Codice Civile art. 1669 - Rovina e difetti di cose immobili.

Francesco Agnino

Rovina e difetti di cose immobili.

[I]. Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta [2053].

[II]. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia.

Inquadramento

La ratio sottesa alla norma è diversa a seconda che si ritenga che preveda una responsabilità contrattuale (1218) o aquiliana (2043): nel primo caso essa è posta a tutela dell'interesse del committente ad usufruire a lungo di un bene a ciò destinato e, perciò, prevede una garanzia che si protrae oltre il termine biennale di cui all'art. art. 1668; nel secondo caso è posta a salvaguardia di un superiore interesse pubblico che si identifica con l'incolumità di chiunque possa venire a contatto con l'immobile.

L'art. 1669 c.c. rubricato “Rovina e difetti di cose immobili” prevede, come noto, la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa laddove l'opera, nel corso di 10 anni dal suo compimento, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, purché sia fatta la denuncia entro un anno dalla scoperta.

Il comma 2 poi precisa che il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia. Una questione che è sempre stata sottoposta all'attenzione sia della dottrina che della giurisprudenza concerne l'individuazione del momento esatto in cui un vizio possa dirsi scoperto ai sensi. Tale problematica non è di scarsa importanza, in quanto dalla sua soluzione si fa dipendere l'inizio della decorrenza del termine annuale previsto dalla norma civilistica di cui si tratta. In altri termini il dibattito verte sul se la decorrenza del termine in esame debba essere fatto coincidere con la percezione del vizio da parte del soggetto interessato ovvero con il momento, necessariamente successivo al primo, in cui il committente-acquirente ha piena contezza della sussistenza del difetto. Sul punto, la giurisprudenza ha costantemente avallato quest'ultimo orientamento sostenendo che in tema di garanzia per gravi difetti dell'opera ai sensi dell'art. 1669 c.c., il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause (Cass. n. 1463/2008).

L'ambito della responsabilità, posta dall'art. 1669 c.c. a carico dell'appaltatore per rovina o difetti della costruzione, in mancanza di limitazioni legali, deve ritenersi coincidere con quello generale della responsabilità extracontrattuale e, come tale, include tutte le spese necessarie per eliminare, definitivamente e radicalmente, i difetti medesimi, anche mediante la realizzazione di opere diverse e più onerose di quelle originariamente progettate nel capitolato d'appalto, purché utili a che l'opera possa fornire la normale utilità propria della sua destinazione (Cass. n. 18522/2016; Cass. n. 4319/2016).

Inoltre, la circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto, non vale ad attribuirgli le veste di appaltatore nei confronti dell'acquirente e a quest'ultimo la qualità di committente nei confronti del primo. L'acquirente non può pertanto esercitare l'azione per ottenere l'adempimento del contratto d'appalto e l'eliminazione dei difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione esclusivamente al committente del contratto d'appalto di natura contrattuale, diversamente di quella prevista dall'art. 1669 c.c., di natura extracontrattuale operante non solo a carico dell'appaltatore nei confronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti dell'acquirente (Cass. n. 26574/2017; Cass. n. 11540/1992).

L'articolo 1669  - riferendosi genericamente alla responsabilità dell'appaltatore per il caso di rovina o pericolo di rovina di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, senza precisare la forma con la quale il danno deve essere risarcito e senza, perciò, limitare la responsabilità stessa alla particolare tutela della reintegra per equivalente - si ricollega al principio generale secondo il quale, nei limiti stabiliti dall'articolo 2058 , prevede l'alternativa possibilità del risarcimento in forma specifica o per equivalente pecuniario e non esclude, quindi, l'ammissibilità della domanda di condanna dell'appaltatore alla eliminazione diretta dei vizi della costruzione (Cass. n. 24052/2021).

Natura della responsabilità

Secondo la tesi prevalente in giurisprudenza (Cass. n. 2284/2014; Cass. n. 17874/2013; Cass. n. 21089/2012; Cass. n. 8520/2006; Cass. n. 3406/2006), ed accolta da parte della dottrina (Gazzoni, 1170; Pedrazzi, 775 ss.; Lapertosa, 21 ss.; Cagnasso, 174 ss.), l'art. 1669, nonostante la sua collocazione sistematica entro la disciplina del contratto d'appalto, prevede una responsabilità di tipo extracontrattuale, in quanto posto a tutela di interessi aventi rilevanza pubblica, concernenti la stabilità e solidità degli edifici di lunga durata e l'incolumità personale della collettività. La ratio della norma, in quest'ottica, è di garantire una maggiore protezione a chiunque possa subire pregiudizio a causa dei vizi di costruzione di un immobile di lunga durata, anche considerata la possibilità che i difetti costruttivi si manifestino dopo anni dalla realizzazione dell'edificio.

In altri termini, l'art. 1669 c.c. non tutela tanto l'interesse privato del committente alla realizzazione di un'opera dotata di stabilità, quanto piuttosto l'interesse generale a che non vengano costruite opere pericolose per la collettività, in modo tale da preservare l'incolumità pubblica (Cass. n. 462/2002, si spiega che le disposizioni di cui all'art. 1669 c.c. mirano a disciplinare le conseguenze dannose di quei difetti che incidono profondamente sugli elementi essenziali dell'opera e che influiscono sulla durata e solidità della stessa compromettendone la conservazione e configurano, quindi, una responsabilità extracontrattuale sancita per ragioni e finalità di interesse generale).

Sul piano della comune responsabilità contrattuale, la disciplina generale è integrata, ma non esclusa, da quella speciale, ed opera nel caso in cui l'appaltatore abbia violato le prescrizioni pattuite, per l'esecuzione dell'opera o le regole imposte dalla tecnica (Cass. n. 1186/2015). Diversamente, nel caso in cui l'opera appaltata non sia stata ultimata, non troveranno applicazione le norme generali, in materia di risoluzione del contratto per inadempimento, bensì, in via esclusiva, la disciplina di cui all'art. 1669 c.c.

Ciò perché la responsabilità in tema di rovina e difetti d'immobili, regolata dall'art. 1669 c.c., ha natura non contrattuale, dal momento che la fonte delle relative obbligazioni va rinvenuta non in un contratto o in un fatto illecito, bensì nella terza specie di fonti, prevista dall'art. 1173 c.c., cioè in un fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico.

Pertanto, in caso di opera incompleta, costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, nell'ipotesi in cui l'appaltatore non abbia portato a termine l'esecuzione dell'opera commissionata, restando inadempiente all'obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è senz'altro quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt. 1453 e 1455 c.c., laddove la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l'opera sia stata portata a termine, ma presenti vizi, difformità o difetti (Cass. n. 8103/2006; Cass. n. 13983/2011; Cass. n. 1186/2015).

Questo indirizzo è stato poi, nel corso degli anni, tralaticiamente esteso anche all'ipotesi di rovina e difetti di cose immobili disciplinata dall'art. 1669 c.c. (Cass. n. 10255/1998; Cass. n. 9849/2003; Cass. n. 9333/2004). Alla luce di tale ampliamento, il principio che si legge scolpito nelle massime è il seguente: le disposizioni speciali in tema di inadempimento del contratto di appalto (artt. 1667,1668 e 1669 c.c.) integrano, ma non escludono, l'applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell'appaltatore ex artt. 1453 e 1455 c.c. sorge allorquando egli non esegue interamente l'opera o, se l'ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell'appaltatore, inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell'opera, prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per l'esecuzione dell'opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, nel caso di omesso completamento dell'opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell'appaltatore per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia che richiede necessariamente il totale compimento dell'opera (Cass. n. 28233/2017).

In definitiva, si è formato il diffuso convincimento secondo cui, in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667,1668 e 1669 c.c., indifferentemente intese, integrino — senza escluderne l'applicazione — i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni (Cass. n. 4446/2012).

Anche di recente è stato ribadito che l'ambito della responsabilità, posta dall'art. 1669 c.c. a carico dell'appaltatore per rovina o difetti della costruzione, in mancanza di limitazioni legali, deve ritenersi coincidere con quello generale della responsabilità extracontrattuale (Cass. n. 4319/2016) o, comunque, della responsabilità non contrattuale (trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale), con carattere di specialità rispetto al disposto dell'art. 2043 c.c. (Cass. S.U., n. 2284/2012) e sancita per ragioni e finalità di interesse generale (Cass. n. 7634/2006).

In proposito, è opportuno evidenziare che la responsabilità per fatto lecito dannoso non ha carattere eccezionale, poiché l'espressione «ordinamento giuridico» che accompagna, nell'art. 1173 c.c., il riferimento alla terza specie di fonti delle obbligazioni, ossia quelle che derivano «da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico», non si risolve in una mera indicazione riassuntiva di un elenco chiuso costituito da tutte le altre fonti nominate (diverse dal contratto o dal fatto illecito), ma consente un'apertura all'analogia, ovvero alla possibilità che taluni accadimenti, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, siano ritenuti idonei alla produzione di obbligazioni alla luce dei principi e dei criteri desumibili dall'ordinamento considerato nella sua interezza, complessità ed evoluzione (Cass. n. 25292/2015). È in questo contesto normativo che, a ben vedere, sono situabili le obbligazioni derivanti, nell'ambito di un rapporto di appalto, dalla rovina di cose immobili.

La disciplina generale dettata in tema di risoluzione del contratto per inadempimento è integrata solo dalle disposizioni contenute negli artt. 1667 e 1668 c.c. sul piano della comune responsabilità contrattuale (Cass. n. 1186/2015).

Ma, allora, da tale inquadramento deriva, come necessario corollario logico, che le norme generali dettate in tema di risoluzione contrattuale per inadempimento dagli artt. 1453 c.c. e ss. non sono tout court estensibili alla fattispecie disciplinata dall'art. 1669 c.c.

Ulteriore conseguenza del predetto inquadramento giuridico è rappresentata dal fatto che quest'ultima disposizione è applicabile anche nel caso in cui l'opera commissionata non sia stata portata a termine.

In base a questa impostazione, proprio la tutela dell'esigenza di ordine pubblico della conservazione e funzionalità degli edifici giustifica il maggior rigore della responsabilità addossata al costruttore ai sensi dell'art. 1669 rispetto a quella di cui agli artt. 1667-1668 (Savanna, 84). Si osserva, peraltro, che se fosse posto esclusivamente a presidio dell'interesse privato del committente, l'art. 1669 si rivelerebbe superfluo, giacché in sua assenza l'interesse privato sarebbe egualmente soddisfatto dagli artt. 1667 e 1668.

Conseguentemente, si afferma che tale responsabilità non trae fondamento dal contratto d'appalto, bensì, piuttosto, dal fatto in sé di aver costruito l'immobile, indipendentemente dalla qualifica del rapporto giuridico sottostante, assumendo così i caratteri propri della responsabilità da fatto illecito.

La dottrina maggioritaria, nonché la giurisprudenza più risalente (Cass. n. 1309/1961; Cass. n. 908/1959; Cass. n. 538/1959; Cass. n. 1178/1955), attribuiscono invece natura contrattuale alla responsabilità dell'appaltatore ex art. 1669 c.c.

Le argomentazioni su cui questa tesi si fonda concernono principalmente la collocazione sistematica della norma entro la disciplina del contratto di appalto e il dato letterale della stessa.

In effetti, in base ad un'interpretazione letterale della norma, la legittimazione attiva risulta spettare soltanto al committente ed i suoi aventi causa. Ebbene, secondo questa impostazione, il legislatore, limitando la legittimazione a tali soggetti, ha implicitamente indicato l'interesse tutelato dalla norma, ossia l'interesse privato del proprietario alla stabilità e solidità del proprio immobile nel tempo e, pertanto, alla corretta esecuzione del contratto d'appalto. A sostegno di quest'assunto, si osserva che se davvero l'art. 1669 fosse posto a tutela dell'interesse generale all'incolumità pubblica, non si comprenderebbe il requisito della lunga durata dell'immobile, dal momento che i terzi potrebbero subire pregiudizi anche da opere minori, così come per cause diverse dalla rovina e da gravi difetti. La dottrina rileva, inoltre, che il legislatore, al fine di garantire la tutela dei terzi durante la realizzazione dell'opera, ha posto accorgimenti diversi, richiedendo, ad esempio, particolari competenze a chi svolge attività edilizia nonché l'assicurazione obbligatoria sul lavoro. In riferimento alla specifica ipotesi di danni a terzi causati dalla rovina di edifici, soccorre poi l'art. 2053 c.c., che detta una specifica responsabilità extracontrattuale a carico del proprietario. In quest'ottica, il terzo potrà, altresì, agire direttamente nei confronti dell'appaltatore in base alle regole generali di responsabilità aquiliana, di cui all'art. 2043, ma, in tal caso, sarà suo onere provare la colpa del costruttore.

Ulteriore conferma della natura contrattuale della responsabilità ex art. 1669 è data, secondo questa tesi, dal fatto che la norma individua espressamente quale legittimato passivo l'appaltatore. Secondo un'interpretazione letterale della norma, responsabile ai sensi dell'art. 1669 è, cioè, unicamente colui che riveste tale qualità, ossia il soggetto che assume contrattualmente l'obbligo di compiere un'opera con propria autonoma gestione ed organizzazione dei mezzi. A questo proposito, la dottrina osserva che detta interpretazione restrittiva non equivale a rendere esenti da responsabilità gli altri soggetti che sono intervenuti a diverso titolo nella realizzazione dell'opera. I terzi che hanno collaborato alla costruzione risponderanno, infatti, verso il committente ciascuno in conseguenza del diverso contratto con questi stipulato, valendo, in caso di prestazione d'opera intellettuale, l'art. 2236 e per il lavoro subordinato l'art. 2104.

In altri termini, secondo questa tesi, la responsabilità ex art. 1669, c.c. sostanziandosi in una garanzia di buona esecuzione dell'opera, risulta strettamente connaturata al contratto di appalto, e, pertanto, non può che essergli riconosciuta natura contrattuale.

La presunzione stabilita dal citato art. 1669 c.c. deve essere superata mediante la specifica ed univoca dimostrazione della carenza di responsabilità in capo all'appaltatore, la quale va supportata attraverso l'allegazione ed il riscontro di fatti positivi, precisi e concordanti, i quali, invero, non sono stati, nella fattispecie, comprovati dal ricorrente appaltatore, essendo, al contrario, emersa la prova inversa della corresponsabilità dello stesso alla luce delle complessive risultanze istruttorie acquisite e compiutamente valutate dal giudice di secondo grado, che non sono sindacabili in sede di legittimità.

Deve, perciò, trovare conferma il principio già affermato dalla Corte di cassazione secondo cui, in ordine alla costruzione di opere edilizie, l'indagine sulla natura e consistenza del suolo edificatorio rientra, in mancanza di diversa previsione contrattuale, tra i compiti dell'appaltatore, trattandosi di indagine implicante attività conoscitiva da svolgersi con l'uso di particolari mezzi tecnici — che al medesimo, quale soggetto obbligato a mantenere il comportamento diligente dovuto per la realizzazione dell'opera commessagli con conseguente obbligo di adottare tutte le misure e le cautele necessarie ed idonee per l'esecuzione della prestazione secondo il modello di precisione e di abilità tecnica nel caso concreto utile a soddisfare l'interesse creditorio, spetta assolvere mettendo a disposizione la propria organizzazione, atteso che lo specifico settore di competenza in cui rientra l'attività esercitata richiede la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell'attività necessaria per l'esecuzione dell'opera, sicché è onere del medesimo predisporre un'organizzazione della propria impresa che assicuri la presenza di tali competenze per poter adempiere l'obbligazione di eseguire l'opera immune da vizi e difformità. In altri termini, poiché l'esecuzione a regola d'arte di una costruzione dipende dall'adeguatezza del progetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui devono essere poste le relative fondazioni e la validità di un progetto di una costruzione edilizia è condizionata dalla sua rispondenza alle caratteristiche geologiche del suolo su cui essa deve sorgere, il controllo da parte dell'appaltatore va esteso anche in ordine alla natura e consistenza del suolo edificatorio. Ne consegue che per i difetti della costruzione derivanti da vizi ed inidoneità del suolo — anche quando gli stessi siano eventualmente ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal committente — l'appaltatore risponde (in tal caso prospettandosi l'ipotesi della responsabilità solidale con il progettista, a sua volta responsabile nei confronti del committente per inadempimento del contratto d'opera professionale ex art. 2235 c.c.) anche solo per difetto dell'ordinaria diligenza, potendo andare esente da responsabilità (che si presume ai sensi dell'art. 1669 c.c.) solamente laddove nel caso concreto le condizioni geologiche non risultino accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze e procedure «normali» avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell'attività esercitata (Cass. n. 3756/1999; Cass. n. 1154/2002; Cass. n. 1026/2013; Cass. n. 15321/2018).

In applicazione dei principi generali, per la Cassazione in tema di inadempimento del contratto d'appalto, laddove l'opera risulti ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all'appaltatore le difformità ed i vizi dell'opera, in virtù del principio inadimpleti non est adimplendum al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all'art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive, anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed, indipendentemente, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di detta domanda, che può anche mancare, senza pregiudizio alcuno per la proponibilità dell'eccezione in esame (Cass. n. 7041/2023).

Quanto ai rapporto con l'art. 2043 c.c. sul presupposto che la responsabilità ex art. 1669 c.c. è speciale rispetto a quella prevista dalla norma generale di cui all'art. 2043 c.c., ne consegue che, avuto riguardo alla costruzione di un edificio, quest'ultima può essere invocata soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi della responsabilità prevista per l'appunto dall'art. 1669 c.c., ma, pur tuttavia, non al fine di superare i limiti temporali entro cui l'ordinamento positivo ne consente l'operatività, ovvero senza poter "aggirare" lo speciale regime di prescrizione e decadenza che la caratterizza (Cass. n. 20450/2023).

Dal punto di vista processuale, non sussiste ipotesi di litisconsorzio necessario ove in tema di azione ex art. 1669 c.c. possano essere chiamati a rispondere l'appaltatore, il direttore dei lavori o anche il progettista, non determinandosi, per ciò solo, un'ipotesi di litisconsorzio necessario passivo, restando i rapporti nei confronti del danneggiato tra loro distinti. Con la conseguenza che, salvo a ricorrere l'ipotesi di esonero sopra descritta, l'appaltatore, può essere chiamato a rispondere del danno eventualmente procurato in solido con il direttore dei lavori (Cass. n. 15661/2023).

Nozione di grave difetto

Per gravi difetti di costruzione, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1669, devono intendersi ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo tanto la funzionalità quanto la normale utilizzazione dell'opera, (Cass. n. 456/2016; Cass. n. 84/2013; Cass. n. 20644/2013, per la quale, in tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che incida sulla struttura e funzionalità globale dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell'ipotesi di infiltrazione d'acqua e umidità nelle murature del vano scala, causata dalla non corretta tecnica di montaggio dei pannelli di copertura).

I gravi difetti che, ai sensi dell'art. 1669, fanno sorgere la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura (Cass. n. 19868/2009).

In particolare, in tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 non si identificano con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell'edificio ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando direttamente una parte dell'opera, incidano sulla struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell'opera medesima, come ad esempio si verifica nel caso di infiltrazioni di acqua e di umidità per difetto di copertura dell'edificio (Cass. n. 21351/2005); inoltre, configurano gravi difetti dell'edificio a norma dell'art. 1669 anche le carenze costruttive dell'opera — da intendere anche come singola unità abitativa — che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l'abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d'arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell'opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti, etc.), purché tali da compromettere la sua funzionalità e l'abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o che mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati (Cass. n. 8140/2004).

Il difetto di costruzione che, a norma dell'art. 1669, legittima il committente all'azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell'appaltatore, come del progettista, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un'insoddisfacente realizzazione dell'opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la rovina o il pericolo di rovina), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l'impiego duraturo cui è destinata, incida negativamente e in modo considerevole sul godimento dell'immobile medesimo (Cass. n. 2007/2011). In sostanza, i gravi difetti che, ai sensi dell'art. 1669, fanno sorgere la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura (Cass. n. 19868/2009).

Peraltro, le Sezioni Unite, componendo il relativo contrasto, hanno stabilito che l'art. 1669 è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo (Cass. n. 7756/2017).

Nella giurisprudenza di merito si è precisato che nel contratto d'appalto sono considerati gravi difetti dell'opera - rilevanti ai fini dell'art. 1669 c.c. - anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (ad es.: impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da compromettere la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo (Trib. Avezzano, 17 agosto 2023, n. 152).

I gravi difetti che possono dar luogo all'azione di responsabilità extracontrattuale del committente, ai sensi dell' art. 1669 del codice civile , non devono riguardare necessariamente parti essenziali dell'opera, ma possono anche consistere in elementi accessori o secondari che, se influiscono in modo significativo sul godimento dell'opera stessa, ne giustificano la contestazione. La qualificazione di un difetto come grave è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, il cui giudizio non può essere sindacato in sede di legittimità se adeguatamente motivato. Nel caso specifico, il giudice d'appello ha valutato in modo congruo e privo di vizi logici che alcuni difetti dell'opera non possano considerarsi gravi, come ad esempio la modellazione imperfetta del giardino o l'insufficiente coibentazione dei tubi di riscaldamento, poiché non comportano un impatto significativo sul godimento dell'opera (Cass. n. 5648/2024).

Decorrenza del termine per la denuncia

Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall'art. 1669, a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti (Cass. n. 81/2000), e che, la conoscenza completa idonea a provocare la decorrenza del doppio termine (decadenziale e prescrizionale) deve ritenersi acquisita, in assenza di anteriori esaustivi elementi, solo all'atto dell'acquisizione delle disposte relazioni peritali (Cass. n. 11740/2003), non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo.

In particolar modo, il termine annuale di decadenza di cui all'art. 1669 c.c. per la denuncia dei difetti dell'opera decorre dal giorno in cui il committente-appaltante-acquirente raggiunge un apprezzabile grado di conoscenza della gravità dei difetti stessi. Tale grado di conoscenza può essere immediato, laddove si tratti di difetti palesi, ovvero necessitare di apposita perizia (Cass. n. 12829/2018).

Ed ancora, il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall'art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, e tale termine può essere postergato all'esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale (Cass. n. 10048/2018).

In tema di responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili ai sensi dell'art. 1669 c.c., poiché la disciplina concernente la decadenza (e la prescrizione) per l'esercizio dell'azione ha lo scopo di non onerare il danneggiato della proposizione di domande generiche a carattere esplorativo, è necessario che la denuncia riveli una conoscenza sufficientemente completa del vizio e della responsabilità per lo stesso; sicché il termine di un anno per effettuare la stessa decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di consapevolezza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti. Tale conoscenza deve ritenersi, di regola, acquisita, in assenza di anteriori ed esaustivi elementi, solo all'atto dell'acquisizione di apposite relazioni peritali effettuate. In tal senso, la comunicazione della presenza di problemi all'impianto di smaltimento delle acque ed al rivestimento della facciata di un fabbricato urbano non denota un'immediata percezione né una piena comprensione della reale entità e delle possibili cause dei difetti costruttivi oggetto di lite (Cass. n. 12829/2018; Cass. n. 3040/2015; Cass. n. 9966/2014; Cass., n. 2460/2008; Cass. n. 1463/2008).

A riguardo, tuttavia, si necessita di una precisazione. Il decorso del termine annuale di decadenza di cui all'art. 1669 c.c. per la denuncia dei difetti dell'opera non è sempre e necessariamente postergato all'esito di relazioni peritali laddove tali difetti siano di immediata percezione nella loro reale entità. In definitiva, è orientamento costante in giurisprudenza quello in guisa del quale il termine annuale previsto per la denuncia dei gravi difetti dell'opera stabilito dall'art. 1669 c.c., decorre dal giorno in cui il committente-appaltante-acquirente abbia raggiunto un apprezzabile grado di conoscenza obbiettiva (che può essere immediata quando i difetti sono ictu oculi ovvero derivante da apposita perizia) della gravità dei difetti stessi e della loro derivazione eziologica dalla imperfetta ed inesatta esecuzione dell'opera.

In tema di appalto, ai fini della valutazione della fondatezza dell'eccezione di prescrizione ex art. 1669, comma 2, c.c, il giudice è tenuto non solo a considerare il decorso formale del termine annuale dalla data della denuncia, ma anche ad accertare, con apprezzamento sostanziale e di fatto, il momento nel quale il committente ha conseguito la conoscenza obbiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione eziologica dall'imperfetta esecuzione dell'opera (Cass. n. 1909/2025).

Rapporti con l'art. 2043 c.c.

Pur presupponendo un rapporto contrattuale (la norma si colloca nell'ambito della disciplina del contratto d'appalto), la fattispecie delineata dall'art. 1669 c.c. ne supera i confini e si configura come ipotesi di responsabilità extracontrattuale, che esige l'accertamento del contributo causale del soggetto passivo all'attività da cui è disceso il danno (Cass. n. 23470/2023).

Cosicché l'obbligazione derivante dalla legge persegue finalità di ordine pubblico, atte alla conservazione e funzionalità degli edifici destinati per loro natura a lunga durata, a tutela dell'incolumità personale e della sicurezza dei cittadini e, quindi, di interessi generali inderogabili.

Nonostante la sua collocazione sistematica, dunque, il bene giuridico alla cui tutela tende la norma in esame trascende il rapporto negoziale in base al quale l'immobile sia pervenuto nella sfera di dominio di un soggetto diverso dal costruttore e che - in ragione della rovina, dell'evidente pericolo di rovina o dei gravi difetti dell'opera - abbia subito un pregiudizio. Sussiste un rapporto di specialità tra l'art. 2043 c.c. (genus) e l'art. 1669 c.c. (species).

Tuttavia, poiché la responsabilità ex art. 1669 c.c. è speciale rispetto a quella prevista dalla norma generale di cui all'art. 2043 c.c., l'applicazione dell'art. 2043 c.c. può essere invocata soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi dell'azione di responsabilità previsti dall'art. 1669 c.c., e non già al fine di superare i limiti temporali entro cui l'ordinamento positivo appresta la tutela specifica, ovvero senza poter "aggirare" il peculiare regime di prescrizione e decadenza che connota l'azione speciale (Cass. n. 31301/2023).

La medesima conclusione vale per l'ipotesi in cui difettino i presupposti soggettivi, ossia la legittimazione attiva per la qualità dei soggetti pretendenti (diversi dai committenti o suoi aventi causa), necessaria allo scopo di esperire l'azione di cui all'art. 1669 c.c.: in tal caso, non ricorre un concorso di norme, sicché non sono integrati dei validi motivi per precludere la facoltà del danneggiato di spiegare l'azione generale di cui all'art. 2043 c.c. (Cass. n. 27385/2023).

Bibliografia

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