Codice Civile art. 1515 - Esecuzione coattiva per inadempimento del compratore.

Cesare Taraschi

Esecuzione coattiva per inadempimento del compratore.

[I]. Se il compratore non adempie l'obbligazione di pagare il prezzo [1498], il venditore può far vendere senza ritardo la cosa per conto e a spese di lui.

[II]. La vendita è fatta all'incanto a mezzo di una persona autorizzata a tali atti [83 att.] o, in mancanza di essa nel luogo in cui la vendita deve essere eseguita, a mezzo di un ufficiale giudiziario. Il venditore deve dare tempestiva notizia al compratore del giorno, del luogo e dell'ora in cui la vendita sarà eseguita.

[III]. Se la cosa ha un prezzo corrente, stabilito per atto della pubblica autorità [o da norme corporative] , ovvero risultante da listini di borsa o da mercuriali [1474], la vendita può essere fatta senza incanto, al prezzo corrente, a mezzo delle persone indicate nel comma precedente o di un commissario nominato dal tribunale. In tal caso il venditore deve dare al compratore pronta notizia della vendita 1234.

[IV]. Il venditore ha diritto alla differenza tra il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, oltre al risarcimento del maggior danno [1536, 1551].

 

[1] Le disposizioni richiamanti le norme corporative devono ritenersi abrogate in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo.

[2] Rectius: commissionario.

[3] Comma così modificato dall'art. 150 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51.

[4] A norma dell'art. 27, comma 2, lett. b), n. 3, del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, le parole: « dal tribunale» sono sostituite dalle seguenti: «dal giudice di pace»; ai sensi dell'art. 32, comma 3 del d.lgs. 116, cit., come da ultimo modificato dall'art. 8-bis, comma 1, lett. b), d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, conv., con modif., in l. 28 febbraio 2020, n. 8, le disposizioni  di cui all'art. 27 cit., entrano in vigore il 31 ottobre 2025.

Inquadramento

La vendita in danno costituisce uno strumento di autotutela del venditore (Cass. II, n. 5222/1983) che gli consente di garantirsi il prezzo del bene in tempi rapidi, in modo, cioè, da non dover trattenere un bene a cui potrebbe non essere interessato ovvero da non rischiare di subire la perdita definitiva del prezzo (si pensi, ad esempio, al caso di beni a rapida obsolescenza).

È controverso l'inquadramento di tale istituto. Secondo la giurisprudenza, si tratterebbe di una forma di esecuzione in forma specifica, con conseguente applicabilità della normativa relativa alla vendita forzata (Cass. II, n. 5697/1978, per la quale la vendita in danno presuppone l'esecuzione e non già la risoluzione per inadempimento della compravendita, sicché la relativa normativa non può trovare applicazione nel caso in cui la vendita sia stata risolta per inadempimento del venditore e si faccia questione in ordine ai danni patiti dal compratore).

Secondo una parte della dottrina, invece, l'istituto in esame costituirebbe un'ipotesi di risarcimento del danno in forma specifica da risoluzione del contratto (Carpino, 297) oppure un atto di autotutela contrattuale, esercitabile a prescindere dall'intervento dell'autorità giudiziaria (Bianca, 1066), con conseguente inapplicabilità, secondo quest'ultima tesi, delle norme sulla vendita forzata (in particolare, l'art. 2922 c.c.).

Tale particolare rimedio, comunque, ha carattere facoltativo, sicché si aggiunge e non si sostituisce alle ordinarie azioni contrattuali (Cass. I, n. 2140/1986), e non può essere esperito quando (come nel caso di compravendita non avente efficacia per il mancato verificarsi della condicio iuris cui era sottoposta) non sarebbe ammissibile l'ordinaria azione giudiziaria rivolta alla condanna del pagamento del prezzo (Cass. III, n. 2444/1968).

Conseguentemente, il venditore, se non si avvale della vendita in danno, rimane abilitato ad esercitare ogni altro rimedio per l'inadempimento e non gli può essere imputato che l'aver omesso la vendita abbia aggravato la posizione del compratore (Mirabelli, 159; Bocchini, 191). Esauritosi, tuttavia, il procedimento di compravendita in danno, non saranno più esercitabili i diritti potestativi di annullamento e di rescissione del contratto originario, né di questo potrà essere chiesto l'adempimento o la risoluzione (Bocchini, 199).

Anche in giurisprudenza si è, di recente, ribadito che l'autotutela prevista dalla norma in esame a favore del venditore che non ottiene il pagamento del prezzo è lasciata alla libera scelta della parte adempiente, per la quale costituisce, quindi, una facoltà e non un obbligo, con conseguente possibilità per la stessa di agire in via ordinaria per il risarcimento del danno, che va determinato nella sua entità dal giudice in base agli ordinari criteri posti dall'art. 1223 c.c., senza che possa trovare applicazione la regola stabilita dall'art. 1518 c.c. — per cui il risarcimento è dato dalla differenza tra il prezzo convenuto e quello corrente nel luogo e nel giorno pattuiti per la consegna, salva la prova di un maggiore danno — ove si tratti di cose non previste in tale norma di carattere eccezionale (Cass. II, n. 31308/2018).

La norma in esame è stata modificata dall'art. 27, comma 2, d.lgs. n. 116/2017, recante la «Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace», il quale ha attribuito al giudice di pace, in luogo del tribunale, la competenza in ordine a quanto previsto dal comma 3, disponendo contestualmente l'abrogazione dell'art. 73-bis disp. att. c.c. Tale modifica, tuttavia, entrerà in vigore il 31 ottobre 2025, ai sensi dell’art. 32, comma 3, d.lgs. n. 116/2017, come sostituito dall’art. 8-bis d.l. 162/2019, conv., con modif., in l. 8/2020.

Presupposti e modalità

La vendita in danno può essere eseguita se vi è inadempimento e a prescindere dalla sua imputabilità, in quanto l'indagine sulla causa del comportamento dell'altro contraente sarebbe incompatibile con l'onere del pronto rimpiazzo di cui agli artt. 1515 e 1516 c.c. (Carpino, 298; Bianca, 1078). È controverso se debba ritenersi necessaria una preventiva richiesta di adempimento e se operi il temperamento previsto dall'art. 1455 c.c. (in senso negativo, Carpino, 298; contra Bianca, 1078).

Secondo la giurisprudenza, l'inadempimento della controparte che giustifica il ricorso alla vendita in danno deve risultare dalla costituzione in mora, salvo che quest'ultima non sia necessaria ai sensi dell'art. 1219 c.c. (Cass. n. 1958/1961).

Il rimedio previsto dalla norma in esame deve avvenire, a pena d'inopponibilità, senza ritardo, cioè non appena si delinei l'inadempimento del compratore all'obbligazione di pagare il prezzo, comportando il ritardo una tacita rinunzia del venditore ad avvalersi di tale specie di rimedio (Cass. II, n. 5856/1985; Cass. III, n. 319/1965).

Esso può riguardare qualsiasi bene mobile, anche infungibile; se le cose hanno un prezzo corrente, la vendita in danno può essere fatta anche senza incanto (Carpino, 298), tramite un commissionario (deve reputarsi un mero errore materiale l'utilizzo del sostantivo «commissario» presente nella norma in commento). Se la vendita avviene all'incanto, è necessario avvalersi di persona autorizzata al compimento di tali atti, e cioè, ai sensi dell'art. 83 disp. att. c.c.: agenti di cambio, per i valori pubblici e per i titoli di credito specificati nelle leggi sulle borse; mediatori in merci iscritti presso le camere di commercio, per le merci e derrate. In mancanza, la vendita deve essere eseguita a mezzo ufficiale giudiziario (Carpino, 298).

Obbligata al compenso per l'opera prestata dai soggetti di cui sopra, autorizzati alle operazioni inerenti alla vendita in danno, è la parte che ha effettuato il rimpiazzo, salva la rivalsa nei confronti della parte inadempiente, a carico della quale, più in generale, devono porsi tutte le spese dell'operazione.

Non è consentito derogare alle prescrizioni dettate dall'art. 1515 c.c., sicché non sussiste l'ipotesi richiamata se la vendita della merce ad un terzo non sia fatta a mezzo delle persone indicate nella norma anzidetta, a garanzia che il prezzo sia effettivamente quello ricavabile in base al normale mercato, onde evitare che sia indicato fittiziamente un prezzo inferiore, a tutela di una giusta liquidazione del danno (Cass. III, n. 437/1973).

Nell'ipotesi in cui, pronunciata la risoluzione del contratto di compravendita, la cosa non possa essere restituita al venditore perché già venduta in danno del compratore, il debito avente ad oggetto la differenza fra il maggior prezzo stabilito nel contratto e quello ricavato dalla vendita forzata è un debito di valore, come tale soggetto a rivalutazione (Cass. II, n. 637/1996).

L'obbligo di informare il compratore

In entrambi i tipi di vendita, il venditore ha l'obbligo di dare avviso al compratore, ma, nella vendita all'incanto, è previsto un avviso precedente alla vendita; nella vendita senza incanto, invece, l'avviso è successivo, dà comunicazione dell'avvenuta vendita e deve essere «pronto»; in entrambi i casi si sostiene che l'omissione dell'avviso non rende inefficace la vendita nei confronti del compratore, ma pone a carico del venditore i danni che il compratore subisce per la mancata o tardiva conoscenza (Bianca, 1084; Mirabelli, 159; contra, a favore della tesi dell'inopponibilità, Carpino, 298).

Anche la giurisprudenza ritiene che l'obbligo di informazione debba adempiersi sotto pena del risarcimento dei danni, e non di inefficacia della vendita, con la precisazione che tale obbligo può ritenersi adempiuto anche nel caso in cui il compratore inadempiente sia stato comunque informato aliunde della località in cui le operazioni indicate vengono effettuate (Cass. n. 2487/1950).

Eseguita la vendita, se il ricavato supera l'ammontare sia del prezzo che delle spese, il supero è del compratore, atteso che la rivendita avviene «per conto» dello stesso (Mirabelli, 159; Greco-Cottino, 389; contra Bianca, ibidem, secondo cui l'eccedenza non spetterebbe alla parte inadempiente).

Rivendita libera

Accanto all'istituto della rivendita per conto del compratore che abbia già acquistato la proprietà della cosa, di cui alla norma in esame, è riconosciuta la legittimità della cd. rivendita libera da parte del venditore, il quale, nel diverso caso in cui il compratore non sia divenuto ancora proprietario della cosa, non è obbligato a tenere questa presso di sé per tutta la durata della causa intentata contro il compratore inadempiente, ma, durante lo svolgimento di essa, può liberamente rivenderla ad altri per proprio conto, esercitando una facoltà che gli compete e che non può essere contestata dal compratore (Cass. II, n. 3405/1986).

Nel caso di inadempimento del compratore, sul venditore che si sia avvalso della pattuita facoltà di rivendere «al meglio» la merce a trattativa privata, senza l'osservanza delle formalità previste dall'art. 1515 c.c., incombe, qualora si controverta sulla congruità del prezzo praticato, quanto meno l'onere di allegare i prezzi praticati nella zona riferiti al giorno della vendita (onde consentire alla controparte di dimostrare che il prezzo in concreto praticato non era «il migliore possibile»), dovendo in ogni caso provare che il prezzo in concreto praticato corrisponde a quello da lui indicato, in quanto l'entità del ricavo netto della vendita costituisce l'elemento fondamentale per la determinazione del danno, costituito dalla differenza tra il prezzo convenuto ed il ricavo netto della rivendita (Cass. II, n. 4169/1990).

Bibliografia

Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato Vassalli, 1993; Bocchini, La vendita di cose mobili, in Tr. Res., 2000; Bonfante, Il contratto di vendita, in Trattato Galgano, 1991; Carpino, La vendita, in Tr.Res., 1984; Greco, Cottino, Vendita, in Comm. S.B., 1981; Luminoso, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995; Mirabelli, Della vendita, in Comm. UTET, 1991; Rubino, La compravendita, in Tr. Cicu-Messineo, 1971

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