Codice Civile art. 1526 - Risoluzione del contratto.Risoluzione del contratto. [I]. Se la risoluzione del contratto ha luogo per l'inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. [II]. Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l'indennità convenuta [1384]. [III]. La stessa disposizione si applica nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti [176 trans.]. InquadramentoLa norma in esame prevede la restituzione da parte del venditore delle rate riscosse (salvo il diritto ad un equo compenso ed al risarcimento del danno), ma non condiziona alla medesima l'emissione della pronunzia stessa di risoluzione del contratto (Cass. II, n. 2161/2006). L'equo compenso sta a rappresentare la contropartita dell'uso e del naturale deterioramento della cosa, dipendente dal tempo trascorso, mentre per l'ulteriore deprezzamento, dovuto a cause fuori dall'ordinario, soccorre il risarcimento del danno, dovuto anch'esso dal compratore inadempiente per l'anormale e colposo deterioramento della cosa. Ne consegue che il diritto all'equo compenso e quello al risarcimento del danno costituiscono autonome pretese, le quali, se esercitate nel corso del giudizio, necessitano di autonoma e tempestiva domanda (Cass. III, n. 19287/2010). Il predetto compenso deve essere calcolato con criterio equitativo, più che con criterio meramente economico e di lucro (Cass. n. 3767/1956), e pertanto non comprende il lucro cessante. Secondo la dottrina, l'accertamento dell'equo compenso impone di valutare anche il vantaggio che il venditore abbia eventualmente conseguito dalla consegna anticipata del bene al compratore, compresi gli interessi compensativi (Bianca, 615). Il comma 3 della disposizione in commento disciplina la vendita in forma di locazione: in tal caso, mancando la causa della locazione, in quanto le varie rate non costituiscono certo il corrispettivo del godimento temporaneo del bene, si è in presenza di una vendita con riservato dominio, con conseguente applicabilità della relativa normativa (Bianca, 64). In materia di insinuazione allo stato passivo dei crediti derivanti da un contratto di leasing che sia stato risolto prima della dichiarazione di fallimento, rientra nei poteri del giudice delegato, ai sensi degli artt. 25, comma 1, n. 8), e 92 ss. r.d. n. 267/1942, provvedere alla determinazione dell'equo compenso per l'uso della cosa (Cass. I, n. 11962/2018). Il curatore che non sia subentrato nel contratto non può, tuttavia, agire in revocatoria per le somme, corrisposte dal fallito in pagamento rateale del prezzo, che siano state trattenute dal venditore a titolo di equo compenso spettantegli per l'uso ed il deterioramento della cosa venduta (Cass. I, n. 4217/1992). Riduzione dell'indennitàSecondo la dottrina, la pattuizione con cui le parti convengono che le rate pagate restino al venditore costituisce una clausola penale (Gorla, 322; Rubino, 445; Greco, Cottino, 447). Anche la giurisprudenza aderisce alla tesi della clausola penale, la cui operatività, pertanto, non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, trattandosi, qualora non sia formulata come domanda, di eccezione in senso stretto (Cass. III, n. 19272/2014). Salvo una diversa volontà delle parti, le rate pagate rappresentano il limite del risarcimento ottenibile dal venditore a seguito della risoluzione per inadempimento del compratore: tale limite è comunque inoperante ove l'inadempimento sia doloso o gravemente colposo (Bianca, 619). Secondo la giurisprudenza, la disposizione del comma 2 della norma in esame, nell'utilizzare il termine «indennità», fa riferimento a quelle forme di compensazione in danaro la cui entità non corrisponde necessariamente a quella del danno, né presuppone l'imputabilità del comportamento che lo ha determinato; tale disposizione sta ad indicare che il legislatore ha inteso riferirsi ai casi in cui la liquidazione anticipata concerne unicamente il credito all'equo compenso per il temporaneo godimento de bene, di cui al comma 1 del medesimo articolo (Cass. I, n. 7266/1995). Poiché la clausola di confisca delle rate può risultare eccessivamente onerosa per il compratore, l'indennità può essere equitativamente ridotta dal giudice secondo le circostanze. La riduzione deve essere giustificata da una sproporzione eccessiva tra l'ammontare delle rate pagate ed il contenuto della pretesa del venditore (Bianca, 620), tenendo conto anche del valore della cosa al tempo della restituzione. L'indennità può essere ridotta anche senza una specifica richiesta del compratore: in questo caso, i fatti estintivi o impeditivi delle pretese devono essere rilevati d'ufficio (Bianca, 620). Inoltre, il giudice può trarre giustificazione per la riduzione dell'indennità dalle risultanze di causa, se a corredo della domanda di riduzione non sia stata data una prova espressa (Cass. n. 533/1961). Il comma 2 della norma in esame è applicabile, in via analogica, al contratto di leasing (Cass. III, n. 19732/2011) ed è invocabile anche dal fideiussore dell'utilizzatore (Cass. III, n. 2909/1996). Applicazione al contratto di leasingSecondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, al leasing traslativo si applica la disciplina della vendita con riserva della proprietà, sicché, in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore (il compratore, nella vendita), quest'ultimo ha diritto alla restituzione delle rate riscosse solo dopo la restituzione della cosa, mentre il concedente (il venditore, nella vendita) ha diritto, oltre al risarcimento del danno, a un equo compenso per l'uso dei beni oggetto del contratto (Cass. VI, n. 21895/2017). Tale applicazione analogica, peraltro, non è sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, bensì inderogabile (Cass. III, n. 19272/2014). Nel caso, invece, di scioglimento per mutuo consenso del contratto di leasing traslativo non trova applicazione - nemmeno in via analogica - il disposto dell'art. 1526 c.c., mancando il presupposto dell'inadempimento imputabile all'utilizzatore determinante la risoluzione, sicché l'accordo solutorio - ove non contenga ulteriori previsioni concernenti il rapporto estinto - produce il solo effetto di liberare i contraenti dall'obbligo di eseguire le ulteriori prestazioni ancora dovute in virtù del contratto risolto (Cass. III, n. 27999/2019). L'equo compenso spettante al concedente per l'uso della cosa comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l'uso, non includendo, invece, né il risarcimento del danno che può derivare da un deterioramento anormale della cosa, né il mancato guadagno (Cass. III, n. 25792/2024;Cass. III, n. 29020/2018; Cass. III, n. 73/2010). In particolare, l'equo compenso non può escludere il deprezzamento economico che, in ipotesi, subisca anche il cespite immobiliare, poiché riferibile all'uso che, nella variabile temporale, ha fatto il concessionario il quale, con il suo inadempimento, ha non solo impedito al concedente di acquisire le utilità contrattuali previste, ma rilasciato, altresì, il bene con un valore di realizzo inferiore in relazione alla durata per la quale si sia protratto l'uso stesso, scaricando sulla controparte questo costo in difformità con le previsioni contrattuali (Cass. III, n. 9211/2022). Per stabilire se il contratto di leasing è di godimento o traslativo, occorre individuare la volontà delle parti al momento della conclusione di esso, accertando se il canone è stato pattuito come corrispettivo dell'utilizzazione del bene, ovvero come corresponsione anticipata di parte del prezzo per il suo acquisto alla prevista scadenza del contratto. Si ha infatti la figura del leasing di godimento allorché l'insieme dei canoni è inferiore, in modo consistente, alla remunerazione del capitale investito nell'operazione di acquisto e concessione in locazione del bene, e lascia non coperta una parte non irrilevante di questo capitale, mentre il prezzo pattuito per l'opzione è di corrispondente livello; ricorre, invece, la figura del leasing traslativo se l'insieme dei canoni remunera interamente il capitale impiegato, ed il prevedibile valore del bene alla scadenza del contratto sopravanza in modo non indifferente il prezzo di opzione (Cass. I, n. 13418/2008; Cass. I, n. 1715/2001). Pertanto, la risoluzione della locazione finanziaria, per inadempimento dell'utilizzatore, non si estende alle prestazioni già eseguite, in base alle previsioni dell'art. 1458, comma 1, c.c. ove si tratti di leasing cd. di godimento; la risoluzione medesima, invece, si sottrae a dette previsioni, e resta soggetta all'applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall'art. 1526 c.c., ove si tratti di leasing cd. traslativo, pattuito con riferimento a beni atti a conservare a quella scadenza un valore residuo superiore all'importo convenuto per l'opzione, e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto, rispetto al quale la concessione in godimento assume funzione strumentale (Cass. I, n. 12823/2003; Cass. S.U., n. 65/1993). Si è, in proposito, rilevato che il leasing traslativo è soggetto all'applicazione analogica dell'art. 1526 c.c. con gli adeguamenti e i temperamenti del caso, in considerazione del fatto che — mentre nella vendita con riserva della proprietà nel caso di inadempimento dell'acquirente il venditore normalmente soddisfa il suo principale interesse con il recupero del bene, ed il danno conseguente può consistere nel relativo deterioramento, nella perdita degli utili inerenti al godimento, nella perdita di altre proficue occasioni di vendita, e simili — nel leasing la riconsegna dell'immobile è insufficiente, quale risarcimento del danno, ove la restituzione del finanziamento non segua e il valore dell'immobile non valga a coprirne l'intero importo, ma costituisce un quid pluris rispetto all'interesse e ai danni effettivi subiti dal concedente, ove si aggiunga all'integrale restituzione della somma erogata, con i relativi interessi e spese. Pertanto, le clausole contrattuali che attribuiscano alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, l'intero importo del finanziamento ed in più la proprietà e il possesso dell'immobile, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli che essa aveva il diritto di attendersi dalla regolare esecuzione del contratto, venendo a configurare gli estremi della penale manifestamente eccessiva rispetto all'interesse del creditore all'adempimento, di cui all'art. 1384 c.c., tenuto conto che, anche alla stregua della Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale del 28 maggio 1988, recepita con l. n. 259/1993, il risarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l'utilizzatore avesse esattamente adempiuto (Cass. III, n. 9213/2022 ; Cass. S.U., n. 2061/2021 ; Cass. III, n. 8470/2020; Cass. III, n. 1581/2020; Cass. III, n. 888/2014; Cass. III, n. 19732/2011; cfr. Cass. III, n. 25863/2017 in ordine all'ammissibilità, nel leasing di godimento, del cumulo tra i canoni spettanti fino alla scadenza originaria e la restituzione del bene). Si è, però, precisato che la penale contrattuale non può essere ridotta a zero per la sostanziale inesistenza di un pregiudizio al quale parametrarla, perché la pattuizione della pena prescinde dal danno e dalla sua prova; ai fini dell'art. 1384 c.c. il criterio fondamentale per valutare l'eccessività della penale coincide con il dato oggettivo dello squilibrio tra le posizioni delle parti con riferimento alla valutazione dell'interesse del creditore all'adempimento alla data di stipulazione del contratto; tuttavia, il riferimento all'interesse del creditore, avendo la funzione di indicare lo strumento per mezzo del quale giungere a stabilire se la penale sia o meno manifestamente eccessiva, presuppone una motivata valutazione della situazione esistente al momento della sua applicazione, perché l'ammontare, che pur potrebbe essere eccessivo rispetto al momento della stipulazione, potrebbe non esserlo più rispetto a quello di applicazione, cosa che varrebbe semplicemente a testimoniare l'esistenza di un irrilevante errore di previsione del contratto, ma non l'iniquità della clausola in rapporto alla sua funzione (Cass. I, n. 28037/2023). Nell'ipotesi di risoluzione anticipata per inadempimento dell'utilizzatore, le parti possono convenire, con patto avente natura di clausola penale, l'irrepetibilità dei canoni già versati da quest'ultimo, prevedendo la detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell'importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito, essendo tale clausola coerente con la previsione contenuta nell'art. 1526, comma 2, c.c. (Cass. III, n. 17752/2023; Cass. III, n. 21762/2019 ; Cass. III, n. 15202/2018; Cass. III, n. 19272/2014). Analogamente, il giudice, ove ritenga che le parti abbiano pattuito una clausola penale, prevedendo, per il caso della menzionata risoluzione, il diritto del concedente di trattenere tutte le rate pagate a titolo di corrispettivo del godimento nonostante il mantenimento della proprietà (c.d. clausola di confisca), ha il potere di ridurre detta penale, in modo da contemperare, secondo equità, il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva di trarre dalla regolare esecuzione del contratto, procedendo alla stima del bene secondo il valore di mercato al momento della restituzione (salvo che non sia stato già venduto o altrimenti allocato, considerando, nel qual caso, i valori conseguiti) per poi detrarre tale valore dalle somme dovute dall'utilizzatore al concedente, con diritto del primo all'eventuale residuo (Cass. III, n. 16632/2023; Cass. I, n. 10249/2022; Cass. III, n. 26531/2021). Nel leasing traslativo, la clausola che, in ipotesi di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, attribuisce al concedente il diritto di trattenere i canoni pagati ed impone all'utilizzatore di corrispondere quelli scaduti non è, di per sé, affetta da nullità, atteso che l'utilizzatore, una volta pagato il dovuto e restituito il bene, ha diritto di vedersi restituiti i canoni versati corrispondendo l'equo compenso, fermo restando il potere officioso del giudice di ridurre l'indennità ai sensi del co. 2 dell'art. 1526 c.c. in caso di definitiva acquisizione al concedente delle rate corrisposte (Cass. III, n. 7367/2023). In ordine alla disciplina dei vizi nella locazione finanziaria, vedi sub art. 1492 c.c., 8. In tema di verifica dello stato passivo nei fallimenti pendenti alla data del 16 luglio 2006, nel caso di contratto di leasing occorre sempre distinguere a seconda che si tratti di leasing finanziario o traslativo, solo per quest'ultimo potendosi utilizzare, in via analogica, l'art. 1526 c.c., mentre non può invocarsi l'art. 72-quater l. fall. (r.d. n. 267/1942), come introdotto dal d.lgs. n. 5/2006, trattandosi di norma espressamente applicabile soltanto nelle procedure concorsuali aperte successivamente alla predetta data (Cass. I, n. 3945/2018). Inoltre, si è precisato che l'azione ordinaria di risoluzione del contratto promossa dal locatore, per inadempimento dell'utilizzatore assoggettato a concordato preventivo, è disciplinata dall'art. 1526 c.c.; deve essere esclusa, pertanto, l'applicazione analogica dell'art. 72-quater l. fall., che ha natura di norma eccezionale e non riguarda la risoluzione del contratto di leasing, bensì il suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell'utilizzatore (Cass. VI-I, n. 15975/2018), sicché tale ultima norma non fa comunque venir meno l'applicabilità dell'art. 1526 c.c. (Cass. III, n. 3965/2019). In tema di leasing traslativo, risoltosi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, il patto c.d. di deduzione — per mezzo del quale deve essere riconosciuto al concedente l'importo complessivo dovuto dall'utilizzatore, a titolo di ratei scaduti e a scadere nonché quale prezzo del riscatto del bene, maggiorato degli interessi moratori convenzionali, anche se decurtato del prezzo di riallocazione del bene oggetto del contratto — è nullo per contrarietà all'ordine pubblico economico ed, in particolare, alla previsione di cui all'art. 1526 c.c. (Cass. I, n. 21476/2017). In senso contrario si è, invece, più recentemente sostenuto che, per il caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore, è valida ed efficace sia la clausola che attribuisca al concedente il diritto al pagamento dei canoni scaduti e di quelli futuri attualizzati al momento della risoluzione, sia quella che gli attribuisca la facoltà di determinare unilateralmente il valore del bene oggetto del contratto al fine di detrarlo, previa eventuale vendita dello stesso, dal credito vantato verso l'utilizzatore; questa clausola (cd. patto di deduzione) deve, peraltro, essere interpretata ed eseguita secondo correttezza e buona fede, cosicché, nell'ipotesi in cui, al momento dell'esazione del credito risarcitorio o restitutorio, il bene non sia stato ancora venduto, il concedente dovrà portarne in diffalco il valore commerciale (palesando il criterio adottato per individuarne il valore equo di mercato in caso di contestazione della stima da parte dell'utilizzatore, che avrà l'onere di provarne l'erroneità), mentre, nella contraria ipotesi in cui il bene sia stato già rivenduto, oggetto del diffalco sarà il ricavato della vendita, salva la riduzione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, co. 2, c.c., nel caso di vendita a prezzo vile per negligenza del concedente (Cass. III, n. 9212/2022; Cass. III, n. 28022/2021). In ordine al leasing traslativo, deve, tuttavia, rilevarsi che la l. n. 124/2017 ha introdotto una definizione del leasing finanziario ed ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento, oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale. La nuova normativa ha dunque tipizzato la locazione finanziaria quale fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà, in conformità a tutti i più recenti interventi legislativi in materia (l. n. 208/2015, che ha introdotto nel nostro ordinamento la figura del leasing immobiliare abitativo) ed in particolare alla disciplina prevista dall'art. 72-quater l. fall. Il legislatore ha optato per la ricostruzione unitaria del contratto di leasing ed ha dunque disatteso il tradizionale indirizzo della giurisprudenza di legittimità, escludendo la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e facendo così venir meno una bipartizione che non è fondata su alcuna norma di legge (con la conseguenza che la norma da applicare in via analogica dovrebbe ora essere l'art. 1, comma 138, l. n. 124/2017, e non più l'art. 1526 c.c.). Anche il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (d.Igs. n. 14/2019), all'art. 177, detta una disciplina della locazione finanziaria pienamente coerente con la disciplina dell'art. 72-quater l. fall. e della l. n. 124/2017. Sanando le discrasie delineatesi nella giurisprudenza di legittimità in ordine all'ambito applicativo temporale della l. n. 124/2017, le Sezioni Unite hanno statuito che, in tema di leasing finanziario, la disciplina di cui all'art. 1, comma 136-140, della predetta legge non ha effetti retroattivi, sì che il co. 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l'entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest'ultima figura, della disciplina dell'art. 1526 c.c., e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell'utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente l'art. 72-quater l.fall., in quanto norma di natura eccezionale, a valenza e portata endoconcorsuale, che presuppone lo scioglimento, per volontà del curatore, del contratto ancora pendente, fenomeno che non può essere assimilato (né per presupposti, né per effetti) alla risoluzione. Inoltre, con la medesima pronuncia, si è precisato che, in tema di leasing traslativo, nel caso in cui, dopo la risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore, intervenga il fallimento di quest'ultimo, il concedente che, in applicazione dell'art. 1526 c.c., intenda far valere il credito risarcitorio derivante da una clausola penale stipulata in suo favore è tenuto a proporre apposita domanda di insinuazione al passivo ex art. 93 l.fall., in seno alla quale dovrà indicare la somma ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto del contratto, ovvero, in mancanza, allegare una stima attendibile del relativo valore di mercato all'attualità, onde consentire al giudice di apprezzare l'eventuale manifesta eccessività della penale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1526, co. 2, c.c. (Cass. S.U., n. 2061/2021); Cass. I, n. 31834/2021; Cass. VI-I, n. 13039/2022). Nel caso di leasing traslativo a cui non sia ratione temporis applicabile la disciplina di cui alla l. n. 124/2017 (per essere intervenuta la risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore anteriormente alla relativa entrata in vigore), è legittima la clausola penale con la quale il risarcimento è parametrato al cosiddetto interesse positivo (cioè, all'utilità che il concedente avrebbe tratto dalla fisiologica esecuzione del contratto), fermo restando il potere di riduzione del giudice ai sensi del combinato disposto degli artt. 1526, co. 2, e 1384 c.c. (Cass. III, n. 26518/2024, la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto "equa" - e, dunque, insuscettibile di riduzione ex art. 1526, co. 2, c.c. - la clausola penale che prevedeva, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore, l'attribuzione al concedente di un importo pari all'ammontare dei canoni scaduti e a scadere, nonché del prezzo dell'opzione d'acquisto, con obbligo per il percipiente di procedere alla vendita del bene e al versamento del ricavato all'utilizzatore). È attribuita alla competenza del tribunale ordinario e non di quello fallimentare, ai sensi dell'art. 24 l. fall., l'azione restitutoria ex art. 1526 c.c. conseguente alla risoluzione del contratto di leasing finanziario intervenuta prima della dichiarazione di fallimento e, in quanto tale, ricompresa tra quelle già esistenti nel patrimonio del fallito. Solo ove l'azione sia stata proposta a seguito di dichiarazione di scioglimento dal contratto operata dal curatore, ai sensi dell'art. 72 l. fall., essa deriva dal fallimento, e non osta all'attrazione al foro fallimentare la circostanza che, sul piano sostanziale, il credito restitutorio, operando lo scioglimento con effetti ex tunc, abbia quale fatto costitutivo il venir meno del contratto ab origine (Cass. VI-I, n. 15958/2018). BibliografiaBianca, La vendita e la permuta, in Tr. Vas., 1993; Bocchini, La vendita di cose mobili, in Tr. Res., 2000; Bonfante, Il contratto di vendita, in Trattato Galgano, 1991; Carpino, La vendita, in Trattato Rescigno, 1984; Contursi Lisi, La vendita, in Giust. civ., 1982; Gorla, La vendita, 1948; Greco, Cottino, Vendita, in Comm. Scialoja-Branca, 1981; Lipari, voce Vendita con riserva di proprietà, in Enc. dir., 1993; Luminoso, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995; Mirabelli, Della vendita, in Comm. UTET, 1991; Romano, La vendita, in Trattato Grosso e Santoro-Passarelli, 1960; Rubino, La compravendita, in Tr. Cicu-Messineo, 1971 |