Codice Civile art. 1497 - Mancanza di qualità.

Cesare Taraschi

Mancanza di qualità.

[I]. Quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l'uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento [1453 ss.], purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi.

[II]. Tuttavia il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite dall'articolo 1495 [172 trans.].

Inquadramento

Le qualità sono gli attributi che esprimono la funzionalità, l'utilità e il pregio del bene (Bianca, 888). In caso di mancanza di qualità, la cosa, pur rientrando nel medesimo genere di quella dedotta in contratto, è riconducibile ad una specie o tipo diverso (Galgano, 493).

Esse si distinguono in qualità essenziali, cioè i requisiti particolari che distinguono le varie specie di un determinato genere di cose e la rendono idonea all'uso destinato (Cass. II, n. 4175/1983), e qualità promesse, che possono essere «atipiche» se inerenti ad un uso diverso da quello che è proprio della cosa venduta, oppure «particolari» se inerenti ad un uso della cosa conforme alla sua destinazione, da farsi in determinate condizioni o che richieda una determinata graduazione, le quali — a differenza delle qualità «essenziali» della cosa venduta che, essendo indispensabili per l'uso cui la cosa di un determinato tipo è normalmente destinata, obbligano il venditore, ancorché non siano state in modo specifico dedotte in contratto — obbligano il venditore soltanto se siano state dedotte in contratto, espressamente o anche per implicito (Cass. II, n. 5257/1978). Ne consegue che, ai fini della risoluzione di un contratto di compravendita per mancanza di qualità promesse, non è necessario accertare se esse fossero o meno essenziali per l'uso tipico o normale a cui la cosa è destinata, perché la volontà delle parti, nel prevederle, ha già attribuito loro tale carattere, per un uso o finalità particolari, e pertanto, se, ad es., è dimostrato che le dimensioni di un veicolo sono state pattuite per consentirne il passaggio nell'autorimessa dell'acquirente, è superfluo accertarne l'idoneità alla circolazione (Cass. II, n. 4657/1998).

Sempre a titolo esemplificativo, quando il risultato ottenibile mediante l'uso di un macchinario costituisca una caratteristica dello stesso promessa dal venditore nel manuale illustrativo, la mancanza di tale risultato costituisce mancanza della qualità promessa (Cass. III, n. 2885/1997); nella vendita di materiale pubblicitario destinato per sua natura all'esposizione all'esterno, la resistenza dello stesso alla luce ed agli agenti atmosferici costituisce una qualità essenziale ed indispensabile per l'idoneità di quel bene alla predetta sua funzione (Cass. II, n. 1424/1984); qualora la vendita abbia ad oggetto una cosa mobile determinata nel contratto, la stessa deve essere consegnata nuova e non usata, in conformità al bene presentato a campione o a quella pattuita al momento della conclusione del contratto secondo l'intento dell'acquirente, ancorché non manifestato in apposita clausola negoziale, trattandosi di una qualità promessa, quantunque solo implicitamente, con la conseguenza che, ove venga consegnata una cosa usata, il venditore ne risponde ai sensi dell'art. 1497 c.c. per la mancanza di detta essenziale qualità (Cass. II, n. 10728/2001); se, invece, la vendita ha ad oggetto un bene usato, le qualità di quest'ultimo si intendono ridotte in ragione dell'usura che la cosa presenta al momento del contratto (Cass. II, n. 23346/2009). In tema di compravendita di beni mobili, la mancanza del certificato di qualità, contrattualmente previsto, rileva, ex art. 1497 c.c., sotto il profilo del difetto delle qualità promesse e dà all'acquirente il diritto alla risoluzione del contratto per inadempimento, dovendosi escludere che la mancanza della certificazione di qualità, ove non siano dimostrati specifici vizi della cosa, possa essere ritenuta di scarsa importanza ex art. 1455 c.c. (Cass. II, n. 29450/2023).

Tra le qualità essenziali che la cosa deve possedere vi sono i requisiti di sicurezza previsti dalla legge, dai regolamenti e dalla disciplina comunitaria.

Secondo la giurisprudenza, la norma in esame fa riferimento anche alla mancanza di qualità giuridiche (Cass. II, n. 13612/2013, in relazione alla vendita di un'area fabbricabile in funzione di un determinato progetto edilizio, rivelatosi inattuabile per la minore potenzialità edificatoria del fondo rispetto a quella sulla quale il compratore aveva fatto affidamento). Si è, in proposito, precisato che, qualora l'acquisto abbia riguardato un immobile per l'edificazione di un fabbricato, attuabile, sotto il profilo urbanistico, in virtù di progetto ceduto dal venditore, la sopravvenuta irrealizzabilità dell'edificio, conseguente ad azioni ripristinatorie proposte da terzi per violazione delle norme sulle distanze, non costituisce violazione dell'impegno traslativo del diritto di proprietà sulla cosa venduta, né dunque consente l'applicazione della disciplina sulla garanzia per l'evizione parziale (perché non si tratta di vendita di cosa parzialmente altrui ex art 1480 c.c.), né quella sulla garanzia per vendita di cosa gravata da oneri o da diritti reali di godimento non apparenti di terzi (la quale riguarda la diversa ipotesi di cosa venduta come libera, ma che poi risulti gravata da taluno dei pesi anzidetti ex art. 1489 c.c.), ma può piuttosto integrare il difetto di qualità promesse o essenziali ai sensi dell'art. 1497 c.c., la cui domanda rientra nella disciplina degli adempimenti contrattuali (Cass. II, n. 21441/2022).

Parte della dottrina, invece, ritiene la norma applicabile alle sole qualità materiali, dovendosi per la mancanza di qualità giuridiche fare applicazione analogica dell'art. 1489 c.c. o della regola sull'aliud pro alio (Luminoso, La vendita, in Tr. Cicu-Messineo, 2014, 489).

In ordine alla distinzione tra vizi e qualità, vedi subart. 1490 c.c.

Le parti possono connotare di parziale aleatorietà la vendita escludendo l'applicabilità della norma in esame, come nel caso in cui, con il consenso del compratore, il venditore non si assume il rischio della resa non ottimale dell'impianto consegnato (Cass. II, n. 17485/2012).

La norma in esame non è applicabile al contratto preliminare (Cass. II, n. 16969/2005), né alla vendita forzata compiuta nell'ambito dei procedimenti esecutivi, ai sensi dell'art. 2922 c.c. (Cass. VI-I, n. 14165/2016).

Azioni esperibili dal compratore

A differenza di quanto disposto per il vizio redibitorio ex art. 1490 c.c., occorre rilevare che per la mancanza di qualità è previsto il solo rimedio della risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi (limiti che non rilevano, però, in relazione alle qualità espressamente promesse: Cass. II, n. 3550/1995); tuttavia, ai sensi del comma 2 della norma in esame, anche il rimedio della risoluzione del contratto per mancanza di qualità soggiace agli stessi termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1495 c.c.

Nessun rinvio, invece, viene espressamente effettuato relativamente all'applicazione delle ulteriori norme dettate in tema di garanzia per vizi ed astrattamente compatibili, quali quelle in tema di limiti al patto con il quale si esclude o si limita la garanzia (art. 1490, comma 2 c.c.), di esclusione della garanzia per la conoscenza o la conoscibilità del vizio (art. 1491 c.c.: Cass. II, n. 3803/1978), di possibilità di ottenere la riduzione del prezzo (art. 1492 c.c.) od il risarcimento del danno (art. 1494 c.c.), di non necessità della denuncia nel caso di riconoscimento del difetto da parte del venditore (art. 1495, comma 2 c.c.).

A fronte di tale inequivocabile dato normativo, la dottrina maggioritaria tende ad assimilare la fattispecie dell'assenza di qualità a quella della presenza di vizi, equiparando a tutti gli effetti le discipline, tramite un'estensione analogica ai casi di assenza di qualità delle norme dettate in tema di garanzia per vizi (Bianca, 892; Rubino, 893).

La giurisprudenza prevalente, invece, esclude tale equiparazione, distinguendo le due fattispecie sulla base del rilievo che l'art. 1497 c.c. ha richiamato una sola delle norme dettate per la garanzia per vizi, cioè quella della prescrizione e della decadenza di cui all'art. 1495 c.c. Si è, così, statuito che, per ottenere la risoluzione del contratto a seguito della presenza di vizi, è sufficiente provare un'apprezzabile diminuzione del valore della res, in base al disposto dell'art. 1490 c.c.; per ottenere invece la risoluzione del contratto a seguito dell'assenza di qualità, occorre il più rigido requisito dettato dal fatto che il difetto sia di non scarsa importanza, come acclarato dal rinvio disposto dall'art. 1497 c.c. alle disposizioni generali, e cioè anche all'art. 1455 c.c., ed occorre altresì che il difetto ecceda i limiti di tollerabilità stabiliti dagli usi, come evidenziato dallo stesso disposto della norma in esame (Cass. II, n. 247/1981; ma vedi Cass. II, n. 21949/2013, per il richiamo all'art. 1455 c.c. anche nell'ambito della garanzia per vizi).

Sotto altro profilo si è precisato che, mentre l'esercizio dell'azione di risoluzione per vizi della cosa alienata non presuppone l'esistenza della colpa dell'alienante, giusto il tenore dell'art. 1492 c.c., tale colpa è per converso richiesta nella diversa ipotesi di risoluzione per mancanza di qualità, in ragione del rinvio dell'art. 1497 c.c. alle disposizioni generali in tema di risoluzione per inadempimento, che come noto sono fondate sul principio della colpa dell'inadempiente (Cass. II, n. 33149/2019; Cass. II, n. 10922/2005; Cass. II, n. 639/2000).

Non sono mancate, tuttavia, pronunce della giurisprudenza di legittimità che hanno finito per assimilare i rimedi previsti per i vizi redibitori e per la mancanza di qualità, statuendo che il difetto di qualità, al pari del diritto alla garanzia per i vizi della cosa venduta, può essere opposto al venditore che richiede l'adempimento del contratto, pur dopo il decorso del termine annuale di prescrizione delle relative azioni, e ciò anche mediante domanda riconvenzionale intesa a conseguire effetti maggiori del semplice rigetto della domanda principale (Cass. I, n. 2706/1968); si è poi ritenuta ammissibile la proposizione dell'actio quanti minoris, non espressamente prevista dall'art. 1497 c.c., anche in tema di mancanza di qualità, sul presupposto che si tratti di un rimedio generale posto a tutela del compratore , il quale potrebbe avere interesse a mantenere ferma in capo a lui la proprietà del bene conseguita attraverso il contratto (Cass. II, n. 7189/2025; Cass. II, n. 4245/2024;Cass. II, n. 247/1981). Analogamente, si è ritenuta applicabile alla vendita di cosa non avente le qualità promesse o essenziali all'uso cui è destinata la disposizione dell'art. 1492 c.c., che esclude la risoluzione del contratto, fra l'altro, nel caso di trasformazione della cosa da parte dell'acquirente (Cass. II, n. 521/1988). Di recente, poi, si è arrivati ad escludere che l'applicazione dell'art. 1497 c.c. presupponga la colpa del venditore (Cass. II, n. 8102/2015, secondo cui, peraltro, il compratore può anche eccepire l'inadempimento e sospendere il pagamento del prezzo). 

In ogni caso, analogamente a quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta (Cass. S.U., n. 11748/2019), anche ove venga esperita l'azione di risoluzione ex art. 1497 c.c. per mancanza delle qualità promesse della cosa venuta, vale la regola dell'onere della prova a carico del compratore, perché si tratta di azione tipica rientrante nell'ambito della garanzia della vendita sul modello delle tradizionali azioni edilizie, riguardo alle quali il requisito della gravità è prevalutato dal legislatore e compenetrato nella ricorrenza dei presupposti delineati dell'incidenza dei vizi sull'idoneità all'uso cui la cosa è destinata, ovvero sulla diminuzione in modo apprezzabile del suo valore, per cui una diversa disciplina creerebbe una distonia di sistema, oltre a non avere alcuna ragione di differenziazione (Cass. II, n. 14895/2023).

È, invece, pacifico che il compratore possa, in caso di mancanza delle qualità dovute, esperire l'azione di risarcimento del danno in caso di colpa del venditore (Cass. III, n. 3190/1981).

Per quanto attiene alla possibilità di esperire, nel caso di mancanza di qualità essenziali o promesse, l'azione di esatto adempimento, vedi sub art. 1492 c.c., 6.

Sotto il profilo processuale, poi, si è ritenuto configurabile il vizio d'extrapetizione nel caso in cui, in presenza di una domanda di risoluzione per vizi della cosa venduta, il giudice accolga la domanda, ritenendo la cosa — sulla base dell'esame di corrispondenza intercorsa fra le parti — priva delle qualità pattuite per l'uso al quale la stessa era destinata (Cass. II, n. 10922/2005).

Annullamento per errore o dolo

In dottrina ed in giurisprudenza si controverte poi sulla concorrenza o meno del rimedio risolutorio ex art. 1497 c.c. con l'azione di annullamento per errore sulla qualità della merce acquistata.

In proposito, occorre considerare che l'azione di annullamento del contratto per errore e quella di risoluzione per difetto di qualità promesse o essenziali per l'uso cui la cosa venduta è destinata sono istituti del tutto autonomi, rispetto ai quali non sussiste alcun rapporto di incompatibilità o di reciproca esclusione, concernendo la prima azione il momento formativo del contratto e la validità di esso fin dal suo sorgere, mentre la seconda riguarda il profilo funzionale della causa ed attiene all'inadempimento del venditore all'obbligo di trasferire al compratore la cosa alienata con le qualità promesse ed essenziali all'uso cui è destinata (Cass. II, n. 5313/2003, che ha ritenuto ammissibile l'esercizio alternativo delle due azioni nel medesimo processo); ne consegue che, se oggetto della vendita sia stata una cosa individuata, ben determinata (ad esempio: gruppo motore-cambio di autoveicolo sinistrato), e ne sia avvenuta la relativa consegna, la mancanza di qualità (in ipotesi: inadattabilità tecnica a veicolo di tipo diverso) non comporta consegna di aliud pro alio e quindi non dà luogo all'azione di adempimento, né all'azione di risoluzione per mancanza di qualità promesse, ma a quella di annullamento per errore, quando la falsa rappresentazione della realtà sia caduta sulla esistenza — semplicemente supposta od anche espressamente promessa — delle qualità anzidette, incidendo in modo determinante sulla prestazione del consenso (Cass. II, n. 2453/1984).

La figura dell'annullamento per errore, in sostanza, secondo la dottrina (Bianca, 1057; Rubino, 906), ricorre quando il creditore si inganna sulla prestazione spettantegli e, cioè, quando reputa falsamente di aver diritto ad un bene che non corrisponde a quello che il debitore si è impegnato ad attribuirgli, e non quando il debitore è inadempiente alla prestazione effettivamente promessa. L'errore riguarda, infatti, il momento genetico di formazione del rapporto, e non gli aspetti oggettivi del rapporto stesso.

La fattispecie dell'annullamento per dolo si caratterizza, invece, per la tutela offerta al contraente contro l'illecita invasione della sua sfera giuridica che ha condotto alla conclusione del contratto causa il comportamento fraudolento, ma non attiene alla lesione del diritto contrattuale sofferta dal bene difettoso. Secondo la giurisprudenza, l'azione di annullamento del contratto per dolo e quella di risoluzione della vendita per mancanza di qualità promesse o essenziali possono eventualmente concorrere nella medesima fattispecie, in quanto istituti del tutto autonomi rispetto ai quali non sussiste un rapporto di incompatibilità o di reciproca esclusione (Cass. I, n. 1573/1968).

Vendita di azioni e quote sociali

Anche al contratto con il quale vengono trasferite quote di una società dietro pagamento di un prezzo — contratto che rientra nella nozione di compravendita — si applicano le norme di cui agli artt. 1470 ss. c.c. e, in particolare, i principi riguardanti la distinzione tra mancanza delle qualità promesse o essenziali della cosa venduta e vendita di aliud pro alio, dai quali si desume che gli estremi di questa seconda (e più grave) forma di inadempienza possono essere ritenuti sussistenti unicamente se i beni consegnati sono (non soltanto «difformi», ma anche) assolutamente privi delle capacità funzionali a soddisfare i bisogni dell'acquirente e, quindi, «radicalmente diversi» da quelli pattuiti (Cass. I, n. 3370/2004, che, in una fattispecie relativa a cessione di quote di società a responsabilità limitata titolare di azienda alberghiera, priva della promessa licenza per l'esercizio dell'attività di ristorazione in favore di persone diverse dagli ospiti dell'albergo, ha ritenuto che ricorresse la prima ipotesi di mancanza di qualità promesse).

Invero, la cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta.

Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale — e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione — possono giustificare l'annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell'art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di «qualità» della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico, che non attiene all'oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali (anche diversamente qualificate, sufficiente essendo che il rilascio della garanzia si evinca inequivocamente dal contratto: Cass. I, n. 11076/2025la quale ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda di risoluzione di un preliminare di vendita di quote sociali evidenziando che la garanzia di assenza di pesi riguardava la quota oggetto di contratto preliminare e non gli immobili della società; Cass. I, n. 3658/2020; Cass. I, n. 26690/2006), ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza (Cass. III, n. 16031/2007).

In senso parzialmente difforme si è, invece, sostenuto che le azioni (e le quote) delle società di capitali costituiscono beni di «secondo grado», in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all'esercizio dell'attività sociale; pertanto, i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all'oggetto del contratto di cessione del trasferimento delle azioni o delle quote di una società di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l'affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. Ne consegue che la differenza tra l'effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidità economica e sulla produttività della società, quindi sul valore delle azioni o delle quote, può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa, che rende ammissibile la risoluzione del contrattoex art. 1497 c.c., ovvero, qualora i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell'acquirente, quindi «radicalmente diversi» da quelli pattuiti, l'esperimento di un'ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c. (Cass. VI-II, n. 22790/2019 ; Cass. I, n. 18181/2004).

La clausola con la quale il venditore si impegna a tenere indenne il compratore dalle sopravvenienze passive nel patrimonio della società ha ad oggetto una prestazione accessoria e non rientra, quindi, nella garanzia di cui all'art. 1497 c.c., che attiene, invece, alle qualità intrinseche della cosa, esistenti al momento della conclusione del contratto (Cass. II, n. 16963/2014). E' stata esclusa l'applicabilità della norma in commento anche nel caso di un contratto di acquisto di compartecipazioni societarie al quale siano stati collegati dei patti autonomi di garanzia aventi ad oggetto le passività del patrimonio sociale, c.d. "business warranties" (Cass. I, n. 7183/2019).

L'applicabilità dell'art. 1497 c.c. è stata, invece, affermata anche in ordine all'azienda, sicché è configurabile la risoluzione del contratto per mancanza delle qualità promesse ed essenziali qualora l'azienda, trasferita ai sensi dell'art. 2556 c.c., sia risultata priva di un elemento essenziale per l'esercizio dell'attività commerciale dedotta in contratto, anche se esso non sia stato menzionato tra i beni aziendali (Cass. II, n. 11130/2006). Inoltre, si è precisato che l'avviamento non è un bene compreso nell'azienda — del quale quindi si possa ipotizzare un vizio ai sensi dell'art. 1490 c.c. — ma è una qualità immateriale dell'azienda stessa, che può essere promessa nel contratto di vendita e il cui difetto dà luogo alla fattispecie di inadempimento di cui all'art. 1497 c.c., con la conseguenza che la sua mancanza o il suo valore inferiore a quello pattuito non possono essere poste a fondamento dell'azione di riduzione del prezzo di cui all'art. 1492 c.c., ma solo, eventualmente, di una di risoluzione ex art. 1453 c.c. (Cass. II, n. 22075/2023; Cass. I, n. 5845/2013).

Bibliografia

Agostinis, La garanzia per i vizi della cosa venduta, in Comm. Schlesinger, 2012; Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato Vassalli, 1993; Bonfante, Il contratto di vendita, in Tr. Galgano, 1991; D’Alessandro, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, Milano, 2003;  Galgano, voce Vendita (dir. priv.), in Enc. dir., 1993; Greco, Cottino, Vendita, in Comm. S.-B., 1981; Luminoso, I contratti tipici e atipici, in Tr. I.-Z., 1995; Macario, voce Vendita, Profili generali, in Enc. giur., 1994; Mengoni, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Studi in onore di De Gregorio, Città di Castello, 1955; Mirabelli, Della vendita, in Comm. UTET, 1991; Oliviero, La riduzione del prezzo nel contratto di compravendita; Romano, Vendita, in Trattato Grosso e Santoro-Passarelli, 1960; Rubino, La compravendita, in Tr. Cicu-Messineo, 1971

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