Codice Civile art. 1360 - Retroattività della condizione.

Gian Andrea Chiesi
aggiornato da Nicola Rumìne

Retroattività della condizione.

[I]. Gli effetti dell'avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso [646].

[II]. Se però la condizione risolutiva è apposta a un contratto ad esecuzione continuata o periodica, l'avveramento di essa, in mancanza di patto contrario, non ha effetto riguardo alle prestazioni già eseguite [1465 4].

Inquadramento

A completamento della disciplina della condizione, gli artt. 1360 e 1361 si occupano, rispettivamente, degli effetti conseguenti al suo avveramento e della sorte degli atti compiuti durante la sua pendenza, essendo evidentemente possibile distinguere tre diversi momenti collegati alla previsione di una simile clausola: pendenza della condizione (condicio pendet), finché l'evento non si sia verificato, avveramento della condizione (condicio existit), allorché l'evento futuro ed incerto si realizza e mancanza della condizione (condicio deest) allorché l'evento non si verifica o si ha la certezza che esso non si verificherà.

Quanto alla seconda ipotesi (avveramento della condizione) l'art. 1360 c.c. opta, in linea generale, per la retroattività degli effetti di essa (valevole anche per il caso di operatività dell'art. 1359 c.c. Così Cass. II, n. 7377/1996) salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto essi debbano essere riportati ad un momento diverso: sicché il negozio sarà pienamente efficace, ove si verta al cospetto di una condizione sospensiva ovvero perderà tale efficacia, ove si tratti di condizione risolutiva, con decorrenza — in entrambi i casi — da un momento anteriore all'avveramento e, cioè, di regola, dalla stipulazione dell'atto. Applicazione specifica di tale principio si rinviene, poi, negli artt. 792 (per cui «il patto di riversibilità produce l'effetto di risolvere tutte le alienazioni dei beni donati e di farli ritornare al donante liberi da ogni peso o ipoteca, ad eccezione dell'ipoteca iscritta a garanzia della dote o di altre convenzioni matrimoniali, quando gli altri beni del coniuge donatario non sono sufficienti, e nel caso soltanto in cui la donazione è stata fatta con lo stesso contratto matrimoniale da cui l'ipoteca risulta») e 1504 c.c. (alla cui stregua «il venditore che ha legittimamente esercitato il diritto di riscatto nei confronti del compratore può ottenere il rilascio della cosa anche dai successivi acquirenti, purché il patto sia ad essi opponibile»).

Tale effetto viene giustificato ricorrendo ora alla teoria della finzione, ora a quella della realtà giuridica del fenomeno della retroattività (Rescigno, 799)

La retroattività

È pacifico, in dottrina, che la retroattività predicata dall'art. 1460 c.c. concerna i soli atti dispositivi negoziali, che provengono a titolo derivativo dalla situazione condizionata — i quali sono, pertanto, letteralmente «travolti» dall'avveramento della condizione, mentre essa non riguarda gli acquisti a titolo originario e, in specie, l'usucapione ordinaria, la quale si fonda sul solo possesso continuato, senza che si possa opporre il difetto di titolo o di buona fede (Barbero, 1107).

Anche la giurisprudenza, è nel senso che la retroattività non incide sugli acquisti a titolo originario, neppure nel caso di usucapione speciale (Cass. II, n. 1192/1987).

È però ampiamente discusso che il principio abbia valenza generale, sottolineandosi, in senso contrario, come tante e tali siano le eccezioni da doversi affermare il principio esattamente opposto ed evidenziandosi come le molteplici deroghe alla retroattività degli effetti della condizione discendono non solo a) dalla volontà delle parti, ma anche b) dalla natura del rapporto e c) dal regime dei rapporti di durata, nonché d) dall'oggetto del contratto.

Tale pluralità di deroghe è evidenziata anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale osserva che l'art. 1360 c.c. non opera tutte le volte che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto debbano essere riportati a un momento diverso da quello della conclusione del contratto (in applicazione di tale principio Cass. II, n. 3415/1999 ha affermato che l'assegnazione in proprietà di un alloggio di edilizia economica e popolare opera dal momento del pagamento integrale del prezzo e che da tale momento decorre il divieto di alienazione del bene).

Così, ad esempio, ove si tratti di contratto sospensivamente condizionato, il cui oggetto sia, al momento della stipula del contratto impossibile, ma che diventi possibile prima dell'avveramento della condizione, gli effetti retroagiranno sino al momento in cui l'oggetto è divenuto possibile e non sino al momento di conclusione del contratto. Del pari, l'art. 1465, comma 4 c.c. esclude l'applicabilità della regola res perit domino quando nei contratti a prestazioni corrispettive il perimento della res sia avvenuto prima dell'avveramento della condizione medesima.

È, inoltre, dubbia l'applicabilità del principio di retroattività alle condizioni legali (cd. condicio iuris): alla stregua di un primo orientamento, infatti, trattandosi di previsione eccezionale, essa non può essere applicata oltre i casi a cui è espressamente riferita (Rescigno, 775); per altro orientamento, al contrario, l'esclusione dell'efficacia retroattiva della condicio iuris richiederebbe pur sempre una verifica, caso per caso, sulla compatibilità degli effetti retroattivi con la specifica condizione legale esaminata (Bianca, 534); una tesi ulteriormente diversa, infine, nega sic et simpliciter l'applicazione del principio di retroattività alle condizioni legali (Mirabelli, 254). La retroattività non comporta un giudizio di inadempimento con riguardo al periodo di pendenza della condizione e pertanto non è configurabile un diritto agli interessi moratori e a quelli di cui all'art. 1282 c.c. (Bianca, 532).

Si pone nel senso favorevole all'applicazione dell'effetto retroattivo anche alla condicio iuris Cass. n. 2994/1959.

La retroattività degli effetti, infine: a) determina la cessazione di eventuali inadempienze verificatesi nel corso del periodo di efficacia interinale del contratto. Ed infatti, Cass. II, n. 7875/1990 osserva che nei contratti con prestazioni corrispettive, ove sottoposti a condizione risolutiva, la rilevanza del comportamento dei contraenti con riguardo all'inadempimento delle prestazioni a carico di ciascuno di essi ed al conseguente diritto della parte adempiente ad ottenere in giudizio la risoluzione del contratto medesimo, resta subordinata al mancato verificarsi dell'evento condizionante, con la conseguenza che avveratosi tale evento il venir meno ex tunc dell'efficacia interinalmente prodotta dal contratto preclude al giudice di prendere in considerazione le imputate inadempienze ai fini della domanda di risoluzione e di pronunciarsi sulla stessa, ancorché la domanda di accertamento dell'avveramento della condizione risolutiva apposta al contratto sia stata avanzata in giudizio subordinatamente rispetto a quelle di risoluzione per inadempimento; b) non influisce sulla decorrenza dei termini di prescrizione, con particolare riguardo alla posizione del creditore sotto condizione sospensiva, in applicazione del principio contra non valentem agere non currit praescriptio, sebbene si ritenga, ad opera di parte della dottrina (Barbero, 1108), che, in ragione della retroattività, la prescrizione decorra quantomeno nel caso di condizione potestativa.

Segue. La diversa volontà delle parti

Come detto, l'effetto retroattivo può essere evitato in tutto o in parte, nel senso che la retroattività può essere evitata del tutto ovvero ricondotta ad un momento anteriore all'avveramento, ma successivo alla conclusione del contratto cui la condizione accede.

Osserva, ad esempio, Cass. II, n. 2167/1980 che la compravendita immobiliare sottoposta alla condizione sospensiva del pagamento del prezzo ben può inquadrarsi nella fattispecie della vendita con riserva della proprietà — nella quale il trasferimento della proprietà opera ex nunc, col pagamento dell'ultima rata di prezzo — in quanto la regola generale della retroattività della condizione, sancita dall'art 1360 c.c., non opera tutte le volte che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto debbano essere riportati a un momento diverso da quello della conclusione del contratto. (conforme Cass. II, n. 3415/1999, cit.).

È invece discusso se la volontà delle parti possa spingersi fino al punto di posticipare la produzione degli effetti del negozio ad un momento successivo a quello di avveramento della condizione medesima.

A fronte di una tesi (Maiorca, 319) che nega tale possibilità, si registra un orientamento di senso diametralmente opposto (Carresi, 614), per cui — versandosi in presenza di fattispecie sostanzialmente omogenee — la volontà delle parti potrebbe regolare la retroattività non solo nel senso di escluderla ovvero di applicarla in maniera parziale, ma nel senso di fissare la decorrenza degli effetti dell'avveramento in un tempo successivo all'avveramento medesimo, con una sostanziale sovrapposizione tra condizione e termine iniziale.

Si evidenzia in dottrina, invece, come non sia invece disponibile l'effetto reale rispetto ai terzi, ai sensi dell'art. 1357 (Maiorca, 319).

Segue. L'irretroattività giustificata sulla base della natura del rapporto

Si è già ripetutamente chiarito che l'art. 1360 c.c. non opera tutte le volte che, anche per la natura del rapporto, gli effetti del contratto debbano essere riportati a un momento diverso da quello della conclusione del contratto.

È ciò che accade, ad esempio, nelle fattispecie disciplinate dagli artt. 646, 785 e 1757 c.c., disposizioni volte a regolare gli effetti della condizione apposta al testamento nei confronti di eredi e legatari, della condizione nel caso di donazione in riguardo al matrimonio e della mediazione condizionata a fronte del diritto alla provvigione.

In tal caso è contemplato un potere di intervento ad opera dell'A.G., volta a negare efficacia retroattiva all'avveramento della condizione, pur essendosi chiarito, in dottrina, che la valutazione rimessa al giudice non avrebbe una precisa autonomia, risolvendosi in un accertamento della volontà delle parti, da ricostruire tramite un processo interpretativo, o nel richiamo ad una puntuale disposizione normativa, fra cui rientra il capoverso della norma in commento (Barbero, 1107)

I contratti ad esecuzione continuata o periodica

Il comma 2 dell'art. 1360 c.c., applicando un principio trasversale a vari istituti disciplinati dal codice civile (cfr., ad esempio, l'art. 1373, comma 2, o l'art. 1458), chiarisce che, ove si tratti di condizione apposta ad un negozio originante un rapporto di durata, l'efficacia retroattiva non pregiudica le prestazioni già eseguite.

Anche in tal caso la norma non è inderogabile, nel senso che è consentito alle parti regolare diversamente i loro rapporti e, dunque, prevedere espressamente, ad esempio, che l'avveramento della condizione risolutiva travolga anche le prestazioni già eseguite, con conseguente insorgenza di obbligazioni di carattere restitutorio secondo le regole proprie dell'indebito oggettivo ovvero dell'arricchimento senza causa.

In giurisprudenza, tuttavia, si è chiarito che la regola posta dall'art. 1360, comma 2 c.c. opera limitatamente alle sole condizioni risolutive apposte ai rapporti di durata (Cass. II, n. 949/1985)

Termine per l'avveramento della condizione

L'operatività della regola dettata dall'art. 1360 c.c. postula che la condizione si sia verificata, mentre nulla è detto circa il termine entro il quale ciò debba accadere. Si pone, dunque, il problema del regime giuridico da applicare per il caso in cui le parti non abbiano fissato un termine entro il quale l'evento futuro ed incerto debba verificarsi, né esso sia desumibile dal contenuto del contratto.

In proposito, non è escluso che le parti possano rimanere obbligate a tempo indeterminato, finché, cioè, la condizione non si sia avverata o non ne sia divenuto irrealizzabile l'avveramento. Sennonché si ritiene che, ove tale volontà non ricorra e, dunque, un termine vada individuato, se l'A.G. ritenga che sia trascorso un lasso di tempo ragionevolmente sufficiente entro il quale l'evento avrebbe potuto verificarsi, il contratto può essere dichiarato giudizialmente inefficace per mancato avveramento (Cass. I, n. 8493/1998): sicché lo stato di pendenza non deve estendersi fino al momento in cui sia accertata l'assoluta impossibilità, oggettiva o soggettiva, dell'avveramento, dovendo per converso la valutazione di tale impossibilità avvenire in termini concreti, con riferimento alla relativa prevedibilità nel contesto storico, sociale ed ambientale del momento. Non è tuttavia chiara quale sia la strada da seguire, giacché a tale orientamento (che, sulla base della predetta valutazione rimessa al giudice di merito, esclude anche il previo ricorso al meccanismo di fissazione del termine ex art. 1183 c.c.) se ne contrappongono altri due: secondo una prima tesi, nonostante il decorso di un tempo piuttosto lungo, l'evento dedotto in condizione potrebbe avere ancora luogo e, quindi, dovrebbe prolungarsi la situazione di attesa, fino a quando non sia oggettivamente certo che l'evento non potrà più realizzarsi (Cass. II, n. 2464/1985); secondo una diversa impostazione, al contrario, l'intervento dell'A.G. dovrebbe necessariamente avvenire sulla scorta di quanto previsto dall'art. 1183 c.c. (Cass. n. 733/1951). L'onere della prova circa l'avveramento o la mancanza della condizione grava sulla parte che pone dette circostanze a fondamento della propria pretesa (Cass. III, n. 4701/1980) e l'azione diretta all'accertamento dell'inefficacia di un contratto per mancato avveramento della condizione sospensiva è imprescrittibile (Cass. I, n. 4507/1981)

Il mancato avveramento della condizione

Non è infine prevista una disciplina per il caso di mancato avveramento della condizione — esclusa, ovviamente l'ipotesi contemplata dall'art. 1359 c.c. che riporta alla norma ora in commento.

Chiarisce, in proposito, Cass. L, n. 7277/1996 che ove, ai sensi dell'art. 1359 c.c., si debba ritenere verificata la condizione, mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa, deve aversi riguardo, al fine della determinazione dei rispettivi diritti ed obblighi, alla situazione riscontrabile al momento della conclusione del contratto, non essendo invece consentito fare riferimento ad un'epoca successiva, attesa la retroattività della condizione stabilita dall'art. 1360 c.c., il cui disposto deve ritenersi applicabile anche alla fattispecie regolata dall'art. 1359 c.c.

Ove, dunque, l'evento non si verifichi ovvero si abbia certezza che esso non si verificherà (condicio deest), si ritiene che il contratto sospensivamente condizionato debba essere considerato come mai «nato», mentre quello sottoposto a condizione continuerà a produrre i propri effetti come se la condizione non fosse stata apposta e, dunque, in una situazione di stabilità e definitività e non più di incertezza e precarietà..

Bibliografia

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