Codice Civile art. 1322 - Autonomia contrattuale.

Gian Andrea Chiesi
aggiornato da Nicola Rumìne

Autonomia contrattuale.

[I]. Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge [41 2 Cost.] [e dalle norme corporative] (1).

[II]. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare [1470 ss.], purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.

(1) Le disposizioni richiamanti le norme corporative devono ritenersi abrogate in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo.

Inquadramento

La valenza regolamentare del contratto rappresenta, come anticipato a proposito del commento all'art. 1321 c.c., un riflesso diretto del ruolo riconosciuto alla volontà nell'ambito della realtà negoziale (cd. dogma della volontà): alle parti è infatti riconosciuto, nell'ambito della loro autonomia negoziale, non solo di usare gli schemi predisposti dal legislatore, ma anche di crearne di nuovi, così come fissarne il contenuto; la stessa determinazione di addivenire alla conclusione di un contratto è rimessa alla libera determinazione delle parti.

I limiti fissati dalla norma per l'esercizio dell'autonomia negoziale valgono anche per i soggetti diversi dalle persone fisiche e dalle persone giuridiche, cioè per gli enti collettivi non riconosciuti, ma dotati di propria soggettività giuridica, in quanto autonomi centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive (Rescigno, 1989, 213).

La facoltà, riconosciuta alle parti di determinare liberamente il contenuto del contratto, si estende dal piano sostanziale a quello formale: sicché il contenuto di un contratto o di una clausola può essere determinato tramite il rinvio o il riferimento ad elementi estrinseci, che possono consistere in un atto normativo o amministrativo ovvero in un atto di autonomia privata posto in essere dalle stesse parti o da un terzo. Si ammette pertanto la figura del negozio per relationem: mediante la relatio, il contenuto dell'atto richiamato è recepito nel contenuto della dichiarazione negoziale, divenendone elemento integrante, esclusivamente per volontà delle parti che ad esso hanno fatto esplicito e specifico riferimento; sicché tale elemento integrante trae la sua efficacia precettiva, non già dall'atto, di natura pubblica o privata, dal quale è stato attinto, ma esclusivamente dall'atto di autonomia negoziale nel quale è stato assunto come porzione del suo contenuto.

Evidenzia, anzi, Cass. II, n. 7403/2016, che in materia di condizioni generali di contratto, qualora le parti contraenti richiamino, ai fini dell'integrazione del rapporto negoziale, uno schema contrattuale predisposto da una di loro in altra sede non è configurabile un'ipotesi di contratto concluso mediante moduli o formulari, assumendo la disciplina richiamata (nella specie, una clausola compromissoria, peraltro integralmente riprodotta dai contraenti) per il tramite di relatio perfecta il valore di clausola concordata, sicché resta sottratta all'esigenza dell'approvazione specifica per iscritto di cui all'art. 1341 c.c.. Nello stesso senso Cass. VI-1, n. 27764/2018 per cui nei contratti d'appalto stipulati a seguito di gara indetta da un ente pubblico, la volontà di devolvere ad arbitri le relative controversie deve essere espressa in maniera esplicita ed univoca, non essendo sufficiente un generico rinvio ad altro documento che eventualmente contenga la clausola compromissoria, poiché soltanto il richiamo espresso e specifico di detta clausola, con i caratteri della «relatio perfecta», assicura la piena consapevolezza delle parti in ordine alla deroga alla giurisdizione

Limiti all'autonomia negoziale: in particolare, il principio di uguaglianza

Benché la liberta negoziale svolga un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell'in idem placitum, cionondimeno esistono dei limiti che in alcuni casi la comprimono, come nel caso di alienazione di immobile concesso in locazione, in cui è riconosciuta al conduttore una prelazione legale rispetto ai terzi, in altri la annullano, come nelle ipotesi di obblighi a contrarre imposti dalla legge (cfr. l'art. 2597 c.c. in caso di esercizio di un'impresa in regime di monopolio). In altri casi ancora, infine, la libertà contrattuale è limitata in relazione al contenuto del contratto, nel senso che, tenendo conto delle posizioni squilibrate esistenti ab origine tra le parti, il legislatore ha ritenuto di riconoscere alla parte in posizione «deteriore» alcuni benefici, quale, ad esempio, il diritto di ripensamento nel caso di contratti B2C conclusi fuori dai locali commerciali. Analogo è il meccanismo, poi, nel caso di sostituzione automatica di clausole, ex artt. 1419, comma 2 e 1339 c.c., sebbene non connesso ad una posizione di squilibrio tra le parti.

La dottrina ritiene, ancora, che l'autonomia privata soggiaccia al limite del principio di uguaglianza o della parità di trattamento, non già fondato sull'art. 3 Cost., bensì su elementari esigenze di giustizia distributiva, sicché detto principio acquista il carattere di precetto giuridicamente vincolante nel diritto privato ove si accompagni a rapporti di tipo comunitario: l'unione di più persone in una comunità di diritto privato porta con sé l'uguale trattamento dei membri che si trovano in posizioni comparabili nell'ambito di tali comunità (Rescigno, 1988, 16).

Nega tale conclusione la giurisprudenza, la quale ravvisa nel principio di uguaglianza l'espressione, piuttosto, della libera iniziativa economica privata di cui all'art. 41 Cost. Il principio dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge — che obbliga il legislatore a non violare, pur nella sua discrezionalità politica, le regole della ragionevolezza, con la conseguenza di considerare invalida la legge che disponga trattamenti differenziati per determinate categorie di rapporti, allorché dal suo testo, o da altre disposizioni collegate, risulti l'inesistenza della peculiarità dei rapporti regolati, che vengono allegate per giustificare i trattamenti medesimi — non impone ai privati di uniformarsi ad analogo criterio, pena la nullità degli atti, nell'esercizio dell'autonomia loro riservata dall'ordinamento (Cass. sez. lav., n. 2030/1981). Pertanto, il canone della ragionevolezza, che rappresenta un utile criterio di valutazione del rispetto da parte del legislatore del principio di uguaglianza posto dall'art. 3 Cost., non può essere applicato con la stessa efficacia nella valutazione dei regolamenti privati di interessi che siano frutto dell'autonomia contrattuale (Cass. S.U., n. 17079/2011)

La meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti

Il legislatore si è preoccupato di dettare una completa disciplina dei contratti che maggiormente si sono affermati nella pratica degli scambi e che, da un punto di vista classificatorio, si identificano con la locuzione «contratti tipici»: tale disciplina speciale prevale, ove incompatibile, su quella generale prevista per il contratto.

Sono, al contrario, atipici quei contratti la cui creazione è interamente rimessa al potere di regolamento delle parti, in base all'autonomia loro riconosciuta dall'art. 1322 c.c.: non essendo dotati di una definizione legale sono anche detti contratti «innominati» e sono, perciò, sottoposti, in virtù di quanto previsto dall'art. 1323 c.c., al regime generale dei contratti, salvo per il caso di quei contratti che, pur atipici, hanno particolare vicinanza o affinità con un tipo normativamente previsto del quale, nel caso, assumono la disciplina.

Cass. III, n. 2665/1980 chiarisce, in proposito, che un contratto non può considerarsi atipico solo in relazione alla particolarità del suo oggetto o alla limitata frequenza statistica della sua stipulazione, ma solo in relazione alla non perfetta identità della sua causa con quella normativamente prevista e disciplinata dal diritto positivo. Così, ad esempio, la Cass. I, n. 8571/2018, qualifica come figura atipica, meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322, il contratto di comodato — non riconducibile né al modello legale del comodato a termine (art. 1809 c.c.), né a quello del comodato senza limitazione di tempo (art. 1810 c.c.) — in cui le parti abbiano negoziato il potere di restituzione facendo sì che il comodante possa continuare a fare uso della cosa solo al perdurare delle condizioni convenute; ancora, il «factoring» è un contratto atipico complesso, il cui nucleo fondamentale prevede sempre un accordo in forza del quale un'impresa specializzata (il «factor») si obbliga ad acquistare («pro soluto» o «pro solvendo»), per un periodo di tempo determinato e rinnovabile salvo preavviso, la totalità o una parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare: il «factor» paga all'imprenditore i crediti ceduti secondo il loro importo nominale, decurtato di una commissione che costituisce il corrispettivo dell'attività da esso prestata, oppure gli concede delle anticipazioni sui crediti ceduti, nel qual caso spettano al «factor», oltre alla commissione, anche gli interessi sulle somme anticipate (Cass. I, n. 16850/2017). Del pari, l'accordo mediante il quale le parti stabiliscono la cessione di quote di piena o nuda proprietà di un bene immobile verso un corrispettivo, in parte rappresentato dalla prestazione mensile di una somma di danaro, ed in parte dalla prestazione di «assistenza morale» per la durata della vita del beneficiario, ha natura di contratto atipico, che si differenzia dalla rendita vitalizia in relazione agli autonomi obblighi di assistenza che lo connotano — in parte non fungibili e basati sull'intuitus personae — rispetto all'inadempimento dei quali, anche limitatamente ad un breve periodo, non è applicabile l'art. 1878 c.c., che esclude la risoluzione del contratto in ipotesi di mancato pagamento di rate di rendita scadute, ma la disciplina generale della risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 c.c. (Cass. VI, n. 13232/2017).

Una sottospecie del contratto atipico è, infine, rinvenibile nei contratti misti, i quali si caratterizzano per essere formati dall'unione — ora per cumulo (totale o parziale), ora per fusione — di elementi di due o più contratti tipici che, combinati tra loro, perseguono uno scopo autonomo e diverso da quello dei contratti da cui traggono detti elementi. Appare evidente come il problema principale sia, in tal caso, quello della identificazione della disciplina da applicare.

Cass. I, n. 2795/1967, ha evidenziato come il contratto misto — sottospecie della più vasta classe del negozio composto — è caratterizzato dal fatto che la fusione delle cause proprie alle singole convenzioni riunite fa si che gli elementi distintivi di ognuna di queste vengano assunti quali elementi di un negozio unico, sotto qualche aspetto divergente dai tipi dei suoi componenti, onde, appunto a causa di ciò, esso viene a configurarsi come unità negoziale atipica.

I contratti atipici (per i quali si rinvia anche al commento all'art. 1323 c.c.) sono poi soggetti ad un vaglio di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti attraverso il concreto modello contrattuale prescelto, da svolgere in base ai criteri dettati dall'art. 1343 c.c.: quando i criteri dettati dalla menzionata disposizione non siano osservati, l'interesse deve essere ritenuto non meritevole di tutela (Ferri, 1968, 406). La ponderazione si distacca invece da tali criteri laddove il giudizio sulla meritevolezza non riguardi l'autonomia patrimoniale sotto il profilo delle finalità e degli scopi che gli stipulanti mirano a realizzare, bensì inerisca all'attitudine dello schema contrattuale atipico ad assumere, come tale, giuridica rilevanza. In tal caso dovrà farsi riferimento ai principi fondamentali dell'ordinamento e in primis ai principi costituzionali. Ed infatti, se in questa prospettiva si identificasse il giudizio sulla meritevolezza di tutela con quello sulla liceità della causa, la norma dell'art. 1322, comma 2, sarebbe privata di qualsiasi contenuto, atteso che i limiti che concernono la liceità sono già posti dall'art. 1343 c.c. Perciò, la meritevolezza, lungi dal coincidere con la liceità della causa, esprime un contenuto precettivo più ampio, quantomeno quando si riferisca alla valutazione della rilevanza giuridica dello schema atipico adottato. Dubbia è la riferibilità dell'art. 1322 ai soli contratti atipici, quali negozi privi di una disciplina legislativa e come tali sottoposti in via esclusiva alle sole norme sul contratto in generale. Secondo un'impostazione, sebbene normalmente ad una struttura tipica corrisponda un interesse tipico, nulla vieta a privati di introdurre nel contratto tipico degli elementi extratipici; in questo caso la valutazione dell'ordinamento si deve estendere anche a questi elementi, i quali non sono affatto, in sé e per sé, meritevoli di tutela per la semplice circostanza che siano inseriti in un negozio tipico (Ferri, 1968, 252).

Anche in giurisprudenza si è ritenuto che il giudizio sulla meritevolezza degli interessi perseguiti può essere condotto avendo riguardo al fatto che tali interessi si prestino ad essere armonicamente integrati nella tavola di valori dell'ordinamento (App. Milano 29 dicembre 1970). È poi pacifico che il contratto atipico, all'esito del giudizio di immeritevolezza, deve ritenersi inefficace fin dalla sua stipulazione, essendo inidoneo a vincolare le parti al rispetto delle sue regole (Cass. I, n. 25630/2017).

Di recente le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 5657/2023, hanno ritenuto meritevole di tutela un contratto di leasing con clausola di doppia indicizzazione del canone, distinguendo la meritevolezza da valutazioni di  convenienza, chiarezza o aleatorietà del contratto.

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