Codice Civile art. 1660 - Variazioni necessarie del progetto.

Francesco Agnino

Variazioni necessarie del progetto.

[I]. Se per l'esecuzione dell'opera a regola d'arte è necessario apportare variazioni al progetto e le parti non si accordano, spetta al giudice di determinare le variazioni da introdurre e le correlative variazioni del prezzo.

[II]. Se l'importo delle variazioni supera il sesto del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore può recedere dal contratto e può ottenere, secondo le circostanze, un'equa indennità.

[III]. Se le variazioni sono di notevole entità, il committente può recedere dal contratto ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo.

Inquadramento

La norma è volta a garantire l'equilibrio del rapporto evitando sia che una parte subisca le conseguenze delle variazioni del prezzo, se ciò non è giustificato, sia che, entrambe, rimangano vincolate al contratto se questo diventa eccessivamente gravoso per esse.

Ratio della norma

L'art. 1660 c.c., che disciplina le variazioni necessarie al progetto dell'appalto, riguarda un'ipotesi di impossibilità dell'oggetto e costituisce espressione della volontà del legislatore di non attribuire uguale efficacia a qualsiasi ipotesi di impossibilità dell'oggetto, in quanto prevede, diversamente dall'art. 1672 c.c. (relativo all'impossibilità assoluta di conseguimento del risultato), che il contratto abbia esecuzione anche se il suo oggetto sia divenuto in parte impossibile, e ciò mediante l'introduzione delle necessarie varianti, i cui limiti le parti possono anche avere preventivamente determinato, e tale soluzione resta valida anche con riferimento ad un'impossibilità originaria, perché nulla vieta che le parti, con apposite clausole contrattuali, deroghino alla disciplina generale, prevedendo la possibilità di un mutamento parziale dell'oggetto al fine di renderlo possibile anche nell'eventualità che si riscontri un'impossibilità originaria di realizzazione del progetto (Cass. n. 1364/1979).

Pertanto, la disciplina delle variazioni necessarie del progetto dell'opera appaltata, posta dall'art. 1660, contempla l'ipotesi in cui, durante l'esecuzione del contratto, sia necessario apportare variazioni al progetto, il cui costo è a carico del committente, non le ipotesi in cui la necessità di variazioni sia accertata dopo l'esecuzione del contratto e sia dovuta all'inadeguatezza dell'esecuzione stessa, in cui il costo delle opere è a carico dell'appaltatore a norma dell'art. 1668, comma 1 c.c. (Cass. n. 5666/1978).

Il pagamento delle opere aggiuntive eseguite è dovuto indipendentemente dal fatto che l'appaltatore ne abbia avvertito il committente (Cass. n. 349/1966).

Va in proposito ricordato che la diligenza nell'adempimento, cui è tenuto ogni debitore ai sensi dell'art. 1176, comma 1 c.c. si connota in modo peculiare per l'appaltatore, assumendo costui un'obbligazione di risultato (e non di mezzi) ed essendo pertanto tenuto a realizzare l'opera a regola d'arte, osservando, nell'esecuzione della prestazione, la diligenza qualificata ai sensi dell'art. 1176, comma 2 c.c. quale modello astratto di condotta, che si estrinseca (sia egli professionista o imprenditore) nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, volto all'adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell'interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi.

Sul punto, va ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha statuito che la responsabilità dell'appaltatore per i vizi dell'opera sussiste ancorché tali vizi siano riconducibili ad una condizione posta in essere da un terzo (come nel caso in cui egli sia chiamato ad eseguire un progetto predisposto dal committente), essendo l'appaltatore tenuto verso il committente — per aver assunto un'obbligazione di risultato e non di mezzi — a realizzare l'opera a regola d'arte e rispondendo anche per le condizioni imputabili allo stesso committente o a terzi se, conoscendole o potendole conoscere con l'ordinaria diligenza, non le abbia segnalate all'altra parte, né abbia adottato gli accorgimenti opportuni per far conseguire il risultato utile, salvo che, in relazione a tale situazione, ottenga un espresso esonero di responsabilità (Cass. n. 10927/2011). Si è affermato perciò che l'appaltatore, anche laddove si attenga alle previsioni del progetto altrui, può comunque essere ritenuto responsabile per i vizi dell'opera se, nell'eseguire fedelmente il progetto e le indicazioni ricevute, non segnali eventuali carenze ed errori, giacché la prestazione da lui dovuta implica anche il controllo e la correzione degli eventuali errori del progetto, mentre egli va esente da responsabilità laddove il committente, pur reso edotto delle carenze e degli errori, gli richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o gli ribadisca le indicazioni, in tale ipotesi risultando l'appaltatore stesso ridotto a mero nudus minister, cioè passivo strumento nelle mani del primo, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico (Cass. n. 1981/2016; Cass. n. 22036/2014; Cass. n. 10927/2011; Cass. n. 12995/2006). Pertanto, ove l'appaltatore non fornisca la prova di aver manifestato al committente il proprio dissenso dalle previsioni progettuali per gli errori in esse contenuti e di essere stato cionondimeno indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo, egli è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (Cass. n. 8016/2012).

In altri termini, l'obbligazione di risultato assunta dall'appaltatore (salvo il caso in cui lo stesso operi quale mero nudus minister) implica che egli osservi comunque i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli e sia obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente, essendo responsabile nei confronti di quest'ultimo per i vizi dell'opera ove le previsioni progettuali siano palesemente errate.

Questo è il senso della previsione di cui all'art. 1160 c.c., secondo cui «se per l'esecuzione dell'opera a regola d'arte, è necessario apportare variazioni al progetto e le parti non si accordano, spetta al giudice di determinare le variazioni da introdurre e le correlative variazioni del prezzo».

In tema di contratto di appalto, l'appaltatore è tenuto a realizzare l'opera a regola d'arte, osservando, nell'esecuzione della prestazione, la diligenza qualificata ai sensi dell'art. 1176, comma 2 c.c. quale modello astratto di condotta, che si estrinseca nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, volto all'adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell'interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi; ove quest'ultima ipotesi non ricorra ed egli debba attenersi alle previsioni del progetto predisposto dal committente ovvero da terzi, poiché l'impostazione dell'opera deve corrispondere ad una funzionalità ed utilizzabilità tali da renderla accettabile nonché tecnicamente idonea a soddisfare le esigenze del committente (risultanti dal contratto), lo stesso ha comunque il dovere di rendere edotto il committente medesimo di eventuali obiettive situazioni o carenze del progetto, rilevate o rilevabili con la normale diligenza, ostative all'utilizzazione dell'opera ai fini pattuiti: e ciò anche allo scopo di promuoverne le modifiche necessarie al conseguimento di detto risultato; egli va quindi esente da responsabilità per i vizi e le difformità di cui l'opera può risultare affetta in conseguenza delle rilevate carenze e dei segnalati errori, laddove il committente, pur resone edotto, gli richieda anche tramite la direzione dei lavori di dare egualmente esecuzione al progetto o gli ribadisca le indicazioni: in tale ipotesi risultando l'appaltatore stesso ridotto a mero nudus minister, cioè passivo strumento nelle mani del primo, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico (Cass. n. 12995/2006; Cass. n. 3752/2007; Cass. n.8016/2012: l'appaltatore ha il preciso obbligo, normativamente sanzionato, di eseguire le opere a regola d'arte assicurando al committente un'opera esente da vizi e garantendo allo stesso un risultato tecnico conforme alle sue esigenze ed è tenuto a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni od i vizi dell'opera. Inoltre, l'appaltatore stante l'obbligo di eseguire a regola d'arte l'opera commessagli, deve osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli. Con la specifica intesa che al fine di assolvere il proprio obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, l'appaltatore è obbligato a controllare —come è già stato affermato da Cass. n. 821/1983, nei limiti delle sue cognizioni tecniche, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente ed, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l'appaltatore è tenuto, al titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera senza potere invocare il concorso di colpa del progettista o del committente. E di più, come, è stato già detto da Cass. n. 2214/1975 neppure, eventuali errori nelle istruzioni del Direttore dei Lavori esimono l'appaltatore da responsabilità, essendo egli tenuto a controllarli e correggerli, secondo diligenza e perizia e dovendo egli sempre uniformarsi alle regole tecniche).

Quando si tratti di variazioni al progetto strettamente necessarie alla realizzazione a regola d'arte dell'opera commessa in appalto, deve ritenersi consentito all'appaltatore darvi esecuzione senza preventiva autorizzazione del committente (in tal senso, Cass. n. 349/1966). In tal caso, in mancanza di accordo fra le parti, spetterà al giudice accertare la necessità delle variazioni e determinare il corrispettivo di tali lavori, parametrandolo ai prezzi unitari previsti nel preventivo ovvero ai prezzi di mercato correnti.

In tema di appalto, le variazioni non previste nel progetto, ove strettamente necessarie per la realizzazione dell'opera, possono essere eseguite dall'appaltatore senza la preventiva autorizzazione del committente ma, in tal caso, ove manchi l'accordo tra le parti, spetta al giudice accertarne la necessità e determinare il corrispettivo delle relative opere, parametrandolo ai prezzi unitari previsti nel preventivo ovvero ai prezzi di mercato correnti (Cass. n. 10891/2017: in tema di appalto, le variazioni di cui all'art. 1660 c.c., sono quelle non previste nel progetto, ma rese necessarie dall'esecuzione dell'opera; ove si tratti di variazioni strettamente necessarie alla realizzazione a regola d'arte dell'opera commessa in appalto, deve ritenersi consentito all'appaltatore darvi esecuzione senza preventiva autorizzazione del committente, ma in tal caso, in mancanza di accordo fra le parti, spetta al giudice accertare la detta necessità delle variazioni e determinare il corrispettivo delle relative opere, parametrandolo ai prezzi unitari previsti nel preventivo ovvero ai prezzi di mercato correnti).

Secondo un principio consolidato, nel caso in cui il corrispettivo dell'appalto, secondo un progetto che non preveda l'esecuzione di determinate opere, sia stato stabilito senza alcun riferimento alle opere ulteriormente sopravvenute (e realizzate), il prezzo delle necessarie variazioni integrative, a meno che non risulti una contraria volontà delle parti, non può considerarsi compreso in quello previsto nell'appalto e, anche quando il progetto sia stato predisposto dall'appaltatore, deve essere determinato dal giudice ai sensi del citato art. 1660 c.c. (Cass. n. 9796/2011; Cass. n. 3353/1993).

Peraltro, nel contratto di appalto stipulato tra privati, quando il corrispettivo sia stato fissato a corpo e non a misura, il prezzo viene determinato in una somma fissa ed invariabile che non può subire modifiche, se non giustificate da variazioni in corso d'opera; sicché, nel caso di parziale inadempimento dell'appaltatore, ove sia necessario determinare il suo compenso per i lavori già eseguiti, il dato di riferimento è sempre il prezzo concordato a corpo, con la conseguenza che da questo va detratto il costo dei lavori non eseguiti e non, invece, calcolato il costo di quelli realizzati (Cass. n. 34646/2022).

Facoltà di recesso per l'appaltatore e modalità di esercizio

La facoltà di recesso dell'appaltatore è prevista dal comma 2 dell'art. 1660, per il solo caso che si rendano necessarie all'esecuzione dell'opera variazioni del progetto eccedenti il sesto del corrispettivo totale dell'appalto. Invece, per variazioni non necessarie, che superino tale limite, l'art. 1661, attribuisce all'appaltatore soltanto la facoltà di rifiutarsi di eseguirle e di continuare l'esecuzione dell'opera secondo il progetto originario, ma non anche quella di recedere dal contratto (Cass. n. 3267/1971).

Le contestazioni circa la eventuale ineseguibilità del progetto o la necessità di variazioni, ai fini dell'esonero dell'appaltatore dalle responsabilità che la legge espressamente gli attribuisce, devono essere tempestivamente comunicate da questi direttamente al committente, e non al direttore dei lavori, atteso che costui, quale ausiliare del committente, ne assume la rappresentanza limitatamente alle sole materie strettamente tecniche (Cass. n. 5632/1996).

Analogamente, in tema di appalto di opere pubbliche, gli aumenti dei lavori o le variazioni richiesti dalla stazione appaltante, che superino il quinto dell'importo delle opere inizialmente pattuite, attribuiscono all'appaltatore, che non intenda assoggettarvisi, un diritto soggettivo perfetto alla risoluzione del contratto, e, in aggiunta, ex art. 14, comma 4 d.P.R. n. 1063/1962, la possibilità di una sua modifica consensuale in ordine al prezzo dei lavori aggiuntivi, ma quest'ultima ipotesi non gli riconosce alcun diritto alla prosecuzione del contratto a prezzi aggiornati, o alla modifica unilaterale dei patti e delle condizioni contrattuali originarie, o, addirittura, alla proroga della sua durata, ovvero alla sospensione della sua esecuzione in attesa delle determinazioni dell'amministrazione sull'aumento dei lavori (Cass. n. 10165/2016).

L'appalto di opere pubbliche, come si desume dallo stesso art. 1655 c.c., comporta che l'appaltatore assuma il compimento di un'opera «con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione» proprie ed a proprio rischio; sicché la più qualificata dottrina e la giurisprudenza hanno ritenuto che tale organizzazione postuli anzitutto l'impianto di un cantiere sul luogo di esecuzione dell'opera per un periodo di tempo pari alla durata dei lavori, perciò gravante esclusivamente sull'appaltatore sulla cui consistenza e sul cui funzionamento all'amministrazione committente non consentito di interferire. È del pari noto che il cantiere richiede le c.d. opere provvisionali fra cui rientrano proprio le strade, le piste di servizio nonché le vie di accesso e quant'altro risulta funzionale all'esecuzione dei lavori; e che seppure il relativo approntamento costituisce un costo di impianto e di esercizio, variabile nei singoli appalti in dipendenza di diversi fattori, la relativa spesa è disciplinata dall'art. 16 d.P.R. n. 1063/1962, (ora art. 5 d.m. n. 145/2000) che ne elenca specificamente le possibili componenti e la pone espressamente a carico dell'appaltatore, includendola fra quelle che devono determinare la formazione del prezzo dell'appalto (Cass. n. 28429/2011).

Sicché la sola tutela attribuita all'appaltatore in caso di costi ulteriori ed imprevedibili è quella dell'art. 1467 c.c. che gli consente, ricorrendo le condizioni ivi previste, di domandare la risoluzione del contratto; ovvero la richiesta di indennizzo di cui all'art. 1664 c.c.

Pretesi comportamenti e/o inadempimenti della stazione appaltante non possono poi essere fatti valere ad alcun titolo dall'imprenditore allorché siano antecedenti alla consegna dei lavori ovvero alla stessa sostanzialmente contestuali, come nella specie ha prospettato la ricorrente con particolare riferimento alla variante progettuale inerente alla rotazione del fabbricato ed alla situazione dei luoghi riguardanti il cantiere ed i suoi accessi: poiché detti inadempimenti trovano sia nell'art. 10 r.d. n. 350/1895, sia nel capitolato generale di cui al d.P.R. n. 1063/1962, una disciplina peculiare che li sottrae alla normativa generale dettata in tema di inadempimento contrattuale dal codice civile, disponendo anche l'art. 10 del Capitolato, che in tali casi, così come in quello di mancata consegna dei lavori da parte del committente, è conferito all'appaltatore non il diritto di risolvere il rapporto né di richiedere prestazioni risarcitorie ai sensi dell'art. 1453 c.c., ma unicamente la «facoltà» di presentare istanza di recesso dal contratto ed il diritto di pretendere, se tale istanza non è accolta, un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo oltre a un congruo prolungamento dal termine originariamente fissato.

Con la conseguenza — più volte posta in evidenza dalla giurisprudenza che la riconoscibilità di un risarcimento all'appaltatore può venire in esame solo se questi abbia previamente esercitato la facoltà di recesso dal contratto», dovendosi altrimenti presumere che egli consideri ancora eseguibile il contratto senza ulteriori oneri (Cass. n. 22112/2015; Cass. n.2983/2013; Cass. n. 4780/2012; Cass. n. 26916/2008).

Il tutto senza considerare che la dichiarazione dell'impresa necessariamente richiesta dall'art. 1 d.P.R. n. 1063/1962,, di aver esaminato la situazione dei luoghi e di averne valutato i riflessi sull'esecuzione dell'opera, lungi dal costituire una mera clausola di stile o dal risolversi in un riconoscimento della remuneratività dei prezzi dell'appalto, si traduce in un'attestazione della presa di conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono influire sull'esecuzione dell'opera: perciò ponendo a carico dell'appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui corrisponde una altrettanto precisa responsabilità che le preclude qualsiasi richiesta di ulteriori corrispettivi e/o risarcimenti in ordine ad esse (Cass. 10074/2015; Cass. n. 3932/2008; Cass. n. 13734/2003).

Principi similari disciplinano gli aumenti dei lavori o le variazioni richiesti dalla stazione appaltante che superino il quinto dell'importo delle opere contrattualmente previste, in quanto: a) già l'art. 344 della legge sui lavori pubblici 2248 del 1865 All. 7, in conformità al principio dell'invariabilità dei prezzi dell'appalto posto dall'art. 326 e ribadito dall'art. 342, comma 2, disponeva l'obbligo dell'appaltatore di eseguire i maggiori lavori richiesti dalla stazione appaltante fino ad 1/5 dell'importo originario «allo stesse condizioni del contratto», attribuendo a quest'ultimo nell'ipotesi in cui tale importo venisse superato il solo diritto di risolvere il contratto; b) da questa disciplina, sostanzialmente riprodotta dal r.d. n. 2440/1923, art. 11 («Al di là di questo limita «gli ha diritto alla risoluzione del contratto») nonché dall'art. 120 r.d. n. 827/1924, («... ove non si avvalga del diritto alla risoluzione del contratto...»), dottrina e giurisprudenza hanno tratto la regola, ormai del tutto consolidata, che in caso di superamento del 6/5 delle opere contrattualmente previste, il legislatore abbia riservato all'impresa appaltatrice una alternativa netta che non consente il ricorso a terze vie, fra il diritto di risolvere il contratto e la volontà di assoggettarsi all'aumento in base agli originari prezzi contrattuali: opzione quest'ultima ribadita espressamente dal menzionato art. 120 dal quale è peraltro considerata conseguenza automatica ove l'appaltatore non si sia avvalso della risoluzione del contratto; c) siffatto regime contenente identica alternativa è stato trasfuso nei primi due commi dall'art. 14 d.P.R. n. 1063/1962 (Cass. n. 5794/1993), la cui applicazione comporta la conseguenza che nel caso di opere eccedenti il quinto di cui si discute, anche quest'ultima norma ha mantenuto ferma l'attribuzione all'appaltatore di un diritto soggettivo perfetto alla risoluzione del contratto, onda evitargliene l'ulteriore esecuzione «senza... indennità alcuna» (comma 1): diritto perciò pieno ed assolutamente indipendente dal comportamento e/o da iniziative procedimentali della stazione appaltante e riservato, quanto all'esercizio, esclusivamente a scelte discrezionali ed insindacabili dell'appaltatore.

Vero è che l'art. 14, comma 4, in aggiunta alla menzionata opzione, ha introdotto la possibilità di modifica consensuale dal contratto in ordine al prezzo dei lavori aggiuntivi, attribuita questa volta al comportamento congiunto di entrambi i contraenti. Ma in nessun caso detta possibilità, che nel caso concreto non si è pacificamente avverata, comporta il riconoscimento in favore dell'appaltatore di un diritto alla prosecuzione del contratto a prezzi aggiornati ovvero a ulteriori risarcimenti, né tanto meno quello di modificare unilateralmente i patti e le condizioni del contratto originario (la norma gli conferisce soltanto la facoltà di proporre «diverse condizioni» del contratto), o addirittura di prorogarne la durata nonché di sospenderne l'esecuzione in attesa di conoscere le determinazioni dell'amministrazione sull'aumento dei lavori (Cass. n. 10165/2016).

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