Codice Civile art. 1705 - Mandato senza rappresentanza.

Francesco Agnino

Mandato senza rappresentanza.

[I]. Il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato.

[II]. I terzi non hanno alcun rapporto col mandante. Tuttavia il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario dalle disposizioni degli articoli che seguono [1721].

Inquadramento

Se il mandante non conferisce il potere di rappresentanza, egli soddisfa l'interesse a rimanere estraneo al rapporto tra mandatario e terzo stipulante. Tuttavia, poiché l'atto giuridico è compiuto, comunque, in suo nome egli può surrogarsi al mandatario per evitare un pregiudizio alle proprie ragioni, purché nel rispetto dei diritti di quest'ultimo

Mandato all'incasso

In caso di mandato all'incasso senza rappresentanza, il mandatario non è legittimato ad agire in giudizio per conseguire l'adempimento del terzo debitore, non essendo munito di alcun potere rappresentativo, né avendo acquisito in capo a sé alcun diritto di credito (Cass. n. 14761/2015, in applicazione di tale principio — affermato in relazione ad una fattispecie in cui la società attrice, mandataria all'incasso senza rappresentanza dei crediti delle società mandanti, aveva agito in nome proprio senza essere titolare dei diritti che intendeva tutelare giudizialmente — la S.C. ha confermato decisione con cui il giudice di merito aveva escluso in capo all'attrice sia la legittimazione ad causam, sia quella sostanziale).

Forma del mandato senza rappresentanza

In ossequio al principio di libertà delle forme, il mandato senza rappresentanza per l'acquisto di beni immobili non necessita della forma scritta, che occorre soltan9999to per gli atti, come la procura, che costituiscono presupposto per la realizzazione dell'effetto reale del trasferimento della proprietà (Cass. n. 20051/2013).

Nei contratti a forma libera, al fine di manifestare il potere rappresentativo non è necessario che il rappresentante usi formule sacramentali, ma è sufficiente che dalle modalità e dalle circostanze in cui ha svolto l'attività negoziale e dalla struttura e dall'oggetto del negozio i terzi possano riconoscerne l'inerenza all'impresa sociale sì da poter presumere, secondo i criteri correnti nella vita degli affari, che l'attività è espletata nella qualità di rappresentante di altro soggetto (Cass. n. 15412/2010: nella specie, in relazione alla domanda di accertamento del rapporto di lavoro nei confronti di una persona fisica, la sentenza di merito aveva evidenziato che nel deposito di automezzi ove il lavoratore svolgeva attività di custode operava — e la circostanza era ben nota al lavoratore — una sola impresa di cui risultava titolare una società di capitali, mentre il convenuto era solo socio e poi amministratore unico di detta società, ritenendo, dunque, l'esercizio di poteri datoriali da parte di questi compatibile con i poteri di rappresentanza spettantigli; la S.C. ha confermato la sentenza impugnata affermando il riportato principio).

Il contratto di locazione stipulato da un comproprietario in favore di un altro, in quanto riconducibile alla gestione d'affari altrui, è valido ed efficace nei confronti dei comproprietari non locatori che non si siano preventivamente opposti alla stipula, i quali possono ratificare l'operato del gestore, ai sensi dell' art. 1705 c.c. , senza particolari formalità, e chiedere al conduttore il pagamento "pro quota" dei canoni di locazione maturati in data successiva alla intervenuta ratifica (Cass. n. 20885/2023).

Diritti esercitabili

Per il disposto dell'art. 1705 comma 2, c.c. il mandante può esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato senza rappresentanza, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario. Per effetto di tale eccezione al principio di cui al comma primo dello stesso articolo, secondo cui il mandatario senza rappresentanza acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, il mandante, per ragioni di tutela del proprio interesse, può agire direttamente per il soddisfacimento del credito, anche se trattasi di credito derivante da un contratto stipulato dal mandatario senza rappresentanza (Cass. n. 11014/2004).

Peraltro, la disposizione di cui al comma 2, prima parte, dell'art. 1705 introduce — per ragioni di tutela dell'interesse del mandante, un'eccezione al fondamentale principio, enunciato nel primo comma, secondo cui il mandatario che agisce in nome proprio acquista diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. Detta eccezione, essendo limitata alla possibilità dell'esercizio, da parte del mandante, dei diritti di credito derivanti al mandatario dalla esecuzione del mandato, non può ritenersi estensibile anche all'esercizio di diritti di natura diversa, quale quello di sperimentare contro il terzo le azioni di contratto e, in particolare, quelle di risoluzione per inadempimento e di risarcimento dei danni, perché altrimenti la disposizione generale di cui allo stesso art. 1705 resterebbe svuotata di contenuto (Cass. n. 11118/1998).

In tema di azioni esercitabili dal mandante nell'ipotesi di mandato senza rappresentanza, il sistema normativo è imperniato sul rapporto regola-eccezione, nel senso che, secondo la regola generale (art. 1705, comma 1), il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, che non hanno alcun rapporto con il mandante, mentre costituiscono eccezioni le disposizioni, tanto sostanziali quanto processuali, che prevedono l'immediata reclamabilità del diritto (di credito o reale) da parte del mandante, con conseguente necessità di stretta interpretazione di queste ultime e dell'esclusione di qualunque integrazione di tipo analogico o estensivo, nell'ottica della tutela della posizione del terzo contraente. Ne deriva che l'espressione «diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato» (art. 1705, comma 2), che accorda al mandante pretese dirette nei confronti del terzo contraente, va circoscritta all'esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, rimanendo escluse le azioni poste a loro tutela, annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno (Cass. n. 24772/2008).

In tema di mandato senza rappresentanza, la disposizione dell'art. 1705, comma 2, (secondo cui «il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato») non può trovare applicazione in caso di domanda di risarcimento danni, atteso che la norma suddetta, proprio per il suo carattere eccezionale ed in forza del chiaro tenore dell'espressione «diritti di credito derivanti dall'esercizio del mandato» è limitata alla possibilità dell'esercizio, da parte del mandante, dei diritti di credito derivanti al mandatario dalla esecuzione del mandato, con esclusione della possibilità di esperire contro il terzo le azioni contrattuali e, in particolare, quelle di risoluzione per inadempimento e di risarcimento dei danni (Cass. n. 13375/2007, nella fattispecie, relativa all'azione di danni cagionati dal ritardato recapito di macchinari ad una esposizione fieristica, esperita contro lo spedizioniere ed il vettore, quest'ultimo incaricato dal primo del trasporto, la corte di merito aveva ritenuto non sussistere la legittimazione ad agire nei confronti del vettore da parte della società mandante, che ha pertanto lamentato la violazione dell'art. 1705, comma 2, sulla base dell'enunciato principio la S.C. ha rigettato il ricorso).

Procura e mandato senza rappresentanza

Procura e contratto di mandato senza rappresentanza producono effetti negoziali diversi: la prima conferisce ad un soggetto il potere di agire nel nome e invece del rappresentante; il secondo obbliga il mandatario al compimento di attività giuridiche nell'interesse del mandante, senza spendere il suo nome. Poiché però entrambi i negozi assolvono il ruolo di manifestazione della volontà, rispettivamente del rappresentato, o del mandante, di ottenere il compimento dell'attività da parte del rappresentante o del mandatario, condizione di validità dell'uno o dell'altro è che tale manifestazione abbia la medesima forma prescritta perché l'attività — che può, o deve, esser compiuta — possa produrre gli effetti voluti. Qualora invece il mandante conferisca la rappresentanza al mandatario, la forma per la validità del contratto di mandato è libera, con conseguente costituzione dei rispettivi diritti e obblighi, mentre per la forma necessaria alla validità della procura si applicano i principi predetti (Cass. n. 14637/2000).

In tema di rappresentanza, poiché la procura è un atto conferito intuitus personae, il rappresentante non può sostituire altri a sé nell'esecuzione dell'incarico ricevuto, a meno che tale facoltà non gli sia stata espressamente conferita; ne consegue che la legittimazione del sostituto del mandatario o del procuratore a compiere atti efficaci nella sfera giuridica del «dominus» richiede necessariamente un'esplicita autorizzazione da parte di quest'ultimo, senza che a diversa conclusione possa giungersi in base al disposto dell'art. 1717, il quale si limita a regolare la responsabilità del mandatario per aver sostituito altri a sé senza esserne autorizzato (Cass. n. 23131/2010).

La procura può venir formata autonomamente (assumendo le vesti di atto unilaterale autonomo) ovvero essere incorporata nel mandato, che pertanto si qualifica «con rappresentanza». A questo proposito secondo alcuni (Santoro Passarelli, 272; Romano, 318) la fonte della rappresentanza potrebbe essere rinvenuta solo in una procura. Essa costituisce pur sempre un negozio unilaterale distinto rispetto al mandato, ancorché funzionalmente collegato al medesimo.

Mandato e società fiduciaria

La l. n. 1966/1939 nasceva dall'esigenza di definire in modo chiaro l'ambito di operatività delle società fiduciarie e di revisione, differenziandolo da quello riservato alle persone fisiche esercenti professioni per le quali era richiesta l'iscrizione in appositi albi. L'art. 2 della legge, in particolare, prevede che l'esercizio dell'impresa nel campo dell'amministrazione dei beni per conto dei terzi sia sottoposto a preventiva autorizzazione ministeriale, mentre gli artt. 3 e 4 contengono disposizioni che riguardano, per un verso, la costituzione della società, avendo riguardo al tipo societario, al versamento del capitale, al carattere nominativo delle azioni e, per altro verso, la composizione degli organi sociali, oltre che la qualificazione del personale delle dette società.

La l. n. 1966/1939 non specifica il rapporto tra la società fiduciaria e il soggetto che ad essa faccia ricorso attraverso il richiamo a una particolare figura negoziale. L'art. 1, però, precisa che sono società fiduciarie e di revisione soggette alla legge quelle che, comunque denominate, si propongono sotto forma di impresa, di «assumere l'amministrazione dei beni per conto di terzi, l'organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni».

Tale amministrazione si definisce, poi, comunemente, «statica» quando implica l'intestazione fiduciaria di beni e l'esercizio, nell'interesse del fiduciante, dei diritti che vi ineriscano; si parla, invece, di amministrazione «dinamica» allorquando la società fiduciaria sia investita di una complessa attività di gestione del patrimonio fiduciato, di cui il fiduciario abbia facoltà di mutare la composizione.

Può dirsi, quindi, che in forza della previsione legislativa la società fiduciaria abbia facoltà di compiere per conto del cliente un'attività di amministrazione; che, cioè, essa abbia il potere di realizzare più atti giuridici, coordinati in vista del raggiungimento di un risultato, aventi ad oggetto i singoli beni ad essa affidati. Lo schema giuridico in cui si inquadra tale attività di amministrazione è, evidentemente, quello del mandato, tale essendo il contratto attraverso cui un soggetto si impegna a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra (art. 1703 c.c.).

In termini generali, è senz'altro vero che nessuna disposizione di legge qualifica il contratto di amministrazione di beni di terzi di cui alla I. n. 1966 cit. come mandato senza rappresentanza. È altrettanto vero, però, che, sul piano dei principi, in assenza del conferimento di un potere procuratorio, il mandato ad amministrare si connota per l'assenza di rappresentanza. Con la conseguenza che il mandatario, agendo a proprio nome, acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato (art. 1705 c.c.). Va qui rammentato che in tema di azioni esercitabili dal mandante nell'ipotesi di mandato senza rappresentanza, il sistema normativo è imperniato sul rapporto regola-eccezione, nel senso che, secondo la regola generale (art. 1705 c.c., comma 1), il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, che non hanno alcun rapporto con il mandante (Cass. S.U., n. 24772/2008).

Occorrerebbe verificare se la disciplina vigente consenta di affermare che delle obbligazioni contratte in nome proprio dalla società fiduciaria risponda il fiduciante.

Esistono, in realtà, precedenti di legittimità che, pur non facendo applicazione della disciplina dalla l. n. 1939/1966, danno innegabilmente conto di come, nel caso di intestazione fiduciaria di beni, debba assumere rilievo il dato della proprietà, in capo al fiduciante, dei medesimi (Cass. S.U., n. 6478/1984; Cass. n. 4049/2015, resa in materia tributaria, sulla prevalenza, nei confronti dell'amministrazione finanziaria, della titolarità effettiva rispetto a quella apparente nel caso di acquisto di azioni di cui si assuma la titolarità nei confronti dei terzi, ma con il patto interno di riconoscere il fiduciante come unico proprietario di esse; Cass. S.U., n. 7186/1993, con cui è stata negato che rispetto all'impugnazione di clausole testamentarie non rivestono la qualità di litisconsorti necessari i soggetti intestatari in qualità di semplici fiduciari di beni caduti in successione, la cui effettiva titolarità appartenga, invece, al fiduciante).

Avendo specifico riguardo alla regolamentazione normativa introdotta dalla l. n. 1966/1939, occorre poi dare atto del radicarsi di un orientamento della Corte di legittimità che intende come meramente «formale» il dato dell'intestazione del bene alla società fiduciaria, valorizzando, di contro, l'elemento «sostanziale» della titolarità del bene stesso in capo al fiduciante.

Di sicuro rilievo, ai fini che interessano, è Cass. n. 9355/1997, per la quale, istituzionalmente, anche nei confronti dei terzi, le società fiduciarie non sono proprietarie dei titoli azionari loro affidati in gestione e ciò in virtù della disciplina legislativa che le regola: con la conseguenza che, non entrando i titoli azionari a far parte del patrimonio della società fiduciaria (tanto da non essere aggredibili da parte dei creditori della stessa), la loro proprietà non può che appartenere effettivamente al fiduciante, spettando alla società fiduciaria soltanto la legittimazione ad esercitare i diritti connessi alla partecipazione societaria. Tali principi sono stati poi ripresi da Cass. n. 4943/1999, per la quale nella società fiduciaria i fiducianti vanno identificati come gli effettivi proprietari dei beni da loro affidati alla società ed a questa strumentalmente intestati — e, in tempi più prossimi, da Cass. n. 22099/2013, secondo cui i titoli affidati in gestione alle società fiduciarie non sono proprietà delle medesime, onde sono sottratti alla soddisfazione dei creditori delle stesse. Nel solco così tracciato si colloca, poi, Cass. n. 10031/1997, in tema di intermediazione finanziaria e di procedura concorsuale, secondo cui anche per il periodo precedente all'entrata in vigore della l. n. 1/1991 al fiduciante va riconosciuto il diritto di far valere, nei confronti degli organi della eventuale procedura concorsuale medio tempore instauratasi nei confronti della società, il diritto alla restituzione dei beni in precedenza ad essa affidati.

L'affermazione della titolarità, in capo, al fiduciante, dei titoli oggetto dell'intestazione fiduciaria è stata affermata muovendo dalla presenza, nel nostro ordinamento, di plurimi indicatori normativi in tal senso: a partire dal r.d. n. 239/1942, art. 1, ultimo comma, che, nel disporre che «le società fiduciarie che abbiano intestato al proprio nome titoli azionari appartenenti a terzi sono tenute a dichiarare le generalità degli effettivi proprietari dei titoli stessi», esclude chiaramente che nel caso di intestazione fiduciaria di titoli azionari la società fiduciaria possa essere considerata proprietaria dei titoli stessi (Cass. n. 9355/1997). La conclusione cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità è del resto confortata, oltre che dalle disposizioni che, nel tempo, hanno inteso qualificare i fiducianti quali «proprietari effettivi» dei beni da essi affidati alle società fiduciarie (Cass. n. 10031/1997), anche dalla scelta, da parte del legislatore, di rendere conoscibile l'identità dei fiducianti: scelta che, come è stato sottolineato in dottrina, risulta coerente con l'idea che la disponibilità delle partecipazioni fiduciate rimanga in capo al fiduciante; in tal senso andrebbero quindi lette le disposizioni di cui agli artt. 17, lett. d), TUF, art. 115, comma 3, TUF e art. 21, comma 3 TUB.

Gli approdi guadagnati dalla giurisprudenza testé citata non possono essere meccanicamente spendibili quando viene in rilievo non già la proprietà di titoli azionari, quanto, piuttosto, l'assunzione di una obbligazione avente ad oggetto un finanziamento.

Ora, l'assunto per cui il principio generale posto dall'art. 1705 c.c. non opererebbe nel caso di assunzione del debito da parte della società fiduciaria si scontra con quanto affermato dalle (rare) pronunce edite della giurisprudenza di merito che hanno affrontato la questione e secondo cui nei rapporti esterni la società fiduciaria assume la veste di mandatario senza rappresentanza, rispondendo delle obbligazioni che come tale essa contragga anche ex lege (così, ad esempio, con riferimento all'obbligazione ex art. 2356 c.c. per l'ipotesi di trasferimento di azioni non liberate).

In tanto può discutersi di una ipotetica inapplicabilità della disciplina di diritto comune in tema di mandato senza rappresentanza ai rapporti tra fiduciante e società fiduciaria, in quanto gli atti compiuti da quest'ultima si inquadrino in quelli di amministrazione dei beni per conto di terzi che sono contemplati dalla l. n. 1966/1939, art. 1. Infatti, se si assume che in tema di società fiduciarie operi una deroga alla regola di carattere generale posta dall'art. 1705 c.c., ciò significa che la deroga stessa riguardi le attività contemplate dalla normativa che disciplina l'operato di quelle società.

Al riguardo si è così affermato che: In tema di negozi fiduciari, l'attività di amministrazione compiuta dalla società fiduciaria, caratterizzata dalla facoltà di compiere per conto del cliente un'attività volta alla realizzazione sui singoli beni ad essa affidati di una serie di atti giuridici coordinati in vista del raggiungimento di un risultato, è qualificabile come mandato senza rappresentanza con la conseguenza che le azioni a tutela della proprietà dei beni spettano al fiduciante mentre quelle inerenti la gestione dei beni affidati spettano al fiduciario (Cass. n. 7364/2018).

Nel diritto comune dei contratti, l'intestazione fiduciaria è descritta come la situazione in cui il trasferimento del bene in favore del fiduciario viene limitato dall'obbligo inter partes al ritrasferimento, in ciò esplicandosi il contenuto del pactum fiduciae, laddove manca, in detta figura, qualsiasi intento liberale, e la posizione di titolarità creata si palesa «soltanto provvisoria e strumentale al ritrasferimento a vantaggio del fiduciante» (Cass. n. 14695/2015, in tema di immobili; Cass. n. 3134/2012, sull'azienda, ed altre). Si afferma pure frequentemente che il negozio fiduciario rientra nella categoria dei negozi indiretti, caratterizzati dal fatto di realizzare un determinato effetto giuridico non in via diretta, in quanto il negozio, che è realmente voluto dalle parti, viene posto in essere in vista di un fine pratico diverso da quello suo tipico (Cass. n. 8024/2009, in tema di immobili).

Anche con specifico riguardo all'intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali la vicenda è ricostruita da massima tralaticia quale collegamento di due negozi, parimenti voluti, l'uno di carattere esterno ed efficace verso i terzi, l'altro inter partes ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo, nell'ambito dell'istituto della interposizione reale di persona, per effetto della quale l'interposto acquista (diversamente dal caso d'interposizione fittizia o simulata) la titolarità della quota, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l'interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, ed a ritrasferirgliela ad una scadenza concordata, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario (Cass. n. 5507/2016; Cass. n. 17785/2015; Cass. n. 9402/2005; Cass. n. 13261/1999).

Vi è, di particolare, che l'intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali attiene ad un bene che rappresenta una posizione complessa, quale nucleo di situazioni soggettive attive e passive: la quale tantomeno si presta ad essere inquadrata nel comune mandato uno actu o in quello volto all'esecuzione di più negozi giuridici (art. 1703 c.c.), richiedendosi invece, da un lato, sotto il profilo dominicale, l'intestazione della res, e, dall'altro lato, un'attività continuativa da parte del fiduciario, spesso non prevedibile ex ante, nell'ambito della vita societaria che si svolge nel tempo.

Dal momento pertanto che, nel contratto in questione, la causa non risiede né nel trasferimento del bene, né nella sostituzione al mandante ai fini del compimento di specifici atti, ma nella combinazione dei due momenti allo scopo della cd. spersonalizzazione della proprietà, opportuna ne risulta la qualificazione — piuttosto che come collegamento negoziale di più atti che restano distinti — come contratto unitario, avente una causa propria, pur nell'ambito del genus dell'agire per conto altrui: attesa la stretta ed indissolubile connessione tra le varie pattuizioni nelle quali il contratto formalmente si scompone, onde unitaria ne è la causa (e ciò consentirà, altresì, la ricostruzione di un nesso funzionale specifico alla luce del complessivo regolamento d'interessi perseguito, mediante l'individuazione della causa concreta).

Resta, peraltro, un'interposizione reale di persona, nella quale l'intestazione delle partecipazioni al fiduciario è strumentale, essendo tipica dell'istituto non la conflittualità, ma la convergenza delle posizioni, ogni decisione venendo di necessità assunta nell'interesse essenziale del fiduciante.

La ricostruzione alternativa, pur da taluno proposta, la quale intende delimitare gli effetti dell'intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, individuando in capo al fiduciante la titolarità dell'investimento ed in capo al fiduciario una mera detenzione autorizzata — con il corollario di dovere, di volta in volta, stabilire se un certo diritto collegato alla qualità di socio spetti all'uno o all'altro soggetto — invero non convince: sia per la mancanza di appiglio normativo, quale si constata invece nelle vicende della intestazione professionale a società fiduciaria (godendo, infatti, quest'ultima di una disciplina ad hoc: Cass. n. 4049/2015; Cass. n. 22099/2013; Cass. n. 4943/1999), sia per l'incertezza del diritto che ne deriverebbe, in ispregio a quello che è forse il principale valore di una regolamentazione giuridica dei fenomeni economici. In sostanza, quella soluzione è forse suscettibile di creare più problemi di quanti ne risolva, senza che il richiamo, del resto usuale in presenza di aporie teoriche, alla regolamentazione spontanea degli interessati costituisca un ausilio.

Bibliografia

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