Codice Civile art. 1448 - Azione generale di rescissione per lesione.Azione generale di rescissione per lesione. [I]. Se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell'altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l'altra ha approfittato per trarne vantaggio [644 c.p.], la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto [1964, 2922 2]. [II]. L'azione non è ammissibile se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto. [III]. La lesione deve perdurare fino al tempo in cui la domanda è proposta. [IV]. Non possono essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori [765, 1469, 1970]. [V]. Sono salve le disposizioni relative alla rescissione della divisione [763 ss.; 166 trans.]. InquadramentoLa rescissione per lesione del contratto presuppone che vi sia una sproporzione qualificata tra le prestazioni (requisito oggettivo) e che la parte danneggiata da tale sproporzione sia indotta a stipulare il contratto in ragione di uno stato di bisogno, del quale l'altra parte ha approfittato per conseguirne un vantaggio (requisiti soggettivi). Onerata della prova di tali elementi costitutivi è la parte che agisce per ottenere la declaratoria di rescissione (Cass. III, n. 930/1974). In particolare, la sproporzione tra le prestazioni deve essere ultra dimidium, ossia deve eccedere la metà del valore della prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata. Tale misura dello squilibrio tra le prestazioni deve essere ancorata al momento di conclusione del contratto e deve persistere sino alla proposizione della domanda giudiziale di rescissione. È controverso se la possibilità di esercitare l'azione di rescissione sia subordinata alla possibilità di ripristino della situazione preesistente (in senso favorevole Cicala, 122; in senso contrario Carresi, in Tr. C. M., 1987, 481, secondo cui, quando il ripristino non sia possibile, il giudice dovrebbe procedere nel modo previsto dall'art. 1447, comma 2 c.c.). La rescindibilità del contratto non può essere rilevata d'ufficio dal giudice (Bianca, 650). Secondo la giurisprudenza, l'azione generale di rescissione per lesione richiede la simultanea esistenza dei requisiti di una sproporzione ultra dimidium fra le reciproche prestazioni del contratto, di uno stato di bisogno del contraente danneggiato e di un approfittamento di esso da parte dell'altro contraente, senza che si possa compiere alcuna graduazione tra detti elementi, la cui rilevanza è pertanto paritaria, sicché, riscontrata la mancanza o la mancata dimostrazione dell'esistenza di uno dei tre elementi, diviene superflua l'indagine circa la sussistenza degli altri due e l'azione di rescissione deve essere senz'altro respinta (Cass. II, n. 15338/2018; Cass. II, n. 5133/2007; Cass. II, n. 12116/2003). L'errore sul valore della cosa oggetto della compravendita può dar luogo, se ne ricorrono i presupposti, all'azione di rescissione per lesione e non a quella di annullamento del contratto per vizi della volontà (Cass. II, n. 8290/1993). In ordine agli effetti tra le parti, la pronuncia di rescissione è destinata a produrre due effetti: a) un effetto liberatorio, relativo alle prestazioni non ancora eseguite, che non dovranno più eseguirsi né dall'una né dall'altra parte; b) un effetto restitutorio, relativo alle prestazioni già eseguite, che ciascuna parte ha vicendevolmente diritto di ripetere dall'altra. Mentre l'effetto liberatorio si manifesta ex nunc e risponde al carattere costitutivo della pronuncia, viceversa l'effetto restitutorio non può che imporsi retroattivamente: le cose ricevute devono, quindi, essere restituite con tutti gli accessori e le utilità che frattanto esse abbiano prodotto, e sulle somme ricevute, e da restituire, devono così corrispondersi gli interessi legali dalla data in cui le somme stesse vennero ricevute (Cass. II, n. 6891/2009; Cass. I, n. 1599/1976; nonché Cass. III, n. 6284/2013, in ordine alla rescissione dei contratti ad esecuzione periodica o continuativa). Nel caso di rescissione di un contratto di compravendita, l'obbligazione di restituzione del prezzo (con gli interessi corrispettivi sulla relativa somma) da parte dell'alienante (che configura un tipico debito di valuta) sorge solo con l'esecutività della pronuncia rescissoria. Pertanto, non essendo configurabile una mora debendi nel periodo precedente, che va dalla ricezione della somma alla conoscenza della predetta sentenza, l'eventuale danno dell'acquirente per la mancata disponibilità, in detto periodo, della somma stessa non è risarcibile a norma dell'art. 1224 c.c., per la cui applicabilità è presupposto essenziale la mora del debitore (Cass. II, n. 6636/1986) Lo stato di bisognoLa ricorrenza dello stato di bisogno, secondo la dottrina, non si traduce in una condizione di assoluta indigenza, ma è integrata anche quando vi sia una situazione di mera difficoltà economica, seppure contingente. Si ritiene, in particolare, che il contratto sia rescindibile, non quando si intenda soddisfare qualsiasi esigenza di tipo economico, ma solo quando la spesa affrontata o da affrontare dal soggetto leso sia necessaria, tenuto conto dei suoi interessi e della sua posizione (Carresi, 356). Il bisogno può dipendere dalle particolari condizioni di fatto in cui versa il contraente leso al momento della stipulazione, come la sua età, le sue condizioni di salute, ecc.; tuttavia, le necessità di tipo morale rilevano solo in quanto abbiano riflessi di carattere patrimoniale (Marini, 974). La causa che ha determinato lo stato di bisogno non ha importanza per la rescissione, sicché può anche provenire dallo stesso contraente leso (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 362). Non necessariamente lo stato di bisogno deve essere connesso al denaro, ma può riguardare anche un bene (Marini, 974; Carresi, 358; Mirabelli, 583). Secondo una parte della dottrina non rileva solo lo stato di bisogno del contraente, ma anche quello di un soggetto legato al contraente da vincoli particolari (Roppo, Il contratto, in Tr. I.Z., 890; Mirabelli, 581; contra Carresi, 357) o, più in generale, di una persona diversa, purché tale stato di bisogno abbia determinato il contraente a stipulare a condizioni inique (Bianca, 648). Vi è contrasto sulla rilevanza dello stato di bisogno putativo: un primo indirizzo rileva che non vi sono ragioni insormontabili per negare detta equiparazione, potendo la controparte approfittare anche della circostanza che il contraente sia indotto a stipulare il contratto per eliminare una supposta situazione di bisogno (Marini, 974; Mirabelli, 582); in ragione di una diversa ricostruzione, nel caso di prestazione di servizi, il contratto basato su uno stato di bisogno supposto è nullo (se non addirittura inesistente, in considerazione della obiettiva inutilità del servizio pattuito), mentre con riferimento ad una prestazione di beni l'erronea supposizione può costituire ragione di annullabilità, ma solo nel caso di errore indotto dai raggiri della controparte, trattandosi di errore sui motivi determinato dal dolo altrui (Carresi, 363). Lo stato di bisogno deve essere attuale, ossia riferito al momento della conclusione del contratto, sebbene l'art. 1448 c.c. non indichi questo requisito come presupposto per la domanda di rescissione (De Poli, La rescissione del contratto, in Comm. S., 93; Carresi, 361). Tra lo stato di bisogno e la determinazione volitiva dell'agente deve ricorrere un nesso di causalità psicologica (Mirabelli, 583). Secondo la giurisprudenza, lo stato di bisogno, pur potendo consistere anche in una situazione di difficoltà economica o nella contingente carenza di liquidità (Cass. II, n. 2328/2010; Cass. I, n. 3646/2009), non può prescindere da un nesso di strumentalità tale da incidere sulla libera determinazione a contrarre, nel senso che le momentanee criticità economiche devono costituire il motivo per cui è stata accettata la sproporzione tra le prestazioni; pertanto, il giudice di merito è tenuto a motivare adeguatamente su tutti gli elementi, non potendo evincere, in via automatica, la sussistenza del predetto nesso di causalità psicologica dalla mera constatazione di una oggettiva condizione economica negativa del contraente svantaggiato, poiché deve considerare la decisività sul piano volitivo di questa situazione in relazione al comportamento della controparte (Cass. II, n. 15338/2018). Pertanto, è sufficiente anche una temporanea mancanza di denaro liquido che abbia inciso sulla libertà di contrattazione del soggetto, inducendolo ad accettare un corrispettivo non proporzionato alla sua prestazione (Cass. II, n. 5133/2007; Cass. II, n. 8200/1998). Tale condizione non ricorre, però, nel caso di vendita a trattativa privata di un bene oggetto di esecuzione, nella quale non potrà essere accampata, quale stato di bisogno rilevante ai sensi della norma in esame, l'esigenza di estinguere le procedure in corso su quel bene, essendo tale scelta determinata non dalla necessità di evitare l'esecuzione e l'onere delle sue conseguenze, ma solo dalla maggior convenienza che il debitore ravvisa nell'evitare l'asta (Cass. I, n. 1577/1968). Deve, inoltre, trattarsi di bisogno al quale si possa ovviare con mezzi economici, non rilevando i motivi di natura morale, i quali, se costituiscono l'impulso alla conclusione del contratto, potrebbero eventualmente condurre all'annullamento del contratto per vizio del consenso, ma non integrerebbero una ragione di lesione (Cass. n. 337/1953). La misura della sproporzione tra le prestazioni può costituire essa stessa una delle circostanze indicative dello stato di bisogno (Cass. II, n. 1553/1989). La dimostrazione dell'abuso dello stato di bisogno incombe al contraente che si pretende leso (Cass. n. 1129/1950). Secondo la S.C., lo stato di bisogno deve avere una rilevanza obiettiva, ossia deve concretarsi in una difficoltà economica, sebbene possa essere riconducibile a cause transitorie (Cass. II, n. 2166/1986). Si è, invece, negato rilievo allo stato di bisogno putativo (Cass. n. 1847/1960). Nel caso di gestione del patrimonio altrui o di rappresentanza lo stato di bisogno rilevante non deve essere riferito al soggetto che amministra o al rappresentante, ma al soggetto il cui patrimonio è amministrato o al rappresentato (Cass. II, n. 2680/1980); nel caso in cui danneggiata sia la società, occorre aver riguardo allo stato psicologico della persona fisica legittimata ad agire per l'ente in virtù del rapporto organico (Trib. Napoli 27 marzo 1968, in Diritto e giurisprudenza, 1968, 492). Lo stato di bisogno può inerire anche all'eredità giacente, occorrendo, in tal caso, tener conto dell'oggettiva difficoltà economica in cui versa il patrimonio amministrato (Cass. II, n. 2166/1986). Inoltre, nel caso di vendita immobiliare, si è precisato che, per l'accertamento dello stato di bisogno del venditore all'epoca dell'impugnato contratto di alienazione, il giudice del merito deve procedere ad una valutazione globale delle prove offerte e delle circostanze che confluiscono a chiarire lo stato di bisogno da accertare e non può compiere un esame analitico e separato di ogni singolo fatto, prendendolo in considerazione isolatamente (Cass. II, n. 2071/1978) La lesione ultra dimidiumTra le prestazioni del contratto deve sussistere una sproporzione qualificata, ossia il valore dell'una deve eccedere di più della metà il valore dell'altra. Ai fini della commisurazione di tale squilibrio occorre fare riferimento alle tariffe o criteri legali (Mirabelli, 583). Le prestazioni devono essere stimate secondo il loro stato e valore al tempo della stipulazione, tenendo conto del prezzo di mercato e non del valore eventualmente conseguibile dal bene in futuro, in ragione delle possibilità di sfruttamento o di speculazioni eccezionali; né può tenersi conto del suo valore affettivo (Carresi, 361). La sproporzione tra le prestazioni, non solo deve sussistere al momento della conclusione del contratto, ma deve altresì perdurare fino al tempo della proposizione della domanda giudiziale di rescissione. Controverse sono, tuttavia, le conseguenze del venir meno della lesione per effetto di eventi successivi alla conclusione del contratto: un primo indirizzo sostiene che, nel caso di successivo aumento del valore del bene ricevuto dalla parte lesa, che sia determinato da qualunque causa, compresa la svalutazione monetaria, l'azione di rescissione diverrebbe improponibile (Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano, 1952, 456), salvo che tale posteriore aumento non sia successivo alla stessa consumazione del bene, il quale sia stato utilizzato soltanto mentre il suo valore era ancora vile (Sacco, De Nova, 604); in forza di altro orientamento, la sostanziale sproporzione di valori tra le prestazioni al tempo della stipulazione del contratto, necessaria per la proposizione dell'azione, non può considerarsi cessata quando con il decorso del tempo sia mutato il solo valore della moneta (Bianca, 647; Scognamiglio, in Tr. G. S.-P., 1980, 262); in base ad una soluzione intermedia, affinché possa escludersi l'esercizio dell'azione rescissoria, deve essere intervenuto un fatto positivo, ad opera di chiunque, tale da porre la parte lesa nella medesima posizione patrimoniale che avrebbe avuto ove non avesse concluso il contratto, non bastando un'alterazione del rapporto di valori tra le prestazioni comunque determinato (Mirabelli, 583). Sicché, in base a quest'ultima tesi, la rivendita del bene per un corrispettivo congruo farebbe venir meno la lesione (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 365). Giova, tuttavia, rammentare che, in genere, la parte che versa in stato di bisogno si disfa dei beni a prezzo irrisorio, non già li acquista per un corrispettivo esoso; tale ultima tesi potrebbe allora attagliarsi all'ipotesi della permuta. Inoltre, mentre una parte della dottrina ritiene sufficiente, perché la lesione possa dirsi cessata, che essa scenda sotto la soglia dell'ultra dimidium, altri autori reputano, invece, necessario l'integrale venir meno della lesione (De Poli, cit., 168 ss.). Secondo la giurisprudenza, il vizio genetico che legittima la rescissione per lesione è posto a tutela dell'equilibrio tra le prestazioni, rispetto al quale rileva il valore delle stesse al momento della stipula contrattuale quale risultante da tutte le pattuizioni che concernono il prezzo (Cass. III, n. 16042/2016; Cass. I, n. 1611/1965). I criteri per la valutazione della sproporzione tra le prestazioni corrispettive sono rimessi al prudente apprezzamento del giudice di merito (Cass. II, n. 26970/2005; Cass. n. 3528/1954, secondo cui le stime fiscali hanno un valore indicativo e sussidiario, utile soltanto se avvalorato ed integrato da altri elementi). In particolare, il calcolo della sproporzione qualificata deve avvenire facendo riferimento ai prezzi correnti o mediamente ottenibili in una normale contrattazione (Cass. II, n. 1227/1979, secondo cui è del tutto irrilevante che lo stesso venditore, pressato dalle difficoltà economiche e dall'urgenza di procurarsi denaro, abbia già inutilmente offerto in vendita a terzi il bene compravenduto, per un prezzo vile, uguale o anche inferiore a quello poi ottenuto dall'altro contraente; Cass. II, n. 4412/1989, in relazione alla vendita di immobile gravato da ipoteca) e tenendo conto delle prestazioni accessorie e delle modalità di esecuzione del contratto (Cass. I, n. 753/1963). Si è negato però che, in tale valutazione, assumano un peso le spese notarili, di registrazione e di mediazione (Cass. n. 1131/1954). Nel caso di vendita di un bene immobile urbano soggetto a regime vincolistico, occorre tener conto non del reddito attuale del bene, ma del reddito che esso avrebbe potuto produrre per il suo valore intrinseco, se non fosse stato sottoposto a tale regime (Cass. n. 1741/1952). Con riferimento al contratto preliminare, l'accertamento della lesione deve essere effettuato in base al valore dei beni oggetto del contratto stesso al momento della sua stipulazione, a nulla rilevando che l'interesse ad agire o a resistere sia sorto solo successivamente, allorché la parte che si sia approfittata dello stato di bisogno ne abbia invocato l'esecuzione in forma specifica (Cass. II, n. 3176/2011). Il criterio della lesione oltre la metà è stato ritenuto applicabile anche in tema di arbitraggio, al fine di stabilire quando la determinazione della prestazione da parte del terzo sia impugnabile per manifesta iniquità ex art. 1349 c.c. (Cass. II, n. 24183/2004) L'approfittamento dello stato di bisognoL'approfittamento dello stato di bisogno si realizza per il fatto che, in conseguenza della sproporzione delle prestazioni derivante dallo stato di bisogno di una parte, l'altra parte ne abbia tratto beneficio; pertanto, la consapevolezza dello stato di bisogno dell'altra parte deve concorrere con il vantaggio (Mirabelli, 582; Bianca, 648). Tale condizione è insita nel fatto stesso del conseguimento della prestazione sproporzionata e non esige un particolare contegno subiettivo della parte che se ne avvantaggia. In base ad altra tesi, l'approfittamento si realizza in conseguenza della mera conoscenza dello stato di bisogno della controparte (Carresi, 362; Marini, 975). La prova dell'approfittamento della controparte può essere data con qualsiasi mezzo istruttorio, anche di natura presuntiva, attraverso l'allegazione delle circostanze che rendevano palese lo stato di bisogno (Bianca, 648). Secondo la ricostruzione giurisprudenziale, l'approfittamento dello stato di bisogno consiste nella consapevolezza che una parte abbia dello squilibrio tra le prestazioni contrattuali derivante dallo stato di bisogno altrui, di cui ha parimenti conoscenza, non essendo a tal fine sufficiente uno squilibrio solo ipotizzato da parte del contraente in posizione di vantaggio (Cass. VI-II, n. 1651/2015; Cass. II, n. 19625/2003; Cass. II, n. 8519/2003); pertanto, è sufficiente la mera consapevolezza di trarre vantaggi indebiti speculando sulla situazione di bisogno del contraente leso (Cass. I, n. 697/1970), a nulla rilevando che il contraente avvantaggiato si sia limitato ad aderire alla pressante offerta della controparte bisognosa, senza aver svolto alcuna attività più o meno maliziosa (Cass. II, n. 1227/1979) ovvero che sia stato proprio il contraente in stato di bisogno a fissare la controprestazione sproporzionata (Cass. n. 1575/1948). In altri termini, non è richiesto un proposito di danneggiare (Cass. I, n. 753/1963), né una specifica attività posta in essere dal contraente avvantaggiato allo scopo di promuovere o sollecitare la conclusione del contratto (Cass. II, n. 8519/2003), essendo sufficiente che la conoscenza dello stato di bisogno costituisca la spinta psicologica a contrarre, desumibile anche dal contegno passivo integrato e lumeggiato dalla realizzazione effettiva del vantaggio conseguito (Cass. II, n. 6630/1988). Non esclude l'approfittamento la circostanza che il soggetto che si avvantaggia sia stato mosso dalla volontà di giungere alla realizzazione più sicura dei propri crediti (Cass. I, n. 2151/1962) o che il danneggiato abbia avuto piena coscienza di quanto sia stato costretto a subire (Cass. n. 165/1951) Il contratto usurarioAlla luce della previgente disciplina penale dell'usura (art. 644 c.p., nel testo antecedente alla riforma di cui alla l. n. 108/1996), una parte minoritaria della dottrina riteneva che la figura del contratto usurario ricorresse nel caso di induzione a concludere il contratto a prestazioni squilibrate, con conseguente nullità del contratto per contrarietà al buon costume, e diritto della parte alla ripetizione del profitto conseguito dalla controparte, indipendentemente dal rimedio della rescissione (Bianca, 649; Messineo, Il contratto in genere, in Tr. C.M., XXI, 1, 249). In senso contrario, altri autori rilevavano che poteva essere considerata illecita l'attività dell'usuraio, ma non la causa del contratto, con la conseguenza che il contraente nei cui confronti fosse stato commesso il delitto di usura avrebbe goduto, sul piano civilistico, del solo rimedio della rescissione, ove ricorresse la lesione enorme, salvo giovarsi del più lungo termine di prescrizione previsto per il reato (Mirabelli, 582; Carresi, 363; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, 858; Villa, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, 153); peraltro, secondo la disciplina previgente, il reato di usura aveva un ambito applicativo limitato, riguardando solo lo scambio di danaro e cose mobili con interessi e vantaggi economici. Discorso a parte meritava il mutuo usurario, posto che il comma 2 dell'art. 1815 c.c. prevedeva la nullità della clausola di determinazione degli interessi usurari e la riduzione degli stessi al tasso legale, in tal modo escludendo il rimedio della rescissione. Anche secondo la giurisprudenza, qualora una parte non si limitasse a trarre vantaggio, ma si attivasse per indurre la parte debole a concludere il contratto, si andava oltre la misura dell'approfittamento e il contratto, definito usurario, oltre che rescindibile per stato di bisogno, era nullo per illiceità della causa o per contrarietà a norma imperativa penale ex art. 1418, comma 1 c.c. (Cass. II, n. 628/1997; Cass. I, n. 1956/1969; Cass. n. 4447/1957). Sicché l'elemento discriminante tra contratto usurario nullo e contratto in stato di bisogno rescindibile era l'esistenza di una condotta induttiva della controparte (Cass. II, n. 6630/1988), pur ammettendosi la possibilità di applicare all'azione di rescissione — previo accertamento in concreto del delitto di usura (in particolare, dello sfruttamento intenzionale dello stato di bisogno, requisito non richiesto invece, secondo la giurisprudenza, ai fini della rescindibilità del negozio) — la prescrizione prevista per l'azione penale relativa a tale delitto (Cass. III, n. 642/1980). A seguito dell'introduzione delle soglie antiusura, in attuazione della l. n. 108/1996, non è più richiesta, per l'integrazione del reato di usura ex art. 644 c.p., la verifica dell'approfittamento dello stato di bisogno della controparte (che costituisce solo una circostanza aggravante della pena), ma il contratto sarà usurario per il solo fatto che tali soglie siano superate (cd. usura «in astratto»: art. 644, comma 1 c.p.), non essendovi più coincidenza tra i presupposti della rescissione per lesione e quelli per l'integrazione del reato di usura. Solo in via subordinata, quando non siano superate tali soglie, potrà aversi riguardo alla sproporzione tra le prestazioni e alle difficoltà economiche o finanziarie che abbiano indotto la parte debole ad aderire a tali condizioni squilibrate (cd. usura «in concreto»: art. 644, comma 3 c.p.). La riforma legislativa, secondo alcuni autori, dovrebbe indurre a ritenere, più che in passato, che la nuova figura di contratto usurario (tranne nelle ipotesi in cui si applichi il novellato comma 2 dell'art. 1815 c.c., che parte della dottrina, peraltro, ritiene estensibile a tutti i contratti di credito: Carpino, La rescissione del contratto, in Comm. S., 79; Quadri, Usura (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, XXXII, 4) sia affetta da nullità per violazione delle soglie o per la sussistenza della sproporzione e delle difficoltà (Quadri, ibidem, secondo cui il giudizio di disvalore insito nella nuova formulazione dell'art. 644 c.p. riguarda non più il comportamento approfittatorio di una delle parti, bensì il complessivo assetto di interessi da loro perseguito) e che, essendo tutte le ipotesi astrattamente riconducibili all'art. 1448 c.c. contenute nella più ampia fattispecie penale di cui all'art. 644 c.p., l'art. 1448 c.c. dovrebbe ritenersi sostanzialmente abrogato, non residuando più spazio neanche per la prescrizione breve di cui all'art. 1449 c.c. (Vitucci, La rescissione, in Tr. Roppo, IV, 463; Quadri, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 69). Secondo altra tesi, invece, la nullità integrale ed assoluta del contratto pregiudicherebbe oltre misura l'interesse della vittima del reato, e sarebbe incoerente con la regola che prevede la nullità parziale per le altre, più gravi ipotesi di usura disciplinate dal comma 2 dell'art. 1815 c.c., sicché si dovrebbe o applicare tale ultima norma in via analogica a tutte le ipotesi di contratto usurario (Bonilini, Contr., 1996, 755) oppure ricorrere all'applicazione dell'art. 1419, comma 2 c.c. (Manna, La nuova legge sull'usura, 151; Oppo, Riv. dir. civ., 1999, I, 544); si è anche sostenuto, mantenendo distinta la disciplina pubblicistica penale da quella privatistica, che la rescissione continuerebbe ad applicarsi ai contratti usurari con causa diversa da quella di finanziamento, se caratterizzati da una lesione ultra dimidium (Grassi, Riv. dir. priv., 1998, 231; Realmonte, Riv. dir. comm., 1997, I, 783; Colavincenzo, Nullità e rescissione dei contratti usurari, 113 ss.), mentre quelli caratterizzati da lesione infra dimidium sarebbero validi ed alla vittima spetterebbe solo il diritto al risarcimento del danno ex artt. 644 e 185 c.p. (Realmonte, ibidem) oppure ex art. 1337 c.c. per violazione del dovere precontrattuale di comportarsi secondo buona fede (Grassi, cit., 238). Secondo la giurisprudenza, la questione si pone per i soli contratti conclusi anteriormente all'adozione del primo decreto ministeriale attuativo della legge (posto che per le fattispecie successive il solo superamento delle soglie determina la nullità del contratto e, nel caso dell'art. 1815 comma 2 c.c., la nullità della sola clausola di pattuizione di interessi usurari, che non sono più dovuti, neanche nella misura legale), in cui l'illiceità del contratto sussiste solo se ricorrano un vantaggio usurario, lo stato di bisogno del mutuatario e l'approfittamento di tale stato da parte del mutuante (Cass. I, n. 25182/2010; Cass. III, n. 8138/2009; Cass. II, n. 9021/1993). Controversa, in giurisprudenza, risultava la sorte della pattuizione di un tasso di interesse che, a seguito dell'operatività del meccanismo stabilito dalla legge antiusura, si rivelasse usurario solo nel corso del rapporto di mutuo. Secondo un primo orientamento, che negava la configurabilità dell'usura sopravvenuta, all'esito dell'interpretazione autentica del legislatore, gli interessi corrispettivi, originariamente convenuti in modo legittimo (con il contratto o con patti successivi), che superassero, nel corso del rapporto, il tasso soglia, non erano riconducibili entro tale limite ex artt. 1339 e 1418 c.c., atteso il dato testuale dell'art. 1 d.l. n. 394/2000. La legittimità iniziale del tasso convenzionalmente pattuito, pertanto, si protrarrebbe per tutta la durata del rapporto, nonostante l'eventuale sopravvenuto contrasto di una residua parte o di una frazione di esso con la disposizione imperativa, e ciò in quanto la norma di interpretazione autentica attribuisce rilevanza, ai fini della qualificazione del tasso come usurario, al momento della pattuizione dello stesso e non a quello del pagamento degli interessi (ex multis, Cass. I, n. 801/2016; Cass. I, n. 22204/2013). Per un secondo orientamento, invece, le norme che prevedono la nullità delle clausole contrattuali di determinazione di tassi di interessi, così elevati da raggiungere la soglia dell'usura di cui all'art. 4 l. n. 108/1996, pur non essendo retroattive, avrebbero comportato l'inefficacia ex nunc delle pattuizioni anteriori alla loro entrata in vigore sulla base del semplice rilievo, operabile anche d'ufficio dal giudice, che il rapporto giuridico, a tale momento, non si era ancora esaurito (ex multis, Cass. I, n. 9405/2017; Cass. I, n. 17150/2016). Nel risolvere siffatta discrasia, le Sezioni Unite hanno aderito al primo dei predetti orientamenti, statuendo che, nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura, come determinata in base alle disposizioni della l. n. 108/1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto (Cass. S.U., n. 24675/2017, secondo cui, peraltro, la validità ed efficacia della clausola contrattuale che contenga la pattuizione di interessi ad un tasso divenuto nel tempo superiore al tasso soglia non esclude la possibilità per la parte di utilizzare altri strumenti legali di tutela, diversi da quelli volti a far valere l'invalidità e inefficacia della clausola, sempre che ne sussistano gli specifici presupposti) I negozi rescindibiliIl rimedio della rescissione per lesione presuppone la sproporzione tra prestazioni, con la conseguenza che si applica ai soli contratti con prestazioni corrispettive, fatta eccezione per la transazione, in cui il rischio di sproporzione è connaturato alla causa del contratto, ossia la composizione di una lite, ai sensi dell'art. 1970 c.c. (Bianca, 650). In base ad una lettura più estensiva, invece, si ritiene che la rescissione postuli esclusivamente l'onerosità del titolo e non la corrispettività (Mirabelli, 580; Scozzafava, Il problema dell'adeguatezza negli scambi e la rescissione del contratto per lesione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1978, 354). Si ritiene, pertanto, che l'istituto trovi applicazione anche ai contratti misti, nei quali alla gratuità si associa un elemento di natura onerosa, come accade nella donazione mista, nella quale l'alienante, nell'intento di realizzare una liberalità nei confronti dell'acquirente, vende ad un prezzo inferiore al valore di mercato (Mirabelli, 581). Il riferimento al presupposto della sproporzione tra le prestazioni delle parti ha indotto parte della dottrina a concludere che la rescissione per lesione non possa riguardare i contratti a titolo gratuito (Carpino, 46); in senso contrario, il campo applicativo del rimedio in esame è stato esteso anche ad alcune fattispecie di contratto a titolo gratuito, e segnatamente alla fideiussione gratuita (Biscontini, Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti, Camerino, Napoli, 1984, 214) e alla donazione (Criscuoli, Timore riverenziale e approfittamento, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1988, 374). La rescissione può riguardare anche il contratto preliminare, poiché sin dalla sua stipulazione può risultare la sproporzione tra le prestazioni contemplate in vista della conclusione del definitivo, prestazioni che tra l'altro possono essere oggetto di esecuzione anticipata (Carresi, 364; Mirabelli, 581). La norma in esame (comma 4) stabilisce espressamente che non sono rescindibili per lesione i contratti aleatori, in ragione della fisiologica riconduzione del rischio di sproporzione alla causa intrinseca del negozio (Marini, 982) ovvero al fondamento giustificativo delle reciproche promesse di eventuali attribuzioni patrimoniali (Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, 859). Fanno eccezione a tale regola i casi in cui la sproporzione, anziché essere il risultato dell'alea, è già presente al momento della conclusione del contratto (Bianca, 650). Per converso, in difetto di uno specifico divieto dello stesso tenore, si reputa che la rescissione del contratto concluso in stato di pericolo riguardi anche i contratti aleatori (Messineo, 925). Una disciplina speciale è prevista per la rescissione della divisione, ai sensi dell'art. 763 c.c.; in tali contratti ciò che assume rilievo è la sola lesione oltre il quarto, senza che vi sia alcun riferimento all'approfittamento di uno stato di bisogno. La ratio della disciplina risiede nella natura della divisione, finalizzata a determinare le porzioni di ciascuno nella misura segnata dalla quota spettante a ciascun condividente, indipendentemente dagli stati soggettivi delle parti contraenti. La tutela dell'equivalenza dei beni assegnati rispetto alle quote contrattuali ha poi indotto il legislatore (art. 764 c.c.) ad estendere il rimedio rescissorio ad atti diversi dalla divisione che abbiano, per effetto, di far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari. Secondo la giurisprudenza, poiché il codice civile ha esteso il campo dell'azione di rescissione per lesione enorme a tutti i contratti commutativi, con la sola eccezione di quelli aleatori, può essere sottoposto a detta azione un contratto innominato o misto nel quale confluiscano elementi della vendita e dell'appalto, e può il giudice procedere ad una valutazione complessiva, senza scindere il contratto nelle sue componenti economico-giuridiche, circa la sproporzione tra le due prestazioni, unitariamente considerate, agli effetti dell'accertamento della eventuale lesione enorme (Cass. I, n. 1738/1966). Il rimedio della rescissione può operare anche nei contratti con comunione di scopo (Cass. I, n. 639/1976, la quale ha ritenuto esperibile l'azione di rescissione per lesione a favore del socio che, in sede di aumento di capitale, aveva conferito un bene di valore superiore di oltre la metà al valore delle azioni da lui sottoscritte, sproporzione dipesa dall'approfittamento da parte della società del suo stato di bisogno). La questione della inammissibilità dell'azione di rescissione relativa ad un contratto aleatorio, anche se viene prospettata per la prima volta in sede di legittimità, è proponibile se rientra nel thema decidendum già dibattuto nel giudizio di merito ed è basata su elementi di fatto già accertati in tale giudizio (Cass. I, n. 697/1970). In proposito, si è precisato che, affinché l'azione di rescissione sia paralizzata, in ragione della natura aleatoria del contratto, è necessario che l'alea, intesa come rischio cui uno o più fra i contraenti ovvero tutti si espongono, investa e caratterizzi il negozio nella sua interezza e fin dalla sua formazione, cosicché per la natura stessa del negozio o per le specifiche pattuizioni stabilite dai contraenti medesimi divenga radicalmente incerto, per una o per tutte le parti, il vantaggio economico in relazione al rischio, al quale le parti stesse si espongono. Non necessita, perciò, per poter qualificare aleatorio un contratto, l'elemento della c.d. bilateralità dell'alea, potendosi considerare aleatorio anche un contratto nel quale l'alea sia a carico esclusivo di una sola delle parti, mentre l'altra ha la possibilità di trarre dal contratto soltanto vantaggi (Cass. II, n. 2286/1980). Anche l'emptio spei, o vendita di speranza — in cui il compratore, ai sensi dell'art. 1472, comma 2 c.c., si impegna incondizionatamente a pagare al venditore un prezzo determinato, anche se la cosa non venga mai ad esistenza o sia, comunque, quantitativamente o qualitativamente diversa da quella sperata o supposta dal compratore al momento dell'acquisto — ha carattere di contratto aleatorio, come tale sottratto all'azione di rescissione per lesione (Cass. I, n. 697/1970). Non è stato, invece, considerato aleatorio il contratto di cessione di partecipazioni sociali, quando le parti abbiano valutato le loro posizioni e il bene alienato sia rappresentativo di un diritto commisurato all'obiettiva consistenza del patrimonio della società (Trib. Milano 27 febbraio 1992, in Giur. it., 1992, I, 2, 601). Per quanto attiene al preliminare, lo stesso può essere rescisso per lesione ed il termine annuale di prescrizione della relativa azione (art 1449 c.c.) decorre dalla sua conclusione, e non dalla conclusione del contratto definitivo (Cass. II, n. 1526/1977). Tuttavia, la rescissione che non sia stata fatta valere in via di azione nel termine di un anno dalla sua conclusione, può essere chiesta in via riconvenzionale dal venditore nel giudizio promosso dall'acquirente con la domanda di esecuzione specifica, poiché il pregiudizio derivante dallo squilibrio delle prestazioni, potenziale nel contratto preliminare, diviene attuale solo quando la parte che vi ha interesse chiede che sia concluso alle stesse condizioni il contratto definitivo (Cass. II, n. 18752/2016). Contro la sentenza costitutiva (art. 2932 c.c.) del contratto definitivo non concluso non è, invece, esperibile l'azione di rescissione per lesione: l'eventuale sproporzione fra le prestazioni dipendente dallo stato di bisogno di una parte, del quale l'altra ha profittato, può essere fatto valere con l'impiego dei normali mezzi d'impugnazione, cui la sentenza è soggetta (Cass. III, n. 3614/1974).. BibliografiaBianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, 1.1. e 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Carresi, Rescissione (diritto civile), in Enc. giur., Roma 1991; Cicala, Il negozio di cessione del contratto, Napoli, 1962, 122; Corsaro, voce Rescissione, in Dig. civ., 1997; Marini, voce Rescissione del contratto, in Enc. dir., Milano, 1988; Messineo, voce Contratto (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1961; Mirabelli, voce Rescissione, in Nss. D.I., Torino, 1968; Sacco, De Nova, Il contratto, I, Torino, 1993; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989. |