Codice di Procedura Civile art. 808 ter - Arbitrato irrituale 1 .

Rosaria Giordano

Arbitrato irrituale1.

[I]. Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall'articolo 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo.

[II]. Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I:

1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;

2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;

3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812;

4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;

5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l'articolo 825.

[1] Articolo inserito dall'art. 20, d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell'art. 27, comma 3, d.lg. n. 40, cit., la disposizione si applica alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo la data di entrata in vigore del decreto.

Inquadramento

La norma in commento disciplina per la prima volta, a seguito della riforma realizzata dal d.lgs. n. 40/2006, l'istituto dell'arbitrato irrituale che era peraltro già stato ricostruito in dottrina come in giurisprudenza.

L'art. 808-ter c.p.c., nell'evidenziare un favor per l'arbitrato rituale laddove prevede che nella convenzione di arbitrato deve essere espressamente chiarito che la stessa è volta a demandare la decisone ad arbitri rituali e nel precisare il regime impugnatorio del lodo irrituale, lascia aperta la complessa questione afferente la natura di tale forma di arbitrato, da sempre stretta tra la tesi che ricostruisce unitariamente il fenomeno arbitrale (Fazzalari, 459 e ss.) e quella contrattualistica, che tende a contrapporre i due modelli arbitrali (Alpa, 320).

Natura dell'arbitrato irrituale

Secondo risalente ma autorevole dottrina l'arbitrato è un fenomeno che deve essere ricostruito unitariamente, atteso che, tanto l'arbitrato rituale quanto quello irrituale hanno la medesima funzione, natura e struttura ed utilizzano un identico procedimento in contraddittorio tra le parti davanti ad un terzo imparziale (Fazzalari, 459 e ss.).

Diversamente, per i fautori della tesi contrattualista l'arbitrato irrituale è nato nell'alveo dell'autonomia delle parti ed è stato regolato dalle disposizioni del codice civile tanto che non è stato ab initio contemplato nel codice di rito quale procedimento speciale (Alpa, 320).

La S.C. ritiene che la convenzione d'arbitrato anche irrituale è un contratto che determina la nascita in capo alle parti contraenti di una situazione complessa, di carattere strumentale, finalizzata alla tutela dei diritti, mediante il quale, dunque, non si risolve alcun conflitto, predisponendosi semmai il modo per risolverlo. In particolare, l'arbitrato libero presuppone, alla stregua della nozione di cui all'art. 1703 c.c., un mandato, senza rappresentanza, conferito congiuntamente da una pluralità di parti (minimo due) a uno o più arbitri (Cass. I, n. 11270/2012), preordinato alla stipula di un accordo contrattuale, il cui oggetto può essere ricondotto ad una composizione amichevole.

Più in generale, la S.C. ha sottolineato che, ai fini della distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale, quello che costituisce l'effettivo criterio è l'obiettivo della clausola compromissoria, che si identifica, se si tratta di arbitrato irrituale, nella natura negoziale del compito deferito all'arbitro; e in questo caso indice dirimente, alla luce di un'evidente logica, è l'enunciazione nella clausola dell'impegno delle parti a considerare definitivo e vincolante il lodo, in quanto espressione della loro volontà (Cass. III, n. 23162/2018).

La stipula di una convenzione d'arbitrato irrituale determina l'improponibilità della domanda in sede giudiziale. È ormai consolidato, a riguardo, l'orientamento della S.C. per il quale la questione della improponibilità della domanda conseguente alla previsione di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, da sollevarsi su eccezione di parte e non rilevabile d'ufficio, non osta alla emissione di un decreto ingiuntivo essendo facoltà dell'intimato eccepire la improponibilità della domanda dinanzi al giudice della opposizione e ottenere la relativa declaratoria. Tale eccezione, peraltro, non può ritenersi né equipollente, né sovrapponibile a quella di difetto di giurisdizione, a sua volta eccezione di rito, tipizzata nei suoi effetti predeterminati dalle norme applicabili e che non appare surrogabile da comportamenti più o meno concludenti della parte (Cass. S.U., n. 19473/2016; ciò implica, ad esempio, che, nel caso in cui vengano proposte contestualmente dinanzi al giudice più domande connesse, alcune di sua competenza ed altre rientranti nella competenza degli arbitri non si verifica, nel caso di arbitrato irrituale, alcuna attrazione della causa di competenza arbitrale in quella, connessa, di competenza del giudice, in quanto l'arbitrato irrituale comporta per sua natura la rinuncia delle parti ad avvalersi della tutela giurisdizionale e determina l'improponibilità al giudice ordinario della domanda sottomessa agli arbitri anche quando sia connessa con altra domanda di competenza del detto giudice: Cass. III, n. 21139/2004). Pertanto, la devoluzione della controversia ad arbitrato irrituale, in forza di espressa clausola è intesa a far valere la improponibilità della domanda e non pone una questione di competenza, che si sarebbe posta nell'ipotesi in cui la parte avesse eccepito la devoluzione della controversia ad arbitrato rituale (Cass. I, n. 10332/2016).

Occorre considerare che la S.C. ritiene valida la clausola compromissoria per arbitrato irrituale, la quale attribuisca soltanto ad una delle parti la facoltà di declinare la competenza arbitrale e di chiedere che la controversia sia decisa dal giudice ordinario, poiché tale derogabilità unilaterale della clausola è in linea con i limiti di esercizio dell'autonomia privata ed è coerente con la tendenza di sistema favorevole al riconoscimento della giustizia pubblica quale forma primaria di soluzione dei conflitti (Cass. VI, n. 10679/2015).

Convenzione per arbitrato irrituale

Circa la forma della convenzione di arbitrato irrituale, si è tradizionalmente ritenuto che la clausola contenente la previsione di un arbitrato irrituale non deve essere in ogni caso redatta per iscritto a pena di nullità, in quanto tale disposizione generale è dettata dall'art. 807 c.p.c. in riferimento al solo arbitrato rituale, con la conseguenza che la forma scritta è richiesta solo se la clausola concerne rapporti che derivano da alcuni degli atti previsti dall'art. 1350 c.c., mentre, se la clausola arbitrale concerne altri rapporti, è sufficiente che di essa si dia prova scritta, che può consistere in qualsiasi attestazione scritta attribuibile alle parti circa l'esistenza del mandato compromissorio anche successiva alla pattuizione ed a carattere meramente ricognitivo, mentre non è richiesta ai fini della sua efficacia una specifica approvazione per iscritto, ex art. 1341 c.c., perché essa manca di carattere compromissorio o comunque derogativo della competenza dell'autorità giurisdizionale (Cass. I, n. 21139/2004). Si riteneva, quindi, che la convenzione d'arbitrato irrituale dovesse essere stipulata in forma scritta solo ad probationem, e quindi provata, secondo le regole di cui all'art. 1967 c.c. mediante qualsiasi attestazione scritta circa la esistenza del mandato compromissorio, anche se successiva alla pattuizione ed a carattere meramente ricognitivo, purché attribuibile alle parti (cfr. Cass. I, n. 7048/1999, la quale ha ritenuto che, pertanto, un documento, quale la conferma d'ordine, formato dal mediatore ai sensi dell'art. 1760, n. 3, c.c. da lui solo sottoscritto, ed inviato alle parti, che contenga la conferma dell'avvenuto accordo compromissorio, facendo salva la volontà delle parti di comunicare allo stesso mediatore il loro eventuale dissenso, costituisce prova del compromesso per arbitrato irrituale ove tale dissenso non sia stato manifestato).

Occorre peraltro interrogarsi sulla permanente vigenza di tale regola nell'assetto attuale, stante la richiesta da parte della disposizione in esame di una espressa determinazione per iscritto al fine di devolvere le controversie ad arbitrati irrituali che ha indotto la dottrina a ritenere ormai la forma scritta ad substantiam anche per la convenzione di arbitrato irrituale (cfr., tuttavia, Bove, 80, per il quale si tratterebbe, nondimeno, di forma scritta ad probationem).

Per altro verso, la S.C. ritiene inapplicabile all'arbitrato irrituale il principio di autonomia della clausola compromissoria essendo viceversa volta a porre in essere un negozio di secondo grado, traente origine da quello nel cui contesto è inserita (Cass. n. 5105/2012, in Riv. arb., 2012, 565, con nota di Occhipinti, per la quale la cognizione in ordine alla validità e l'efficacia del patto compromissorio non può spettare agli arbitri irrituali, ma permane in capo al giudice ordinario).

In tema di interpretazione del patto compromissorio, è stato chiarito che, anche con riferimento alla disciplina applicabile prima della introduzione dell'art. 808-ter c.p.c. ad opera del d.lgs. n. 40/2006, il dubbio sull'interpretazione dell'effettiva volontà dei contraenti va risolto nel senso della ritualità dell'arbitrato, tenuto conto della natura eccezionale della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza giudiziaria (Cass. I, n. 6909/2015). Più in particolare, al fine di determinare se si verta in tema di arbitrato rituale o irrituale, è necessario interpretare la clausola compromissoria alla stregua dei normali canoni ermeneutici ricavabili dall'art. 1362 c.c. e, quindi, fare riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti ed al comportamento complessivo delle stesse, anche successivo alla conclusione del contratto, senza che il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell'arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell'irritualità dell'arbitrato, ovvero possa essere invocato il criterio, residuale, della natura eccezionale dell'arbitrato rituale, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte da tale forma di arbitrato quanto all'efficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni (Cass. I, n. 21059/2019), alle possibilità per il giudice di concedere la sospensiva (cfr. Cass. II, n. 11313/2018, la quale, in applicazione del principio, ha cassato la sentenza impugnata, che aveva desunto la natura irrituale del lodo dal tenore di parte della clausola arbitrale, a mente della quale la decisione del collegio arbitrale sarebbe stata «inappellabile e vincolante per la parti», senza valutare altre espressioni — quali «giudicheranno secondo norme di diritto» e «spese del giudizio» — coerenti con una qualificazione del lodo come arbitrato rituale, né la circostanza che, nel corso del procedimento, il collegio arbitrale aveva precisato trattarsi di arbitrato rituale e le parti avevano aderito a tale determinazione). Nell'effettuare detta qualificazione dell'arbitrato come rituale o irrituale, la Corte di cassazione opera come giudice del fatto e ha, dunque, il potere di accertare direttamente, attraverso l'esame degli atti e degli elementi acquisiti al processo, la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria, in quanto la relativa qualificazione incide sull'ammissibilità dell'impugnazione della decisione arbitrale. In particolare, nell'esercizio di tale attività di accertamento, il criterio discretivo tra le due figure consiste nel fatto che nell'arbitrato rituale le parti vogliono la pronuncia di un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c., con le regole del procedimento arbitrale, mentre nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro la soluzione di controversie solo attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla loro stessa volontà (Cass. I, n. 23629/2015).

In sede applicativa, si è ad esempio evidenziato che deve ritenersi irrituale l'arbitrato dove manchi qualsiasi riferimento al regime formale del procedimento, ad un lodo suscettibile di esecutività, ed emerge la volontà delle parti di comporre definitivamente la vertenza attraverso la pronuncia del collegio (Trib. Nocera Inferiore II, 23 ottobre 2012, n. 1192).

Si è inoltre evidenziato che la convenzione di arbitrato con cui le parti di un contratto di locazione deferiscano le controversie scaturenti dal contratto medesimo, riguardanti l'interpretazione, esecuzione e risoluzione di esso, ad «arbitrato libero», non concretando un'espressa manifestazione di volontà diretta a far sì che tali controversie siano definite dagli arbitri mediante determinazione contrattuale, va interpretata, in conformità all'art. 808-ter, comma 1, c.p.c., come convenzione di arbitrato rituale (Trib. Modena II, 19 marzo 2007).

La P.A. non può avvalersi, per la risoluzione delle controversie derivanti da contratti conclusi con, dello strumento del cd. arbitrato irrituale o libero poiché, in tal modo, il componimento della vertenza verrebbe ad essere affidato a soggetti (gli arbitri irrituali) che, oltre ad essere individuati in difetto di qualsiasi procedimento legalmente determinato e, pertanto, senza adeguate garanzie di trasparenza e pubblicità della scelta, sarebbero pure destinati ad operare secondo modalità parimenti non predefinite e non corredate dalle dette garanzie (Cass. III, n. 7759/2020).

Arbitrato irrituale e perizia contrattuale

Si ha arbitrato irrituale o libero quando la volontà delle parti è diretta a conferire all'arbitro (o agli arbitri) il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici, mediante una composizione amichevole, conciliante o transattiva, o mediante un negozio di mero accertamento, riconducibili alla volontà delle parti e da valere come contratti conclusi dalle stesse, poiché queste si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Si ha, invece, perizia contrattuale quando le parti devolvono al terzo, o ai terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, non già la risoluzione di una controversia giuridica, ma la formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva (cfr., tra le tante, Cass. III, n. 4954/1999, per la quale la distinzione tra arbitrato irrituale e perizia contrattuale va ricercata con riguardo al contenuto obiettivo del compromesso ed alla volontà delle parti e la relativa indagine, pertanto, trattandosi di quaestio facti e quaestio voluntatis, rientra esclusivamente nei poteri del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in cassazione, se motivato congruamente e immune da errori di diritto).

Pertanto, ove le parti di un rapporto giuridico conferiscano ad un terzo l'incarico di svolgere, in base alla sua specifica capacità tecnica, constatazioni e accertamenti, il cui esito esse si impegnano ad accettare, ricorre l'ipotesi della perizia contrattuale, la quale si differenzia sia dall'arbitrato rituale o irrituale con cui le parti tendono, in diversi modi, alla definizione di una controversia giuridica, sia dall'arbitraggio avente ad oggetto l'incarico di determinare uno degli elementi del negozio in sostituzione della volontà delle parti (cfr., tra le molte, Cass. I, n. 12155/1999, per la quale è invalido il lodo per nullità della clausola arbitrale che aveva demandato ad un collegio arbitrale la rinnovazione della verifica, già demandata in prima istanza ad una commissione prevista dal contratto, dell'esito della sperimentazione realizzata da uno dei contraenti e dell'idoneità dei suoi risultati a giustificare la realizzazione di un impianto industriale e l'avviamento della produzione).

La perizia contrattuale si differenzia dall'arbitrato irrituale in quanto viene negozialmente conferita ad uno o più soggetti terzi, scelti per la particolare competenza tecnica, non già la composizione di contestazioni insorte o che possono insorgere in ordine al rapporto giuridico, bensì la formulazione di un apprezzamento tecnico, che le parti si impegnano ad accettare come espressione della loro determinazione volitiva. La differenza tra le due figure attiene allora unicamente all'oggetto del contrasto che le parti intendono risolvere, essendo detto contrasto eminentemente giuridico nel caso di arbitrato irrituale e tecnico nel caso di perizia contrattuale, e non comporta invece pratiche conseguenze giuridiche. In entrambi i casi, infatti, l'inquadramento va effettuato nell'ambito del mandato finalizzato a risolvere una lite su basi conciliative-transattive e creando un nuovo assetto di interessi, e la differenza tra le due figure non incide sul regime impugnatorio delle decisioni dell'arbitro o del perito tecnico, restando in un caso e nell'altro la decisione sottratta all'impugnazione per nullità ex art. 828 c.p.c. e potendo detta impugnazione essere posta in essere solo sul piano delle invalidità negoziali (Trib. Brindisi 3 aprile 2018, in dejure.giuffre.it; in termini analoghi, tra le altre, Trib. Piacenza 29 ottobre 2010, in Giur. merito, 2011, n. 10, 2376, con nota di Cesaretti). È invero consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio per il quale nella perizia contrattuale, la decisione dei periti è impugnabile soltanto attraverso le tipiche azioni di annullamento e di risoluzione per inadempimento dei contratti, e non anche attraverso gli strumenti previsti dal codice di rito civile per i lodi rituali, con la conseguenza che eventuali errori in procedendo o in iudicando, comprensivi della violazione dei principi della collegialità e del contraddittorio, rilevano soltanto se siano sfociati in cause di invalidità (incapacità o vizi del consenso) o di risoluzione della perizia stessa (v., tra le molte, Cass. n. 5678/2005).

Arbitrato irrituale e transazione

La S.C. ha da ultimo puntualizzato che poiché l'arbitrato irrituale è un mandato congiunto a comporre una controversia mediante un negozio con questa funzione, deve escludersi la sua assimilabilità al contratto di transazione atteso che la risoluzione della controversia da parte degli arbitri non implica reciproche concessioni tra le parti. Tuttavia, ha chiarito ancora la Corte di cassazione, a differenza dell'arbitrato rituale, la possibilità di attuare i diritti discendenti dall'arbitrato irrituale è rimessa esclusivamente al comportamento delle parti, dovendosi escludere che il relativo lodo possa essere reso esecutivo  (Cass.II, n. 12058/2022).

Impugnazione del lodo irrituale

Secondo l'impostazione tradizionalmente suffragata, anche nella giurisprudenza di legittimità, il lodo arbitrale irrituale è impugnabile, davanti al giudice ordinariamente competente, soltanto per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale (errore, violenza, dolo, incapacità delle parti o dell'arbitro), mentre è preclusa ogni impugnativa per errori di diritto, né, ove sia stato conferito l'incarico di emettere un arbitrato irrituale, esso può equivalere ad una “sentenza arbitrale”, sicché avverso tale lodo arbitrale non è ammissibile l'impugnazione di nullità dinanzi alla Corte d'Appello, ex art. 828 c.p.c., ma solo un'azione per eventuali vizi del negozio, da proporre con l'osservanza delle norme ordinarie sulla competenza, con rispetto del doppio grado di giurisdizione, pena la menomazione del diritto inviolabile della difesa ex art. 24 Cost. (cfr., tra le tante, Cass. sez. lav., n. 16049/2004). Nella delineata prospettiva, si riteneva, ad esempio, che nell'arbitrato libero o irrituale, che si traduce in una regolamentazione contrattuale della contesa, la violazione del principio del contraddittorio non rileva come vizio del procedimento, ma come violazione del contratto di mandato, e può rilevare esclusivamente ai fini dell'impugnazioneexart. 1429 c.c., ossia come errore degli arbitri che abbia inficiato la volontà contrattuale espressa dai medesimi (cfr. Cass. sez. lav., n. 15353/2004, per la quale ne deriva che la parte che impugna il lodo deve dimostrare in concreto l'errore nell'apprezzamento della realtà' nel quale gli arbitri sarebbero incorsi, mentre il solo fatto di non essere stata ascoltata, di non aver ricevuto copia della memoria prodotta dalla controparte o di non aver potuto produrre a sua volta una replica non implica di per sé un vizio della volontà degli arbitri).

Il secondo comma della disposizione in esame, introdotta dalla novella di cui al d.lgs. n. 40/2006, ha previsto che il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I: 1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'art. 812; 4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo; 5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l'art. 825 c.p.c.

Peraltro, secondo la dottrina più autorevole, la situazione può dirsi solo in parte modificata, dovendosi ritenere che i motivi indicati nell'art. 808-ter c.p.c. vadano ad aggiungersi rispetto alle menzionate impugnazioni negoziali (Verde, 2005, 674), rimanendo senz'altro esclusa l'impugnazione exartt. 827 e ss. c.p.c., sicché l'impugnazione proposta avverso un lodo arbitrale irrituale, ancorché erroneamente omologato, deve essere dichiarata, anche d'ufficio, inammissibile (Cass. n. 13899/2014).

Occorre ricordare che, in ogni caso, ai fini dell'individuazione del mezzo con cui il lodo va impugnato, ciò che conta è la natura dell'atto in concreto posto in essere dagli arbitri, più che la natura dell'arbitrato come previsto dalle parti; pertanto, se sia stato pronunciato un lodo rituale nonostante le parti avessero previsto un arbitrato irrituale, quel lodo è impugnabile esclusivamente ai sensi degli artt. 827 e ss. c.p.c. (Cass. n. 6842/2011, in Riv. arb., 2013, 931, con nota di Debernardi), e, per converso, se è stato pronunciato lodo irrituale, non può in ogni caso ricorrersi a detta impugnazione (Cass. n. 25258/2013).

In sede applicativa è stata ritenuta inammissibile l'azione di accertamento della nullità o di annullamento del lodo arbitrale di natura irrituale fondata sull'eccesso di mandato, manifesta iniquità, violazione e falsa applicazione delle norme in materia di mandato, poiché tale censura non è riconducibile ad alcuno dei motivi di impugnazione tassativamente previsti dall'art. 808-ter c.p.c. (Trib. Roma III, 5 luglio 2017, n. 13681).

Per altro verso, occorre considerare che la decisione che neghi la propria competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato irrituale non è impugnabile per regolamento di competenza, in quanto tale tipologia di arbitrato determina l'inapplicabilità di tutte le norme dettate per quello rituale, compreso l'art. 819-ter c.p.c. (Cass. VI, n. 10300/2014, la quale ha qualificato come irrituale l'arbitrato previsto da una clausola compromissoria contenuta nello statuto di un consorzio che deferiva alla competenza di un arbitro la soluzione delle controversie fra consorziati attraverso uno strumento inappellabile e destinato a realizzare la volontà delle parti di comporre la controversia).

Proprio le differenti conseguenze circa l'impugnabilità delle decisioni rese da arbitri rituali ovvero irrituali rendono ragione del principio, espresso dalla S.C., in forza del quale, ove la contestazione circa la natura rituale od irrituale dell'arbitrato sia sollevata con il ricorso per cassazione, la Corte di legittimità deve esaminare e valutare direttamente il contenuto della clausola compromissoria, incidendo la relativa qualificazione sul problema processuale dell'ammissibilità dell'impugnazione del lodo per nullità (Cass. I, n. 1191/2001, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 1, 13, con nota di Curti). In particolare, quale giudice, in detta ipotesi, del fatto processuale, la Corte Suprema deve esaminare e valutare direttamente il patto compromissorio integrante la fonte dell'arbitrato medesimo e non limitarsi al controllo della decisione del giudice del merito, incidendo la soluzione della questione dedotta sul problema processuale dell'ammissibilità dell'impugnazione del lodo per nullità. È stato chiarito che tale indagine va condotta valutando il patto compromissorio sulla base delle regole proprie dell'ermeneutica contrattuale, ed avendo riguardo al fondamentale elemento atto a distinguere l'arbitrato rituale da quello libero, ossia l'esistenza della volontà delle parti di affidare agli arbitri funzioni sostitutive di quelle del giudice e non il mandato a definire controversie sul piano negoziale, a nulla rilevando la circostanza che le parti abbiano attribuito agli arbitri l'autorizzazione a decidere secondo equità e, quindi come amichevoli compositori (v., tra le altre, Cass. II, n. 874/1995).

Tuttavia, qualora sia pacifico o la S.C. accerti che si tratti di arbitrato irrituale, poiché lo stesso costituisce uno strumento di risoluzione contrattuale delle contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici, imperniato sull'affidamento a terzi del compito di ricercare una composizione amichevole, conciliante o transattiva, ne consegue che, ove venga in discussione quale fosse l'oggetto della controversia deferita agli arbitri, il vizio denunciato si traduce in una questione d'interpretazione della volontà dei mandanti e si risolve, analogamente a quanto accade in ogni altra ipotesi di interpretazione della volontà negoziale, in un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se condotto nel rispetto dei criteri di ermeneutica contrattuale e correttamente motivato (Cass. II, n. 14986/2021; Cass. I, n. 6380/2014).

Bibliografia

Alpa, L'arbitrato irrituale. Una lettura civilistica dell'art. 808-ter del codice di procedura civile, in Contratto e impresa, 2013, 320; Briguglio, Inderogabilità della competenza territoriale ex art. 810 c.p.c., in Riv. arb., 1993, 430; E. D'Alessandro, Conclusione dell'accordo compromissorio mediante atti di mera nomina degli arbitri?, in Riv. arb., 2007, n. 2, 237; Fazzalari, I processi arbitrali nell'ordinamento italiano, in Riv. dir. proc., 1968, 459 ss.; Fazzalari, L'arbitrato, Torino, 1997; Gennari, Superato il «doppio binario» l'arbitrato societario rimane vincolato al vago confine della disponibilità dei diritti, in Riv. dir. comm., 2014, I, 551; La China, L'arbitrato: il sistema e l'esperienza, Milano 2011; Menchini (a cura di), La nuova disciplina dell'arbitrato, Padova, 2010, 65; Punzi, Disegno sistematico dell'arbitrato, Padova, 2012; Ravidà, Sull'efficacia della pronuncia del giudice che declina la propria competenza in favore dell'arbitro e sulla forma dell'accordo di arbitrato, in Riv. arb., 2014, n. 3, 604; Ricci, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 521; Ricci, La convenzione di arbitrato e le materie arbitrabili nella riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 759; Rocchio, Circolazione della clausola compromissoria e cessione d'azienda, in Corr. giur., 2007, n. 9, 1227; Ruffini, Il patto compromissorio, in Fazzalari (a cura di), La riforma della disciplina dell'arbitrato, Milano 2006; Ungaretti dell'Immagine, Brevi note sulla forma della convenzione arbitrale, in Riv. arb., 2011, 73.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario