Codice Civile art. 1492 - Effetti della garanzia.

Cesare Taraschi

Effetti della garanzia.

[I]. Nei casi indicati dall'articolo 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto [1453 ss.] ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.

[II]. La scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale.

[III]. Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto; se invece è perita per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l'ha alienata o trasformata, egli non può domandare che la riduzione del prezzo.

Inquadramento

L'azione di garanzia presenta un duplice contenuto: è rimessa al compratore la scelta tra il rimedio della risoluzione del contratto (azione redibitoria) e quello della riduzione del prezzo (azione estimatoria o quanti minoris). Secondo la tesi prevalente, entrambe le azioni sono esercitabili in ogni caso, non essendo prevista dalla legge alcuna gradazione di gravità dei vizi (Cass. II, n. 1153/1995).

In sostanza, quindi, l'azione di inadempimento del contratto di compravendita è regolata non dalla disciplina generale dettata dagli artt. 1453 ss. c.c., ma dalle norme speciali di cui agli artt. 1492 ss. c.c., che prevedono specifiche limitazioni rispetto alla disciplina generale e, in particolare: 1) l'onere di denuncia dei vizi nel termine di otto giorni dalla scoperta, che condiziona l'esercizio sia dell'azione di risoluzione e dell'azione di riduzione, previste dalla norma in esame, sia di quella di risarcimento dei danni, prevista dall'art. 1494 c.c. (Cass. II, n. 6234/2000); 2) il termine di prescrizione abbreviato; 3) il richiamo agli usi, che possono escludere la risoluzione in alcune ipotesi o stabilire una certa tolleranza del difetto di qualità.

Nel caso di vendite successive del medesimo bene ai fini della distribuzione commerciale dello stesso (cd. vendite a catena), si ritiene in dottrina non solo che ciascun compratore possa esercitare il suo diritto di garanzia nei confronti del suo dante causa, il quale potrà a sua volta chiamare in causa il proprio venditore (art. 106 c.p.c.), ma anche che l'ultimo acquirente possa direttamente convenire in giudizio il primo venditore-produttore, saltando la catena degli intermediari (Bianca, 943).

La giurisprudenza, invece, riconosce la possibilità, per ciascun acquirente, di agire solo nei confronti del proprio dante causa, salva l'ammissione dell'azione extracontrattuale nei confronti del venditore che sia anche produttore o importatore del prodotto per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che hanno reso la cosa pericolosa, anche quando tale danno si sia verificato dopo il passaggio della cosa nell'altrui sfera giuridica (Cass. II, n. 2115/2015; Cass. III, n. 26514/2009). Alla medesima conclusione si è pervenuti anche in ordine alla vendita a catena di beni di consumo, ai sensi dell'art. 131 d.lgs. n. 206/2005 (Cass. II, n. 18610/2017). In particolare, si è precisato che l'esercizio del diritto di regresso riconosciuto dall'art. 131, co. 1, del codice del consumo al venditore finale nei confronti del produttore (o degli altri soggetti ivi indicati) non è subordinato all'avvenuto adempimento di quanto preteso dal consumatore verso il medesimo venditore, poiché il riferimento alla “esecuzione della prestazione”, contenuto nel co. 2 del citato art. 131, serve solo ad individuare il dies a quo del termine entro il quale azionare il detto diritto di regresso e, quindi, il relativo exordium praescriptionis (Cass. III, n. 8164/2021). Sempre in tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, si è precisato che, ove la sostituzione o riparazione del bene non siano state impossibili né siano eccessivamente onerose, il consumatore, scaduto il termine congruo per la sostituzione o riparazione, senza che il venditore vi abbia provveduto, ovvero se le stesse abbiano arrecato un notevole inconveniente, può agire per la riduzione del prezzo o per la risoluzione del contratto, pur in presenza di un difetto di lieve entità (Cass. VI, n. 22146/2020;Cass. II, n. 10453/2020).

La garanzia in esame, inoltre, differisce da quella di buon funzionamento (art. 1512 c.c.), che trova fondamento in un patto contrattuale e può essere invocata solo previa deduzione e dimostrazione dell'esistenza di questo patto nel contratto di vendita (Cass. II, n. 3656/1988).

Secondo la dottrina, qualora il compratore eserciti la garanzia con riguardo ad alcuni vizi, non gli è preclusa la possibilità di dedurne altri successivamente, anche nel corso del giudizio, in aggiunta o in sostituzione di quelli precedenti, fatti salvi il rispetto dei termini di cui all'art. 1495 c.c. ed i limiti processualistici all'introduzione di domande nuove o nuove voci di danno, e sempre che si tratti di difetti rappresentanti lesioni dell'unica pretesa contrattuale (Bianca, 947; Rubino, 811).

In ogni caso, compete al compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo fornire la prova dell'esistenza dei vizi (Cass. S.U., n. 11748/2019).  Si è, infatti, anche di recente ribadito che l'obbligo di garanzia per vizi della cosa venduta dà luogo ad una responsabilità speciale interamente disciplinata dalle norme sulla vendita, sicchè, essendo dette azioni fondate sul solo dato obiettivo dell'esistenza di vizi, indipendentemente da ogni giudizio di colpevolezza, l'onere della relativa prova grava sul compratore, non trovando applicazione i principi relativi all'inesatto adempimento nelle ordinarie azioni di risoluzione e risarcimento danno (Cass. II, n. 9960/2022).Cfr., amplius, sub art. 1495 c.c., § 5.

L'azione redibitoria

Si ritiene che l'azione redibitoria per vizi o mancanza di qualità della cosa non sia un rimedio distinto dall'azione di risoluzione ordinaria ex art. 1453 c.c., pur derogando per alcuni aspetti alla disciplina comune, come già detto (Bianca, 948).

La facoltà di domandare la risoluzione del contratto di vendita ha natura di diritto potestativo, a fronte della quale la posizione del venditore è di mera soggezione (Cass. II, n. 9960/2022), sicché la prescrizione dell'azione può essere utilmente interrotta soltanto dalla proposizione di una domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora (Cass. II, n. 8418/2016).

L'azione di risoluzione per vizi non presuppone l'esistenza della colpa dell'alienante (Cass. II, n. 9960/2022), contrariamente sia alla diversa ipotesi dell'azione di risarcimento dei danni, nella quale l'art. 1494 c.c. presuppone la colpa del venditore ponendo a suo carico una presunzione di conoscenza dei vizi (Cass. II, n. 14665/2008), che a quella di risoluzione per difetto delle qualità promesse ex art. 1497 c.c., norma che, a differenza di quella in esame, richiama «le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento», fondate, com'è noto, sul principio della colpa dell'inadempiente (Cass. II, n. 639/2000).

È controverso, in giurisprudenza, se, ai fini dell'accoglimento dell'azione redibitoria, debba valutarsi la non scarsa importanza dell'inadempimentoex art. 1455 c.c. (per la tesi positiva: Cass. III, n. 6401/2015; Cass. II, n. 21949/2013; per la tesi negativa: Cass. II, n. 17138/2015, e Cass. II, n. 22416/2004, secondo cui l'art. 1492 c.c. non prevede una possibilità di risoluzione più ampia rispetto a quella prevista dall'art. 1455 c.c., del quale, invece, costituisce applicazione restrittiva, avendo il legislatore, quando l'inadempimento del venditore si sostanzi nella consegna di una cosa affetta da vizi, operato una diretta valutazione dell'importanza dell'inadempimento).

È ammesso l'esercizio parziale della garanzia qualora l'alienazione abbia ad oggetto più beni non considerati unitariamente dalle parti oppure cose generiche divisibili e la risoluzione venga chiesta in riferimento ai soli beni viziati (Bianca, 951).

Concorde la giurisprudenza (Cass. II, n. 23657/2004).

Si è, altresì, sostenuto che l'offerta del venditore di riparare o sostituire il bene sarebbe idonea a paralizzare l'azione redibitoria, quando il rifiuto di tale offerta da parte del compratore appaia contrario a buona fede (Calvo, Vendita e responsabilità per vizi materiali, 232); secondo altri, però, una volta esercitata l'azione di risoluzione, non può ritenersi contrario a correttezza il rifiuto del compratore di acconsentire ad una sostituzione del bene, prima di allora non offerta (Bianca, 1015).

La presenza di garanzie contrattuali di assistenza o riparazione del bene non preclude l'esercizio dell'azione redibitoria, qualora il bene risulti essere inidoneo all'uso cui è destinato: si è, pertanto, riconosciuta al compratore la possibilità di risolvere la compravendita di un bene che si era guastato ripetutamente, costringendolo a fare continuo ricorso alla prevista garanzia contrattuale di assistenza tecnica (Cass. II, n. 8578/1997).

L'azione estimatoria

Tale rimedio, sganciato dalla colpa del venditore, si esercita in via giudiziaria tramite sentenza e tende alla restituzione di una parte del prezzo o, se questo non sia stato ancora corrisposto, alla liberazione dell'acquirente dall'obbligo del suo pagamento (Rubino, 812).

La facoltà del compratore, in presenza di vizi della cosa venduta, di chiedere, anziché la risoluzione del contratto, la riduzione del prezzo, non viene meno per il fatto che detti vizi presentino gravità tale da escludere la possibilità di utilizzare il bene nella sua funzione tipica (Cass. III, n. 4471/1985), e ciò perché la facoltà di scelta dell'acquirente va riconosciuta a prescindere dalla maggiore o minore gravità dei vizi medesimi (Cass. II, n. 1153/1995).

La riduzione deve corrispondere alla differenza di valore determinata dal vizio rispetto al prezzo contrattuale (Bianca, 953), nel senso che il prezzo deve essere diminuito nell'esatta proporzione esistente fra il valore che la cosa avrebbe avuto se fosse stata priva di difetti ed il valore della cosa difettosa (Oliviero, 155); la scelta di questa azione comporta la rinuncia a qualsiasi rimborso o restituzione di altra natura, salvo l'eventuale risarcimento del danno (Greco, Cottino, 271).

Anche secondo la giurisprudenza, il compratore ha diritto di chiedere una diminuzione del prezzo pattuito in una percentuale pari a quella rappresentante la menomazione che il valore effettivo della cosa consegnata subisce a causa dei vizi, in modo tale da essere posto nella situazione economica equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi (Cass. II, n. 12852/2008). In ogni caso, la legge non impone particolari criteri da seguire per la determinazione della somma dovuta per riduzione di prezzo in relazione ai vizi della cosa venduta, ed il ricorso a criteri equitativi ed al prudente apprezzamento del giudice, ancorché non previsto espressamente dal legislatore nella disciplina normativa della vendita, è consentito in questa materia sia in conformità all'origine e alla tradizione storica dell'actio quanti minoris, sia in applicazione di un principio generale, di cui la disposizione contenuta nell'art. 1226 c.c. costituisce una particolare specificazione in tema di risarcimento del danno (Cass. II, n. 2908/2020; Cass. II, n. 13332/2000).

Si è ammesso l'esercizio dell'azione estimatoria anche nel caso di concorso con altri rimedi (Cass. II, n. 8338/1998, in relazione al rapporto con la tutela ex art. 844 c.c. nel caso di immissioni rumorose).

L'obbligazione del venditore di restituzione di una parte del prezzo ricevuto in pagamento ha natura di debito di valuta (Cass. II, n. 2060/2013), con conseguente assoggettamento all'art. 1224 c.c. (Cass. II, n. 724/1989).

Secondo l'orientamento prevalente, la riduzione del prezzo può essere chiesta dal promittente acquirente di immobile da costruire ad opera del venditore, contestualmente all'azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. (Cass. I, n. 7584/2016). Vedi sub art. 1490 c.c., 4. Inoltre, gli acquirenti di un immobile edificato in difformità dalla concessione edilizia, che abbiano chiesto (ed ottenuto) la sanatoria di cui all'art. 31 l. n. 47/1985 in qualità di proprietari del bene, possono agire in giudizio per la riduzione del prezzo, ai sensi degli artt. 1490 e 1492 c.c., ma non anche esercitare il diritto di rivalsa ex art. 6 della medesima l. n. 47, qualora le lamentate difformità non risultino essenziali o totali rispetto alla rilasciata concessione (Cass. II, n. 11211/2021).

L'effetto preclusivo della scelta

Secondo la dottrina, la domanda giudiziale, che rende irrevocabile la scelta tra le due azioni di risoluzione e riduzione del prezzo ai sensi del comma 2 della norma in esame, può essere proposta sia in via di azione che in via riconvenzionale. L'irrevocabilità, invece, non si determina quando essa sia stata fatta in via di mera eccezione. Secondo la dottrina, la scelta si reputa definitiva anche se operata stragiudizialmente, purché sia accettata dal venditore. L'effetto preclusivo non viene meno nel caso di estinzione del processo, salvo che la domanda sia nulla (Bianca, 956).

Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente e più recente, il compratore non può proporre in via principale la redibitoria e, in subordine, la quanti minoris, per l'eventualità che la prima domanda risulti infondata, atteso che entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, cioè la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall'art. 1490 c.c., che stabilisce una disciplina della materia completa e non integrabile con le regole dell'art. 1455 c.c. sull'importanza dell'inadempimento, restando esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le rispettive domande, sicché il compratore deve scegliere fra l'una o l'altra, a pena di inammissibilità della domanda subordinata (Cass. II, n. 17138/2015; Cass. S.U., n. 2565/1988).

Questo orientamento, secondo alcuni, andrebbe ripensato alla luce di quelle pronunce (Cass. III, n. 6401/2015; Cass. II, n. 21949/2013) che invece riconoscono per l'azione redibitoria la necessità di valutare l'importanza del vizio alla stregua dell'art. 1455 c.c. o di un criterio analogo (Zaccaria, Comm. Cian-Trabucchi, 2016, 1622).

In dottrina, si è ritenuto, però, che, qualora la domanda di risoluzione venga respinta perché per il vizio denunciato gli usi escludono tale rimedio o perché si versa nelle ipotesi contemplate nel comma 3 della norma in commento, ciò non precluderebbe la possibilità di proporre l'azione di riduzione con un nuovo ed autonomo giudizio (Rubino, 810).

Anche la giurisprudenza ha ritenuto che il compratore possa proporre azione di risoluzione e, in via subordinata, chiedere la riduzione del prezzo per l'ipotesi in cui la domanda principale risulti inammissibile o lo stesso vi rinunci (Cass. II, n. 9098/2000). In ogni caso, il principio dell'irrevocabilità della scelta, operata mediante domanda giudiziale, tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo non può essere esteso all'appalto (Cass. II, n. 2037/2019).

Perimento, trasformazione e alienazione della cosa

Il rimedio della risoluzione del contratto è precluso quando la restituzione della cosa è divenuta in tutto o in parte impossibile per causa non imputabile al venditore (Cass. II, n. 11892/1991, secondo cui l'azione è preclusa se la merce perisce presso il compratore senza che questi riesca a dare la prova del fortuito).

Tale impossibilità si ritiene determinata non solo dall'alienazione o trasformazione della cosa, ma anche dall'espropriazione, dallo smarrimento, dalla consumazione della cosa o dalla sua messa extra commercium (Greco, Cottino, 272).

La risoluzione non è, invece, preclusa se l'impossibilità di restituzione si verifica dopo la proposizione della domanda giudiziale e dipende da caso fortuito, non potendo la durata del processo volgere a danno della parte vittoriosa ed incolpevole (Bianca, 965 ss.; Rubino, 805).

Qualora l'impossibilità di restituire imputabile al compratore sia successiva alla sentenza di risoluzione, quest'ultima andrebbe considerata come sentenza ad efficacia condizionata alla restituzione della res. Si ammette che, in tal modo, sarebbe rimessa, anche dopo la sentenza, all'arbitrio del compratore la decisione in ordine alla permanenza o meno del rapporto contrattuale: tale inconveniente potrebbe superarsi ammettendo che la sentenza produca immediatamente l'effetto risolutivo, e che la mancata restituzione della res configuri un illecito del compratore, nel senso che questi, dopo la sentenza, verrebbe a detenere illegittimamente una cosa altrui (Zaccaria, 1623).

Quanto alla trasformazione o alienazione della cosa, parte della dottrina ritiene che il rimedio della risoluzione sia precluso poiché il compratore ha definitivamente utilizzato la prestazione spettantegli (Bianca, 964). Si ha trasformazione non solo nell'ipotesi di cambiamento di specie (da materia prima in manufatto), ma anche qualora il compratore abbia impresso al bene una nuova durevole destinazione, tramite, ad es., un vincolo pertinenziale (Bianca, 960).

Secondo la giurisprudenza, invece, la trasformazione o l'alienazione della cosa acquistata non è di per sé sufficiente a precludere al compratore l'azione di risoluzione contrattuale per vizi, occorrendo, a tal fine, che quel comportamento evidenzi univocamente che l'acquirente, cosciente dei vizi, abbia inteso accettare la cosa, così rinunciando alla maggiore tutela risolutoria rispetto a quella di riduzione del prezzo (Cass. II, n. 14665/2008). Nel caso in cui l'azione di risoluzione per vizi, nonostante il perimento del bene, non sia preclusa, ai sensi dell'ultimo comma della norma in esame, all'obbligo della restituzione specifica dei beni periti si sostituisce quello della restituzione per equivalente, che opera in via automatica, senza necessità di una specifica domanda da parte dell'acquirente (Cass. II, n. 2429/2018), nei limiti in cui, malgrado i vizi, la cosa abbia fornito utilità al compratore (Cass. II, n. 18202/2013). L'accettazione della merce, per essere tale, deve però consistere in un comportamento univoco dell'acquirente di voler utilizzare la merce nella consapevolezza dell'esistenza del vizio (Cass. II, n. 1212/1993, che ha ravvisato l'intento di accettare la cosa, nonostante la presenza di vizi, nella costituzione di un privilegio speciale su di essa).

Si è, altresì, ritenuto che la decadenza dalla garanzia per vizi non si verifichi, nonostante l'impiego della merce secondo l'uso per cui venne acquistata, anche se ne implichi la trasformazione, ove lo stesso sia intervenuto dopo la denuncia del vizio ed un ragionevole lasso di tempo, concesso per le opportune verifiche ed i possibili interventi ad opera del venditore, oppure dopo il riconoscimento del vizio da parte di quest'ultimo, potendo un ulteriore indugio nell'impiego della merce divenire fonte di danno maggiore, in pregiudizio del compratore, non passibile di ristoro ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1227 c.c. (Cass. III, n. 539/1986). Spetta, comunque, al giudice di merito accertare, in base alle risultanze processuali, se il compratore che utilizza la merce, dopo averne denunziato i vizi, intenda in tal modo rinunziare all'azione di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo (Cass. II, n. 15104/2000).

Anche in dottrina si è ritenuto che, quando l'alienazione sia avvenuta per evitare l'aggravarsi dei vizi o delle spese di conservazione e custodia, può ritenersi escluso l'impedimento all'azione risolutoria (Bianca, 964).

Secondo la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza, inoltre, anche il perimento parziale e il deterioramento della cosa rendono impossibile la restituzione e, dunque, la risoluzione del contratto (Cass. III, n. 5034/1992, che ha escluso il rimedio della risoluzione quando risulti che l'acquirente ha modificato la consistenza della cosa).

Parte della dottrina tende ad ammettere l'azione di risoluzione, nel caso di deterioramento, prevedendo però in compensazione il debito per diminuzione del valore della cosa restituita con il credito di restituzione del prezzo (Mirabelli, 106).

Il compratore non perde il diritto alla risoluzione se il perimento sia avvenuto a causa dei vizi da cui il bene era affetto. Ciò non avviene nel caso di vendita a consegne ripartite, qualora il perimento sia dovuto a vizi che riguardino solo alcune partite di merce, dovendosi qui applicare il principio della restituzione per equivalente, mediante corresponsione di una somma di denaro pari al valore contrattuale delle cose non restituite (Cass. II, n. 5065/1992).

In ogni caso, pur ricorrendo una delle ipotesi contemplate dalla norma in esame, il compratore è sempre ammesso a dimostrare che non sussiste, per le peculiarità della fattispecie concreta, preclusione alcuna alla proponibilità dell'azione di risoluzione (Cass. II, n. 5552/1994).

L'azione di esatto adempimento

Al contrario di quanto disposto dall'art. 1668 c.c. in tema di appalto e dall'art. 2236 c.c. in tema di contratto d'opera, non è stata espressamente prevista nella vendita l'azione di esatto adempimento, volta ad ottenere da parte del venditore l'eliminazione dei vizi tramite la riparazione o la sostituzione della res. La tradizionale giurisprudenza ha sempre da ciò fatto derivare la conseguente inconfigurabilità, nell'ambito della compravendita, di tale azione (Cass. II, n. 5541/1995).

In particolare, si argomenta come la mancata previsione dell'azione di esatto adempimento in tema di compravendita, e la sua conseguente inammissibilità, si spiegano alla luce del fatto che le obbligazioni principali del venditore, codificate dall'art. 1476 c.c., non hanno per oggetto, neppure in via sussidiaria, un facere relativo alla materiale struttura della cosa venduta, ma solo un dare; pertanto, la possibilità di esperire un'azione per la riparazione, di fatto, connoterebbe con una prestazione di facere, estranea alle originarie prestazioni contrattuali, il contenuto delle obbligazioni di compravendita (Gorla, Azione redibitoria, in Enc. dir., IV, 879). Quanto alla sostituzione del bene, essa si risolverebbe in un'inammissibile condanna all'esecuzione di una prestazione già eseguita, mal eseguita ma pur sempre eseguita (Bianca, 1012). Pertanto, neppure nel caso di colpa del venditore — la cui configurabilità non è richiesta per la proposizione delle azioni redibitoria ed estimatoria — sarebbe possibile esperire l'azione di esatto adempimento (contra Rubino, 825-826, che ammette, se vi è colpa del venditore, l'azione di esatto adempimento, consistente, nella vendita di genere, nella consegna di un'altra cosa dello stesso genere ma non viziata, e, nella vendita di cose specifiche, nell'eliminazione dei vizi).

La stessa giurisprudenza che ritiene inammissibile l'azione di esatto adempimento nella compravendita, però, ammette la configurabilità dell'azione medesima nel caso di preliminare di compravendita. La giurisprudenza, invero, ha dapprima esteso al preliminare la tutela dettata dagli artt. 1490 ss. c.c. in tema di compravendita, riconoscendo, quindi, al promittente acquirente, nel caso di vizi della cosa, la facoltà di ottenere non solo la risoluzione del contratto, ma anche la riduzione del prezzo contestualmente all'esperimento dell'azione ex art. 2932 c.c. (Cass. II, n. 12323/2001), al fine di consentire al giudice, con una pronuncia che tenga luogo del contratto non concluso, di realizzare un legittimo intervento riequilibratore delle contrapposte prestazioni, superando il dogma dell'intangibilità del preliminare e dell'impossibilità di ottenere ex art. 2932 c.c. un assetto di interessi che non sia perfettamente identico a quello cristallizzato nel contratto preliminare. Più recentemente, la medesima giurisprudenza si è spinta oltre, ammettendo che il promissario acquirente possa, alternativamente alla quanti minoris, ottenere dal promittente venditore l'eliminazione dei vizi tramite la generale azione di esatto adempimento, senza nemmeno soggiacere ai termini decadenziali di cui all'art. 1495 c.c. (Cass. II, n. 477/2010), e ciò in quanto se un obbligo di facere, quale la riparazione del vizio, è incompatibile con la struttura della compravendita, contratto ad effetti reali essenzialmente connotato da un obbligo di dare, tale incompatibilità non può essere ravvisata nel contratto preliminare di compravendita, che è un contratto con effetti meramente obbligatori già di per sé connotato da un obbligo di facere, quale la stipula del contratto definitivo.

Tale conclusione è stata criticata da quanti hanno sottolineato che è difficile giustificare la concessione dell'azione al promissario acquirente, allorquando essa non è concessa all'acquirente stesso. Invero, appare davvero singolare accordare una protezione minore ad una situazione, quella dell'acquirente, che dovrebbe essere tutelata quanto meno alla pari, o, più ragionevolmente, in modo addirittura superiore, rispetto ad una situazione avente un peso giuridico oggettivamente inferiore, se non altro perché propedeutica all'acquisto del diritto dominicale, quale quella rappresentata dal promissario acquirente.

Una parte della giurisprudenza ha, poi, ritenuto possibile il raggiungimento del medesimo obiettivo dell'azione di esatto adempimento, anche nella vendita definitiva, in via indiretta e non coattiva, tramite l'azione di risarcimento del danno, sicché il compratore potrebbe coevamente proporre la domanda di eliminazione dei vizi ad opera del venditore, nonché quella, subordinata alla mancata esecuzione specifica della condanna all'eliminazione dei vizi, di restituzione del prezzo e di risarcimento del danno in misura pari all'importo delle spese necessarie a detta eliminazione; in tal caso, spetterebbe al giudice, in ipotesi di accoglimento delle domande, fissare un termine alla cui scadenza il debitore, che non abbia eseguito la condanna all'esecuzione specifica, resti tenuto al risarcimento del danno per equivalente (Cass. II, n. 8336/1990). In caso di effettiva sostituzione o riparazione del bene da parte del venditore, si avrebbe, quindi, un risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058 c.c., norma che, pur se dettata in tema di responsabilità extracontrattuale, è pacificamente applicabile anche alla materia contrattuale. Peraltro, trattandosi pur sempre di domanda risarcitoria, sarebbe necessario l'accertamento della colpa del venditore ed, essendo la domanda fondata sulla generale disciplina codicistica e non sulla specifica normativa dettata in tema di compravendita, la presunzione iuris tantum di colpa del promittente venditore si baserebbe non sull'art. 1494 c.c., dettato in tema di compravendita, ma sulla norma generale di cui all'art. 1218 c.c.

La questione dell'ammissibilità dell'azione di esatto adempimento nel contratto di vendita non si pone nella vendita internazionale a seguito dell'entrata in vigore nel nostro ordinamento della Convenzione di Vienna dell'11 aprile 1980, ratificata con l. n. 765/1985, nonché nella vendita dei beni di consumo di cui agli artt. 130 e 132 d.lgs. n. 206/2005, che hanno assorbito l'art. 1519-quater c.c. Tali normative hanno espressamente previsto un'azione di esatto adempimento sia nel caso di vendita internazionale di beni mobili (cfr. art. 46, commi 1-3 Conv. Vienna, che prevedono in capo al compratore il diritto di ottenere l'adempimento, la sostituzione dei beni viziati o l'eliminazione del difetto, in alternativa alla riduzione del prezzo od alla risoluzione del contratto), che nel caso di vendita di beni mobili di consumo (cfr. art. 130 d.lgs. n. 206/2005, ove si prevede il diritto per il compratore, senza spese per lui, di ottenere il ripristino della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione). Ebbene, l'espressa previsione, sia pure settoriale, di un'azione di esatto adempimento nell'ambito della vendita internazionale di beni mobili e della vendita di beni mobili al consumo ha indotto una parte della dottrina a dubitare del principio secondo cui l'azione di esatto adempimento sarebbe inammissibile negli altri settori, sulla base di una pretesa incompatibilità strutturale tra l'azione stessa e gli obblighi derivanti dalla compravendita. Invero, poiché la configurabilità dell'azione di esatto adempimento è stata negata dalla giurisprudenza sulla base di una pretesa inconciliabilità logica tra l'azione stessa e gli obblighi nascenti in capo al venditore ex art. 1476 c.c., e poiché tale inconciliabilità logica resta travolta dal fatto che il legislatore stesso ha previsto l'azione in due settori della compravendita, ne consegue che non può che essere considerato non probante l'argomento principale posto a fondamento della scelta giurisprudenziale di non ritenere ammissibile l'azione di esatto adempimento nella compravendita.

Tuttavia, la predetta tesi dottrinale risulta ormai smentita dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite, le quali, aderendo all'orientamento tradizionale che ricostruisce l'apparato della garanzia edilizia come sistema chiuso ed esaustivo, hanno statuito che, in tema di compravendita, la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli artt. 1490 ss. c.c., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l'esperimento, rispettivamente, della «actio quanti minoris» o della «actio redhibitoria».

Ne consegue che il compratore non dispone — neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica — di un'azione «di esatto adempimento» per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento ex art. 1512 c.c., vendita di beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene (Cass. S.U., n. 19702/2012; conforme Cass. II, n. 1269/2013).

Naturalmente, quanto detto non esclude che la garanzia legale per i vizi della cosa venduta possa, con apposita clausola contrattuale, essere modificata in modo da aumentare o diminuire la garanzia medesima, potendo essere estesa anche a vizi non redibitori ovvero prevedere l'azione di esatto adempimento a favore del compratore alternativamente con le azioni derivanti dalla garanzia legale, di cui all'art. 1492 c.c., di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo. In tal caso, all'azione di esatto adempimento non sono applicabili i termini di decadenza e di prescrizione di cui all'art. 1495 c.c. propri delle azioni derivanti dalla garanzia legale (Cass. II, n. 9352/1991).

Si è, altresì, ritenuta non incompatibile con lo schema dell'azione redibitoria la condanna del venditore a sostituire la cosa, in via per lui facoltativa rispetto alla restituzione del prezzo ed al risarcimento del danno (Cass. II, n. 3257/1983).

L'eccezione d'inadempimento

Secondo la prevalente dottrina (Bianca, 1016), il compratore, oltre ai rimedi contemplati dalla norma in esame, può avvalersi anche dell'eccezione d'inadempimento, purché decida in tempi ragionevoli della sorte del rapporto (risoluzione del contratto o riduzione del prezzo) e non la invochi al fine di sospendere sine die il pagamento del prezzo, trattenendo al contempo ingiustificatamente il bene fornitogli. Si è poi precisato che l'eccezione d'inadempimento non legittima la totale sospensione del pagamento del corrispettivo, ma soltanto un rifiuto di ampiezza proporzionale alla diminuzione di valore, funzionalità e utilità della cosa, salvo che la deficienza del bene sia tale da azzerarne il valore o da eliderne completamente l'utilità (Oliviero, 202).

Anche la giurisprudenza ha ritenuto che la parte evocata in giudizio per il pagamento di una prestazione rivelatasi inadeguata possa non solo formulare le domande ad essa consentite dall'ordinamento in relazione al particolare contratto stipulato (es., la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo nella compravendita), ma anche limitarsi ad eccepire, nel legittimo esercizio del potere di autotutela che l'art. 1460 c.c. espressamente attribuisce al fine di paralizzare la pretesa avversaria chiedendone il rigetto, l'inadempimento o l'imperfetto adempimento dell'obbligazione assunta da controparte, in qualunque delle configurazioni che questo può assumere, in esse compreso, quindi, il fatto che il bene consegnato in esecuzione del contratto risulti affetto da vizi o mancante di qualità essenziali (Cass. II, n. 8102/2015; Cass. II, n. 23345/2009).

La locazione finanziaria

In caso di leasing finanziario, consistente in un collegamento negoziale tra il contratto di leasing propriamente detto, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest'ultimo) di soddisfare l'interesse dell'utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. In mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo, l'utilizzatore non può, invece, esercitare l'azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) se non in presenza di specifica clausola contrattuale, con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale.

In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, occorre invece distinguere l'ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi in epoca successiva, perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore, atteso che nella prima ipotesi, assimilabile a quello della mancata consegna, il concedente, informato della rifiutata consegna, in forza del principio di buona fede, è tenuto a sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, ad agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, mentre nel secondo caso l'utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, e il concedente, una volta messo a conoscenza dei vizi, ha i medesimi doveri di cui all'ipotesi precedente. In ogni caso, l'utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente (Cass. S.U., n. 19785/2015).

In sintesi, se non è diversamente pattuito, le azioni edilizie devono essere esercitate dal concedente, mentre l'azione di adempimento e l'azione risarcitoria possono essere direttamente esercitate dall'utilizzatore.

In ordine alla risoluzione del cd. leasing traslativo, vedi sub art. 1526 c.c.

Bibliografia

Angelici, Consegna e proprietà nella vendita internazionale, Milano, 1979; Auricchio, La individuazione dei beni immobili, Napoli, 1960; Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato Vassalli, 1993; Bonfante, Il contratto di vendita, in Tr. Galgano, 1991; De Tilla, La vendita, Milano, 1999; Greco, Cottino, Vendita, in Comm. S.-B., 1981; Luminoso, I contratti tipici e atipici, in Tr. Iudica-Zatti, 1995; Macario, voce Vendita, Profili generali, in Enc. giur., 1994; Mengoni, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Studi in onore di De Gregorio, Città di Castello, 1955; Mirabelli, Della vendita, in Comm. UTET, 1991; Oliviero, La riduzione del prezzo nel contratto di compravendita; Romano, Vendita, in Trattato Grosso e Santoro-Passarelli, 1960; Rubino, La compravendita, in Tr. Cicu-Messineo, 1971; Terranova, voce Redibitoria (azione), in Enc. giur., 1991

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