Onere dichiarativo e decreto penale di condanna

Anton Giulio Pietrosanti
30 Aprile 2019

È illegittima l'esclusione di un concorrente che non ha dichiarato un decreto penale di condanna oggetto di opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p. poiché esso non è equiparabile ad una “sentenza di condanna” anche di carattere non definitivo.

Il caso. A seguito dell'aggiudicazione provvisoria di una gara per l'affidamento di lavori di adeguamento di una strada, la stazione appaltante attivava un procedimento di esclusione della società aggiudicataria per non aver un socio della stessa indicato un decreto penale di condanna che nella istruttoria procedimentale risultava però opposto ai sensi dell'art. 461 c.p.p.. Cionostante, la stazione appaltante escludeva l'operatore economico in applicazione dell'art. 80, lett. f-bis del codice dei contratti, ravvisando nella specie la violazione del bando di gara laddove richiedeva esplicitamente la dichiarazione di “tutte le condanne anche non definitive”.

Avverso tale esclusione, l'impresa proponeva ricorso al Tar rilevando che (i) il citato decreto penale era stato tempestivamente oppposto, (ii) la dichiarazione resa in sede di gara si era attenuta al format indicato nel bando il quale invitava ad inserire solo “i decreti penali di condanna divenuti irreversibili”, (iii) all'esito del giudizio dibattimentale instaurato con la predetta opposizione, il Tribunale penale aveva assolto l'imputato con apposita sentenza (versata in atti). La parte resistente difendeva invece la legittimità del suo provvedimento di esclusione, sostenendo che il decreto penale de quo andava dichiarato in gara perché aveva mantenuto, anche in presenza di opposizione, la sua efficacia e validità di “condanna” non definitiva.

La soluzione.Il Tar ha accolto il ricorso della società esclusa sul presupposto che l'onere dichiarativo imposto dalla normativa di riferimento imponeva l'esistenza di una “condanna penale” nella specie inesistente, giacché il decreto penale di condanna oggetto di opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p. non era (e non è) equiparabile ad una sentenza di condanna anche di carattere non definitivo (cfr. Tar Calabria, Reggio Calabria, 26 novembre 2018, n. 697).

La proposizione di tale opposizione – ricorda il Tar – determina infatti la revoca del decreto per effetto dell'art. 464, comma 3, c.p.p. e la conseguente definizione del rapporto processuale con una successiva e distinta sentenza. Pertanto, il decreto penale de quo può assumere un valore vincolante in sede amministrativa – quanto all'accertamento dei fatti materiali costituenti reato e alla loro imputabilità al condannato – solo nel caso in cui il decreto stesso, non opposto nei termini, diventi esecutivo, rimanendo, diversamente, solo la “la spia della pendenza di un procedimento penale e non di un accertamento giurisdizionale definito, la cui mancata indicazione possa minare la credibilità professionale del concorrente”.

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