Codice Civile art. 1656 - Subappalto (1).Subappalto (1). [I]. L'appaltatore non può dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio, se non è stato autorizzato dal committente [1670]. InquadramentoLa norma si giustifica in considerazione del fatto che l'appalto costituisce un tipico contratto intuitus personae, per il quale, cioè, è determinante la persona dell'appaltatore. Caratteristiche del subappaltoSecondo parte della dottrina (Capozzi, 198) ricorre una ipotesi di collegamento negoziale unilaterale, nel senso che il subappalto è subordinato all'appalto che ne costituisce un presupposto logico, sebbene non giuridico. La natura di contratto derivato o subcontratto del subappalto — con il quale l'appaltatore conferisce ad un terzo l'incarico di eseguire in tutto o in parte i lavori che si è impegnato ad eseguire sulla base del contratto principale — comporta che la sorte del subappalto è condizionata a quella del contratto di appalto, e che trovano applicazione, ai sensi degli artt. 1667 e 1668, le norme sulla responsabilità per difformità e vizi dell'opera, con le seguenti differenze: a) con riguardo all'opera eseguita dal subappaltatore, l'accettazione senza riserve dell'appaltatore è condizionata dal fatto che il committente accetti l'opera senza riserve; b) l'appaltatore non può agire in responsabilità contro il subappaltatore prima ancora che il committente gli abbia denunciato l'esistenza di vizi o difformità, essendo prima di tale momento privo di interesse ad agire, per non essergli ancora derivato alcun pregiudizio, poiché il committente potrebbe accettare l'opera nonostante i vizi palesi o non denunciare mai quelli occulti o farne denuncia tardiva; c) l'appaltatore può agire in giudizio contro il subappaltatore non appena il committente gli abbia tempestivamente denunciato l'esistenza dei predetti vizi o difformità (Cass. n. 23903/2009). Essendo il subappalto un contratto derivato o subcontratto (con tale contratto l'appaltatore conferisce ad un terzo subappaltatore l'incarico di eseguire in tutto od in parte i lavori che l'appaltatore si è impegnato ad eseguire sulla base del contratto principale), le vicende di detto contratto restano condizionate da quelle del contratto principale. Conseguentemente gli artt. 1667 e 1668 (sulla responsabilità per difformità e vizi dell'opera) — che sono applicabili anche al contratto di subappalto, essendo questo pur sempre un contratto di appalto — si applicano al contratto di subappalto con le seguenti differenze: a) con riguardo all'opera eseguita dal subappaltatore, l'accettazione senza riserve dell'appaltatore, resta condizionata dal fatto che il committente accetti a sua volta l'opera senza riserve (Cass. n. 8202/1990); b) come chiarito da autorevole dottrina, l'appaltatore non può agire in responsabilità contro il subappaltatore prima ancora che il committente gli abbia denunciato l'esistenza di vizi o difformità; ciò perché, prima di tale momento, l'appaltatore è privo dell'interesse ad agire; il committente, infatti, potrebbe accettare l'opera nonostante i vizi palesi, oppure non denunciare mai i vizi occulti, oppure denunciarli tardivamente, per cui di nulla potrebbe dolersi l'appaltatore, perché nessun danno (non essendo il destinatario dell'opera) sarebbe a lui derivato dall'esistenza di difformità o vizi dell'opera realizzata dal subappaltatore; conseguentemente l'appaltatore può agire in giudizio nei confronti del subappaltatore non appena il committente gli abbia tempestivamente denunciato la esistenza di detti vizi o difformità, avendogli reso nota in tal modo la sua intenzione di far valere la relativa responsabilità (Cass. n. 9766/2016, a mente della quale l'appaltatore non può agire in responsabilità contro il subappaltatore prima ancora che il committente gli abbia denunciato la esistenza di vizi e difformità. Ciò perché prima di tale momento, l'appaltatore è privo dell'interesse ad agire, atteso che il committente potrebbe accettare l'opera nonostante i vizi palesi, oppure non denunciare mai i vizi occulti, oppure denunciarli tardivamente, per cui di nulla potrebbe dolersi l'appaltatore perché nessun danno — non essendo il destinatario dell'opera — sarebbe a lui derivato dall'esistenza di difformità o vizi dell'opera realizzata dal subappaltatore. Conseguentemente l'appaltatore può agire in giudizio nei confronti del subappaltatore non appena il committente gli abbia tempestivamente denunciato la esistenza di detti vizi e difformità, avendogli resa nota in tale modo la sua intenzione di far valere la relativa responsabilità; correttamente, pertanto, ha concluso la Suprema Corte, il giudice a quo ha ritenuto inammissibile la domanda diretta alla condanna del subappaltatore alla manleva per eventuali azioni che sarebbero potute essere avviate dal committente, perché sarebbe una domanda non su un diritto asseritamente esistente, ma su un diritto prospettato ed eventuale; nella giurisprudenza di merito v. Trib. Parma 16 giugno 2015, n. 1022: dandosi atto della riconducibilità dei rapporti tra le parti alla fattispecie del subappalto, ne consegue l'applicabilità dell'art. 1667 c.c., in forza del quale i vizi delle opere devono essere denunciati dal committente entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna. Tuttavia, non costituiscono prova della denuncia le comunicazioni via e-mail e via fax prodotte in copia dall'attrice opponente, tutte intercorrenti tra questa e le proprie committenti, estranee al rapporto con l'odierna convenuta opposta. In secondo luogo, pur essendone onerata, l'attrice opponente non indicato le date della scoperta e della denuncia dei vizi, né ha articolato prove orali tese a dimostrare l'avvenuta comunicazione degli stessi all'appaltatrice, sua committente). Pertanto, il carattere derivato del subappalto non implica che patti e condizioni del contratto di appalto si trasfondano nello stesso, che conserva la sua autonomia, con la conseguenza che le parti di esso ben possono regolare il rapporto in modo difforme da quello del contratto di appalto, stabilendo condizioni, modalità e clausole diverse da quelle che nel contratto base trovano applicazione in attuazione della normativa in tema di appalti pubblici (Cass. n. 9684/2000, in applicazione del principio di cui in massima, la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte territoriale, innanzi alla quale era stata impugnata la sentenza non definitiva del tribunale di rigetto delle eccezioni pregiudiziali sollevate in riferimento ad una domanda giudiziale di esecuzione di un contratto di subappalto, e che aveva rilevato che, avendo le parti stabilito pattiziamente il foro esclusivo del tribunale poi adito per la decisione di qualsiasi controversia, esse avevano inteso chiaramente escludere la competenza arbitrale, così regolando autonomamente tale aspetto del rapporto tra loro instaurato). Ad ogni buon conto, le obbligazioni costituite con il contratto di subappalto, ancorché dipendenti dal contratto d'appalto, hanno propria autonomia ed individualità, e, in particolare, non si sottraggono alla regola secondo cui l'impossibilità sopravvenuta è ragione di esonero del debitore solo se derivi da causa a lui non imputabile (art. 1218). Pertanto, la responsabilità risarcitoria del subcommittente nei confronti del subappaltatore, per la mancata consegna dell'area di cantiere, non può essere esclusa per il solo fatto che l'area medesima non sia stata a sua volta acquisita dal committente, con conseguente sospensione dei lavori nell'ambito del rapporto d'appalto, occorrendo la prova di detta non imputabilità (Cass. n. 4656/1990). Sebbene — sul piano generale — dalla natura di contratto derivato o subcontratto del subappalto derivi che la sorte del medesimo sia, sotto alcuni profili, condizionata a quella del contratto principale, del quale condivide altresì la disciplina, di guisa che con riguardo all'opera eseguita dal subappaltatore l'accettazione senza riserve dell'appaltatore, resta condizionata dal fatto che il committente accetti a sua volta l'opera senza riserve (Cass. n. 8202/1990; Cass. n. 23903/2009), nondimeno la consapevolezza, o anche il consenso, espresso dal committente all'esecuzione, in tutto o in parte, delle opere in subappalto, valgano soltanto a rendere legittimo, ex art. 1656 c.c., il ricorso dell'appaltatore a tale modalità di esecuzione della propria prestazione e non anche ad instaurare alcun diretto rapporto tra committente e subappaltatore (Cass. n. 8202/1990). Di conseguenza, in difetto di diversi accordi, il subappaltatore risponda della relativa esecuzione nei confronti del solo appaltatore e, correlativamente, solo verso quest'ultimo, e non anche nei confronti del committente, possa rivolgersi ai fini dell'adempimento delle obbligazioni, segnatamente di quelle di pagamento derivanti dal subcontratto in questione (Cass. n. 16917/2001). Da ciò consegue che nei contratti di appalto di opere pubbliche, disciplinati dall'art. 18 l. n. 55/1990, l'assenso al sub appalto del committente non implica l'automatica ed immediata estensione dei patti e delle condizioni del contratto di appalto al secondo contratto il quale, salva l'ipotesi in cui la stazione appaltante si sia avvalsa della facoltà di provvedere direttamente al pagamento del corrispettivo al subappaltatore, conserva la sua autonomia, restando strutturalmente distinto dal contratto principale, essendo l'autorizzazione al subappalto volta a consentire all'appaltatore di soddisfare un interesse non ritenuto in contrasto con le finalità del contratto e dell'interesse pubblico perseguito senza costituire un nuovo e diverso rapporto tra committente e subappaltatore (Cass. n. 648/2018). Consenso del committenteL'art. 1656, che vieta all'appaltatore di dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio, quando non sia stato autorizzato dal committente, non richiede che il consenso di quest'ultimo sia specificamente riferito ad un determinato soggetto e non esclude, quindi, che esso sia preventivo e generico non essendo tale autorizzazione incompatibile con l'intuitus personae che caratterizza il rapporto di appalto dato che il committente rimane estraneo al subappalto e che, nell'ambito del rapporto principale, la sua autorizzazione indica solo che la fiducia riposta nell'appaltatore si estende alla bontà ed oculatezza della scelta del subappaltatore (Cass. n. 7649/1994). L'autorizzazione per subappaltare i lavori di un'opera non deve essere espressa, ben potendo la stessa — o la successiva adesione — risultare anche da fatta concludentia (Cass. n. 2757/1982). Subappalto senza autorizzazione del committenteIl subappalto che avvenga tra l'appaltatore ed un terzo senza l'autorizzazione del committente non produce alcun effetto giuridico, ai sensi dell'art. 1656. In tali ipotesi, il subappaltatore che abbia eventualmente realizzato l'opera, nulla potrà pretendere dal committente originario come corrispettivo, essendo l'obbligato esclusivamente la società la quale ha subappaltato l'esecuzione delle opere (Trib. Ancona 7 ottobre 2014, n. 1664: il subappalto che avvenga tra l'appaltatore ed un terzo senza l'autorizzazione del committente non produce alcun effetto giuridico, ai sensi dell'art. 1656 c.c. In tali ipotesi, il subappaltatore che abbia eventualmente realizzato l'opera, nulla potrà pretendere dal committente originario come corrispettivo, essendo l'obbligato esclusivamente la società la quale ha subappaltato l'esecuzione delle opere). Il contratto di appalto e quello di subappalto, espressamente previsto dall'art. 1656 c.c., hanno carattere autonomo, pur essendo collegati sulla base di un rapporto di stretta dipendenza in termini di derivazione e di subordinazione. La dottrina nega che il committente abbia azione diretta nei confronti del subappaltatore per il caso di autorizzazione del subappalto. Pertanto, il medesimo, per far valere i vizi e le difformità di cui agli artt. 1667-1677, dovrà rivolgersi all'appaltatore il quale, al fine di agire in via di regresso nei confronti dei subappaltatori, dovrà, a pena di decadenza, comunicare loro la denuncia del committente entro sessanta giorni dal ricevimento (art. 1670), salvo che preferisca agire direttamente in giudizio nei loro confronti (Rubino, 49). In particolare, in tema di appalto, la consapevolezza o anche il consenso, sia antecedente, sia successivo, espresso dal committente all'esecuzione, in tutto o in parte, delle opere in subappalto, valgono soltanto a rendere legittimo, ex art. 1656, il ricorso dell'appaltatore a tale modalità di esecuzione della propria prestazione e non anche ad instaurare alcun diretto rapporto tra committente e subappaltatore. Ne consegue che, in difetto di diversi accordi, il subappaltatore risponde della relativa esecuzione nei confronti del solo appaltatore e, correlativamente, solo verso quest'ultimo, e non anche nei confronti del committente, può rivolgersi ai fini dell'adempimento delle obbligazioni, segnatamente di quelle di pagamento derivanti dal subcontratto in questione (Cass. n. 16917/2011). Diversamente, nel caso di cessione del contratto di appalto ex art. 1406 si verifica una successione a titolo particolare nella qualità di parte contraente di tal che si instaura un rapporto diretto tra committente-ceduto e cessionario. Ed invero, pur essendo necessario sia nel subappalto sia nella cessione di contratto il consenso rispettivamente del creditore della prestazione e del ceduto, consenso che peraltro nel caso di subcontratto è esterno e ha la funzione di evitare che il comportamento del debitore costituisca inadempimento, la cessione del contratto è una fattispecie trilaterale con la quale ciascuna parte (cedente) può sostituire a sé un terzo (cessionario) nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché il ceduto vi consenta. Dal momento in cui la sostituzione diviene efficace nei confronti del ceduto, il cedente è liberato dalle sue obbligazioni ai sensi dell'art. 1408 salvo diversi ed espressi accordi tra le parti, pur possibili diversi atteso che con la cessione del contratto si viene a modificare la persona del debitore (Trib. Ancona 7 luglio 2014, n. 1664). Sotto altro aspetto, il contratto di subappalto è nullo per violazione della norma imperativa del divieto della stipulazione di esso in assenza di autorizzazione della P.A. appaltante, in ossequio al principio di diritto, e precisamente di quello contenente la normativa penale antimafia in materia di appalti pubblici, vieta all'appaltatore di opere appaltate dalla p.a. di concedere in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse senza l'autorizzazione dell'amministrazione committente; per cui il subappalto stipulato in violazione di tale norma imperativa è nullo ai sensi dell'art. 1418 c.c., perché in contrasto con una norma imperativa, e costituisce nel contempo grave inadempimento dell'appaltatore, che legittima la stazione appaltante a chiedere la risoluzione del contratto. Pertanto, posto che detto comportamento vietato dalla menzionata norma costituisce un fatto illecito dell'appaltatore in danno dell'amministrazione committente, lo stesso non può nel contempo rappresentare il titolo sul quale detto imprenditore fonda la richiesta di pagamento delle prestazioni fatte eseguire da un terzo in violazione della norma integratrice del contratto di appalto risolto per inadempimento; il che, peraltro, si tradurrebbe nell'esecuzione di quest'ultimo contratto, invece già risolto proprio in conseguenza dell'illiceità delle prestazioni suddette (Cass. n. 11131/1993). Ma tale divieto, ha precisato la Corte di cassazione, si estende fino al punto che in mancanza di una tale preventiva autorizzazione, il contratto di subappalto di opera pubblica, o di parte di essa, è in contrasto con norma imperativa, e tale contrasto determina la nullità del contratto, ai sensi dell'art. 1418 c.c., quando non sia diversamente disposto dalla legge (Cass. n. 3950/2008). Se ne desume il seguente corollario: il divieto di concedere in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere oggetto di un pubblico appalto, senza l'autorizzazione preventiva dell'amministrazione committente non può essere superato (o, peggio, aggirato) attraverso la previsione della stipula di una clausola che subordini l'efficacia del subappalto alla condizione sospensiva del rilascio dell'autorizzazione della stazione appaltante, successiva alla stipula del subcontratto, impedendolo la norma imperativa di cui alla l. n. 646/1982, art. 21 (modificata dalla l. n. 726/1982 e l. n. 936/1982), e i rilevanti interessi pubblici ad essa sottesi (Cass. n. 22841/2016). Infatti, l' art. 21 l. n. 646/1982, che vieta all'appaltatore di opere pubbliche di cedere in subappalto o a cottimo l'esecuzione delle opere stesse o di una loro parte senza l'autorizzazione dell'autorità competente, prevedendo a carico del contravventore la sanzione penale dell'arresto e dell'ammenda, è una disposizione che, inserita in una legge contenente anche norme di prevenzione di carattere patrimoniale per la lotta contro la criminalità organizzata e mafiosa, è chiaramente finalizzata alla tutela preventiva della collettività dall'ingerenza mafiosa (o della criminalità organizzata) nella esecuzione di opere pubbliche. Ne deriva che, in mancanza di siffatta preventiva autorizzazione, il contratto di subappalto di opera pubblica, o di parte di essa, è in contrasto con una norma imperativa, e tale contrasto determina la nullità del contratto ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1418 c.c. che sancisce la nullità (virtuale) dei contratti contrari a norme imperative, quando dalla legge — come nella specie — non sia diversamente disposto (Cass. n. 11131/2003; Cass. n. 11450/1997). È stato, inoltre, enunciato il principio, secondo cui l'ipotesi di nullità del contratto per contrarietà alle norme imperative si verifica, salvo che la legge disponga altrimenti, indipendentemente da una espressa comminatoria della sanzione di nullità nei singoli casi, in quanto la norma dell'art. 1418 c.c. esprime un principio generale, che consente di disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione di precetti imperativi non si accompagna una specifica previsione di nullità. In tali casi, compito del giudice, ai fini della declaratoria di nullità del contratto, è solo quello di stabilire se la norma o le norme contraddette dall'autonomia privata abbiano carattere imperativo, siano, cioè, dettate a tutela dell'interesse pubblico (Cass. n. 3272/2001; Cass. n. 1901/1977). BibliografiaAA.VV., L'appalto privato, Trattato diretto da Costanza, Torino 2000; Amore, Appalto e claim, Padova 2007; Cagnasso, Appalto nel diritto privato, in Dig. disc. priv., I, Torino 1987; Capozzi, Dei singoli contratti, Milano, 1988; Cianflone, Giovannini, L'appalto di opere pubbliche, Milano, 2003; De Tilla, L'appalto privato, Il diritto immobiliare, Milano 2007; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2013; Iudica, Appalto pubblico e privato. Problemi e giurisprudenza attuali, Padova, 1997; Lapertosa, Responsabilità e garanzia nell'appalto privato, in AA.VV., Appalto pubblico e privato. 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