'art. 6, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986, le somme finalizzate a ristorare il pregiudizio da mancata percezione di emolumenti (lucro cessante) costituiscono reddito soggetto a tassazione, a differenze di quelle che compensano le perdite da diminuzione patrimoniale (danno emergente), come ripetutamente affermato dalla Corte di cassazione (da ultimo Cass. n. 2549 del 2011); non è dubitabile che le differenze retributive competono a titolo di lucro cessante.
Quanto alla ripetibilità delle somme al netto o al lordo, continuano i giudici di secondo grado, per giurisprudenza costante “l'azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione della sentenza d'appello successivamente cassata, ovvero della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva riformata in appello, non si inquadra nell'istituto della conditio indebiti (art. 2033, c.c.)" (Cass. n. 14178 del 2009; Cass. n. 21992 del 2007), e il “il diritto alla restituzione sorge direttamente in conseguenza della riforma della sentenza, la quale, facendo venir meno ex tunc e definitivamente il titolo delle attribuzioni in base alla prima sentenza, impone di porre la controparte nella medesima situazione in cui si trovava in precedenza” (Cass. n. 8829 del 2007).
In assenza di disposizioni speciali che riguardano la materia lavoristica, spiega la Corte, la stessa regola andrà applicata al caso di specie; di conseguenza, concludono i giudici, qualora il datore di lavoro sia il vincitore finale della lite giudiziaria, rimetterlo nella situazione precedente l'attribuzione patrimoniale, privata ex art. 336, c.p.c., di titolo, significa che il lavoratore dovrà restituire al datore medesimo anche quanto da quest'ultimo pagato al fisco. Sarà poi il lavoratore a poter recuperare dal fisco. |