Codice Civile art. 1347 - Possibilità sopravvenuta dell'oggetto.InquadramentoOgni contratto necessita, per la propria valida costituzione, di un oggetto, consistente, sostanzialmente, nel bene (o nell'utilità) alla cui realizzazione o al cui conseguimento l'accordo negoziale è preordinato. La nozione, invero, non è pacifica in dottrina giacché, secondo una prima una prima ricostruzione l'oggetto del contratto andrebbe identificato con la prestazione (Osti, 503), chiarendosi che la nozione di prestazione, propria dei rapporti obbligatori, può comprendere non solo ciò che il soggetto si obbliga a fare o dare, ma anche ogni modificazione della situazione materiale che derivi dall'impegno assunto dalle parti nello stringere il vincolo contrattuale. In senso contrario si osserva, invece, che, affinché possa essere riportato all'oggetto anche l'effetto traslativo del diritto, occorrerebbe necessariamente aderire ad una concezione oltremodo generica di prestazione, identificandola con il risultato dedotto nel rapporto obbligatorio, rendendo così difficile la distinzione tra prestazione e contenuto del contratto. Sicché altra impostazione individua l'oggetto del contratto nel contenuto dell'autoregolamento adottato dalle parti (Carresi, 372), mentre per un'ulteriore opinione esso corrisponderebbe al bene (o alla cosa) che mediante il contratto diventa materia di trasferimento o di godimento (Messineo, 836). In particolare, l'oggetto si distingue dalla prestazione e, anzi, si contrappone concettualmente ad essa, riferendosi quest'ultima al contenuto del rapporto obbligatorio e consistendo nel comportamento al quale il debitore è tenuto. Le medesime difficoltà definitorie evidenziate in dottrina sono emerse in giurisprudenza, laddove ad un orientamento che identifica l'oggetto immediato con la prestazione, da valutare con riguardo al singolo atto di autonomia posto in essere dai privati (Cass. II, n. 19509/2012), si contrappone un diverso orientamento che rinviene l'oggetto del contratto nei beni che vengono scambiati, da non confondere con l'utilità che le parti conseguono attraverso tale scambio, utilità che considerata in rapporto alla funzione economico-sociale che il negozio è oggettivamente idoneo ad assolvere, costituisce la causa del contratto mentre, in rapporto alle finalità particolari e contingenti che la parte si ripromette di conseguire, ne configura il motivo (Cass. II, n. 6771/1991). I requisiti dell'oggetto sono individuati, dall'art. 1346 c.c., nella possibilità, liceità, determinatezza o, quantomeno determinabilità. Possibilità originaria e sopravvenutaL'oggetto del contratto deve essere, a pena di nullità di quest'ultimo, fisicamente e giuridicamente possibile. Si ha impossibilità fisica, allorché l'oggetto prescelto dalle parti non sia deducibile in contratto per una impossibilità naturale o materiale, che sia oggettiva e perpetua: è oggettiva l'impossibilità che sia tale per ogni soggetto di normale diligenza, non rilevando la semplice difficoltà soggettiva per il debitore che, al più, può determinare non già la nullità del negozio quanto un inadempimento; è perpetua l'impossibilità che concerne beni che non possono essere dedotti in contratto perché inesistenti o attività praticamente irrealizzabili. Ad integrazione di quanto precede va poi evidenziato che l'art. 1348 c.c. ammette la deduzione in contratto di cose future e, cioè, di beni non esistenti al momento della conclusione del negozio ma suscettibili, secondo un criterio di normalità e ragionevolezza, di venire ad esistenza: sicché il contratto non è privo di oggetto, ma questo consiste nell'impegno obbligatorio che un contraente assume verso l'altro, di fargli acquistare il bene non appena venuto ad esistenza (si rinvia al commento alla norma). Non tutta la dottrina concorda, però, sulla necessità che l'impossibilità sia oggettiva, giacché ciò che dovrebbe assumere rilevanza, ai fini dell'art. 1346 c.c. e, dunque, ai fini del giudizio sulla possibilità dell'oggetto, è l'astratta realizzabilità di quanto le parti hanno fissato nella regola contrattuale (Scognamiglio, 354). Si ha impossibilità giuridica, allorquando l'ostacolo che si frappone alla deducibilità in contratto dell'oggetto scelto dai contraenti sia da rinvenire dal contrasto tra tale opzione e l'ordinamento giuridico: il concetto si distingue, inoltre, da quello di illiceità, giacché mentre quest'ultima integra una violazione di un precetto (e, dunque, rappresenta una qualità negativa) l'impossibilità giuridica rappresenta una inidoneità (e, dunque, una mancanza di qualità). La distinzione tra i due concetti è — salvo che per un orientamento che tende a sovrapporre il concetto di impossibilità giuridica a quello di illiceità dell'oggetto (Carresi, 243) — estremamente chiara in dottrina, laddove si evidenzia come l'impossibilità giuridica consegue ai limiti posti dall'ordinamento all'autonomia privata, senza che al loro superamento sia connesso un connotato di riprovevolezza, come invece accade qualora siano violati divieti in senso tecnico, derivanti da norme giuridiche o dai principi del buon costume, ipotesi queste ultime che danno luogo ad illiceità dell'oggetto (Bianca, 323). Ulteriori caratteristiche della impossibilità (o, meglio, della possibilità) possono essere così enucleate: a) l'impossibilità dell'oggetto può essere assoluta, quando sia radicalmente preclusa all'attualità e per il futuro la possibilità che l'oggetto possa venire ad esistenza o possa essere commerciabile, o relativa, allorché l'impossibilità sia solo transeunte; b) l'impossibilità deve essere inoltre originaria, poiché l'impossibilità sopravvenuta incide sul rapporto e non sul contratto. Rispetto a tale ultimo «predicato» si colloca, dunque, la disposizione in esame, la quale apporta una deroga al principio per cui l'oggetto del contratto deve essere possibile ab initio. La nullità del contratto per impossibilità richiede, infatti, che la prestazione sia obiettivamente insuscettibile di essere effettuata per la sussistenza di impedimenti originari di carattere materiale o giuridico che ostacolino in modo assoluto il risultato cui essa è diretta e non può farsi discendere da fattori esterni che non hanno efficacia giuridica ostativa all'esecuzione della prestazione dedotta nel contratto (Cass. I, n. 18002/2011). L'impossibilità deve inoltre avere carattere obiettivo e non meramente soggettivo (Cass. n. 369/1971) ed è irrilevante, ai fini della validità del contratto, la mera eventualità di un'impossibilità sopravvenuta (Cass. n. 1706/1973). Ancor più chiara Cass. sez. lav., n. 4013/1998, per cui la nullità del contratto o della singola clausola contrattuale per impossibilità della cosa o del comportamento che ne forma oggetto richiede che tale impossibilità, oltre che oggettiva e presente fin dal momento della stipulazione, sia anche assoluta e definitiva, rimanendo invece ininfluenti a tal fine le difficoltà più o meno gravi, di carattere materiale o giuridico, che ostacolino in maniera non irrimediabile il risultato a cui la prestazione è diretta La ratio dell'eccezione contenuta all'art. 1347 c.c. va dunque rinvenuta nella considerazione per cui, ammesso che il contratto può, sotto il profilo dell'efficacia, dispiegarsi nel tempo, viene per ciò stesso meno l'esigenza che tutti i requisiti richiesti per la sua operatività sussistano fin dall'inizio: sicché l'impossibilità iniziale della prestazione non impedisce la validità del contratto, qualora la stessa divenga possibile prima dell'avveramento della condizione sospensiva o della scadenza del termine iniziale. La disposizione si riferisce alle sole obbligazioni condizionali e a termine; sicché non rientra nella figura enucleata dalla norma l'ipotesi in cui il contratto contempli un'obbligazione alternativa. In quest'ultimo caso l'originaria impossibilità dell'oggetto (di una delle prestazioni) incide sulla stessa validità del negozio, rendendolo ab origine inefficace (Gabrielli, 743). La norma viene altresì comunemente intesa quale espressione del principio di conservazione del contratto (Bianca, 324) e, rappresentando un'eccezione al disposto dell'art. 1346 (giacché attribuisce validità ad un negozio avente un oggetto — sia pure temporaneamente — impossibile) non può essere applicata analogicamente all'ipotesi dell'oggetto illecito o indeterminato o indeterminabile (Mirabelli, 177). Il contratto avente oggetto relativamente (o temporaneamente) impossibile è, dunque, valido ove risulti prevedibile che un evento successivo possa elidere l'impossibilità; alle parti è concessa la facoltà di prevedere, nel testo contrattuale, l'evento specifico (sub specie di condizione o termine) che renderà possibile la prestazione: con il che può concludersi che si è sostanzialmente in presenza di una fattispecie a formazione progressiva, che si completa attraverso la realizzazione dell'evento stesso. In base alla lettera dell'art. 1347 c.c., va distinta l'ipotesi — da esso contemplata e disciplinata — del contratto il cui oggetto non esiste, ma sopravverrà, da quella del contratto avente ad oggetto la stessa possibilità della sopravvenienza, ossia il rischio che l'oggetto venga ad esistenza; in questa seconda evenienza infatti si è al di fuori dell'ambito di operatività della norma, giacché il contratto ha un oggetto attuale, rappresentato dal rischio, e rientrerà pertanto nella categoria dei contratti aleatori. Cass. I, n. 1910/1978 precisa, ancora, che la nullità del contratto per impossibilità temporanea dell'oggetto presuppone che, ove l'efficacia del negozio sia subordinata al verificarsi di una condizione, o sia differita con la previsione di un termine, l'impossibilità originaria non sia venuta meno prima dell'avveramento della condizione o della scadenza del termine.. 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