Codice Civile art. 1809 - Restituzione.

Caterina Costabile

Restituzione.

[I]. Il comodatario è obbligato a restituire la cosa [1246 n. 2] alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto [1810].

[II]. Se però, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata.

Inquadramento

La restituzione della cosa al comodante costituisce una obbligazione fondamentale del comodatario, imposta dalla natura temporanea del rapporto.

Il caso normale è quello del termine del contratto: il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto e, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità al contratto (Luminoso, 4).

Il comodatario è inoltre tenuto alla restituzione della res in caso di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno del comodante.

La durata del comodato può risultare sia dalla espressa fissazione di un termine finale sia, implicitamente, dalla delimitazione dell'uso in vista del quale la cosa è stata prestata, nel qual caso il comodato s'intende convenuto per il tempo necessario a farne l'uso stabilito (art. 1809, comma 1).

Al fine di stabilire la durata del comodato in relazione all'uso si devono valutare, di volta in volta, le circostanze del caso concreto, come per esempio la natura della cosa data in comodato, la professione del comodatario e gli interessi e le utilità perseguite dai contraenti (Cass. III, n. 704/2006).

Laddove, nel comodato per uso determinato il giudice pronunci la risoluzione del contratto per essere sopravvenuto un grave ed impreveduto bisogno del comodante, la risoluzione produce i suoi effetti con la sentenza costitutiva, sicché fino a quel momento il comodatario potrà lecitamente detenere la cosa (Cass. III, n. 25356/2015).

Termine del contratto

L'obbligo di restituzione della res sorge fisiologicamente in capo al comodatario allo spirare del termine contrattualmente previsto.

Discussa in dottrina è la possibilità per il comodatario di restituire la cosa anche prima dello spirare del termine (in senso favorevole v. Giampiccolo, in Tr. G. S.-P., 1972, 38; contra Tamburrino, 1004).

Qualora in contratto preveda un termine per la restituzione in via indiretta attraverso l'indicazione di un uso, trascorso il termine ragionevolmente necessario secondo l'uso per l'utilizzo della cosa, questa potrà essere chiesta in restituzione (Teti, 47).

Ove siano indicati sia un uso che un termine, può ritenersi che, una volta compiuto l'uso, il comodatario sia tenuto alla restituzione ancorché non sia trascorso il termine stabilito, sempre che, ovviamente, risulti che nel caso concreto le parti abbiano voluto il comodato in funzione di un uso determinato e specifico ed abbiano convenuto il termine esclusivamente allo scopo di delimitare il tempo massimo entro il quale l'uso va compiuto (Carresi, in Tr. Vas., 1957, 68; Giampiccolo, 1972, 24).

La giurisprudenza ha all'uopo evidenziato che la mancanza di un termine finale convenzionalmente determinato dalle parti non autorizza il comodante a richiedere ad nutum la restituzione della cosa, quando sia possibile ravvisare una indiretta determinazione di durata con riferimento all'uso consentito della cosa, desumibile dalla natura di essa, dalla professione del comodatario, dall'esame degli interessi e dalle utilità perseguite dai contraenti (Cass. III, n. 704/2006; Cass. III, n. 6101/2003).

La messa in mora del comodatario per la restituzione della cosa, può avvenire mediante notifica dell'atto di citazione, salve le conseguenze sull'onere delle spese del procedimento nel caso in cui il comodatario aderisca immediatamente alla domanda, consegnando o rilasciando la cosa (Cass. II, n. 5899/1987).

Proroga

È pacificamente ammessa la facoltà delle parti di prorogare il termine finale del contratto originariamente pattuito.

La giurisprudenza ha, in particolare, ritenuto ammissibile la previsione con apposita clausola della automatica estensibilità della durata del comodato per periodi successivi predeterminati, ove non intervenga un determinato atto o fatto impeditivo. In siffatta ipotesi, prorogatasi la durata originariamente fissata, il comodatario non è tenuto a restituire la cosa a semplice richiesta del comodante, dovendo la restituzione avvenire secondo i tempi e le modalità convenuti (Cass. III, n. 3497/1983).

Comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario

Ci si è interrogati in ordine alla ammissibilità di un comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario.

La giurisprudenza ha qualificato detta fattispecie come un contratto a termine, di cui è certo l'«an» ed incerto il «quando», posto che, con l'inserimento di un elemento accidentale per l'individuazione della precisa durata (nella specie, la massima possibile, ossia per tutta la durata della vita del beneficiario), il comodante ha limitato la possibilità di recuperare, quando voglia, la disponibilità materiale dell'immobile, rafforzando, al contempo, la posizione del comodatario, a cui viene garantito il godimento per tutto il tempo individuato. In siffatta tipologia di contratto il comodante o i suoi eredi possono sciogliersi dal vincolo negoziale soltanto nelle ipotesi di cui agli artt. 1804, comma 3, 1809 e 1811 c.c. e non liberamente come avviene nel comodato precario (Cass. III, n. 6203/2014).

È stato, inoltre, escluso che tale ipotesi integri la costituzione di un diritto di abitazione con conseguente necessità della forma scritta ad substantiam (Cass. III, n. 8548/2008).

Comodato immobiliare con restituzione qualora «il comodante ne abbia necessità»

Altra figura negoziale sottoposta all'esame dei giudici di legittimità è quella del comodato immobiliare con il quale le parti abbiano previsto che la restituzione del bene da parte del comodatario debba avvenire nel «caso che il comodante ne abbia necessità». Trattasi di una figura atipica, in quanto non riconducibile né al modello legale del comodato a termine (art. 1809), né a quello del comodato senza limitazione di tempo (art. 1810 c.c.).

In tale ipotesi il comodato deve intendersi convenuto senza determinazione di tempo (salvo quello che ex lege può discendere dall'applicazione dell'art. 1811 e che un termine derivi in relazione all'uso pattuito), ma, ai sensi dell'art. 1322 c.c., con il patto che il potere di richiedere la restituzione possa esercitarsi solo in presenza di una necessità di utilizzazione dell'immobile — nel senso di un bisogno di riavere la cosa per goderne in uno dei modi consentiti dal proprio titolo — che risulti incompatibile con il protrarsi del godimento del comodatario e che deve essere prospettata nel negozio di recesso dal comodante e, in caso di contestazione, da questi dimostrata (Cass. III, n. 6678/2008: nella fattispecie, poiché le parti avevano convenuto che il terreno con annesso locale scantinato rimanesse nella disponibilità del comodatario finché il comodante ne avesse avuto necessità, senza, però, che di tale necessità fosse stata allegata idonea prova, la S.C., in accoglimento del ricorso e decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di rilascio).

Recesso per urgente ed impreveduto bisogno del comodante

Il comma 2 dell'art. 1809 riconosce al comodante il diritto di chiedere la restituzione immediata della cosa nell'ipotesi in cui sopravvenga un urgente e impreveduto bisogno, e ciò anche se ancora non è scaduto il termine convenuto o se il comodatario non ha cessato di servirsi della cosa locata.

Si tratta di un'ulteriore ipotesi di recesso legale del comodante che va ad aggiungersi a quelle previste dagli artt. 1804, comma 3, 1810,1811 c.c. e che trova la sua giustificazione nell'essenziale gratuità del contratto: il legislatore ha, cioè, voluto evitare che il comodato, dal quale non deriva alcun vantaggio economico al comodante, possa addirittura arrecare a quest'ultimo un pregiudizio non previsto al momento della conclusione del contratto (Giampiccolo, in Tr. G. S.-P., 1972, 36; Tamburrino, 1005).

Per tale motivo la dottrina ritiene che non sia necessario che il bisogno sia grave, né in re ipsa né considerato comparativamente all'interesse del comodatario, precisandosi che il dato rilevante è che si tratti di un bisogno serio e non maliziosamente prodotto o capriccioso (Carresi, 1957, 72; Fragali, Del Comodato, in Comm. S. B., 1966, 329).

Il sopravvenuto bisogno del comodante che legittima il recesso ante tempus deve essere «urgente»; ciò implica che deve trattarsi di un bisogno il cui soddisfacimento non può essere dilazionato fino alla scadenza del termine convenuto oppure fino a quando il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa secondo l'uso pattuito.

Oltre che urgente, il bisogno deve essere poi «imprevisto» dal comodante al momento della conclusione del contratto. Non è invece necessario che il bisogno sia anche imprevedibile, come risulta sia dalla chiara formulazione dell'art. 1809, comma 2, sia dalla considerazione che, trattandosi di un rapporto gratuito, sarebbe palesemente inaccettabile gravare il comodante dell'onere di valutare in anticipo, pena l'inefficacia del recesso, tutti gli eventi che possano ragionevolmente verificarsi in futuro e che siano tali da rendergli necessaria la restituzione della cosa (Giampiccolo, in Tr. G. S.-P., 1972, 37).

La giurisprudenza ha dal suo canto chiarito che il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave ma imprevisto — e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato — ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o ipotizzabili esclusivamente in astratto (Cass. III, n. 20892/2016). Pertanto, non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d'un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante, che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione, consente di porre fine al comodato (Cass. S.U., n. 20448/2014).

Tale valutazione va, peraltro, condotta con rigore, quando il comodatario di un bene immobile abbia assunto a suo carico considerevoli oneri, per spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, in vista della lunga durata del godimento concessogli (Cass. III, n. 20183/2013).

Sulla scorta di tali principi la S.C. ha ritenuto giustificata la richiesta di restituzione della casa, concessa in comodato dalla società al socio, una volta venuto meno il vincolo sociale, sussistendo un apprezzabile interesse della società a destinare il bene immobile all'esercizio dell'attività di impresa (Cass. III, n. 20892/2016. Nel caso di specie la società aveva concluso contratti di comodato con i propri soci favorendone il soddisfacimento delle esigenze abitative in luoghi prossimi alla sede sociale e pertanto, una volta venuto meno il vincolo sociale — fatto non preveduto al momento della stipula del contratto di comodato —, doveva ritenersi venuta meno anche l'esigenza di favorire il facile raggiungimento da parte dell'ex socio della sede sociale).

I giudici di legittimità hanno, inoltre, recentemente chiarito che, in tema di comodato di immobile per uso abitativo a tempo determinato, il fallimento del comodante dopo la stipula del contratto, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, genera l'obbligo del comodatario di restituire il bene immediatamente al curatore, avuto riguardo alla sua necessità di procedere alla liquidazione del cespite libero da persone e cose, per il migliore soddisfacimento dei creditori concorsuali (Cass. I, n. 27938/2018).

In caso di affidamento in custodia onerosa da parte della polizia di Stato di un veicolo, a seguito di sinistro o perché provento di reato, il proprietario della vettura è tenuto al pagamento del corrispettivo per la custodia del bene, qualora sia stato informato dell'avvenuto deposito, in quanto la tempestiva comunicazione dell'avvenuto rinvenimento configura un'adesione tacita al contratto di deposito stipulato in suo favore; diversamente, in assenza di una tempestiva comunicazione, questi non è tenuto al pagamento del corrispettivo, in quanto il contratto di deposito non tollera oneri od obblighi a carico del terzo (Cass. II, n. 25486/2021).

Sopravvenuta incapacità

Una parte della dottrina ritiene ammissibile la richiesta di anticipata restituzione della cosa da parte del comodante in caso di sopravvenuta incapacità del comodatario, nel caso in cui non possa più confidare nell'adempimento delle obbligazioni che dal comodato derivano a carico di quest'ultimo, o in quanto l'incapacità impedisca l'uso della cosa (Carresi, 73).

Altri autori, invece, ritengono che neppure la sopravvenuta incapacità legale del comodatario (e del comodante) siano tali da sciogliere il rapporto se questo possa ancora ricevere regolare attuazione (Fragali, 1966, 331; Luminoso, ult. cit.).

Natura dell'azione di restituzione: legittimazione passiva ed attiva ed onere della prova

Chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederla in comodato ed è, in conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione, allorché il rapporto venga a cessare (Cass. III, n. 13975/2014).

Poiché, dunque, l'azione promossa dal comodante nei confronti del comodatario e diretta ad ottenere la restituzione della cosa concessa in comodato è di natura personale e prescinde dalla prova del diritto di proprietà, l'attore ha l'onere di provare soltanto l'esistenza del contratto di comodato, anche se il convenuto abbia sollevato un'eccezione di usucapione in proprio favore, tale pretesa non essendo idonea a trasformare in reale l'azione personale esercitata. (Cass. III, n. 2726/2013; Cass. III, n. 8590/2013).

Da tale principio discende, inoltre, che è irrilevante ai fini della risoluzione del comodato la questione della permanenza o meno della proprietà dell'immobile da parte dell'originario attore, stante la situazione di accertata permanente disponibilità del bene da parte del medesimo (Cass. III, n. 654/2016).

La S.C. ha inoltre statuito che il comodante può immediatamente agire in giudizio per l'accertamento della cessazione del rapporto ad una data certa e la condanna del comodatario al rilascio, senza dovere previamente attendere, ai fini della proponibilità della domanda, la scadenza prevista nel contratto (Cass. III, n. 1934/2003).

Se il comodante è anche proprietario del bene dato in comodato, per ottenerne il rilascio può avvalersi sia dell'azione di rivendica, che dell'azione contrattuale, ma, non essendo facoltà del giudice mutare ex officio il titolo della pretesa, la controversia va decisa con esclusivo riferimento al titolo dedotto dall'interessato (Cass. II, n. 2726/2013; Cass. II, n. 8326/1990).

Prescrizione

Nel comodato a tempo indeterminato, il termine di prescrizione del diritto del comodante alla restituzione della cosa inizia a decorrere da quando resta inadempiuta la richiesta di restituzione (Cass. II, n. 31434/2023; Cass. II, n. 1772/1976).

Usucapione del bene concesso in comodato

La presunzione di possesso utile ad usucapionem, di cui all'art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene derivi non da un atto materiale di apprensione della res, ma da un atto o da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, poiché in tal caso l'attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario.

L'art. 1141 c.c. non consente, difatti, al detentore di trasformarsi in possessore mediante una sua interna determinazione di volontà, ma richiede, per il mutamento del titolo, o l'intervento di «una causa proveniente da un terzo», per tale dovendosi intendere qualsiasi atto di trasferimento del diritto idoneo a legittimare il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità, efficacia dell'atto medesimo, compresa l'ipotesi di acquisto da parte del titolare solo apparente, oppure l'opposizione del detentore contro il possessore, opposizione che può aver luogo sia giudizialmente che extragiudizialmente e che consiste nel rendere noto al possessore, in termini inequivoci e contestando il di lui diritto, l'intenzione di tenere la cosa come propria.

Poiché detta ultima ipotesi ricorre nel caso del contratto di comodato, la giurisprudenza ha ritenuto che la detenzione di un bene immobile a titolo di comodato precario può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo a provare, con il compimento di idonee attività materiali, il possesso utile ad usucapionem in opposizione al proprietario concedente (Cass. III, n. 21690/2014).

In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato il rigetto della domanda d'accertamento d'acquisto per usucapione d'immobile goduto in comodato precario per ragioni di servizio e non restituito al proprietario dopo la cessazione dell'attività oggetto del rapporto lavorativo, osservando che nel caso di specie il mutamento dell'originaria detenzione in possesso non poteva con certezza ed in modo inequivoco desumersi, come viceversa sostenuto dal ricorrente, meramente dalla mancata restituzione delle chiavi, dal ricovero dato nell'immobile — peraltro solamente in alcuni locali — ad animali per un tempo limitato, dal tenere in loco un cane «alla corda» (Cass. III, n. 5551/2005).

Bibliografia

Carresi, Comodato, in Nss D.I., Torino, III, 1959; Luminoso, voce Comodato, Enc. giur., Roma, 1988; Pellegrini, Contratto di comodato a termine e morte del comodante, in Riv. dir. civ. 2000, II, 477; Quadri, Comodato e «casa familiare»: l'intervento delle Sezioni Unite, in Corr. giur., 2004, 1440; Quadri, Il nuovo intervento delle Sezioni Unite in tema di comodato e assegnazione della «casa familiare», in Corr. giur.2015, 19; Tamburrino, voce Comodato, in Enc. dir., VII, Milano, 1960; Teti, Comodato, in Dig. civ., 1988.

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