Codice Civile art. 1917 - Assicurazione della responsabilità civile (1).Assicurazione della responsabilità civile (1). [I]. Nell'assicurazione della responsabilità civile l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo [1218, 2043], in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi [1900]. [II]. L'assicuratore ha facoltà, previa comunicazione all'assicurato, di pagare direttamente al terzo danneggiato l'indennità dovuta, ed è obbligato al pagamento diretto se l'assicurato lo richiede [2767]. [III]. Le spese sostenute per resistere all'azione del danneggiato contro l'assicurato sono a carico dell'assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse [1932]. [IV]. L'assicurato, convenuto dal danneggiato, può chiamare in causa l'assicuratore [1932; 106 c.p.c.]. (1) V. d.lg. 7 settembre 2005, n. 209. In tema di nullità dei contratti di assicurazione stipulati dall'ente pubblico a favore dei propri amministratori, v. art. 3, comma 59, l. 24 dicembre 2007, n. 244. InquadramentoL'assicurazione della responsabilità civile rientra nella categoria dell'assicurazione contro i danni ed ha la funzione di mantenere indenne l'assicurato dall'obbligo di risarcire i danni subiti da un terzo in conseguenza di un suo comportamento illecito, contrattuale od extracontrattuale, purché senza dolo (e quindi anche con colpa grave in deroga all'art. 1900), o dei quali, ad altro titolo, egli sia dichiarato dalla legge responsabile. A questo fine, la prestazione dell'assicuratore non consiste nel rimborsare l'assicurato di quanto corrisposto per il risarcimento del danno, ma nel sollevarlo dall'obbligazione di rispondere con il proprio patrimonio dall'obbligo di risarcimento (Fanelli, 1988, 24). La prestazione dell'assicuratore anche nella polizza r.c. ha natura indennitaria essendo commisurata al danno subito dal terzo nei limiti del massimale. Ad avviso della dottrina l'assicurazione della responsabilità civile rientra tra le assicurazioni di patrimoni (Fanelli, 1973, 165; La Torre, 260). Impostazione questa condivisa anche dalla giurisprudenza (Cass. III, n. 8216/2002). L'assicurazione per la responsabilità civile non può riguardare i fatti meramente accidentali, dovuti cioè a caso fortuito o forza maggiore (Cass. III, n. 6071/1983; Cass. I, n. 6265/1980). L'obbligazione dell'assicuratore ex art. 1917 costituisce debito di valuta e non di valore, il quale sorge quando sia divenuto liquido ed esigibile il debito dell'assicurato nei confronti del danneggiato (Cass. III, n. 6155/2009; Cass. III, n. 12239/1998). Il pagamento dell'indennità direttamente al terzo danneggiato è un obbligo dell'assicuratore se ne sia richiesto dall'assicurato, altrimenti è una facoltà previa comunicazione all'assicurato stesso. L'ultimo comma dell'art. 1917 prevede che l'assicurato, convenuto dal danneggiato, può chiamare in causa l'assicuratore (art. 106 c.p.c.). P All'uopo va evidenziato che costituisce clausola di stile nei contratti di assicurazione della responsabilità civile il cd. patto di gestione della lite in forza del quale l'assicurato lascia all'assicuratore la conduzione di qualsiasi lite (stragiudiziale o giudiziale) con il terzo. In tema di assicurazione della responsabilità civile, l'eccezione di inoperatività della polizza assicurativa non costituisce un'eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa volta a contestare il fondamento della domanda, assumendo l'estraneità dell'evento ai rischi contemplati nel contratto: essa, pertanto, è deducibile per la prima volta in appello (Cass. III, n. 18742/2019). Definizione di sinistroOggetto dell'assicurazione della responsabilità civile è il rischio come conseguenza negativa di un sinistro, riflessa nel patrimonio dell'assicurato. La dottrina si è interrogata circa la natura del sinistro che incide sulla polizza r.c. (per una disamina analitica dei vari orientamenti v. La Torre, 269). Secondo taluni autori il sinistro va identificato con la richiesta di risarcimento del danno da parte del terzo; perché è in tale momento che si determina il detrimento nel patrimonio dell'assicurato. Secondo un diverso orientamento, il sinistro è dato dal verificarsi del fatto fonte di responsabilità, perché è col suo determinarsi che sorge la pretesa risarcitoria oggetto della garanzia assicurativa. Per altri autori il sinistro è costituito dal divenire liquido ed esigibile del credito del terzo. Anche la giurisprudenza non ha dato risposte univoche essendo emersi diversi tre orientamenti. Secondo un primo orientamento il debito dell'assicuratore sorge al momento in cui diviene liquido ed esigibile il debito risarcitorio dell'assicurato (Cass. III, n. 13897/2024; Cass. III, n. 5137/1998). Secondo altre pronunce, invece, il debito dell'assicuratore sorge al momento in cui il pagamento al terzo si stato eseguito in base ad un titolo che, per quanto non definitivo e non contenente il suddetto accertamento, sia idoneo ad attribuire al pagamento il carattere doveroso richiesto dall'art. 1917 (Cass. I, n. 4861/1998; Cass. I, n. 3008/1996). Un'altra impostazione ritiene che l'obbligo dell'assicuratore prende corpo con la richiesta di risarcimento del terzo — giudiziale o stragiudiziale — poiché è in quel momento che il rischio si realizza e sorge il diritto dell'assicurato all'indennità, con la conseguenza che tale momento determina altresì il termine iniziale per il decorso della prescrizione ex art. 2952 c.c. (Cass. III, n. 6296/2013; Cass. I, n. 429/1990). I fatti dolosi e l'assicurazione r.c.a.Sono espressamente escluse dall'assicurazione le responsabilità nascenti da fatti dolosi. Dubbi sono sorti in dottrina in ordine all'ampiezza dell'esclusione normativamente disposta. Secondo un primo orientamento l'esclusione andrebbe intesa in senso assoluto, per cui resterebbero fuori dall'assicurazione tutti gli eventi che si colorano di tale qualifica, siano essi attribuiti al contraente o all'assicurato, sia a persone delle quali e con le quali esso contraente debba rispondere. Secondo questa tesi la specialità della norma dovrebbe, difatti, prevalere sulla regola generale dettata dall'art. 1900, comma 2 (De Strobel, Ogliari, 168). Secondo l'impostazione dominante, invece, non si può ammettere che la norma dell'art. 1917 abbia voluto derogare al secondo comma dell'art. 1900 c.c., escludendo nell'assicurazione della responsabilità civile l'obbligo dell'assicuratore di rivalere l'assicurato per i sinistri causati dal dolo delle persone di cui deve rispondere poiché lo scopo caratteristico di questa speciale assicurazione è proprio quello di rilevare l'assicurato dalle conseguenze del suo operato e dall'operato dei suoi dipendenti nell'esercizio della sua attività più o meno pericolosa (Angeloni, 557). Pertanto, i fatti dolosi cui fa cenno l'art. 1917 sarebbero quegli stessi considerati dall'art. 1900, ovvero quelli compiuti direttamente dal contraente, dall'assicurato o dal beneficiario. Subito dopo l'entrata in vigore dell'assicurazione obbligatoria r.c.a. si era accesa una disputa dottrinale intorno alla copertura o meno dei fatti dolosi. La giurisprudenza, intervenuta sul tema, ha ritenuto che in tema di assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore non trova applicazione la norma di cui all'art. 1917 che, escludendo dall'assicurazione il danno derivante da fatti dolosi, non costituisce il paradigma tipico della responsabilità civile da circolazione stradale, che invece si trova nelle leggi della r.c.a. e nelle direttive europee che affermano il principio di solidarietà verso il danneggiato o il terzo danneggiato con la evidente tendenza a rimuovere ostacoli per l'integrale e tempestivo ristoro dei danni (Cass. III, n. 20786/2018; Cass. III, n. 5180/2018). Del resto, le disposizioni in tema di r.c.a. contemplano la responsabilità di cui al comma 1 dell'art. 2054 c.c., che costituisce una specificazione di quella prevista dall'art. 2043 c.c., con la conseguenza che anche il danno dolosamente provocato dal conducente del veicolo è coperto dall'assicurazione obbligatoria (Cass. III, n. 1502/1997).
Fatti accidentali L'assicurazione per la responsabilità civile non può riguardare i fatti meramente accidentali, dovuti cioè a caso fortuito o forza maggiore, dai quali non sorge responsabilità dell'assicurato, ma importa necessariamente che il fatto dannoso, per il quale l'assicurazione è stipulata, deve essere colposo, coprendo, con la sola eccezione dei fatti dolosi, ogni rischio derivante da quella responsabilità, anche se dipendenti da colpa grave o gravissima (Cass. III, n. 6071/1983; Cass. I, n. 6265/1980). La giurisprudenza ha inoltre chiarito che l'espressione, con cui le polizze designano come oggetto dell'assicurazione la responsabilità «per danni involontariamente cagionati [...] in conseguenza di un fatto accidentale», non può significare che il sinistro, delle cui conseguenze l'assicuratore intende rilevare l'assicurato, debba essere conseguenza di un fatto fortuito, ma serve soltanto a mettere in rilievo con una certa approssimazione il carattere improvviso e anormale dell'evento previsto, e ad escludere che sia intenzionalmente prodotto (Cass. VI, 20070/2017; Cass. III, n. 4799/2013). Recentemente la S.C., atteso che l'assicurazione della responsabilità civile non può concernere fatti meramente accidentali, ha ritenuto che la clausola di un contratto di assicurazione che preveda la copertura del rischio per danni conseguenti a fatti accidentali è correttamente interpretata nel senso che essa si riferisce semplicemente alla condotta colposa in contrapposizione ai fatti dolosi (Cass. III, n. 20305/2019). Di recente la S.C. ha ritenuto che la clausola inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, nella quale si stabilisca che l'assicuratore si obbliga a tenere indenne l'assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare a titolo di risarcimento di danni causati "in conseguenza di un fatto accidentale" non può essere interpretata nel senso che restino esclusi dalla copertura assicurativa i fatti colposi, giacché tale interpretazione renderebbe nullo il contratto ai sensi dell'art. 1895 per l'inesistenza del rischio (Cass. III, n. 18320/2023; Cass. III, n. 23762/2022). Azione diretta del danneggiato contro l'assicuratoreCostituisce principio pacifico che nell'assicurazione della responsabilità civile, ed al di fuori di ipotesi normative di assicurazione obbligatoria, l'obbligazione dell'assicuratore al pagamento dell'indennizzo all'assicurato, è autonoma e distinta dall'obbligazione risarcitoria dell'assicurato verso il danneggiato. Pertanto il terzo, non sussistendo un suo rapporto immediato e diretto con l'assicuratore, in mancanza di una normativa specifica come quella della responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale, non ha azione diretta nei confronti dell'assicuratore (Cass. III, n. 13231/2015; Cass. III, n. 26019/2011). Il danneggiato è, invero, estraneo al rapporto tra il danneggiante e l'assicuratore dello stesso, né può trarre alcun utile vantaggio da una pronuncia che estenda all'assicuratore gli effetti della sentenza di accertamento della responsabilità, anche quando l'assicurato chieda all'assicuratore di pagare direttamente l'indennizzo al danneggiato, attenendo detta richiesta alla modalità di esecuzione della prestazione indennitaria; perciò, soltanto l'assicurato è legittimato ad agire nei confronti dell'assicuratore, e non anche il terzo danneggiato, nei confronti del quale l'assicuratore non è tenuto per vincolo contrattuale, né a titolo di responsabilità aquiliana (Cass. III, n. 5259/2021). La chiamata in garanzia L'ultimo comma dell'art. 1917 prevede che l'assicurato, convenuto dal danneggiato, può chiamare in causa l'assicuratore (art. 106 c.p.c.). La giurisprudenza tradizionale riteneva che in questi casi ricorresse una ipotesi di garanzia propria, atteso che il nesso tra la domanda principale del danneggiato e la domanda di garanzia dell'assicurato verso l'assicuratore viene riconosciuto sia dalla previsione espressa della possibilità di chiamare in causa l'assicuratore sia dallo stesso regime dei rapporti tra i tre soggetti contenuto nell'art. 1917, comma 2. Nella fattispecie in esame veniva ravvisata un'ipotesi di unicità del fatto generatore della responsabilità come prospettata tanto con l'azione principale che con la domanda di garanzia, anche se le responsabilità ipotizzate traggono origine da rapporti o situazioni giuridiche diverse (Cass. III, n. 25581/2011; Cass. S.U., n. 13968/2004). Le S.U. intervenute nuovamente in materia hanno di recente statuito che la distinzione tra garanzia propria ed impropria può essere mantenuta soltanto a livello descrittivo delle varie fattispecie di garanzia, ma deve essere abbandonata a livello di conseguenze applicative poiché non esistono ragioni normative che giustificano differenze sotto tale aspetto (Cass. S.U., n. 24707/2015). Ciò premesso, le S.U. hanno affermato il principio secondo il quale l'impugnazione del garante riguardo al rapporto principale, tanto nel caso in cui la chiamata si sia esaurita nella sola richiesta di estensione soggettiva dell'accertamento sul rapporto principale al garante, quanto nel caso in cui ad essa sia stata cumulata la domanda di garanzia, è idonea ad investire il giudice dell'impugnazione anche a favore del garantito, attesa la struttura necessaria del litisconsorzio sul piano processuale e considerato che è stato lo stesso garantito a realizzare l'estensione soggettiva della legittimazione sul rapporto principale (Cass. S.U., n. 24707/2015). Azione surrogatoria In ordine alla possibilità per il danneggiato di esercitare l'azione surrogatoria ex art. 2900 nei confronti dell'assicuratore la giurisprudenza ha evidenziato che il mancato esercizio da parte dell'assicurato della facoltà di chiedere all'assicuratore di pagare direttamente l'indennizzo al terzo danneggiato, ai sensi dell'art. 1917, comma 2, non è sufficiente a configurare l'inerzia del debitore che costituisce presupposto per l'esercizio dell'azione surrogatoria da parte del detto danneggiato, quando l'assicurato ha posto in essere iniziative ed accorgimenti diretti a mantenere integra la garanzia del proprio diritto all'indennizzo verso l'assicuratore (Cass. III, n. 26019/2011; Cass. III, n. 11948/2010). Rimborso speseQualora nell'assicurazione della responsabilità civile il terzo danneggiato agisca giudizialmente nei confronti del danneggiante assicurato, occorre tenere distinti due ordini di spese giudiziarie: a) quelle attinenti alla rifusione da parte dell'assicuratore di tutto quanto l'assicurato debba pagare al terzo danneggiato e quindi anche le spese che essendo state sostenute dal danneggiato vittorioso debbano essergli rimborsate dall'assicurato (art. 1917 comma 1); b) quelle afferenti al rimborso da parte dell'assicuratore, entro limiti prestabiliti, delle spese sostenute dall'assicurato per resistere all'azione del danneggiato (comma 3) (Cass. III, n. 10595/2018). Le spese sub a ) costituiscono un accessorio dell'obbligazione risarcitoria dell'assicurato e, pertanto, ad esse non si applica il disposto del comma 3 della norma in esame (Cass. III, n. 5242/2004; Cass. I, n. 13088/1995). Le spese sub b ) sono invece soggette al disposto cui al terzo comma e, pertanto, sono a carico dell'assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. L'assicurato contro i rischi della responsabilità civile ha, dunque, diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato, entro i limiti del massimale (Cass. III, n. 24159/2018); nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quegli, anche in eccedenza rispetto al massimale, purché entro il limite stabilito dall'art. 1917, comma 3 (Cass. III, n. 10595/2018). Le spese effettuate per resistere in giudizio sono spese che l'assicuratore si impegna (nel contratto) o comunque è tenuto nei limiti di cui all'art. 1917, solo che il suo assicurato abbia avuto la necessità, perché evocato in giudizio, di affrontare una lite, a prescindere dalla circostanza che l'assicuratore lo abbia o meno sostenuto, ossia abbia o meno aderito alle ragioni dell'assicurato. Le spese di resistenza presuppongono che l'assicurato sia stato costretto a iniziare o a difendersi in una lite, che ha causa situazioni rientranti nella garanzia assicurativa. Non ha rilievo alcuno che la presenza in giudizio dell'assicurato non sia stata causata da una posizione difensiva dell'assicurazione, quanto piuttosto da una richiesta del danneggiato; le spese legali per affrontare il processo prescindono da questa circostanza processuale mutevole, e sono dovute oggettivamente quale rimborso per il fatto stesso di aver dovuto affrontare un processo causato dal fatto assicurato (Cass. III, n. 8896/2020). Il diritto dell'assicurato alla rifusione, da parte dell'assicuratore, delle spese sostenute per resistere all'azione promossa dal terzo danneggiato, ai sensi dell'art. 1917, comma 3, presuppone la dimostrazione dell'avvenuto corrispondente esborso da parte dell'assicurato medesimo (Cass. VI, n. 21290/2022). Trattandosi di obbligazioni oggettivamente distinte, l'adempimento di esse può essere domandato dall'assicurato sia congiuntamente con l'unica domanda giudiziale, sia disgiuntamente con due distinte domande, riferite ad oggetti diversi. Ciò comporta, altresì, che l'assicurato convenuto in giudizio dal danneggiato può chiamare in causa l'assicuratore (art. 1917, comma 4) chiedendone la condanna anche soltanto all'obbligazione principale, e riservarsi di chiedere in un successivo giudizio l'adempimento dell'obbligazione accessoria (Cass. III, n. 6340/1998). La S.C. ha escluso il diritto dell'assicurato alla rifusione da parte dell'assicuratore delle spese sostenute per resistere all'azione del terzo danneggiato nell'ipotesi in cui l'assicurato abbia scelto di difendersi senza averne interesse né potendone ritrarre utilità, ovvero in mala fede, ovvero abbia sostenuto spese sconsiderate (Cass. III, n. 5479/2015). La refusione delle spese di lite può essere negata altresì qualora manchi o sia inefficace la copertura assicurativa (circostanza che spetta al giudice accertare, anche incidentalmente) oppure quando le spese di resistenza sostenute dall'assicurato siano state superflue, eccessive od avventate (Cass. III, n. 4786/2021). Il diritto alla rifusione delle spese è stato, invece, riconosciuto con riferimento alle spese del procedimento penale promosso nei confronti dell'assicurato intrapreso a seguito di denuncia o querela del terzo danneggiato o nel quale questi si sia costituito parte civile (Cass. III, n. 667/2016). I giudici di legittimità hanno chiarito che se la medesima polizza copre contemporaneamente sia il rischio di responsabilità civile, sia quello di tutela legale, le spese sostenute dall'assicurato per resistere alla domanda risarcitoria contro di lui proposta dal terzo danneggiato rientrano nella prima copertura e non nella seconda, fino al limite del 25% del massimale, ai sensi dell'art. 1917, comma 3. Ne consegue che eventuali clausole limitative del rischio, contrattualmente previste per la sola assicurazione di tutela legale, sono inopponibili all'assicurato che domandi la fusione delle spese di resistenza ai sensi del citato art. 1917 (Cass. III, n. 3011/2021). Da ultimo la S.C. ha ritenuto che la clausola inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, la quale stabilisca che l'assicurato, se convenuto dal terzo danneggiato, non ha diritto alla rifusione delle spese sostenute per legali o tecnici non designati dall'assicuratore, è nulla ex art. 1932, dal momento che deroga "in pejus" al disposto dell'art. 1917, comma 3 (Cass. III, n. 21220/2022). La gestione della liteIl patto di gestione della lite costituisce una clausola di stile nei contratti di assicurazione della r.c. in virtù della quale l'assicurato lascia all'assicuratore la conduzione di qualsiasi lite (stragiudiziale o giudiziale) con il terzo. La dottrina qualifica variamente il patto di gestione di lite (in arg. v. diffusamente La Torre, 2007, 277): secondo alcuni autori costituisce un contratto atipico la cui causa risulta dalla fusione del mandato e della prestazione d'opera; secondo altri si sarebbe in presenza di un contratto di prestazione d'opera intellettuale; altra impostazione qualifica il patto di gestione di lite come un onere imposto dalla legge e segnatamente dall'art. 1917 comma 4; ad avviso dell'opinione maggioritaria lo stesso integra un mandato in rem propriam senza rappresentanza (Fanelli, 1973, 275). Anche in giurisprudenza si sono affermati due diversi orientamenti. Secondo un primo orientamento, il patto con cui l'assicuratore assume la gestione della lite configura un negozio atipico accessorio al contratto di assicurazione, costituendo un mezzo attraverso il quale viene data esecuzione al rapporto stesso (Cass. III, n. 1872/2006; Cass. III, n. 9744/1994). Secondo un'altra ricostruzione, invece, si tratterebbe di un mandato in rem propriam atteso che il patto di gestione della lite pone l'assicuratore nella veste di mandatario senza rappresentanza, con il compito di vagliare, usando la dovuta diligenza, l'opportunità o meno di resistere alla domanda del danneggiato, nonché, in caso positivo, di svolgere adeguate difese (Cass. I, n. 10170/1993; Cass. III, n. 3548/1990). La mala gestio propria e impropria Si configura mala gestio propria tra assicurato-danneggiante e compagnia assicuratrice quando quest'ultima si disinteressa della lite o la gestisce in modo da arrecare pregiudizi al primo oppure in maniera da creare danni per l'ingiustificato ritardo con cui l'obbligazione di risarcimento verso il danneggiato è stata estinta (Cass. sez. lav., n. 23113/2008). Quest'ultima non costituisce un illecito aquiliano ma un inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. (La Torre, 279). La giurisprudenza ha ritenuto sussistente la mala gestio dell'assicuratore, ad esempio, quando egli rifiuti ingiustificatamente di addivenire ad una transazione ragionevole e vantaggiosa proposta dal danneggiato, rifiuto configurabile sia nell'ipotesi di mancanza di una tempestiva risposta alla suddetta proposta, sia nell'ipotesi di risposta negativa fondata su di un motivo non apprezzabile, da valutarsi fino al limite della colpa lieve (Cass. III, n. 10696/1999). In caso di mala gestio propria l'assicuratore è tenuto a rispondere, anche oltre il limite del massimale, del danno arrecato all'assicurato con la sua condotta colposa, in misura pari alla maggior somma — rispetto a quella risultante dal massimale — che l'assicurato deve corrispondere al terzo danneggiato (Cass. III, n. 2177/1994). La S.C. (Cass. VI, n. 9666/2018) ha chiarito che tre sono le ipotesi, da cui discendono conseguenze diverse, di c.d. mala gestio propria, ovvero 1) nonostante la mala gestio ed il ritardato adempimento, il massimale resta capiente; 2) il massimale, originariamente capiente al momento dell'illecito, è diventato incapiente; 3) il massimale era incapiente anche al momento dell'illecito. Invero, non sussiste alcuna conseguenza pregiudizievole qualora il massimale resti capiente nonostante il ritardato adempimento; se, invece, il massimale è divenuto incapiente al momento del pagamento, l'assicurato può pretendere dall'assicuratore una copertura integrale, senza riguardo alcuno al limite del massimale. Tuttavia, allorché il credito del danneggiato già al momento del sinistro risultava eccedere il massimale, il danno da mala gestio deve essere liquidato, attraverso la corresponsione di una somma pari agli interessi legali sul massimale, salva la prova di un pregiudizio maggiore ai sensi dell'art. 1224, comma 2,c.c. Esiste poi un altro tipo di mala gestio cd. impropria o processuale che ricorre qualora l'assicuratore resista giudizialmente — per conto dell'assicurato — alle pretese del terzo danneggiato pur avendo la possibilità di acquistare contezza della pretestuosità delle proprie difese, in tal modo ritardando colposamente il pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento in favore del terzo danneggiato (Cass. VI, n. 10839/2011). La responsabilità per mala gestio impropria può comportare la responsabilità ultramassimale dell'assicuratore solo per gli interessi e per il maggior danno (anche da svalutazione monetaria, per la parte non coperta dagli interessi) ma non per il capitale, rispetto al quale il limite del massimale è insuperabile (Cass. III, n. 19919/2008; Cass. III, n. 23870/2006). La S.C. ha altresì chiarito che nell'assicurazione obbligatoria per responsabilità civile da circolazione dei veicoli, la domanda di condanna dell'assicuratore al risarcimento del danno per mala gestio impropria deve ritenersi implicitamente formulata tutte le volte in cui la vittima abbia domandato la condanna al pagamento di interessi e rivalutazione, anche senza riferimento al superamento del massimale o alla condotta renitente dell'assicuratore, o abbia richiesto la condanna dell'assicuratore all'integrale risarcimento del danno (Cass. III, n. 14637/2014). Decorrenza del termine di prescrizioneL'art. 2952, comma 3, c.c. fissa la decorrenza del termine di prescrizione nell'assicurazione della responsabilità civile dal giorno in cui il terzo ha chiesto il risarcimento all'assicurato ovvero ha promosso l'azione contro il medesimo. I giudici di legittimità hanno evidenziato che nessuna rilevanza può essere conferita all'accertamento della riconducibilità del sinistro nell'ambito della copertura assicurativa: il solo fatto che venga avanzata una richiesta risarcitoria con cui si fa valere una responsabilità astrattamente rientrante fra quelle assicurate, onera l'assicurato/responsabile di attivare il proprio assicuratore e comporta — di conseguenza — la decorrenza del termine prescrizionale, assumendo rilievo non il fatto che l'evento indiscutibilmente rientri fra quelli coperti dalla assicurazione, ma che possa ragionevolmente rientrarvi (Cass. III, n. 25430/2017). Il quarto comma dell'art. 2952 c.c. specifica che dal giorno in cui l'assicurato comunichi all'impresa assicuratrice la richiesta di risarcimento ricevuta dal terzo o l'azione da questo proposta la prescrizione rimane sospesa fino a quando il relativo credito non sia divenuto liquido ed esigibile. Il nuovo decorso del termine inizia nel momento in cui il diritto del danneggiato al risarcimento sia stato accertato. La S.C. ha all'uopo evidenziato che l'avvenuta comunicazione all'assicuratore della richiesta risarcitoria del terzo danneggiato attraverso il diretto coinvolgimento della stessa compagnia assicuratrice nel giudizio di danno proposto dal terzo, determina la sospensione della prescrizione dei diritti derivanti dal contratto assicurativo ex art. 2952, comma 4, fino al passaggio in giudicato della sentenza che abbia reso liquido ed esigibile il credito risarcitorio del terzo, essendo irrilevante, ai fini dell'operatività della predetta sospensione, la mancata riproposizione, in grado di appello, da parte dell'assicurato della domanda di garanzia nei confronti del proprio assicuratore nel giudizio di danno introdotto dal terzo, in quanto la sorte della sospensione è legata esclusivamente all'esito del procedimento diretto alla liquidazione del credito risarcitorio del terzo (Cass. VI, n. 17543/2018). Il debito dell'assicuratoreL'obbligazione dell'assicuratore ex art. 1917 costituisce debito di valuta e non di valore, il quale sorge quando sia divenuto liquido ed esigibile il debito dell'assicurato nei confronti del danneggiato (Cass. III, n. 6155/2009; Cass. III, n. 12239/1998). Tuttavia, l'assicurato, che a causa del ritardo nella liquidazione del danno debba pagare al terzo danneggiato una somma maggiore di quella che avrebbe corrisposto all'epoca del sinistro, va indennizzato del pregiudizio derivante dalla svalutazione monetaria, causato dal ritardo nella liquidazione, anche oltre i limiti del massimale. È però necessario, a tale fine, che l'assicurato ne faccia esplicita tempestiva richiesta, non potendo la relativa domanda ritenersi implicita nella chiamata in causa dell'assicuratore da parte dell'assicurato stesso nel corso del giudizio instaurato dal terzo danneggiato, né potendo tale domanda essere proposta per la prima volta in appello (Cass. III, n. 15752/2018). La clausola claims madeVedi sub art. 1932 c.c. BibliografiaAngeloni, voce Assicurazione della responsabilità civile, in Enc. dir., III, Milano, 1958; Antonucci, L'assicurazione tra impresa e contratto, Bari, 1994; Buttaro, voce Assicurazione contro i danni, in Enc. dir., III, Milano, 1958; De Strobel, Ogliari, L'assicurazione di responsabilità civile e il nuovo codice delle assicurazioni private, VI, Milano, 2008; Donati, Trattato del diritto delle assicurazioni private, Milano, III, 1956; Donati, Volpe Putzolu, Manuale di Diritto delle Assicurazioni, Milano, 2002; Fanelli, Assicurazione contro i danni, in Enc. giur., III, Roma, 1988; Fanelli, Le Assicurazioni, Milano, 1973; La Torre, Le Assicurazioni, Milano, 2007; Rossetti, Il Diritto delle Assicurazioni, II, Le assicurazioni contro i danni, Padova, 2012. |