Codice Civile art. 1324 - Norme applicabili agli atti unilaterali.

Gian Andrea Chiesi

Norme applicabili agli atti unilaterali.

[I]. Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale [1236, 1334, 1350 n. 5, 1414 3, 1987, 2821].

Inquadramento

Il codice civile non si impegna nella definizione del negozio giuridico, fornendo al contrario la definizione di «contratto» (quale archetipo del primo, ove a contenuto patrimoniale) e prevedendo, all'art. 1324 c.c., che le norme dettate per questo si applichino, in quanto compatibili, anche agli atti (negoziali) unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale.

L'inapplicabilità in via diretta delle norme sui contratti agli atti unilaterali non negoziali aventi contenuto patrimoniale non esclude, tuttavia, che tale estensione possa avvenire per via analogica, sebbene ciò implichi il ricorso ad un criterio di «adattamento» diverso da quello della «compatibilità» previsto espressamente dall'art. 1324 c.c. per gli atti negoziali.

Mentre l'analogia, infatti, richiede un'indagine sulla sussistenza dell'eadem ratio tra il caso regolato (alla cui disciplina si ricorre in via suppletiva) e quello non regolato, la compatibilità opera su un piano diverso e, cioè, come un limite all'applicazione di una regola da un caso all'altro, altrimenti applicabile per effetto della diretta estensione di una normativa da una materia ad un'altra (Scognamiglio, 53).

Si esclude, infine, che le norme sui contratti possano trovare applicazione, diretta o analogica, rispetto agli atti unilaterali mortis causa o a quelli non aventi contenuto patrimoniale

Gli atti unilaterali contemplati dalla norma

Come anticipato, gli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale cui si riferisce la norma ricomprendono unicamente i negozi giuridici inter vivos, aventi contenuto patrimoniale, con esclusione, quindi, a) degli atti mortis causa e b) degli atti unilaterali non aventi contenuto patrimoniale.

Quanto, invece, ai meri atti giuridici, si ritiene che le norme che disciplinano i contratti possano trovare applicazione in via analogica, ex art. 12 disp. prel. c.c.

Ne consegue che per valutare la possibile applicabilità del diritto comune dei contratti ai meri atti giuridici, occorre che l'interprete valuti l'identità di ratio tra il caso disciplinato e quello non disciplinato (Cass. III, n. 3380/1983). Nel medesimo senso Cass. III, n. 1960/1995, per cui le norme di ermeneutica contrattuale sono applicabili alla confessione, nell'ottica di una qualificazione della medesima come mero atto giuridico (non negoziale), nei limiti di ammissibilità dell'analogia, e della compatibilità delle singole norme con la natura dell'atto. Le norme generali dei contratti sono state considerate invece, inapplicabili, per le medesime ragioni, all'intimazione scritta di pagamento ed alla costituzione in mora: chiarisce, in proposito, Cass. L, n. 8711/1993, che la circostanza che la costituzione in mora provenga non dal creditore personalmente, ma da soggetto che abbia agito nella dichiarata qualità di rappresentante o mandatario del titolare del diritto, in forza di un potere genericamente o specificamente abilitante, ancorché conferito senza formalità — e dimostrabile con ogni mezzo di prova, anche presuntiva — non toglie all'atto la sua idoneità interruttiva, atteso che la disposizione dell'art. 1392 c.c. — secondo cui la procura non ha effetto se non è conferita nelle forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere — trova applicazione, ai sensi dell'art. 1324 c.c., per gli atti unilaterali negoziali, ma non per quello di costituzione in mora, ancorché, a norma dell'art. 1219 c.c., debba essere fatto per iscritto, trattandosi di mero atto giuridico non negoziale che, una volta compiuto, produce gli effetti indicati nell'art. 1221 c.c. e, ai sensi dell'art. 2943, ultimo comma c.c., anche quello di interrompere la prescrizione.

Divisa è, poi, la giurisprudenza in relazione all'applicabilità, con riferimento ai meri atti giuridici, dei criteri dettati per l'interpretazione dei contratti (a propria volta limitatamente compatibili con gli atti unilaterali; cfr. infra). Secondo un primo orientamento tali criteri, calibrati essenzialmente sulla volontà dell'agente, sarebbero inapplicabili agli atti giuridici meri (Cass. L, n. 11150/1998), mentre in senso contrario si osserva che le norme di ermeneutica contrattuale sono applicabili ai meri atti giuridici (non negoziali), nei limiti di ammissibilità dell'analogia, e della compatibilità delle singole norme con la natura dell'atto (Cass. III, n. 1960/1995)

I «limiti di compatibilità» dell'art. 1324 c.c.

Afferma Cass. I, n. 9127/2015 che le norme in tema di interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., in ragione del rinvio ad esse operato dall'art. 1324 c.c., si applicano anche ai negozi unilaterali, nei limiti della compatibilità con la particolare natura e struttura di tali negozi, sicché, mentre non può aversi riguardo alla comune intenzione delle parti ma solo all'intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, resta fermo il criterio dell'interpretazione complessiva dell'atto.

Il principio è quello per cui ai negozi unilaterali sono applicabili, a fini interpretativi, le norme e i criteri di esegesi previsti per i contratti, eccezion fatta per quelli incompatibili: detto in altri termini, non potrà farsi riferimento alla comune intenzione delle parti — che ovviamente difetta nei negozi unilaterali, siccome caratterizzati dal rappresentare la manifestazione di volontà di un solo soggetto — mentre va indagata esclusivamente l'intenzione del soggetto che ha posto in essere il negozio. Trovano, invece, applicazione i criteri interpretativi volti alla conservazione degli effetti del negozio e della buona fede, come il riferimento al senso letterale delle parole adoperate.

Se ne deduce, in sostanza, la necessità di una valutazione, caso per caso, della struttura e della funzione del singolo atto e del singolo istituto, onde verificare se e quali delle disposizioni dettate per i contratti possono trovare applicazione diretta nei confronti degli atti unilaterali.

La casistica giurisprudenziale è varia: a) l'istituto della presupposizione può trovare applicazione solo con riguardo ai contratti con prestazioni corrispettive e non anche (per la mancanza della compatibilità richiesta dall'art. 1324 c.c.) con riguardo all'atto delle dimissioni, che realizza il diritto potestativo di recesso del lavoratore e costituisce un negozio unilaterale ricettizio, idoneo, indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro, a determinare la risoluzione del rapporto. Ne consegue che la mancata realizzazione dei vantaggi rappresentatisi dal dipendente al momento delle dimissioni non può influire su tale negozio giuridico ove le dimissioni stesse non siano state espressamente subordinate alla realizzazione di quei vantaggi (Cass. L, n. 728/1992); b) la disciplina dettata dall'art. 1399 c.c. — che prevede la possibilità di ratifica, con effetto retroattivo ma con salvezza dei diritti di terzi, del contratto concluso dal soggetto privo di potere di rappresentanza — è applicabile anche ai negozi unilaterali, come il licenziamento, in virtù dell'art. 1324 c.c., che, facendo salve diverse disposizioni di legge, estende a tali atti le norme, in quanto compatibili, regolanti i contratti. Pertanto, in relazione ad un contratto di lavoro subordinato con patto di prova, la dichiarazione di recesso proveniente da un organo della società datrice di lavoro sfornito del potere di rappresentanza della medesima può essere ratificata da parte dell'organo rappresentativo della società, senza che il lavoratore possa essere compreso fra i terzi di cui il comma 2 dell'art. 1399 cit. fa salvi i diritti e senza che la retroattività della ratifica incontri limite nella scadenza del termine del periodo di prova (Cass. L, n. 1250/1985). Nel medesimo senso Cass. III, n. 3616/2014, in tema di recesso dal contratto di locazione, suscettibile di ratifica qualora provenga dal falsus procurator; c) l'art. 1392 c.c. sulla forma della procura si applica agli atti unilaterali negoziali ai sensi dell'art. 1324, ma non agli atti in senso stretto, come la ricezione della prestazione, sicché la rappresentanza a ricevere l'adempimento può risultare da una condotta concludente, dimostrabile con ogni mezzo, incluse le presunzioni (Cass. III, 11737/2018; Cass. III, n. 20345/2015); d) in tema di trasferimento del lavoratore, l'art. 1352 c.c., che prescrive che la forma stabilita convenzionalmente dalle parti in vista della conclusione di un contratto si presume voluta per la validità dello stesso, è applicabile anche nel caso in cui la forma scritta sia stata stabilita, in sede di contrattazione collettiva, non solo per la comunicazione, ma anche per la motivazione del trasferimento stesso, con previsione posta a tutela del lavoratore, il quale deve essere posto in condizione di essere pienamente edotto delle ragioni organizzative per effetto delle quali il suo rapporto di lavoro viene modificato (Cass. L, n. 11643/2018); e) del pari, l'atto di dimissioni, dichiarazione di volontà unilaterale e recettizia con cui il lavoratore recede dal contratto di lavoro, è soggetto al il principio della libertà di forma, a meno che le parti non abbiano espressamente previsto nel contratto, collettivo o individuale, una diversa forma convenzionale, quale la forma scritta; in tal caso, la forma convenzionale si presume voluta per la validità delle dimissioni, ex art. 1352 c.c., applicabile anche agli atti unilaterali, e si estende alle modalità di comunicazione di tale volontà, quando per essa le parti abbiano previsto un mezzo particolare al fine di evitare, nell'interesse del lavoratore, manifestazioni di volontà non adeguatamente ponderate (Cass. L, n. 7231/2018); f) la causa illecita e il motivo illecito rilevano, in forza del rinvio operato dall'art. 1324 c.c., ai fini della nullità anche nel licenziamento e il relativo accertamento, di spettanza del giudice di merito, non è censurabile in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione (Cass. L, n. 25161/2015). Analogamente Cass. L, n. 20197/2005 evidenzia che deve qualificarsi affetto da motivo illecito, e quindi nullo, l'atto di recesso da un rapporto di agenzia che, diretto nei confronti di un agente costituito in forma di società di persone, risulti ispirato dalla sola finalità di rappresaglia e di ritorsione nei confronti del comportamento sindacale tenuto dai soci di quest'ultima, dovendosi ritenere un siffatto motivo contrario alle norme imperative poste a tutela delle libertà sindacali dei lavoratori, norme che, in ragione del valore e della tutela che lo stesso dettato costituzionale assegna al lavoro, nella sua accezione più ampia, appaiono estensibili, al di fuori dei rapporti di lavoro subordinato, a tutti coloro che svolgono attività lavorativa, anche se in forma parasubordinata o autonoma; g) l'art. 1424 c.c. sulla conversione dei contratti nulli si applica, in virtù del richiamo operato dall'art. 1324 c.c., anche ai negozi unilaterali, a condizione che l'atto contenga i requisiti di sostanza e di forma dell'atto diverso e che l'atto convertito risponda allo scopo perseguito con quello nullo. Ne consegue che il diniego di rinnovazione della locazione ex art. 29 l. n. 392/1978, nullo in relazione alla prima scadenza, ben può convertirsi in una disdetta cosiddetta «semplice» o a regime «libero» (non essendo richiesto che sia motivata) valida per la seconda scadenza contrattuale, recando il contenuto inequivocabile della manifestazione di volontà contraria alla prosecuzione e alla rinnovazione del rapporto (Cass. L, n. 263/2011). Contra, però, Cass. L, n. 2165/1985, che nega la possibilità di applicare l'istituto della conversione legale agli atti negoziali unilaterali nulli, ben potendo il loro autore procedere direttamente all'adozione di un nuovo atto valido in sostituzione di quello nullo (sicché è escluso che un licenziamento in tronco possa essere convertito in un licenziamento ad nutum). È certamente da escludere, invece, che il meccanismo della conversione legale operi nel senso di consentire la trasformazione di un contratto nullo in un atto negoziale unilaterale: l'art. 1424 c.c., infatti, disciplina in via esclusiva l'ipotesi della conversione di un contratto nullo in un altro contratto mentre la conversione in atto unilaterale determinerebbe la frammentazione del contratto in atti unilaterali con l'attribuzione di nuovi e diversi effetti (Cass. III, n. 7064/1986); h) in tema di interpretazione, infine, le regole da osservare sono molteplici. Non può aversi riguardo al comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto (Cass. III, n. 7973/2002), mentre va fatto riferimento al senso letterale delle parole utilizzate dall'emittente la dichiarazione, all'interpretazione complessiva delle clausole le une per mezzo delle altre, nonché al preminente rilievo da attribuire al contenuto sostanziale dell'atto rispetto al nomen iuris utilizzato (Cass. L, n. 8361/2014). Ancora, nel conflitto tra la manifestazione di volontà desumibile da clausole aggiunte e quella desumibile per relationem dalle clausole a stampa, deve darsi prevalenza alle prime, dovendosi presumere che il sottoscrittore abbia inteso privilegiare le clausole formulate appositamente e specificamente, piuttosto che quelle preordinate unilateralmente (Cass. II, n. 2399/2009).

Bibliografia

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