Codice Civile art. 1490 - Garanzia per i vizi della cosa venduta.

Cesare Taraschi

Garanzia per i vizi della cosa venduta.

[I]. Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi [1491] che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore [2922].

[II]. Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa [1229].

Inquadramento

Qualora la cosa risulti difettosa, la garanzia di cui agli artt. 1490 e 1492 c.c., nel prevedere la soggezione del venditore ai rimedi della risoluzione del contratto o della riduzione del prezzo, dà luogo ad un'ipotesi di responsabilità per inadempimento che prescinde dalla colpa (Cass. II, n. 14665/2008), in considerazione dello squilibrio fra le attribuzioni patrimoniali derivante dall'obiettiva esistenza dei vizi al momento della conclusione del contratto.

In dottrina, il fondamento della garanzia per vizi è controverso. L'orientamento prevalente ritiene che, nonostante l'espressione letterale, l'art. 1476, n. 3 c.c. non configuri, accanto a quelle di cui ai nn. 1 e 2, un'autonoma obbligazione avente ad oggetto la prestazione di garanzia: le obbligazioni del venditore sarebbero solo quelle di trasferire la proprietà della cosa e di consegnarla nello stato di fatto in cui si trovava al momento della vendita.

Secondo la tesi maggioritaria, deve trattarsi di vizi preesistenti alla vendita (se si tratta di cose individuate; altrimenti preesistenti all'individuazione per le cose di genere), ossia insorti dopo ma derivanti da cause preesistenti. Se, invece, il vizio è successivo al trasferimento del bene, ma anteriore alla consegna, la sua presenza, se imputabile al venditore, costituirà inesatto adempimento della prestazione di consegna, per il quale il compratore potrà agire in risoluzione, riduzione del prezzo e risarcimento del danno anche senza il rispetto dei termini di cui all'art. 1495 c.c. (Cass. II, n. 4382/1985). Grava, in ogni caso, sul venditore l'onere di provare che il vizio, manifestatosi dopo la consegna del bene, sia stato provocato da eventi successivi all'acquisto (Cass. II, n. 9330/2004). Spetta, invece, al compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all'art. 1492 c.c. offrire la prova dell'esistenza dei vizi (Cass. S.U., n. 11748/2019). In ordine agli oneri probatori, cfr., amplius, sub art. 1495 c.c., § 5.

Occorre altresì osservare che il rimedio della garanzia per vizi opera anche nell'ipotesi di vendita di cosa futura (Cass. II, n. 5075/1983), nonché nella vendita di cose mobili usate, dovendosi distinguere il vizio della cosa dal logorio di essa dovuto all'uso normale che se ne sia fatto (Cass. II, n. 806/1995).

La garanzia per vizi può, infine, essere assunta, con il contenuto, gli effetti e la disciplina sua propria quanto ai termini ed alle condizioni dell'azione, anche da un soggetto diverso dal venditore, in ragione dei suoi particolari rapporti con quest'ultimo (di commissione, di preposizione institoria, etc.), e non, invece, con l'acquirente (Cass. II, n. 12116/2018).

Vizi, mancanza di qualità e aliud pro alio: il vizio redibitorio

Dibattuta, in dottrina e in giurisprudenza, è la delimitazione e l'ambito di operatività di queste tre categorie.

In termini generali, si può definire vizio redibitorio (ossia restitutorio, perché dà luogo alla restituzione del bene a seguito della risoluzione del contratto) l'imperfezione materiale della cosa, inerente al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione (Cass. II, n. 8537/1994), che incide sulla sua utilizzabilità, rendendola inidonea all'uso cui è destinata, avendo riguardo alla sua funzione economico-sociale o alla particolare funzione prevista nel contratto, o sul suo valore, diminuendolo in modo apprezzabile, in tal caso anche senza incidere sul suo funzionamento (Cass. II, n. 5202/2007). Non rientrano in tale nozione, invece, le imperfezioni che non interessino la natura della cosa compravenduta (Cass. II, n. 25747/2024; Cass. II, n. 26402/2023) o risolventisi in manchevolezze nel tipo di materiale consegnato che determinino, per il compratore, soltanto un aumento delle spese necessarie al momento della messa in opera (Cass. II, n. 1424/1994).

Secondo la dottrina prevalente, inoltre, la norma in esame si applica solo ai vizi materiali della cosa, e non anche ai vizi relativi alla condizione giuridica della stessa (per i quali opera la disciplina relativa all'evizione), né ai vizi relativi agli acquisti di cose immateriali e di crediti (Bianca, 885 ss.; Rubino, 190 ss.; contra Greco, Cottino, 230). Secondo alcuni autori, invece, la garanzia in esame si applicherebbe anche nei casi di alienazione di un credito o di una posizione contrattuale (Zaccaria, Rivista di diritto civile, 1985, I, 306 s.).

Secondo la giurisprudenza, invece, la nozione di vizi redibitori può essere estesa anche a quelli relativi alla condizione giuridica di essa, ma in tal caso è necessario che i vizi ed i difetti incidano sulla cosa, e non sui titoli e documenti alla medesima relativi (Cass. III, n. 542/1971).

Può trattarsi anche di immissioni, eccedenti o meno la normale tollerabilità, provenienti dalla cosa del vicino (Cass. II, n. 8338/1998, secondo cui la garanzia in esame può concorrere con la tutela di cui all'art. 844 c.c.); ovvero di mancanza in un terreno del requisito dell'edificabilità, promesso dal venditore (Cass. II, n. 21229/2010): ma, in senso contrario rispetto a tale ultima ipotesi, si è sostenuto che nel caso in cui sia stata garantita la destinazione edificatoria del suolo, la fattispecie può essere ricondotta nell'ambito della garanzia prevista dall'art. 1489 c.c., mentre in nessun caso sono applicabili gli artt. 1490 e 1492 c.c., relativi ai vizi redibitori, che attengono esclusivamente alla materialità del bene venduto (Cass. II, n. 27916/2017).

Nel caso di vendita di universalità di cose, spetta al compratore la garanzia per i vizi relativamente ai singoli beni acquistati solo ove risulti che le parti hanno considerato analiticamente i beni che compongono l'universitas, come nel caso in cui le cose siano state singolarmente elencate e descritte (Bianca, ibidem).

In giurisprudenza si è, tuttavia, precisato che l'avviamento non è un bene compreso nell'azienda — del quale quindi si possa ipotizzare un vizio ai sensi della norma in esame — ma è una qualità immateriale dell'azienda stessa, che può essere promessa nel contratto di vendita ed il cui difetto dà luogo alla fattispecie di inadempimento di cui all'art. 1497 c.c.in tema di mancanza di qualità promesse, con la conseguenza che la sua mancanza o il suo valore inferiore a quello pattuito non possono essere poste a fondamento dell'azione di riduzione del prezzo di cui all'art. 1492 c.c., ma solo, eventualmente, di una di risoluzione ex art. 1453 c.c. (Cass. II, n. 22075/2023Cass. I, n. 5845/2013).

La gravità del vizio deve essere valutata sotto il duplice profilo dell'effetto e della causa, mentre non è presupposto necessario, ai fini della garanzia, l'ineliminabilità dello stesso (Rubino, 778; Mirabelli, 98-99).

Per attivare la garanzia in esame, deve comunque trattarsi di inadempimento di non scarsa importanzaex art. 1455 c.c. (Cass. II, n. 21949/2013).

La consegna della merce in quantità inferiore a quella pattuita non determina un vizio redibitorio, bensì un inesatto adempimento, che può dar luogo ad azioni di risoluzione, d'adempimento o di riduzione del prezzo non soggette ai termini di cui all'art. 1495 c.c. (Cass. II, n. 11834/1991).

Il concetto di prodotto insicuro, come tale difettoso o mancante di qualità, può essere desunto anche dalle norme del d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo) e, in particolare, dall'art. 117.

Il compratore deve provare di aver acquistato il bene dal venditore per potersi avvalere della garanzia. Nel caso di vendita di beni di consumo, la prova può essere fornita mediante la produzione dello scontrino fiscale (Cass. VI-III, n. 12800/2015).

La garanzia per i vizi della cosa venduta differisce da quella di buon funzionamento prevista dall'art. 1512 c.c. per il fatto che, mentre la seconda impone all'acquirente solo l'onere di dimostrare il cattivo funzionamento della cosa venduta, la prima impone all'acquirente anche l'onere di dimostrare la sussistenza dello specifico vizio che rende la cosa venduta inidonea all'uso cui essa è destinata; inoltre, la garanzia di cui all'art. 1512 c.c. trova fondamento in un patto contrattuale e, pertanto, può essere invocata solo previa deduzione e dimostrazione dell'esistenza di un tale patto nel contratto di compravendita (Cass. III, n. 23060/2009).

L'acquirente di un sito inquinato, non ancora attinto dal provvedimento amministrativo che dispone la bonifica, non può invocare la garanzia per vizi redibitori ex artt. 1490 e 1494 c.c. (Cass. II, n. 26402/2023).

La mancanza di qualità

Ricorre l'ipotesi della mancanza di qualità quando la cosa non presenta i requisiti di funzionalità, utilità e pregio che le sono propri (Bianca, 888; Terranova, 8). Nonostante nel codice sia prevista per questa ipotesi una norma apposita (art. 1497 c.c.), parte della dottrina non ritiene fondata la distinzione con la figura del vizio (Rubino, 760). Infatti, sebbene per la mancanza di qualità non sia ammesso il rimedio della riduzione del prezzo, si reputa che questa azione e quella di risoluzione per essa prevista siano espressioni di rimedi generali a tutela dell'acquirente (Bianca, 892). Del resto, l'identità di disciplina si riscontra anche nell'onere della denuncia e nei termini di prescrizione e decadenza, che sono per entrambe le categorie quelli previsti dall'art. 1495 c.c.

La giurisprudenza, invece, ha da tempo ancorato la distinzione al criterio del difetto nel processo di fabbricazione per il vizio ed al concetto di inidoneità funzionale della cosa a soddisfare il bisogno per la mancanza di qualità. Si è così precisato che il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.) e la mancanza di qualità promesse o essenziali (art. 1497 c.c.), pur presupponendo entrambi l'appartenenza della cosa al genere pattuito, si differenziano in quanto il primo riguarda le imperfezioni ed i difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa medesima (Cass. II, n. 3348/2018), mentre la seconda è inerente alla natura della merce e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali (razza, materia, tessuto, fibra, colore, metodo, origine: Cass. III, n. 2544/1970) che, nell'ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie, piuttosto che in un'altra (Cass. II, n. 6596/2016).

A titolo esemplificativo, è stato considerato difetto di qualità la consegna di una cosa usata in luogo di una nuova (Cass. II, n. 10728/2001) e, con riguardo a compravendita di area edificabile, nella quale il venditore abbia garantito la realizzabilità di una determinata volumetria, l'ipotesi in cui l'acquirente, a seguito di sopravvenuta modificazione delle norme urbanistiche, sia in grado di attuare un programma edificatorio solo di minore entità (Cass. II, n. 13612/2013; Cass. II, n. 276/1984); costituirebbe poi mancanza di qualità anche l'interclusione del fondo alienato (Cass. II, n. 12265/2012).

Inoltre, mentre la garanzia per vizi di cui all'art. 1490 c.c. ha la finalità di assicurare l'equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla colpa del venditore, l'azione di cui all'art. 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via generale dall'art. 1453 c.c., postula che l'inadempimento posto a base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa dell'alienante ed abbia non scarsa importanza, tenuto conto dell'interesse della parte non inadempiente (Cass. II, n. 33149/2019).

Vedi, amplius, subart. 1497 c.c.

L'aliud pro alio

Vizi redibitori e mancanza di qualità si distinguono, a loro volta, dall'ipotesi, di matrice giurisprudenziale, della consegna di aliud pro alio, la quale ricorre quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso, o presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti (c.d. inidoneità ad assolvere la funzione economico-sociale), facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto (Cass. III, n. 25230/2023; Cass. II, n. 7557/2017; Cass. II, n. 21829/2013). In particolare, l'appartenenza ad un genere del tutto diverso deve essere accertata alla stregua di quei criteri merceologici in base ai quali si stabilisce la collocazione di un bene in una categoria o tipologia commerciale del tutto diversa rispetto alle altre (Cass. II, n. 1038/1998).

Il relativo criterio discretivo va, quindi, individuato sotto il duplice profilo del riferimento sia al genus, sia alla destinazione economico-sociale del bene, valendo quest'ultima ad ampliare l'ambito di operatività del criterio del genus, nei casi in cui il bene consegnato sia del tutto insuscettibile di assolvere alla funzione del bene contrattato, in relazione ai bisogni dell'acquirente, in particolare nel caso di vendita di prodotti naturali nei quali l'origine o la varietà sono frequentemente più significativi del mero richiamo al genus (Cass. III, n. 593/1995, in un caso in cui erano state consegnate all'acquirente delle piantine di arancio di una varietà diversa e meno pregiata di quella pattuita, sì da incidere sulla stessa commerciabilità del prodotto nella zona in cui le piante erano state acquistate in vista del loro impianto in un agrumeto).

In sostanza, mentre il vizio redibitorio e la mancanza di qualità presuppongono l'appartenenza della cosa al genere pattuito, si ha l'ipotesi dell' aliud pro alio qualora la cosa consegnata sia completamente diversa da quella assunta nel contratto in quanto appartenente ad un altro genere (Cass. II, n. 13925/2002), sicché si passa dal campo del mero difetto di qualità a quello dell'aliud pro alio ogni qualvolta la mancanza di certe qualità faccia degradare la cosa in un genere, o anche in un sottogenere, diverso, appunto perchè il difetto qualitativo incide direttamente sulla prevista destinazione; onde è che l'aliud pro alio non può essere ridotto alla sola differenza strutturale, in quanto anche l'alterazione qualitativa può determinare la degenerazione della cosa, il suo declassamento, a condizione che il difetto di qualità, in rapporto con quanto pattuito fra le parti, faccia della cosa — in sé e per sé — una cosa diversa, inidonea ad assolvere quella certa destinazione (Cass. II, n. 268/1978; contra Cass. II, n. 3482/1988, secondo cui la consegna di cosa appartenente al genere di quella pattuita, ma inclusa in una specie o sotto-genere diversi — nel caso, tondini di acciaio comune, anziché tondini di acciaio inossidabili —, non configura inadempimento per consegna di aliud pro alio, ma determina responsabilità per mancanza delle qualità promesse ex art. 1497 c.c.).

Inoltre, la sola diversità di composizione e di struttura della cosa consegnata rispetto a quanto pattuito non assurge a precipuo elemento di identificazione che costituisce parametro per distinguere la consegna di aliud pro alio dall'ipotesi di cui agli artt. 1492 e 1497 c.c., se non risulti del tutto compromessa la destinazione all'uso considerato dalle parti (Cass. II, n. 1866/1992). In sostanza, sussiste consegna di aliud pro alio qualora il bene consegnato sia completamente eterogeneo rispetto a quello pattuito, per natura, individualità, consistenza e destinazione, cosicché, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa e, quindi, a fornire l'utilità presagita ( Cass. II, n. 968/2025; Cass. II, n. 13214/2024, la quale ha cassato la sentenza che aveva ritenuto integrata la consegna di aliud pro alio in relazione ad una fornitura di calcestruzzo in considerazione della sola minore resistenza rispetto a quello commissionato, pur non emergendo dalla motivazione il grado di incidenza della predetta minore resistenza sulla capacità del bene fornito di assolvere alle sue funzioni).

Si è osservato, in dottrina, che la fattispecie in esame è sottesa a fornire alla parte interessata quell'utilità non solo giuridica, ma anche economica, che è stata la causa concreta della conclusione della vendita (P.L. Carbone, Contratti collegati, aliud pro alio, causa concreta: uno slancio verso il futuro o un ritorno al passato?, in Il Corr. giur., 2016, 6, 764 ss.).

Esaminando la casistica giurisprudenziale, ricorre, ad es., l'ipotesi dell'aliud pro alio: nel caso di consegna di macchinari diversi per modello, provenienza e prestazioni da quelli pattuiti (Cass. II, n. 14586/2004); in caso di vendita di autoveicolo immatricolato con falsa documentazione e con alterazione del numero di telaio (Cass. II, n. 7561/2006); nella vendita di un'opera d'arte falsamente attribuita ad artista che in realtà non ne è stato l'autore (Cass. II, n. 996/2022, in relazione ad un quadro non autentico; Cass. II, n. 30713/2018; Cass. II, n. 17995/2008) oppure di un'opera d'arte pur autentica, ma modificata e rimaneggiata in modo tale da non essere più corrispondente all'originale concepito dall'artista (Cass. II, n. 12527/2011); nella consegna di un veicolo poi sottoposto a sequestro penale perché munito di motore rubato (Cass. II, n. 26953/2008); nella consegna di un'autovettura con impianto a GPL non omologato (Cass. II, n. 20996/2013) o, comunque, di un veicolo con difformità rispetto all'omologazione rilasciata al prototipo (Cass. II, n. 24175/2022); nella vendita di acqua «non potabile» in luogo di quella potabile pattuita (Cass. III, n. 26897/2023; Cass. II, n. 4515/1983); nella vendita di un toro rivelatosi infertile (Cass. II, n. 28419/2013); nella consegna di un immobile destinato ad uso abitativo privo di alimentazione idrica ed elettrica (Cass. II, n. 5448/1978); nella vendita di titoli del debito pubblico negoziati come genuini che, una volta individuati, risultino invece essere falsi (Cass. II, n. 21829/2013); nella vendita di tessuti per scarpe (tomaie) privi delle caratteristiche minime di resistenza (Cass. II, n. 22301/2015); nella fornitura di divise sportive formate, ciascuna, da maglietta e pantaloncino di taglia diversa (Cass. II, n. 13925/2002); nella vendita di una partita di piante di basilico che presentava un anticrittogamico in quantità esorbitante i limiti di norma (Cass. II, n. 6787/2012) nella vendita di un violino non autentico (Cass. II, n. 3520/2025).

La fattispecie in esame è poi ravvisabile nella vendita di immobile destinato ad abitazione che non possa essere dichiarato abitabile per insanabili violazioni della legge urbanistica o comunque perché privo in maniera assoluta della dichiarazione di abitabilità (oggi certificato di agibilità ex art. 24, d.P.R. n. 380/2001), anche se il compratore era a conoscenza della mancanza del certificato ma non vi ha rinunziato (Cass. II, n. 32944/2024; Cass. II, n. 23265/2019; Cass. II, n. 17140/2006; Cass. II, n. 1514/2006; ma v. Cass. II, n. 6548/2010 e Cass. II, n. 17123/2020, secondo cui se, al momento della conclusione del contratto, non sia stato ancora rilasciato il certificato di abitabilità, il successivo rilascio di tale certificato esclude la possibilità stessa di configurare l'ipotesi di vendita di aliud pro alio; nonché Cass. II, n. 25427/2013, secondo cui l'eccezione di inadempimento basata sulla mancanza del certificato di abitabilità dell'immobile o della presenza di difformità edilizie sanabili non può essere proposta qualora risulti che il promissario acquirente era a conoscenza di tale situazione). In tal caso, il compratore ha diritto al risarcimento del danno rapportabile alle spese necessarie per realizzare le modifiche occorrenti per ottenere la licenza di abitabilità (Cass. II, n. 13158/1991), e tale diritto si prescrive in dieci anni dalla stipula del contratto o dalla diversa data indicata dal giudice per l'adempimento (Cass. II, n. 19204/2011). Si è, altresì, sostenuto che l'inadempimento dell'obbligo, gravante sul venditore-costruttore, di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità è ex se foriero di danno emergente, per il minor valore di scambio del bene che da ciò consegue; tale danno, ove accertato nell'an, è suscettibile di essere liquidato dal giudice in via equitativa, essendo obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provarne il preciso ammontare (Cass. III, n. 25418/2019). Anche in tema di preliminare di compravendita immobiliare, si è rilevato che la mancata consegna o il mancato rilascio del certificato di abitabilità (o agibilità) ovvero l'insussistenza delle condizioni perché tale certificato venga rilasciato, non incidono sul piano della validità del contratto, ma integrano un inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, salvo che quest'ultimo non abbia espressamente rinunciato al requisito dell'abitabilità o comunque esonerato il venditore dall'obbligo di ottenere la relativa licenza (Cass. VI-II, n. 10665/2020).

In generale, quindi, può dirsi che, in tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità configura alternativamente l'ipotesi di vendita di aliud pro alio qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili, l'ipotesi del vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili, ovvero l'ipotesi dell'inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa (Cass. II, n. 23604/2023).

Configura aliud pro alio, che dà luogo all'azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., la consegna del bene che, presentando difformità nelle sue componenti rispetto alle previsioni della Direttiva macchine 89/392/CEE, si riveli funzionalmente inidoneo allo scopo economico-sociale della res promessa e, quindi, a fornire l'utilità presagita (Cass. II, n. 5199/2025, la quale ha cassato la decisione di merito che, con specifico riferimento alla fornitura di un impianto oleario, non aveva tenuto conto del fatto che quest'ultimo, presentando alcune parti non realizzate in acciaio inox, come invece prescritto, non era idoneo ad assicurare la sterilità e genuinità della materia prima e la salubrità del prodotto alimentare).

In caso di consegna di aliud pro alio, i rimedi sono quelli ordinari previsti per l'inadempimento contrattuale (Rubino, 914), e cioè l'azione di adempimento o l'azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., a scelta dell'interessato, oltre al risarcimento del danno (Mirabelli, 97-98).

Anche secondo la giurisprudenza la consegna di aliud pro alio dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione ex art. 1453 c.c. e a quella di risarcimento del danno (Cass. II, n. 13214/2024). Tali azioni sono svincolate dai termini di decadenza e prescrizione ai quali sono soggette le azioni di cui agli artt. 1490 e 1497 c.c. (Cass. II, n. 28069/2021; Cass. I, n. 2313/2016) e presuppongono la sussistenza della colpa ai fini del giudizio di inadempimento, mentre, nelle ipotesi in cui opera la speciale garanzia di cui agli artt. 1492 e 1497 c.c., la colpa rileva soltanto ai fini dell'eventuale risarcimento dei danni (Cass. II, n. 7561/2006). Alla vendita di aliud pro alio non si applica la disposizione dettata dall'art. 1492, co. 3, c.c., con riferimento alla compravendita di cosa affetta da vizi, con la conseguenza che la successiva alienazione a terzi del bene da parte dell'acquirente non preclude la proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento secondo la disciplina generale di cui all'art. 1453 c.c. (Cass. II, n. 18998/2023). Il diritto di richiedere la risoluzione e il conseguente risarcimento del danno è assoggettato alla prescrizione ordinaria decennale, il cui termine inizia a decorrere - nel caso, ad es., di quadro non autentico che costituisca vendita di aliud pro alio - dalla consegna del quadro, che segna il momento in cui si verifica l'inadempimento, senza che rilevi la circostanza che l'acquirente non fosse a conoscenza della non autenticità, in quanto ai fini della sospensione del termine di prescrizione rileva l'impossibilità che derivi da cause giuridiche, non anche impedimenti soggettivi o ostacoli di mero fatto, tra i quali devono annoverarsi l'ignoranza del fatto generatore del diritto, il dubbio soggettivo sull'esistenza di esso e il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (Cass. II, n. 996/2022).

La giurisprudenza ritiene, inoltre, che non vi sia incompatibilità tra l'azione di risoluzione per consegna di aliud pro alio e l'avvenuta accettazione delle cose comprate (Cass. II, n. 6596/1986). Tuttavia, si è anche rilevato che non può configurarsi aliud pro alio qualora l'acquirente si sia accorto della diversità della cosa al momento della stipulazione del contratto (Cass. I, n. 2348/1966): tale affermazione appare condivisibile, in quanto se un soggetto acquista un bene riconosciuto viziato al momento della contrattazione ed il vizio non è semplicemente tale, ma rende il bene addirittura diverso, va escluso l'aliud pro alio in quanto il bene è stato acquisito come tale e non si può porre questione di diversità.

L'aliud pro alio, a differenza della garanzia per i vizi della cosa (art. 2922 c.c.) e per mancanza delle qualità, è configurabile anche in riferimento alla vendita forzata compiuta nell'ambito dei procedimenti esecutivi e in sede di liquidazione dell'attivo fallimentare (Cass. I, n. 4085/2005) e si verifica se il bene aggiudicato appartenga ad un genere affatto diverso da quello indicato nell'ordinanza di vendita, ovvero manchi delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico sociale, oppure quando ne sia del tutto compromessa la destinazione all'uso, ivi considerato, che abbia costituito elemento dominante per l'offerta di acquisto (Cass. III, n. 2064/2023; Cass. VI-I, n. 14165/2016). In tal caso, però, l'aggiudicatario del bene pignorato (o anche il debitore esecutato: Cass. VI-III, n. 11729/2017) ha l'onere di far valere tale fattispecie con il solo rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi, che va esperita — nel limite temporale massimo dell'esaurimento della fase satisfattiva dell'espropriazione, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione — comunque entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell'atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria (Cass. III, n. 7708/2014). La tutela in caso di vendita di aliud pro alio si applica, inoltre, alla vendita al pubblico incanto di cosa ricevuta in pegno, ai sensi dell'art. 2797 c.c., che configura una forma di autotutela privata esecutiva, diversa e distinta dall'espropriazione forzata (Cass. III, n. 8881/2020).

Sotto il profilo processuale, la contestazione dell'acquirente circa la totale difformità tra quanto pattuito e quanto consegnato concreta un'eccezione diversa rispetto alla deduzione con cui egli lamenti che la merce consegnata è affetta da vizi, la quale si fonda sul presupposto dell'identità sostanziale di genere del bene ricevuto con quello previsto dal contratto. Ne consegue che l'eccezione dialiud pro alio, proposta per la prima volta in appello, è inammissibile per il divieto posto dall'art. 345 c.p.c. (Cass. II, n. 7767/2013); di recente si è, però, sostenuto che, poiché la domanda nuova in appello è solo quella che, al pari delle domande eccezionalmente ed espressamente ammesse dall'art. 345, co. 1, secondo periodo, c.p.c., si aggiunge alla domanda principale, non può ritenersi domanda nuova quella fondata sull'allegazione della mancata consegna del bene rispetto a quella originariamente fondata sull'aliud pro alio, dal momento che la domanda del compratore volta alla restituzione del prezzo pagato previa risoluzione del contratto per l'inadempimento del venditore rispetto all'obbligo di consegna del bene pattuito è rimasta immutata (Cass. II, n. 29324/2023). Analogamente, la modificazione della domanda originaria, da inadempimento contrattuale per mancanza di qualità a vendita di aliud pro alio, è ammissibile, ai sensi dell'art. 183, co. 6, c.p.c. (nella formulazione antecedente al d.lgs. n. 149/2022), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l'allungamento dei tempi processuali (Cass. II, n. 5884/2024). Resta fermo il principio per cui il giudice, chiamato a pronunciarsi su una domanda di accertamento dei vizi della cosa venduta, ha il compito di qualificare d'ufficio l'azione proposta in termini di vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero, sulla base delle circostanze acquisite al processo a tal fine rilevanti, di vendita di aliud pro alio (Cass. II, n. 28069/2021).

In ogni caso, a fronte della contestazione dell'acquirente circa la difformità fra quanto pattuito e quanto consegnatogli, deve essere il venditore a dimostrare l'appartenenza dell'oggetto alla particolare species convenuta (Cass. II, n. 7557/2017).

Le tre fattispecie sopra descritte (vizi, mancanza di qualità e aliud pro alio) sono state unificate dall'art. 33 della Convenzione de L'Aja dell'1 luglio 1964, resa esecutiva in Italia con l. n. 816/1971, e dagli artt. 35 ss. della Convenzione di Vienna dell'11 aprile 1980, ratificata con l. n. 765/1985. Vedi, amplius, subart. 1510 c.c.

Patto di esclusione della garanzia

Il capoverso della norma in esame prevede la possibilità per le parti di escludere o limitare la garanzia pattiziamente. Una siffatta clausola è però nulla se il venditore ha taciuto in mala fede i vizi (non facilmente riconoscibili ex art. 1491 c.c.) al compratore.

Questa disposizione è generalmente ricondotta al divieto delle clausole di irresponsabilità sancito dall'art. 1229 c.c. In proposito, la dottrina non è però concorde: alcuni ritengono che essa deroghi al principio generale, facendo salva la clausola nel caso di colpa grave (Rubino, 865); altri sostengono che, ai fini della nullità, rilevi, oltre alla mala fede, anche la colpa grave del venditore, che sarebbero quindi equiparate (Romano, 275); altri ancora affermano che la norma in commento ha rilevanza autonoma rispetto all'art. 1229 c.c., sicché la clausola sarebbe nulla nel solo caso di mala fede, e non anche in quello di colpa grave (Bianca, 822).

Secondo la giurisprudenza, la norma in esame presuppone che il venditore abbia raggirato il compratore tacendo consapevolmente i vizi della cosa venduta dei quali era a conoscenza, inducendolo così ad accettare la clausola di esonero dalla garanzia che altrimenti non avrebbe accettato, sicché la norma non si applica ove il venditore sia all'oscuro, anche per sua colpa grave, dell'esistenza dei vizi (Cass. II, n. 9651/2016).

Le clausole di esonero possono ritenersi operanti solo quando il loro significato sia sufficientemente univoco: in questo senso, secondo alcuni, l'esclusione della garanzia opererebbe in presenza di clausole quali «merce come sta», «merce vista e gradita», «merce venduta nello stato di fatto», e simili (Rubino, ibidem), mentre secondo altri si tratterebbe di formule equivoche (Bianca, 825) o di semplici clausole di stile (Galgano, Vendita, in Enc. dir., 492 ss.). Di chiaro significato, nel senso di escludere la garanzia, si considerano invece le clausole «senza garanzia» e «avariato o non» (Zaccaria, in Comm. Cian-Trabucchi, 2016, 1619).

Secondo la giurisprudenza, la clausola contrattuale «vista e piaciuta», che ha lo scopo di accertare consensualmente la presa visione, ad opera del compratore, della cosa venduta, esonera il venditore dalla garanzia per i vizi di quest'ultima limitatamente a quelli riconoscibili con la normale diligenza e non taciuti in mala fede, sicché, anche in considerazione dei principi fondamentali della buona fede e dell'equità del sinallagma contrattuale, essa non può riferirsi ai vizi occulti emersi dopo i normali controlli eseguiti anteriormente l'acquisto (Cass. VI-II, n. 21204/2016, secondo cui, nella vendita di auto usate, la clausola suddetta non esonera il venditore dalla garanzia per i vizi occulti dell'auto oggetto del contratto).

Si discute in dottrina anche in ordine all'ammissibilità di una esclusione tacita della garanzia: la soluzione positiva è stata motivata con riferimento alla vendita di cose usate, ove la garanzia non copre i vizi relativi al normale logorio che la cosa usata presenta (Bianca, 924; Rubino, 902 ss.), nonché con riferimento alla vendita «a rischio e pericolo del compratore» qualora ad acquistare sia un professionista (Rubino, 903; Macario, 28).

La clausola escludente la garanzia generale per i vizi della cosa venduta, in quanto limitativa della responsabilità del venditore ex lege e, pertanto, vessatoria, deve essere specificamente approvata per iscrittoex art. 1341 c.c. (Cass. II, n. 12759/1993). Se contenuta in un contratto stipulato da un consumatore con un professionista, è inefficace anche se negoziata individualmente dalle parti (Zaccaria, ibidem).

La garanzia convenzionale, in assenza di diversa pattuizione risultante dal testo contrattuale, deve ritenersi normalmente integrativa e non sostitutiva della garanzia legale per vizi (Cass. II, n. 8578/1997). In particolare, la garanzia legale per i vizi della cosa venduta può con apposita clausola contrattuale essere modificata in modo da aumentare o diminuire la garanzia medesima, potendo essere estesa anche a vizi non redibitori ovvero prevedere l'azione di esatto adempimento a favore del compratore alternativamente con le azioni derivanti dalla garanzia legale, di cui all'art. 1492 c.c., di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo. In tal caso all'azione di esatto adempimento non sono applicabili i termini di decadenza e di prescrizione di cui all'art. 1495 c.c. propri delle azioni derivanti dalla garanzia legale (Cass. II, n. 9352/1991).

Nella vendita del professionista, la clausola di esclusione della garanzia per vizi occulti è affetta da nullità rilevabile d'ufficio, ai sensi degli artt. 33 e 36 d.lgs. n. 206/2005, risultandone limitate le azioni del consumatore verso il professionista inadempiente (Cass. II, n. 6784/2014, in relazione agli artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c.).

Sotto il profilo processuale, la contestazione circa l'inefficacia del patto di esclusione della garanzia, costituisce un'eccezione in senso stretto, preclusa in appello (Cass. I, n. 2313/2016).

Preliminare di vendita

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, la disciplina codicistica in tema di garanzia per vizi è applicabile anche al contratto preliminare, sicché il promissario acquirente, in presenza di vizi e difformità del bene promesso in vendita, potrebbe esperire, unitamente all'azione ex art. 2932 c.c., anche l'azione di riduzione del prezzo o quella di condanna del promittente alienante ad eliminare, a proprie spese, i vizi della cosa (Cass. I, n. 7584/2016; Cass. II, n. 3855/2016; Cass. II, n. 23162/2013).

Altra parte della giurisprudenza, invece, continua a negare l'ammissibilità dell'esercizio dell'actio quanti minoris da parte del promissario acquirente, a causa della mancanza nel preliminare dell'effetto traslativo, e quindi della sua sostanziale diversità con il contratto definitivo di vendita (Cass. II, n. 16969/2005, che evidenzia come il contratto preliminare abbia per oggetto non un «dare», ma un «facere»; Cass. II, n. 2613/1999). Per quest'ultimo orientamento, quindi, il promissario acquirente avrebbe la possibilità di esperire soltanto l'ordinaria azione di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno, senza che sia necessario il rispetto dei termini di cui all'art. 1495 c.c.

Il promissario acquirente, il quale si avveda della presenza di vizi dell'immobile, consegnato prima della stipula del definitivo, può anche opporre, senza che sia tenuto al rispetto del termine di decadenza di cui all'art. 1495 c.c., l'exceptio inadimpleti contractus al promittente venditore, che gli chieda di aderire alla stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo (Cass. II, n. 23162/2013).

La clausola del preliminare di compravendita di un immobile, con la quale le parti escludano la risoluzione per colpa del promittente alienante pure in caso di insanabilità urbanistica del bene, non vale, di per sé, a rendere aleatorio il contratto. L'abusività della costruzione, dovuta al mancato rilascio della concessione, preclude comunque la stipula del definitivo per impossibilità sopravvenuta, stante il divieto normativo di commerciabilità del bene (Cass. II, n. 5033/2013).

Bibliografia

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