Raccolta annotazioni giurisprudenziali 2018
28 Marzo 2019
Cass. Civ., sez. VI-T, 8 gennaio 2018, n. 234 Inesistenza giuridica della la notifica effettuata da poste private In tema di contenzioso tributario, la notifica a mezzo posta del ricorso introduttivo del giudizio tributario effettuata mediante un servizio gestito da un “licenziatario privato” deve ritenersi inesistente, e come tale non suscettibile di sanatoria, atteso che il D.Lgs. n. 261/1999 art. 4 comma 1, lett. a) che ha liberalizzato i servizi postali, stabilisce che per esigenze di ordine pubblico sono comunque affidati in via esclusiva alle Poste Italiane SPA le notificazioni a mezzo posta degli atti giudiziario di cui alla L. n. 890/1982 tra cui vanno annoverate quelle degli atti tributari sostanziali e processuali (Cass. n. 19467/16; Cass. Civ., ss.uu., n. 13452/2017; Cass. Civ., n. 15347/2015). È quanto ha disposto la Suprema Corte di Cassazione in concomitanza dell'ordinanza n. 234 del 8 gennaio 2018. Si tratta di un orientamento giurisprudenziale già palesato dai Giudici di Legittimità in altre pronunce precedenti riferite ad atti notificati prima del 10 settembre 2017 in vigenza del D.Lgs. n. 261/1999 successivamente abrogato dall'entrata in vigore della L. n. 124/2017, art. 1, comma 57 lett.b) che proprio con decorrenza dal 10 settembre 2017 ha fatto salva la possibilità di notificazione degli atti tributari e processuali anche previo utilizzo di licenziatari privati. Tuttavia, la mancanza ancora oggi del rilascio della licenza individuale da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) prevista dal successivo comma 58 della stessa L. n. 124/2017 attualmente vigente, preclude di fatto l'utilizzo dei licenziatari privati con conseguente inesistenza giuridica di tutte le notifiche.
Cass. Civ., sez. VI-T, 19 febbraio 2018, n. 3999 Sentenza di appello illegittima se motivata con un semplice rinvio alla sentenza di primo grado In particolare, nel caso di specie gli Ermellini hanno ritenuto illegittima la sentenza di appello che sostanzia la propria motivazione attraverso un mero rinvio al giudicato di prime cure come palesato dalla C.T.P. adita nel giudizio di primo grado. Secondo i Giudici della Corte di Cassazione non è condivisibile il modus operandi adottato dal Giudice di appello che richiama in toto l'orientamento espresso dai Giudici tributari di primo grado senza dare contezza in ordine alle motivazioni specifiche che hanno portato a ritenere infondati i motivi di appello. In altre parole, secondo gli Ermellini il mero richiamo dei Giudici di appello all'orientamento espresso nel giudicato di prime cure non permette di individuare con esattezza il thema decidendum, né tanto meno di verificare se la condivisione di quanto disposto dai giudici tributari di secondo grado sia la diretta conseguenza della infondatezza dei motivi di appello.
Cass. Civ., 11 aprile 2018, n. 8881 È ipotecabile il fondo patrimoniale costituito venti anni prima dell'insorgere del debito In tema di riscossione coattiva delle imposte, l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (il citato art. 77 del d.P.R. n. 602/1977, intitolato «Iscrizione di ipoteca», prevede al primo comma che «Decorso inutilmente il termine di cui all'articolo 50, comma 1 [ovvero sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento], il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede») è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall'art. 170 c.c. nel caso in cui l'obbligazione tributaria sorta è comunque riconducibile all'esigenza di soddisfare i bisogni della famiglia o comunque, se il titolare del credito non ne conosceva l'estraneità a tali necessità. Ne deriva che nel caso di specie è del tutto irrilevante la circostanza che il fondo sia stato costituito molto tempo prima rispetto alla nascita del debito per cui si procede. È quanto ha disposto la Suprema Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 8881 depositata l'11 aprile 2018 in cui i giudici di legittimità hanno fatto salva la possibilità da parte dell'agente della riscossione di intaccare fondi patrimoniali costituiti ex ante rispetto all'insorgere del debito per cui si procede. Si tratta di un principio giurisprudenziale già palesato dai giudici di legittimità in altre pronunce (cfr. Cass. civ., sez. trib., n. 22761 del 9 novembre 2016). Nel caso di specie, il fondo patrimoniale ipotecato era stato costituito dal debitore ben venti anni prima rispetto alla nascita del debito, per cui, le ragioni specifiche che hanno generato l'obbligazione tributaria a cui è strettamente subordinata la posizione debitoria, per i giudici di legittimità, prevalgono rispetto al tempus in cui il fondo patrimoniale risulta costituito. Si tratta, ad avviso dello scrivente, di una pronuncia non di poco conto considerando che non mancherà di avere riflessi concreti ed immediati anche su quelle situazioni patrimoniali pregresse non più “tutelabili” o meglio da ritenere tutelate in caso di debiti sopravvenuti.
Cass. Civ., ss. uu., 27 aprile 2018, n. 10266 Per le sezioni unite della cassazione le firme digitali cades e pades si equivalgono Secondo il diritto dell'UE e le norme, anche tecniche, di diritto interno, in caso di notifica a mezzo posta elettronica certificata (PEC), le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PadES sono entrambi equivalenti, sia pure con le differenti estensioni e devono, quindi essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione, senza eccezione alcuna. Si tratta di una pronuncia che molti attendevano in considerazione del notevole contenzioso posto al vaglio sia dei Giudici di merito sia della stessa Corte di Cassazione in sede di legittimità avente ad oggetto la questione riferita alla ritualità della notifica a mezzo P.E.C.. Gli Ermellini hanno disposto la piena alternatività delle firme digitali nonostante la diversa estensione del formato p7m rispetto al pdf. Tuttavia, non può essere taciuto che i Giudici di Legittimità fanno espresso riferimento nella sentenza in commento al procedimento civile e a quello amministrativo e non invece a quello tributario. In altre parole, non è dato avere certezza in ordine alla universalità del principio giurisprudenziale espresso dagli Ermellini; in altre parole, resta il dubbio sulla effettiva applicabilità di tale orientamento agli atti di natura tributaria opponibile davanti alla Giurisdizione tributaria. Non solo, ci si chiede quale sarà l'effetto della pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione sui procedimenti tributari attualmente pendenti.
Cass. Civ., sez. VI-T, 3 maggio 2018, n. 10481 Nulla la cartella di pagamento che non indica espressamente i criteridi calcolo degli interessi “In tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento avente ad oggetto gli interessi maturati su un debito tributario deve essere necessariamente motivata dal momento che il contribuente deve essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi”. È quanto ha disposto la Suprema Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 10481 del 03 maggio 2018 confermando i Giudici di Palazzaccio un orientamento già palesato in altre precedenti pronunce (Cass. sen. n. 8651/2009; Cass. 15554/2017). In altre parole, con specifico riferimento agli interessi è necessaria l'indicazione del procedimento di calcolo seguito, trattandosi di una grandezza che matura con il tempo, in modo variabile, in relazione al tasso legale. Pertanto,con riferimento all'aspetto motivazionale la Corte di Cassazione ha più volte evidenziato che in mancanza dell'indicazione del tasso e della decorrenza, il contribuente non viene posto nella condizione di verificare la correttezza del calcolo degli interessi, derivandone l'illegittimità degli stessi. Si tratta di una pronuncia non di poco conto, se consideriamo che negli ultimi tempi sono state molteplici le doglianze mosse innanzi ai Giudici tributari di merito che hanno avuto ad oggetto la predisposizione formale della cartella di pagamento, ed in particolare, la mancata indicazione dei criteri di calcolo che hanno portato l'Agente della riscossione alla quantificazione degli interessi di mora. Tale motivo di doglianza più volte eccepito in sede di ricorso non ha certo messo in discussione la debenza degli accessori di legge, comunque dovuti quale maggiorazione sull'imposta pura non versata; ma, è stato diversamente contestato l'omessa giustificazione in cartella in termini di congruità degli stessi, precludendo al contribuente intimato la possibilità di contestarne l'ammontare.
Corte Costituzionale, 31 maggio 2018, n. 114 Illegittimità costituzionale dell'art. 57 comma 1 lett. a) del d.P.R. n. 602/1973 nell parte in cui non prevede l'opponibilità dell'atto esecutivo ex art. 615 c.p.c. Può dirsi fondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1 lett.a) del d.P.R. n. 602/1973 nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell'avviso di cui all'art. 50 del d.P.R. n. 602/1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c. È quanto ha disposto la Suprema Corte Costituzionale con la sentenza n. 114 del 31/05/2018 in concomitanza della quale i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto fondata la questione di incostituzionalità del richiamato art. 57, comma 1 lett. a) del ridetto d.P.R. n. 602/1973 precludendo al debitore esecutato la possibilità di opposizione agli atti esecutivi ex art. 615 c.p.c. Si tratta di una pronuncia non di poco conto se consideriamo gli sviluppi che la stessa potrà avere in sede di riscossione coattiva con espresso richiamo ad una inevitabile deroga all'esercizio del diritto di difesa costituzionalmente tutelato. Non solo, ma considerando gli effetti diretti che tale pronuncia potrà avere per i procedimenti esecutivi attualmente in itinere i quali non potranno non essere interessati dalla efficacia ex tunc della pronuncia costituzionale.
Cass. Civ., sez. VI, 8 giugno 2018, n. 16098 L'istanza di rateizzazione equivale a riconoscimento del debito L'istanza di rateizzazione della cartella di pagamento presentata dal contribuente costituisce riconoscimento del debito con conseguente interruzione del termine di prescrizione previsto ex lege. Si pone pertanto in contrasto con la pretesa del contribuente di non avere ricevuto la notifica della cartella di pagamento. È quanto ha disposto la Suprema Corte di Cassazione in occasione dell'Ordinanza n. 16098 depositata il 18 giugno 2018. La pronuncia in commento richiama la questione molto dibattuta anche in sede di merito sulla impugnabilità o meno dell'estratto di ruolo in caso di mancata notifica delle cartelle di pagamento, ma soprattutto, evidenzia la valenza di atto interruttivo della prescrizione attribuibile alla richiesta di rateizzazione del debito quale atto di acquiescenza del contribuente.
CTP Bari, 16 luglio 2018, n. 1775 È nullo per difetto di motivazione l'avviso di accertamento che ridetermina la rendita catastale senza il supporto della stima diretta Gli accertamenti catastali finalizzati alla rideterminazione della rendita catastale riconducibile ad un immobile destinato ad attività commerciale (immobili a destinazione speciale di categoria catastale D) devono essere motivati al fine di consentire al contribuente di verificare l'attendibilità degli importi così come richiamati in atti. Pertanto, il metodo di stima adottato dall'Ufficio per il riclassamento dell'immobile non può rimanere astratto, pena la nullità dell'accertamento stesso. È quanto ha disposto la CTP Bari in concomitanza della sentenza n. 1775 depositata in Segreteria il 16 luglio 2018. Si tratta di un principio giurisprudenziale che conferma l'esigenza imprescindibile della stima diretta in caso di riclassamento di un immobile di categoria D, ossia di immobili a destinazione speciale in ordine ai quali non può essere adottata dall'ufficio il cosiddetto metodo della stima comparata o meglio comparativa.
Cass. Civ., 22 settembre 2018, n. 23163 Paga i danni l'Agenzia delle Entrate che non informa correttamente il contribuente I Supremi Giudici hanno disposto l'obbligo a carico dell'Agenzia delle Entrate di risarcire il danno rinveniente dalla violazione degli obblighi di correttezza e collaborazione secondo un canone comportamentale di buona fede che deve caratterizzare l'attività della pubblica amministrazione omettendo di informare il contribuente in ordine alla necessità di dotarsi di ulteriore documentazione richiesta, finalizzata ad usufruire di agevolazioni, evitando l'irrogazione di sanzioni dovute all'omesso versamento dell'imposta ordinaria. si tratta di un principio giurisprudenziale che fa salva la disposizione normativa contenuta nella L. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) che impone all'A.F. l'obbligo di chiarezza e trasparenza degli atti amministrativi oltre che un comportamento che faccia salvi gli obblighi di correttezza e collaborazione dell'Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente. Si tratta di una pronuncia singolare poiché nel caso di specie i giudici di legittimità hanno riconosciuto l'omissione dell'ufficio da cui è scaturita l'emissione dell'avviso di liquidazione della maggiore tassazione richiesta al contribuente. essendosi preclusa irrimediabilmente per il contribuente la possibilità di utilizzo del beneficio fiscale, lo stesso previa azione giudiziale innanzi al giudice ordinario ha richiesto il risarcimento del danno da imputare a carico dell'A.F. rinveniente dalla richiesta di pagamento della maggiore somma a titolo d'imposta sul valore dichiarato intimata con l'avviso di liquidazione.
Cass. Civ., 4 dicembre 2018, n. 31274 La perizia di parte come prova atipica può disattendere l'accertamento analitico dell'ufficio Nel processo tributario nel quale esiste un maggiore spazio per le cosiddette prove atipiche, una perizia di parte può costituire idonea fonte di convincimento del giudice e, pertanto può costituire documentazione utile per confutare le presunzioni posta dall'ufficio a base dell'accertamento analitico-induttivo. È quanto ha disposto la Corte di Cassazione in concomitanza dell'ordinanza n. 31274 del 04 dicembre 2018. Si tratta di una pronuncia con la quale gli Ermellini hanno ritenuto superabile l'impianto accertativo dell'ufficio posto a base dell'accertamento induttivo, ritenendo la suprema corte attendibili i documenti prodotti dal contribuente tra cui una relazione stragiudiziale asseverata con giuramento redatta da un agronomo. Nel caso di specie, le presunzioni dell'ufficio che hanno giustificato la pretesa impositiva sono state disattese in sede giudiziale dall'intervento del consulente tecnico di parte che ha dato una ricostruzione diversa della realtà. si tratta di una pronuncia particolarmente interessante poiché nella casistica in esame i giudici di palazzaccio hanno attribuito un peso specifico notevole all'attività istruttoria documentale del contribuente espletata in giudizio, ed in particolare, ad una relazione stragiudiziale giurata ritenendo quest'ultima idonea a superare le presunzioni semplici dell'ufficio poste a fondamento della pretesa erariale, spetta tuttavia al giudicante giustificare in sentenza le motivazioni poste a fondamento di tale ragionamento.
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