Codice Civile art. 1339 - Inserzione automatica di clausole.

Gian Andrea Chiesi
aggiornato da Nicola Rumìne

Inserzione automatica di clausole.

[I]. Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge [o da norme corporative] (1), sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti [1419 2, 1679 4, 1815 2, 1932 2, 2066 2, 2077 2, 2597].

(1) Le disposizioni richiamanti le norme corporative devono ritenersi abrogate in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo.

Inquadramento

L'art. 1322 c.c. conferisce alle parti ampia autonomia nella determinazione del fine del contratto, con il limite del rispetto del criterio della meritevolezza degli interessi perseguiti: l'art. 1339 c.c. inserisce un ulteriore limite (per così dire «gemmato» da quello più generale appena descritto), rappresentato dall'inserzione automatica di clausole, anche in sostituzione di quelle difformi inserite dalle parti. Ciò non determina una mutazione genetica del rapporto — che è e resta atto di autonomia privata — ma rende la disciplina convenzionale compatibile con il limite del rispetto dell'utilità sociale posto dall'art. 41 Cost.

Chiarisce perciò Cass. I, n. 17746/2009 che l'inserzione automatica di clausole, prevista dall'art. 1339 c.c., costituendo una restrizione significativa del diritto di libertà economica consacrato dall'art. 41 Cost. di cui è espressione l'autonomia privata, deve trovare il suo fondamento in una legge formale o in un altro atto avente valore di legge in senso sostanziale o da esso richiamato tramite rinvio integrativo.

A tale proposito si è osservato, in dottrina, che l'inserzione automatica di clausole incide sul rapporto e non sull'accordo (Sacco-De Nova, 554), concorrendo alla costruzione della stessa fattispecie contrattuale, con la conseguenza che la clausola sostituita reagisce su tutte le clausole poste in essere dalle parti, segnatamente in chiave di interpretazione complessiva ai sensi dell'art. 1363 (Confortini, 202)

Il rapporto con il regolamento convenzionale: le fonti integrative

L'inserzione automatica di clausole non altera la natura contrattuale del regolamento posto dalle parti, sicché l'eventuale violazione degli obblighi imposti attraverso l'eterointegrazione del contratto determina, a carico delle parti medesime, responsabilità contrattuale e non aquiliana (Cass. I, n. 7069/2004).

In sostanza, stante la persistente natura negoziale dell'atto soggetto al meccanismo dell'inserzione automatica, trovano piena applicazione tutte le norme sulla conclusione, esecuzione, interpretazione e risoluzione dei contratti

L'ampia incisività dell'inserzione automatica sul regolamento negoziale impone, però, di delimitare il campo delle fonti di eterointegrazione.

In proposito è consolidata, in dottrina come in giurisprudenza, l'opinione per cui l'art. 1339 c.c. faccia riferimento alla legge in senso formale, con esclusione degli atti o provvedimenti aventi natura diversa, salvo che si tratti di atto da quella richiamato con rinvio integrativo (in termini cfr. anche Cass. I, n. 17746/2009 cit.). In sostanza, la norma si riferisce non solo alle clausole di diretta previsione legislativa, ma anche a quelle individuate da una fonte normativa da essa autorizzata (cfr. Cass. VI-3, n. 23184/2014, per la quale le deliberazioni adottate dall'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas — A.E.E.G. — ai sensi dell'art. 2, comma 12, lett. h) l. n. 481/1995, possono integrare, ex art. 1339 c.c., il contenuto dei rapporti di utenza individuali (in relazione alle modalità di esecuzione della prestazione di entrambi i contraenti), perché la citata disposizione codicistica, nel menzionare le «clausole» imposte dalla legge, non si riferisce soltanto a quelle oggetto di diretta previsione legislativa, ma anche a quelle individuate da una fonte normativa da essa autorizzata).

In dottrina si è altresì chiarito (Carresi, 582) che il rinvio alla legge deve intendersi, proprio perché limitativo dell'autonomia contrattuale ed in grado di incidere su posizioni costituzionalmente garantite e protette (cfr. art. 41 Cost.) in chiave garantistica e proiettato verso la riserva di legge.

Sotto altro profilo, invece, l'art. 1339 c.c. concerne solo i contratti e, dunque, gli atti di autonomia privata, e non anche gli atti provvedimentali della P.A.

Cons. St. n. 46/1987 chiarisce, infatti, che il meccanismo sostitutivo disposto dall'art. 1339 c.c., essendo dettato esclusivamente in funzione degli atti di autonomia negoziale, non può trovare applicazione ai provvedimenti amministrativi presi in violazione di norme che vincolano la potestà dell'Amministrazione: in tal caso, dunque, l'atto amministrativo è affetto dal vizio di violazione di legge ma non potrà farsi luogo ad automatica sostituzione della previsione legislativa al contenuto difforme del provvedimento.

Segue. Ancora sulle fonti integrative

La previsione riguarda esclusivamente le norme inderogabili, quand'anche non siano previste ulteriori sanzioni, il cui dettato si sostituisce all'eventualmente difforme volontà delle parti: in ciò essa diverge dalla prescrizione contenuta al successivo art. 1374 c.c. che coinvolge sotto il proprio ambito di operatività anche le norme meramente dispositive e trova applicazione anche in assenza di una contraria volontà delle parti (Mirabelli, 124; Scognamiglio, 231).

La differenza tra le due normative è chiara in giurisprudenza, laddove si evidenzia che l'art. 1374 c.c., nel prevedere che il contratto obbliga le parti, non solo a quanto è dal medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo legge, si riferisce non solo alla legge in senso formale, ma anche regolamenti (compresi quelli comunali) (Cass. I, n. 19531/2004).

Occorre, inoltre, che gli atti integrativi determinino specificamente e puntualmente le condizioni imposte e non abbiano un mero contenuto programmatico.

Così, ad esempio, Cass. III, n. 5209/2015 chiarisce che, in tema di somministrazione di acqua potabile da parte del Comune, l'addebito all'utente, non già in base al consumo effettivo, ma secondo il criterio del «minimo garantito», non può basarsi su di una previsione programmatica contenuta nel regolamento comunale con cui venga ammessa l'eterodeterminazione delle tariffe di utenza da parte dell'ente comunale, ma al contrario, richiede una specifica delibera comunale che ne fissi i parametri dell' an e del quantum , imprescindibili al fine di consentirne l'inserimento automaticoex art. 1339 c.c. nel contratto di fornitura.

Quanto, ancora, alla preesistenza al contratto delle clausole destinate ad integrare il contenuto contrattuale, dottrina e giurisprudenza appaiono divise.

In dottrina si oscilla tra chi ritiene necessario che le norme imperative oggetto di inserzione automatica preesistano al contratto oggetto di integrazione, concorrendo a determinarne il contenuto necessario ab initio (Messineo, 939) — sicché costituendo la difformità iniziale della clausola alla legge presupposto di applicabilità della norma, la sopravvenuta difformità si risolverebbe in una causa di nullità del contratto ai sensi dell'art. 1419, comma 1 c.c., e chi, al contrario, ritiene che la sostituzione automatica può perfezionarsi anche quando la norma imperativa sopravvenga alla formazione del contratto (Scognamiglio, 234).

Più definita appare, invece, la posizione della giurisprudenza propende, orientata nel senso di ritenere le norme integrative del contenuto contrattuale anche rispetto a norme sopravvenute alla genesi del contratto (Cass. n. 1900/1955 e , per un esempio recente, con riferimento ai buoni postali, Trib. Napoli Nord II, n. 3966/2023). Relativamente ai rapporti di durata l'intervento di una nuova disposizione di legge diretta a porre, rispetto al possibile contenuto del regolamento contrattuale, una nuova norma imperativa condizionante l'autonomia contrattuale delle parti nel regolamento del contratto, in assenza di una norma transitoria che preveda l'ultrattività della previgente disciplina normativa non contenente la norma imperativa nuova, comporta che la contrarietà a quest'ultima del regolamento contrattuale non consente più alla clausola di operare, nel senso di giustificare effetti del regolamento contrattuale che non si siano già prodotti, in quanto il contratto, per quanto concerne la sua efficacia normativa successiva all'entrata in vigore della norma nuova, deve ritenersi assoggettato all'efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta, la quale sostituisce o integra per l'avvenire (cioè per la residua durata del contratto) la clausola difforme, relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto. Così si è detto (Cass. III, n. 1689/2006), relativamente ai rapporti di fideiussione per obbligazioni future la cui durata era in corso alla data di efficacia della norma del secondo comma dell'art. 1956 c.c., aggiunta dall'art. 10 l. n. 154/1992, in virtù della corretta applicazione dell'art. 11, comma 1 delle preleggi detta norma, mentre non comporta la nullità sopravvenuta fin dalla nascita del rapporto contrattuale della clausola di rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione dalla garanzia ai sensi del comma 1 dell'art. 1956, ove ne ricorrano i presupposti, con la conseguenza che la clausola, dovendo ritenersi valida ed efficace fino al momento dell'entrata in vigore del suddetto secondo comma, è idonea ad escludere la liberazione del fideiussore riguardo alle obbligazioni principali sorte prima di quel momento, viceversa, determina la nullità sopravvenuta, con effetto da quel momento ed in forza dell'applicazione dell'art. 1339 c.c., della clausola convenzionale stessa, con la conseguenza che l'esclusione della liberazione del fideiussore da tale clausola disposta, ove ricorrano i presupposti del citato primo comma, non può trovare giustificazione in essa, riguardo ad obbligazioni principali che siano sorte soltanto dopo quel momento.

Interessante notare come la questione sia stata recentemente affrontata in tema di usurarietà sopravvenuta del tasso di interessi del contratto di mutuo, ricevendo due risposte difformi in tempi decisamente ravvicinati: mentre per Cass. I, n. 9405/2017 qualora l'usurarietà del tasso d'interessi di un mutuo, originariamente pattuito in misura legittima, sia sopravvenuta nel corso dell'esecuzione del contratto e sia stata tempestivamente contestata — risultando applicabile, ratione temporis, la norma d'interpretazione autentica di cui all'art. 1 d.l. n. 394/2000 (conv., con modif., dalla l. n. 24/2001) — il giudice del merito è comunque tenuto ad accertare l'usurarietà e, per la frazione temporale nella quale il superamento del tasso soglia sia effettivamente intervenuto, deve applicare il tasso previsto in via normativa, secondo la rilevazione trimestrale eseguita ai sensi dell'art. 2 l. n. 108/1996 (senza però applicare le sanzioni civili e penali stabilite dagli artt. 644 c.p. e 1815, comma 2 c.c.), per Cass. S.U., n. 24675/2017, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura, come determinata in base alle disposizioni della l. n. 108/1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto.

L'inserzione automatica non trova applicazione, infine, quando la legge faccia salva espressamente ogni diversa pattuizione fra le parti, con la conseguenza che resta consentito alle parti di stabilire una diversa disciplina (Cass. III, n. 5167/1985)

Inserimento automatico e nullità parziale

La clausola contrattuale sostituita da quella di fonte legale deve considerarsi nulla (Sacco, 793). A tale riguardo, si può sostenere che le disposizioni contenute negli artt. 1339 e 1419, comma 2 c.c. sono assolutamente complementari tra loro, nel senso di delineare e completare la disciplina normativa della nullità parziale di clausole, nell'ipotesi — in questo caso legalmente predeterminata — in cui essa non è in grado di determinare la nullità dell'intero contratto.

La previsione in commento mirerebbe, nei casi da essa contemplati, a privare di rilevanza giuridica, con riferimento alla clausola imposta per legge, la volontà delle parti (Sacco, 426), anche qualora essa sia stata manifestata secondo modalità conformi alla norma imperativa, in quanto si tratterebbe in ogni caso di manifestazione di volontà giuridicamente irrilevante, siccome meramente riproduttiva di una disposizione inderogabile. Se ne è dedotta, conseguentemente, l'irrilevanza del cd. inscindibilità della clausola, volto ad affermarne in via preventiva l'esclusività e la decisiva importanza e dunque a stabilire che, nel caso in cui la clausola stessa risulti contraria a norma imperativa e debba essere sostituita, la relazione contrattuale non possa proseguire (D'Adda, 116).

La complementarità (se non proprio la sovrapposizione) tra l'istituto in esame e l'art. 1419, comma 2 c.c. è affermata anche in giurisprudenza, laddove si chiarisce, anzitutto, che la sostituzione della norma imperativa ad una clausola contrattuale che l'abbia violata, anche solo per una parte, deve avere luogo, a norma dell'art 1419 c.c., sostituendo l'intera norma all'intera clausola e non già una parte della norma alla parte della clausola da cui trae origine la nullità, giacché il termine «clausola», ai fini del predetto articolo, va intesa in senso sostanziale, non in senso formale, essendo assunto dal legislatore come un elemento precettivo del negozio, da considerare nella sua unitarietà (Cass. II, n. 1631/1962). È poi decisamente vasta la casistica giurisprudenziale sul punto: qualora un contratto di affitto agrario venga concluso in violazione dell'art. 23, comma 3 l. n. 11/1971 (come sostituito dall'art. 45 l. n. 203/1982), disposizione che subordina la validità delle stipulazioni avvenute in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari alla necessità che le parti siano assistite dalle rispettive organizzazioni professionali, non si determina la nullità dell'intero negozio, bensì l'automatica sostituzione — ai sensi dell'art. 1339 c.c. — delle clausole pattuite dalle parti in difformità dal modello legale con quelle legislativamente previste, ferma restando l'esistenza e validità del contratto di affitto ex art. 1419, comma 2 c.c. (Cass. III, n. 1827/2018 e Cass. III, n. 14046/2013); analogamente Cass. II, n. 21/2017 ha affermato che il vincolo del prezzo massimo di cessione degli alloggi costruiti, ex art. 35 l. n. 865/1971, sulla base di convenzioni per la cessione di aree in diritto di superficie, ovvero per la cessione del diritto di proprietà se stipulate, quest'ultime, precedentemente all'entrata in vigore della l. n. 179/1992, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione, ex art. 31, comma 49-bis l. n. 448/1998, segue il bene, a titolo di onere reale, in tutti i successivi passaggi di proprietà, attesa la ratio legis di garantire la casa ai meno abbienti ed impedire operazioni speculative di rivendita; in tal caso, pertanto, la clausola negoziale contenente un prezzo difforme da quello vincolato è affetta da nullità parziale e sostituita di diritto, ex artt. 1419, comma 2, e 1339 c.c., con altra contemplante il prezzo massimo determinato in forza della originaria convenzione di cessione

Inserimento automatico ed annullabilità del contratto per errore

La giurisprudenza di legittimità esclude che l'errore in cui sia incorsa una parte circa l'esistenza di una clausola cogente difforme dalla pattuizione privata rilevi come errore di diritto e conseguentemente ritiene che in tal caso non possa essere invocato l'annullamento del contratto per vizio del consenso: così espressamente Cass. II, n. 11032/1994 la quale evidenzia che poiché l'errore di diritto rileva soltanto se concerne circostanze esterne, influenti sulla valutazione soggettiva della convenienza del negozio, deve escludersi la rilevanza dell'errore del contraente che conclude il contratto ignorando l'esistenza delle norme imperative da cui deriva l'integrazione del negozio a norma dell'art. 1339 c.c. e quindi la modifica del regolamento contrattuale, attesa la mancanza del carattere negoziale delle clausole rispetto alle quali si è verificata una sostituzione legale.

Più articolata, al contrario, la posizione della dottrina, ove si registrano entrambe le tesi: a chi osserva che il contraente danneggiato dall'inserzione automatica potrebbe, in assenza di un obbligo a contrarre, chiedere l'annullamento del contratto per errore di diritto, ove dimostri di avere ignorato la norma cogente si contrappone chi osserva che la sostituzione opera a prescindere dalla volontà delle parti e dalla loro consapevolezza quanto al rischio di sostituzione, con la conseguenza che l'errore non può essere fatto valere ai fini predetti (si rinvia, per tutti, a Sacco, 794)..

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