Codice Civile art. 1372 - Efficacia del contratto.

Gian Andrea Chiesi
aggiornato da Nicola Rumìne

Efficacia del contratto.

[I]. Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge [1723].

[II]. Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi [1379, 1381] che nei casi previsti dalla legge [1411].

Inquadramento

La norma, con l'affermazione per cui il contratto ha forza di legge tra le parti e non produce effetti rispetto ai terzi, se non nei casi previsti dalla legge, chiarisce, da un lato, che il regolamento negoziale che le parti hanno scelto va rispettato, sebbene difetti dei requisiti di generalità ed astrattezza tipici della legge, come se si prestasse ossequio ad una norma imperativa e, dall'altro, che a tale efficacia sono estranei, almeno in linea tendenziale, i terzi.

Viene così codificato il principio di relatività del contratto (Bianca, 523), posto a fondamento della sicurezza nella circolazione giuridica, volta a garantire la protezione dell'atto di scambio desumibile dalla causa del contratto e la relativa intangibilità: il vincolo negoziale — quantomeno in via di prima approssimazione — produce i suoi effetti limitatamente, cioè, alle parti contraenti le parti sono obbligate all'impegno assunto.

Del medesimo tenore la giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua il principio di relatività dell'efficacia del contratto sancito dall'art. 1372 c.c. si traduce nella limitazione del vincolo negoziale ai soli stipulanti: così Cass. sez. lav., n. 12781/2012, per cui, in applicazione di detto principio, la conciliazione giudiziale di una controversia attinente al rapporto di lavoro vincola solo gli stipulanti

L'efficacia del contratto in generale: il mutuo consenso

Il contratto, dunque, rappresenta un regolamento (o meglio, un autoregolamento) di tipo privato, condividendo con la legge la sua impegnatività, garantita dall'azionabilità in sede giudiziaria, ove rimanga inadempiuto: le parti dunque non possono revocare unilateralmente la loro adesione all'impegno assunto (cfr. art. 1372, comma 1 c.c.) — che, anzi, devono eseguire rispettandone correttamente le statuizioni (cfr. art. 1175 c.c.).

A questa prima regola posta dall'art. 1372 c.c. possono essere ricondotti tre distinti e concorrenti significati: la resistenza del contratto al pentimento della parte, l'immodificabilità del regolamento ad opera del singolo contraente e l'irretrattabilità degli effetti consumati (Roppo, 533).

Ove, invece, l'accordo volto allo scioglimento del vincolo sia raggiunto, si discorre di mutuo consenso (o di mutuo dissenso), da intendersi alla stregua di una controvicenda, opposta ed incompatibile con quella del contratto precedente.

Secondo un primo orientamento, lo scioglimento per mutuo consenso risolverebbe il contratto precedentemente stipulato dalle parti (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 871); per altri, al contrario, lo scioglimento concernerebbe il rapporto e, quindi, gli effetti derivanti dal contratto (Cariota Ferrara, 647). Un terzo orientamento riconduce il mutuo consenso ad una revoca o ad un recesso (Mirabelli, 291).

La varietà di posizioni si registra anche in giurisprudenza. Così Cass. II, n. 17503/2005 chiarisce che il mutuo dissenso, realizzando per concorde volontà delle parti la ritrattazione bilaterale del negozio, dà vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario. Più articolata, invece, la posizione di Cass. III, n. 20445/2011 per cui il mutuo dissenso, quale atto di risoluzione convenzionale (o accordo risolutorio) che costituisce espressione dell'autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio, anche indipendentemente dall'esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditivi o modificativi dell'attuazione dell'originario regolamento di interessi, dà luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo (anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali). Cass. III, n. 3753/1975, infine, scorge nell'art. 1372 c.c. un'ipotesi di esercizio del diritto di recesso.

Si discute, inoltre, sulla circostanza che opposte e reciproche domande risolutorie possano essere interpretate alla stregua di un mutuo consenso.

Se per Cass. III, n. 2984/2016 e Cass. S.U., n. 329/1983 la risposta al quesito che precede deve essere positiva (nel senso che integra la fattispecie della risoluzione consensuale la proposizione di reciproche domande giudiziali volte ad ottenere la risoluzione per inadempimento del contratto), per Cass. III, n. 6675/2018 e Cass. III, n. 26907/2014 la risposta è negativa, nel senso che tale fattispecie è del tutto estranea ad un mutuo consenso negoziale risolutorio (pur essendo diretta all'identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale).

Dibattuta, inoltre, è la questione relativa alla tempistica di produzione degli effetti dello scioglimento per mutuo consenso: se, cioè, essi si producano ex nunc ovvero ex tunc.

Nelle oscillazioni della dottrina, che registra posizioni a favore dell'una come dell'altra tesi, si colloca Cass. I, n. 7270/1997 per la quale il negozio risolutorio ha, per sua natura, efficacia ex nunc, nel senso che da esso deriva la caducazione delle obbligazioni scaturenti dal contratto originario relative alla prosecuzione del rapporto, onde non può configurarsi responsabilità in relazione al mancato adempimento delle ulteriori prestazioni previste; nessun effetto liberatorio, invece, esplica la risoluzione consensuale in ordine ad eventuali aspetti di responsabilità per un corretto adempimento relativo a prestazioni già eseguite, ovvero per danni cagionati da comportamenti accessori in cui una delle parti possa incorrere nell'esecuzione dello stesso accordo risolutorio, ferma restando, ovviamente, la possibilità per le parti di prevedere, nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, l'estensione dell'effetto liberatorio dell'accordo risolutorio ad altri titoli di responsabilità, al di là dei limiti propri di detto accordo. Analoga è la posizione di Cass. III, n. 3772/1996 che, muovendo dal principio per cui il negozio risolutivo per mutuo consenso ha efficacia ex nunc, in ogni caso chiarisce che spetta comunque al giudice, con indagine di fatto, accertare se le parti, nel concludere il negozio risolutivo di un contratto, abbiano inteso attribuire ad esso anche carattere liberatorio rispetto agli effetti del primo negozio, ed eventualmente rispetto alle conseguenze di una pretesa inadempienza della parte e se, perciò, intesero o meno far sopravvivere l'azione di danni.

In linea di principio, però, ove gli effetti del contratto si siano già prodotti, non si ricade nella fattispecie del mutuo dissenso, versandosi in presenza, piuttosto, di un autonomo negozio con effetti opposti al precedente (come, ad esempio, nel caso della retrovendita).

Se, poi, in dottrina si ritiene che il mutuo consenso non possa sciogliere i contratti che abbiano già prodotto i loro effetti traslativi, costitutivi o abdicativi di diritto, come accade per i contratti ad efficacia reale (Mirabelli, 290), in senso opposto si pone la giurisprudenza per la quale lo schema del negozio solutorio è applicabile anche in tale frangente.

Il mutuo dissenso costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o un accordo risolutorio), espressione dell'autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio, anche indipendentemente dall'esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditivi o modificativi dell'attuazione dell'originario regolamento di interessi, dando luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo, anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali; tale effetto, infatti, essendo espressamente previsto ex lege dall'art. 1458 c.c. con riguardo alla risoluzione per inadempimento, anche di contratti ad effetto reale, non può dirsi precluso agli accordi risolutori, risultando soltanto obbligatorio il rispetto dell'onere della forma scritta ad substantiam (Cass. III, n. 20445/2011). Forma non richiesta, al contrario, nel caso di risoluzione consensuale del contratto preliminare avente ad oggetto il trasferimento di diritti reali immobiliari, non produce tale risoluzione alcun effetto di natura reale, ma solo l'estinzione delle precedenti obbligazioni personali: sicché, non essendo la forma scritta dell'accordo risolutorio imposta da una espressa disposizione di legge, e non ravvisandosi l'identità di ratio legis con la disposizione dell'art. 1351 c.c., deve trovare normale esplicazione il principio della libertà di forma nella manifestazione di volontà e deve lasciarsi al giudice di merito la facoltà di valutare con prudente criterio se il contratto sia stato risolto per consenso manifestato in forma verbale o per facta concludentia (Cass. II, n. 5684/1991).

Segue. La forma dell'accordo solutorio

In assenza di specifiche prescrizioni normative, che impongano la forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem per il negozio su cui va ad incidere, l'accordo delle parti in ordine allo scioglimento del vincolo contrattuale può risultare sia espressamente che tacitamente, per facta concludentia.

Ove, al contrario, esista il vincolo di forma predetto, la prescrizione di forma che concerne il contratto da sciogliere si estende all'accordo di scioglimento, quale contrarius actius (Bianca, 700). Secondo una diversa opinione (Galgano, 20), invece, nulla essendo previsto in materia, ne deriverebbe la vigenza del principio di libertà delle forme, applicabile anche laddove il negozio interessato dall'accordo solutorio sia a forma vincolata.

La giurisprudenza di legittimità è chiaramente orientata nel senso di richiedere la medesima forma del contratto su cui il mutuo consenso va ad incidere, ove essa sia prevista ad substantiam (Cass. III, n. 13290/2015), mentre tale forma sarebbe libera in tutti gli altri casi (Cass. III, n. 3245/2012), ivi inclusi quelli in cui la forma scritta è richiesta ad probationem (Cass. III, n. 8422/2006). Né muta tale conclusione l'eventuale previsione, relativamente ad un contratto che non richieda la forma scritta ad substantiam, di una clausola negoziale che imponga alle parti l'adozione della forma scritta per la modificazione del contratto, giacché essa — salvo patto contrario — non concerne la risoluzione per mutuo consenso tacito, rispetto al quale riprende vigore il principio della libertà delle forme (Cass. III, n. 18757/2013). Ove il mutuo dissenso possa essere manifestato per facta concludentia è poi specificato che esso deve risultare in modo inequivocabile e chiaro, non essendo sufficiente la mera inerzia delle parti (Cass. III, n. 5887/2011).

Segue. Altre cause di scioglimento dal vincolo contrattuale

Il contratto — proseguo l'art. 1372, comma 1 c.c. può essere sciolto, oltre che per mutuo consenso, anche negli altri casi previsti dalla legge: si tratta, per la precisione, del recesso convenzionale nonché del diritto di chiedere l'annullamento, la rescissione, la risoluzione del contratto, quando ne ricorrano i presupposti

Si tratta di rimedi di natura eccezionale, derogatori alla riserva sulla forza di legge del contratto (Cass. sez. lav., n. 424/1963)

Effetti per i terzi

Il comma 2 dell'art. 1372 c.c. pone la regola e la «contro-regola»: la regola è quella per cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi; la contro-regola è, invece, quella in base alla quale il contratto produce effetti rispetto ai terzi nei casi previsti dalla legge.

La regola è facilmente spiegabile, rappresentando un ovvio corollario della libertà contrattuale, che sarebbe svilito ove si potesse imporre ad altri, titolari della medesima libertà, le proprie scelte. Esemplificativo di questa regola è il precetto contenuto all'art. 1379 c.c. (pactum de non alienando), per cui il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti.

Quanto alla contro-regola, essa esprime il principio per cui il contratto è, rispetto a chi non vi prenda parte, res inter alios acta.

Se ne ricava, pertanto, che il «terzo» è chiunque non abbia partecipato al contratto e non sia successore a titolo universale di una delle parti (Cass. I, n. 2274/1971): sicché a) mentre l'erede è vincolato dal contratto, anche se non trascritto, concluso dal de cuius e dalle obbligazioni dallo stesso nascenti poiché, subentrando nella posizione di quest'ultimo, non è terzo (Cass. II, n. 1552/1988), diversamente b) l'avente causa a titolo particolare mortis causa o per atto fra vivi è terzo e, come tale, non é tenuto, senza il suo consenso, a subire il debito del suo dante causa (Cass. II, n. 24133/2009).

La sfera giuridica dei terzi non può essere modificata da atti negoziali conclusi da altri, se non nelle ipotesi espressamente regolate dalla legge, che la struttura della norma relega ad ipotesi eccezionali (Cariota Ferrara, 688). Emerge, però, anche un orientamento diverso che, rileggendo il testo della norma e coordinandolo con altre disposizioni, sottopone a revisione critica il principio di intangibilità della sfera altrui, ed osserva come, al contrario, l'ordinamento contempli la possibilità che il contratto produca effetti favorevoli ultra partes, fatto salvo il diritto di rifiuto del terzo (Bianca, 525), così limitando l'ambito di operatività della previsione ai solo casi in cui il contratto produce effetti sfavorevoli verso i terzi.

Quanto ai diversi effetti che il contratto può produrre rispetto ai terzi, si considerino tre esempi: a) l'art. 1411, comma 2 c.c., che regola il caso della stipulazione a favore del terzo (contratto con effetti vantaggiosi per il terzo), il quale resta però sempre libero, ai sensi del successivo comma 4, di rifiutare di volere approfittare della stipulazione in suo favore; b) contratto di vendita contenente un patto di retrovendita, ex art. 1500 c.c. Il diritto di riscatto, dal lato passivo, riguarda non solo il compratore, ma anche il terzo al quale il compratore abbia medio tempore rivenduto il bene (cfr. artt. 1504 e 2653, n. 2 c.c.) (contratto con effetti svantaggiosi per il terzo); c) cessione del contratto, che produce l'effetto della sostituzione del creditore (dal cedente al cessionario), senza che il ceduto possa opporre alcunché (contratto con effetto neutro per il terzo).

La giurisprudenza conferma, in linea generale, il principio per cui il contratto, come non giova ai terzi così non li pregiudica, essendo per essi res inter alios acta, né l'autonomia contrattuale legittima l'invasione nella sfera giuridica del terzo (Cass. III, n. 2268/1971); peraltro, qualora il contratto produca effetti riflessi a vantaggio di terzi, resta comunque ferma l'estraneità dei terzi al contratto medesimo, che non costituisce comunque in loro favore posizioni di diritto soggettivo, né quindi li abilita ad invocarlo per rivendicare un proprio diritto che da esso tragga fonte (Cass. II, n. 6775/1991)..

Bibliografia

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