Codice Civile art. 1457 - Termine essenziale per una delle parti.

Cesare Taraschi

Termine essenziale per una delle parti.

[I]. Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell'interesse dell'altra [1256 2], questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l'esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all'altra parte entro tre giorni.

[II]. In mancanza, il contratto s'intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione [1456 2].

Inquadramento

La norma in esame allude alla previsione di un termine di adempimento della prestazione, che sia essenziale nell'interesse di una delle parti. Trattasi di una fattispecie di risoluzione di diritto, consistente in un termine di carattere perentorio, la cui inosservanza comporta l'automatica risoluzione del contratto (Bianca, 1994, 318). La previsione nel contratto di un termine essenziale vale a fissare il momento in cui il creditore non ha più interesse a ottenere l'esecuzione della prestazione (es., acquisto dell'abito da sposa da consegnarsi entro la data del matrimonio); in questa evenienza, l'adempimento dell'obbligo è ancora possibile, ma ha perso l'utilità che gli era stata specificamente attribuita da una delle parti (Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, 872). La natura essenziale del termine può essere espressamente pattuita o può desumersi implicitamente dalla natura o dall'oggetto del contratto (Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, 872).

Qualora il termine sia essenziale nell'interesse di entrambe le parti, non troverà applicazione la disciplina in commento, poiché il pari interesse della parte debitrice all'esecuzione della prestazione è incompatibile con il riconoscimento della possibilità del creditore di esigerne l'esecuzione anche dopo la scadenza del termine. Al riguardo, si distingue tra termine essenziale unilaterale, al quale fa riferimento l'art. 1457 c.c., e termine essenziale bilaterale, cui non si applica la disciplina del termine essenziale come fattispecie di risoluzione automatica (Natoli, Il termine essenziale, in Riv. dir. comm., 1947, 232). L'essenzialità bilaterale costituisce un singolare fenomeno di essenzialità, diverso da quello dell'essenzialità tipica, che è fisiologico in alcune figure negoziali tipiche, come il riporto (Dalmartello, Adempimento e inadempimento nel contratto di riporto, Padova, 1958, 388). La questione riveste particolare interesse con riguardo al termine essenziale, eventualmente concordato nel reciproco interesse dalle parti di un contratto preliminare, per la stipulazione del contratto definitivo. Si premette che in questa eventualità dovrà innanzitutto essere verificato in concreto se il termine sia realmente essenziale, poiché, ove non lo sia, troverà applicazione la disciplina della clausola risolutiva espressa, trattandosi di una mera modalità di adempimento dell'obbligazione con riferimento al termine. Qualora il termine fissato per la prestazione di una delle parti debba considerarsi essenziale nell'interesse sia dell'altra parte sia della parte che deve eseguirla, alla sua inosservanza conseguirà la cessazione degli effetti del negozio, in applicazione analogica della regola stabilita dall'art. 1551, comma 2 c.c. per il riporto

L'essenzialità del termine

L'essenzialità del termine può essere oggettiva o soggettiva, in ragione della funzione della prestazione ovvero della volontà delle parti (Bianca, 1994, 319; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 925): il termine è oggettivamente essenziale quando risulti tale in ragione della natura e dell'oggetto del negozio, con valutazione da compiere in relazione agli interessi perseguiti dalle parti; è soggettivamente essenziale quando sia stato considerato come tale dalle parti mediante espressa pattuizione ovvero tacitamente. Secondo alcuni, la distinzione è priva di rilievo pratico, poiché in ogni caso l'essenzialità del termine deve essere valutata con riferimento al momento in cui fu concluso il contratto, avendo riguardo all'interesse del creditore (Mirabelli, 629). In sintonia con tale opinione altra ricostruzione sostiene che l'essenzialità deve essere riferita all'effettivo interesse del creditore all'assoluta puntualità della prestazione (Giorgianni, L'inadempimento, Milano, 1975, 93). Altra tesi afferma che la previsione legale riguarderebbe un termine oggettivamente necessario per il funzionamento del contratto, al quale le parti non possono derogare (Di Majo, Rilevanza del termine e poteri del giudice, Milano, 1972, 127). In base ad altra opinione, l'essenzialità del termine avrebbe sempre carattere soggettivo, poiché dovrebbe sempre essere ricondotta alla conforme volontà delle parti (Graziani, Il termine essenziale, Napoli, 1953, 313; Saracini, Il termine e le sue funzioni, Milano, 1979, 158). In ogni caso, l'essenzialità del termine non può essere presunta (Sacco, De Nova, in Tr. Res., 1988, 528). Ove il creditore conceda un nuovo termine al debitore, in linea di massima deve escludersi che anche tale termine sia essenziale (Bianca, 1994, 323; Sacco, De Nova, cit., 529).

Anche secondo la giurisprudenza di legittimità l'essenzialità del termine può essere di natura soggettiva o oggettiva: il termine per l'adempimento indicato nel contratto deve ritenersi essenziale quando la sua improrogabilità risulti dalle espressioni adoperate dai contraenti anche senza l'uso di formule sacramentali ovvero dalla natura e dall'oggetto del contratto (Cass. VI-II, n. 10353/2020; Cass. II, n. 8233/1997; Cass. III, n. 9619/1991). In particolare, il termine per l'adempimento può essere ritenuto essenziale solo quando, all'esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine medesimo (Cass. III, n. 14426/2016; Cass. II, n. 25549/2007; Cass. II, n. 21587/2007; Cass. II, n. 5797/2005). Tale volontà non può desumersi solo da una generica necessità prospettata durante le trattative quando non risulti dall'oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l'utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata (Cass. II, n. 2491/1999).

In particolare, l'espressione «entro e non oltre» integra una mera locuzione di stile e non vale a qualificare il termine come essenziale (Cass. II, n. 11068/2022; Cass. II, n. 32238/2019; Cass. III, n. 14426/2016; Cass. II, n. 5797/2005; Cass. II, n. 5509/2002), a meno che non sia accompagnata da altri dati che rivelino, esplicitamente o implicitamente, la mancanza di interesse del creditore a ricevere l'adempimento oltre il termine indicato (Cass. II, n. 1537/1996). La proroga del termine concessa dal creditore non rappresenta comportamento incompatibile con l'intenzione di valersi del patto che ne stabilisce l'essenzialità, che rimane efficace nel suo originario contenuto in relazione al termine così modificato, salvo che non si tratti di proroga reiterata, da cui può trarsi indizio per ritenere che il termine non sia essenziale (Cass. II, n. 3293/1989; Cass. II, n. 4226/1987; Cass. III, n. 590/1982). Una scadenza non esattamente precisata e determinabile solo in modo approssimativo ed elastico è incompatibile con la natura essenziale del termine (Cass. I, n. 3823/1983; Cass. II, n. 5621/1979). Ad es., le clausole che, quale quella “quando possibile” o simile, individuano il momento dell'adempimento con carattere meramente indicativo, non integrano gli estremi di un termine essenziale (Cass. II, n. 40829/2021, secondo cui, in tal caso, non è comunque configurabile un'obbligazione senza termine o con termine rimesso alla volontà del debitore, né può escludersi l'inadempimento di quest'ultimo, allorché non esegua la propria prestazione entro un lasso di tempo che, in relazione all'oggetto ed alla natura del contratto, il giudice ritenga congruo). La clausola relativa al termine essenziale non deve essere approvata per iscritto a norma dell'art. 1341 c.c. in quanto non particolarmente onerosa (Cass. II, n. 8881/2000). E' stato ritenuto essenziale anche il termine per il versamento della cd. riserva matematica in tema di riscatto degli anni del corso di laurea ai fini contributivi, sicchè il mancato rispetto di tale termine comporta la decadenza e la necessità di una nuova domanda ai fini del riscatto, con conseguente ricalcolo della riserva, in relazione alla diversa situazione soggettiva del lavoratore e con applicazione di coefficienti diversi (Cass., sez. lav., n. 41274/2021).

Ricorrono poi alcune fattispecie negoziali tipiche in cui il termine è oggettivamente essenziale in astratto, in forza di una prevalutazione compiuta dal legislatore; ciò accade nei contratti di riporto, vendita a termine dei titoli di credito, contratti estimatori; in tali fattispecie troverà applicazione la disciplina del termine essenziale senza la necessità di un accertamento in concreto dell'essenzialità stessa (Di Majo, cit., 205).

In dottrina, dal termine essenziale si distingue il termine di assoluto rispetto, che si realizzerebbe quando la prestazione tardiva sarebbe priva di qualsiasi utilità, tanto da escludere la facoltà del creditore di esigere l'adempimento dopo la scadenza (Giorgianni, cit., 93). In senso critico si rileva che anche in questa ipotesi il creditore è arbitro di decidere la sorte del contratto, poiché ragioni di natura soggettiva potrebbero comunque giustificare l'interesse all'esecuzione della prestazione oltre la scadenza del termine essenziale, sicché si applicherebbe comunque la disciplina dell'art. 1457 c.c. (Bianca, 1994, 325).

In ogni caso, deve rammentarsi che l'inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti per la esecuzione di un'obbligazione, pur impedendo, in mancanza di una diffida ad adempiere, la risoluzione di diritto ai sensi dell'art. 1457 c.c., non esclude la risolubilità del contratto, a norma dell'art. 1453 c.c., se si traduce in un inadempimento di non scarsa importanza, ossia se il ritardo superi ogni ragionevole limite di tolleranza (Cass. VI-II, n. 4640/2021Cass. II, n. 4314/2016)

La gravità e l'imputabilità dell'inadempimento

La gravità dell'inadempimento dell'obbligazione nel termine stabilito è insita nella stessa essenzialità del termine (Bianca, 1994, 321). Sicché non trova applicazione la previsione dell'art. 1455 c.c. sulla non scarsa importanza dell'inadempimento (Sacco, De Nova, cit., 525; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 925). È possibile però che circostanze sopravvenute rendano l'interesse creditorio suscettibile di essere soddisfatto anche mediante una prestazione ritardata (Bianca, 1994, 321). La valutazione di gravità è stata ritenuta irrilevante con riguardo all'essenzialità soggettiva, in cui sono le stesse parti a dare al termine un carattere di essenzialità. Nondimeno si ritiene che anche in tale ambito possano intervenire circostanze idonee a privare il termine del carattere di essenzialità (Bianca, 1994, 321). Inoltre, affinché possa avere luogo la risoluzione per violazione del termine essenziale, è necessario che l'inosservanza del termine sia imputabile almeno a colpa del debitore (Di Majo, cit., 206). In senso contrario, un autore nega che sia richiesta l'imputabilità dell'inadempimento conseguente alla violazione del termine essenziale, poiché l'effetto risolutivo si realizza per il solo fatto oggettivo che il creditore abbia perso interesse all'adempimento, rilevando piuttosto la colpa ai soli fini del risarcimento dei danni (Mirabelli, 624).

Secondo la giurisprudenza, il requisito della colpa, nell'ipotesi di mancata osservanza del termine essenziale, non opera come elemento costitutivo della fattispecie integrativa della risoluzione del contratto, ma solo come elemento eventualmente impeditivo, nel senso che, nel caso di adempimento che richiede la cooperazione di entrambi i contraenti, sorge a carico di chi si oppone alla risoluzione del contratto, nonostante la scadenza del termine, l'onere di dimostrare che soltanto per effetto del comportamento della controparte, contrario a buona fede, l'adempimento non è stato reso possibile (Cass. II, n. 8881/2000; Cass. II, n. 1020/1992). In altre pronunce si è, però, sostenuto che la risoluzione di diritto del contratto, ex artt. 1456 e 1457 c.c., postula pur sempre la sussistenza e l'imputabilità dell'inadempimento, in quanto l'esistenza di dette pattuizioni elimina soltanto la necessità dell'indagine circa l'importanza di un determinato inadempimento, essendo stata tale importanza valutata anticipatamente dai contraenti, ma non incide, invece, sugli altri principi concernenti la risoluzione dei contratti, né configura una responsabilità senza colpa (Cass. II, n. 8195/1993; Cass. II, n. 5710/1987; Cass. II, n. 3542/1977).

In ogni caso, si riconosce che, nell'ipotesi di inosservanza del termine essenziale, costituisce impedimento alla risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1457 c.c., il comportamento contrario a buona fede della controparte a cui favore sia stabilito il termine, quando per l'adempimento si richieda la cooperazione di entrambi i contraenti (Cass. I, n. 4039/1990)

L'effetto risolutivo

La risoluzione del contratto in ragione del termine essenziale segue automaticamente alla violazione del termine. Tuttavia, lo scioglimento non costituisce una vicenda necessaria, che segue inderogabilmente all'inosservanza del termine. Ed, infatti, il creditore può comunicare al debitore, entro tre giorni dalla scadenza del termine essenziale, che intende comunque mantenere fermo il contratto, esigendo la prestazione. Ove il creditore non si avvalga di tale facoltà, il contratto si risolve (Bianca, 1994, 322). Tale dichiarazione, di natura negoziale, unilaterale e recettizia, deve essere ricevuta dalla controparte entro il termine legale di tre giorni, non bastando che entro tale termine sia solo emessa (Mirabelli, 630). La dichiarazione deve essere manifestata in modo espresso, benché non soggiaccia ad oneri di forma (Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, 872). Nella pendenza del termine legale di tre giorni il debitore rimane obbligato ma non può adempiere, in quanto tale termine opera a esclusivo favore del creditore; per converso, il creditore entro tale termine può esigere la prestazione o può rinunziare alla risoluzione. La circostanza che il creditore si avvalga entro tale termine legale della facoltà di richiedere l'adempimento, nonostante la scadenza del termine essenziale, non esclude il diritto al risarcimento del danno derivante dal ritardo (Mirabelli, 631; Mosco, 191). Qualora l'obbligazione, il cui adempimento è sottoposto a termine essenziale, sia solidale, la dichiarazione del creditore di voler ricevere ugualmente la prestazione indirizzata ad uno dei condebitori solidali ha effetto anche rispetto agli altri (Bianca, 1994, 322).

Secondo una parte della dottrina, la risoluzione si determina al momento della scadenza del termine essenziale, mentre ove segua la richiesta di adempimento il contratto già estinto rivive (Mirabelli, 628). Siffatta soluzione è stata criticata poiché nel termine legale il debitore rimane comunque vincolato al rapporto (Bianca, 1994, 323). In base ad altro indirizzo, la risoluzione si perfeziona al decorso del termine legale di tre giorni, costituendo il silenzio del creditore elemento costitutivo della fattispecie risolutiva (Smiroldo, 231). Anche questa soluzione è stata criticata, poiché nessun dato normativo consente di ricondurre la maturazione dell'effetto risolutivo a un atto o un comportamento del creditore (Bianca, 1994, 323). Altra tesi afferma che, in ragione dell'integrazione di una fattispecie complessa, gli effetti che ne conseguono sono sfasati tra le parti: per il creditore il pieno effetto risolutivo si produrrebbe solo con il decorso del termine legale di tre giorni senza la richiesta di adempimento; per il debitore la risoluzione opererebbe alla scadenza del termine essenziale, precludendogli la possibilità di effettuare una valida offerta di adempimento (Dalmartello, 146). Secondo un'ulteriore opinione, alla scadenza del termine essenziale conseguono gli effetti della sospensione e della risoluzione del contratto, mentre al creditore è conferito, non già un potere di risoluzione mediante silenzio significativo, bensì un potere di rifiuto dell'effetto risolutivo che si esercita mediante atto negoziale (Bianca, 1994, 323).

In giurisprudenza si è rilevato che, pur in presenza dell'inutile decorso di un termine essenziale, è sempre necessaria la domanda di parte affinché possa pronunciarsi la risoluzione di un contratto. Invero, l'espressione «di diritto», usata in proposito dalla norma in commento, significa soltanto che la pronunzia giudiziale relativa ha carattere meramente dichiarativo della risoluzione stessa (Cass. VI-II, n. 36918/2021) e che, quindi, i suoi effetti risalgono al tempo in cui si è verificato l'evento, e non già che a tale pronuncia il giudice possa provvedere d'ufficio (Cass. III, n. 1637/1971). Inoltre, il principio, secondo il quale la dichiarazione del debitore di non volere adempiere equivale a inadempimento, opera anche quando l'obbligazione sia sottoposta ad un termine essenziale non ancora scaduto, sicché è dal momento di tale dichiarazione che il contratto deve considerarsi risolto (Cass. III, n. 4089/1975).

Il patto o uso contrario, richiamato dalla norma in esame, potrebbe consentire al creditore di avvalersi di un termine più lungo di quello legale di tre giorni per recuperare il contratto ovvero potrebbe a monte escludere tale facoltà di recupero (Bianca, 1994, 324). Secondo altra tesi, anche l'effetto risolutorio di diritto può essere pattiziamente derogato (Mirabelli, 629).

Secondo una datata pronuncia di merito, il patto o uso contrario può riferirsi, invece, solo alla facoltà di richiedere successivamente l'adempimento (Trib. Pescara 12 marzo 1951, in R. g. umbro-abr., 1951, 467).

La risoluzione in esito alla scadenza del termine essenziale può essere limitata dal creditore alle sole prestazioni inadempiute (Gentili, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, 242). In dottrina si ritiene che, risolto il contratto per effetto del decorso del termine essenziale, senza che entro il termine legale il creditore abbia richiesto la prestazione, gli effetti che ne derivano sono immodificabili, cosicché non è consentito alle parti di rinunciarvi, se non provvedendo alla conclusione di un nuovo accordo (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 925).

Secondo la giurisprudenza, la previsione di un termine essenziale per l'adempimento del contratto, essendo posta nell'interesse di uno o di entrambi i contraenti, non preclude alla parte interessata di rinunciare, seppur tacitamente, ad avvalersene, anche dopo la scadenza del termine (in particolare, accettando un adempimento tardivo), così rinunciando altresì alla dichiarazione di risoluzione contrattuale (Cass. II, n. 28/2024; Cass. II, n. 11068/2022; Cass. II, n. 32238/2019; Cass. II, n. 16880/2013; Cass. II, n. 8881/2000; Cass. II, n. 8733/1998, secondo cui la rinuncia ben può assumere forma implicita e risultare da atti univoci, indicativi della circostanza che il creditore, accettando l'adempimento tardivo del debitore, abbia ritenuto più conforme ai propri interessi l'esecuzione del contratto che non la risoluzione di diritto del medesimo; contra Cass. II, n. 5167/1985, secondo cui la dichiarazione effettuata oltre i tre giorni di volere esigere l'esecuzione, nonostante la scadenza del termine, non comporta proroga del termine con l'eliminazione degli effetti dell'inadempimento, venendo essa ad incidere su un contratto ormai irrimediabilmente risolto)

La distinzione dalla clausola risolutiva espressa

Quando sia stata stipulata una clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., la parte che intende avvalersene deve porre in essere un comportamento attivo, ossia deve manifestare la volontà che intende avvalersi della clausola, affinché si produca l'effetto risolutivo. Diversamente nel termine essenziale gli effetti risolutori conseguono al decorso del termine stesso, senza che la parte sia onerata di alcun comportamento affinché l'effetto risolutivo si produca (Busnelli, 200; Smiroldo, 252; Grasso, Termine, in Enc. giur., 1994, 2). Sicché nel primo caso il debitore soggiace all'esercizio da parte del creditore della facoltà di avvalersi della clausola, fintanto che tale facoltà non cada in prescrizione; per converso, nel caso del termine essenziale la sorte dell'obbligazione è decisa entro lo spatium deliberandi di tre giorni concesso al creditore che si avvantaggi del termine, e l'effetto risolutivo si verifica senza che questi debba porre in essere alcuna attività (Costanza, voce Clausola risolutiva espressa, in Enc. giur., 1988, 2). Secondo un autore il termine essenziale costituisce una species del genus clausola risolutiva espressa con riferimento alla particolare modalità dell'obbligazione rappresentata dal termine (Natoli, cit., 229).

In forza dell'orientamento prevalente, di fronte ad una volontà negoziale riferita al tempo dell'adempimento, occorre accertare se i contraenti abbiano previsto la risoluzione automatica del rapporto quale ineluttabile conseguenza dell'essenzialità oggettiva o soggettiva del termine o piuttosto abbiano inteso stipulare una clausola risolutiva espressa per l'eventualità che l'obbligazione non sia adempiuta secondo la modalità di tempo stabilita: nel primo caso si applicherà la disciplina del termine essenziale, nel secondo quella della clausola risolutiva espressa (Smiroldo, 252). Sarà quindi una questione interpretativa quella di stabilire se le parti abbiano voluto rendere essenziale il termine dell'obbligazione ovvero abbiano posto in essere soltanto un patto risolutivo per inosservanza del termine, riferendosi al tempo dell'adempimento così come ad una qualsiasi modalità dell'obbligazione (Rubino, Clausola risolutiva espressa e tardivo adempimento, in Giur. comp. Cass. civ., 1948, II, 229; Andreoli, Appunti sulla clausola risolutiva espressa e sul termine essenziale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 73). In senso contrario, altro autore evidenzia che la clausola risolutiva per inosservanza del termine è essa stessa esemplificativa dell'essenzialità del termine medesimo (Natoli, cit., 230).

Anche la giurisprudenza conferma che le fattispecie previste rispettivamente dagli artt. 1456 (clausola risolutiva espressa) e 1457 c.c. (termine essenziale per una delle parti), ancorché riguardanti entrambe la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, hanno propri e differenti presupposti di fatto, tra cui il diverso atteggiarsi della volontà della parte interessata al momento dell'inadempimento dell'altra, verificandosi l'effetto risolutivo, nella prima, con la dichiarazione dell'intenzione di avvalersi della facoltà potestativa attribuita dalla legge e, nella seconda, con lo spirare di tre giorni a partire dalla scadenza dei termini senza che essa abbia dichiarato all'altra di volere l'esecuzione (Cass. II, n. 8881/2000; Cass. II, n. 10102/1994). Ne consegue che, invocata in giudizio l'applicabilità di un termine essenziale relativamente ad una data prestazione, non può dedursi per la prima volta nel giudizio di legittimità la configurabilità nella relativa pattuizione di una clausola risolutiva espressa (Cass. II, n. 5640/1983).

In ogni caso, la previsione di un termine essenziale in un contratto ad effetti obbligatori non è incompatibile con l'inserimento nel medesimo contratto di una clausola risolutiva espressa, né la scadenza del termine essenziale paralizza per contraddizione gli effetti della clausola, con la conseguenza che il creditore può tanto avvalersi di detta clausola, ai fini della dichiarazione della risoluzione di diritto del contratto, quanto rinunciare all'effetto risolutivo ed esigere l'adempimento (Cass. II, n. 5766/1985).

Nei contratti di durata (come la locazione), in cui sono stabilite prestazioni di pagamento secondo scadenze mensili e non in un'unica soluzione, l'essenzialità del termine di ciascuna prestazione di pagamento deve essere espressamente prevista, in ossequio ai criteri di ermeneutica contrattuale sanciti dagli artt. 1362 e 1366 c.c. (Cass. III, n. 8038/2024, la quale ha affermato - esaminando il tenore letterale della clausola di un contratto di locazione secondo cui il ritardo o il mancato pagamento di una sola mensilità era da individuare come causa immediata di risoluzione del contratto - che si trattava di clausola risolutiva espressa e non di termine essenziale).

Inoltre, la risoluzione del contratto di diritto per una delle cause previste dagli artt. 1454, 1455 e 1457 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l'esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell'art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poiché dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono perciò essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa (Cass. II, n. 26206/2017; Cass. II, n. 14014/2017; Cass. II, n. 21838/2010)..

Bibliografia

Auletta, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942; Belfiore, voce Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir., Milano, 1988; Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Boselli, voce Eccessiva onerosità, in Nss. D.I., Torino, 1960; Busnelli, voce Clausola risolutiva espressa, in Enc. dir., Milano, 1960; Dalmartello, voce Risoluzione del contratto, in Nss. D.I., Torino, 1969; Grasso, Eccezione di inadempimento e risoluzione del contratto, Napoli, 1973; Mirabelli, in Comm. UTET, 1984; Mosco, La risoluzione del contratto per inadempimento, Napoli, 1950; Natoli, voce Diffida ad adempiere, in Enc. dir., Milano, 1964; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1989; Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, Milano, 1982; Tartaglia, voce Onerosità eccessiva, in Enc. dir., Milano, 1980

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