Sulla revoca in autotutela dell'aggiudicazione derivante dalla conoscenza di circostanze, risultanti dalle indagini penali

Diego Campugiani
04 Aprile 2019

Alla stazione appaltante deve essere riconosciuta la potestà di revocare l'aggiudicazione definitiva laddove dalla conoscenza di circostanze, risultanti dalle indagini penali che riguardino specificamente la gara in questione, emerga l'interesse pubblico ad evitare che l'esito dalla procedura risulti essere indebitamente influenzato.

Il caso. Il Consiglio di Stato si è pronunciato sul gravame proposto da un'impresa che, sebbene fosse risultata aggiudicataria della procedura per l'affidamento di una concessione di servizio mediante project financing, si era vista revocare l'affidamento (autotutela ritenuta legittima dal giudice di prime cure) perché i giornali avevano dato notizia della notifica di un avviso di conclusione indagini ex art. 415bis c.p.p. per i delitti di turbata libertà degli incanti e falso a carico del legale rappresentante dell'aggiudicataria, dei componenti della Commissione Giudicatrice, del RUP e del Dirigente del Comune che aveva gestito la procedura di affidamento in project finence oggetto di revoca.

Il Consiglio di Stato ha confermato la statuizione di primo grado, atteso che, il TAR aveva correttamente richiamato in proposito un suo precedente (TAR Campania - Napolin. 4214/2013 e n. 5321/2014), a mente del quale sussiste il potere discrezionale della stazione appaltante di revocare l'aggiudicazione definitiva qualora si sia in presenza di un interesse pubblico concreto e nel caso in cui i fatti di reato, ipotizzati nelle risultanze delle indagini penali, riguardino “specificamente la gara alla quale ha partecipato la ricorrente” qualora ricorrano “fatti eccezionali”. Secondo il convincimento del giudice di prime cure, infatti, “… le risultanze fattuali di un procedimento penale concernente la gara oggetto del procedimento di autotutela, pur necessitando di un apprezzamento proprio della stazione appaltante, non possono tuttavia essere rilette in modo del tutto eccentrico rispetto a quello dell'Autorità Giudiziaria penale, almeno con riguardo alla loro oggettiva consistenza”. Ed ancora: “l'intensità del potere di accertamento delle autorità inquirenti penali costituisce un limite della discrezionalità dell'Amministrazione nei casi, come quello di specie, in cui siano state formulate ipotesi di reato che riguardano proprio la procedura oggetto di gara”.

Per prospettazione di parte appellante, invece, proprio in virtù dei citati rilievi del TAR, la determinazione della stazione appaltante non sarebbe stata correttamente assistita da un'attività di verifica delle circostanze fattuali oggetto delle condotte contestate dalla Procura, ma si sarebbe limitata a recepire passivamente le prospettazioni contenute negli avvisi di garanzia. Di tutt'altro avviso è risultato essere il Consiglio di Stato che ha ritenuto non vi fosse dubbio sulla sussistenza del potere discrezionale della Stazione Appaltante di revocare l'aggiudicazione definitiva in relazione all'emersione di un interesse pubblico concreto derivante dalla conoscenza di circostanze, risultanti dalle indagini penali, nel caso in cui questi riguardino specificamente una gara il cui esito potrebbe essere stato indebitamente influenzato. Siffatta influenza può essere ravvisata: sia nella fornitura di informazioni che siano false, fuorvianti o comunque oggettivamente suscettibili di indirizzare le decisioni sull'aggiudicazione; sia nell'omissione delle necessarie dovute informazioni ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.

D'altra parte, rileva il Consiglio di Stato, “tali comportamenti costituiscono fattori di deviazione del procedimento di gara dai canoni della imparzialità e del buon andamento ed inficiano l'intero procedimento di gara. Non a caso infatti tali fattispecie costituiscono un illecito, tipizzato anche dall'art. 80, comma 5, lett. c) del T.U. del Codice dei Contratti di cui al d.lgs. n.50/2019, ai fini delle future esclusioni dalla gara”. Ciò posto, qualora ricorra un quadro di elementi precisi, diretti e concordanti, la stazione appaltante, al fine di addivenire al giudizio finale “può e deve far riferimento al complesso delle circostanze emergenti dalla fattispecie, senza che occorra necessariamente attendere sempre l'esito del giudizio penale al fine di affermare l'inaffidabilità, l'incongruità o la mancanza di integrità della procedura di gara”.

Nella fattispecie in esame gli elementi emersi in sede di indagine penale, sono apparsi del tutto coincidenti con i pesanti elementi di perplessità che, in precedenza, erano comunque già affiorati in sede amministrativa, allorquando il Segretario Generale della stazione appaltante si era rifiutato di procedere alla stipula della convenzione. In seguito all'aggiudicazione, infatti, da questi era stato contestato (anche in ragione della rilevanza economica dell'affidamento) che lo schema di contratto di concessione (come definito sulla base di indicazioni ricevute dall'impresa proponente, risultata poi aggiudicataria) : - non raggiungeva “con chiarezza ed esaustività, l'insieme degli obblighi reciprocamente assunti dalle parti, ovvero il bilanciamento tra i vari interessi coinvolti” ed altresì che non definiva “in modo lineare l'oggetto, ossia la “res” su cui lo stesso incide, che, ai sensi dell'art. 1346 del codice civile, deve essere determinato o determinabile, oltre, ovviamente, ad essere possibile e lecito, specificando espressamente le prestazioni a carico delle parti e il corrispettivo eventualmente previsto”; - fosse connotato da “scarsa chiarezza e l'incompletezza dell'articolato” che rischiavano di alimentare “… in modo esponenziale i rischi di contenzioso dovuti a contrasti tra le parti in ordine alla corretta interpretazione delle clausole/condizioni contrattuali, con inevitabile ricaduta sulla correttezza dell'esecuzione, che, ai sensi dell'art. 2 del D.lgs. 163/2006 (ora confluito all'art. 30 del D.lgs. 50/2016), è annoverata tra i principi fondamentali della normativa in materia di contratti pubblici”. Le predette perplessità, inoltre, erano state addirittura aggravate dalla singolarità del fatto che, contrariamente a quanto è dato di vedere normalmente nella gara per un servizio di relativo impegno ma di importo consistente (concessione di durata ventennale del servizio di illuminazione votiva e ambientale in tutti i cimiteri cittadini), si era presentato un solo concorrente (il proponente).

In conclusione, il Consiglio di Stato ha ribadito la sussistenza del potere di annullamento in autotutela dell'affidamento in concessione, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell'azione amministrativa da parte della stessa Amministrazione procedente, anche dopo l'aggiudicazione della gara e nel caso in cui, unitamente agli elementi emersi negli atti della Procura, sul piano della logica e della razionalità, siffatta determinazione sia fondata sulla complessiva considerazione: della struttura stessa della gara; dell'importo della concessione e della relativa durata; delle gravi carenze della documentazione contrattuale; dell'assenza di una reale concorrenza nel procedimento; dell'affidamento (tutto inusuale) in via di urgenza del servizio fatto sulla base della sola aggiudicazione provvisoria; del fatto che, nemmeno successivamente si fossero superate le perplessità emerse in sede amministrativa ed in sede penale in ordine a numerosi elementi della gara.

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