Codice Civile art. 1379 - Divieto di alienazione.InquadramentoLa norma disciplina una peculiare clausola negoziale (pactum de non alienando), volta ad incidere sull'autonomia contrattuale delle parti: essa regolamenta, cioè, il divieto di alienazione di origine convenzionale, ossia che sia stato stabilito per accordo tra le parti, destinato a limitare la libertà contrattuale nei rapporti con i terzi. Esso si affianca, dunque, ai divieti di alienazione di origine legale, che perseguono fini che trascendono gli interessi delle parti e che possono avere efficacia reale (cfr. ad esempio, l'art. 1024 c.c., che disciplina il divieto di cessione dei diritti reali di godimento di uso e abitazione). Si ritiene, però, che la disposizione, con riguardo alle condizioni di validità del divieto convenzionale di alienare (limite temporale di durata; rispondenza ad apprezzabile interesse di una parte) si applichi, essendo espressione di un principio di portata generale, anche a pattuizioni che come quelle contenenti un vincolo di destinazione, seppur non puntualmente riconducibili al paradigma del divieto di alienazione, comportino comunque limitazioni altrettanto incisive del diritto di proprietà (Cass. II, n. 12769/1999; Cass. I, n. 3082/1990). La giurisprudenza ne fa infatti applicazione anche con riferimento alle attribuzioni mortis causa costitutive di vincoli di destinazione. Cass. II, n. 23616/2023 ha ad esempio ribadito in via generale che l'attribuzione patrimoniale testamentaria di un bene con vincolo perpetuo di destinazione imposto dal disponente con clausola modale è nulla per violazione dell' art. 1379 c.c. , risultando eccessivamente compromesso il diritto di proprietà dell'onerato, i cui poteri dispositivi sul bene - destinato a circolare, a pena di inadempimento, con il medesimo vincolo - risultano sostanzialmente sterilizzati sine die. Rispetto al caso concreto la Corte ha però ritenuto valido, perché predeterminato nel tempo, il vincolo di attribuzione testamentaria della proprietà di un immobile in favore di un Comune, alla condizione di mantenimento per almeno sessanta anni della destinazione del complesso immobiliare a uso di piscina e di palestra per la collettività. La norma richiede espressamente due requisiti di validità del patto, a pena di nullità: la sua limitazione entro un conveniente arco temporale e la sua rispondenza ad un interesse apprezzabile di almeno una delle parti Natura giuridicaIl divieto di alienazione stabilito dalle parti ha pacificamente efficacia obbligatoria, sicché la sua violazione non determina l'invalidità dell'atto di alienazione al terzo; né il divieto è opponibile al terzo acquirente, indipendentemente dalla buona o mala fede di quest'ultimo. Conseguentemente la sua violazione non è denunziabile con una azione volta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica quanto, al più con un'azione di carattere risarcitorio. Il divieto di alienazione, posto a carico dell'acquirente in forza di pactum fiduciae, spiega effetti meramente interni: l'inosservanza di tale divieto, pertanto, non interferisce sulla validità del contratto con il quale il fiduciario abbia trasferito il bene ad un terzo, indipendentemente dalla buona o mala fede di quest'ultimo, salvo restando il diritto del fiduciante di essere risarcito del danno derivantegli dallo inadempimento di quel patto (Cass. I, n. 5958/1985). Stante la predetta natura del patto, si ritiene in dottrina che le parti non possono stabilirne l'efficacia reale (Mirabelli, 317). Un altro autore (Bocchini, 118), invece, osserva che i divieti di alienazione espressi in regolamenti condominiali (come il divieto di vendita di frazioni distaccate dei singoli appartamenti ovvero il divieto di destinazione delle unità immobiliari a determinati usi), hanno efficacia reale se trascritti unitamente al regolamento. Quanto alla prestazione ed all'oggetto, il pactum de non alienando può concernere un divieto di alienazione totale o parziale, di alienazione traslativa o costitutiva, o di alienazione a titolo oneroso o a titolo gratuito e può riguardare qualsiasi diritto o bene. Secondo un autore la norma non si applica al vincolo di destinazione imposto al proprietario, poiché il divieto in commento avrebbe ad oggetto la sola alienazione della proprietà (Bocchini, cit., 44). Così si è chiarito che la norma si applica anche con riferimento al patto di vendita a prezzo imposto (c.d. clausola del ricarico minimo o del minimo prezzo di rivendita), non riconducibile ai limiti contrattuali della concorrenza, o al divieto di alienazione a commercianti non autorizzati (Cass. II, n. 5024/1994), mentre è pacifica l'ammissibilità di un divieto di alienazione riferito alla trasmissione dei diritti a causa di morte (Cass. II, n. 3969/1979) I requisiti di validità del patto: a) il conveniente limite temporaleCome esposto in precedenza, il primo requisito richiesto ai fini della validità del divieto di alienazione di origine convenzionale consiste nella circostanza che esso sia contenuto entro convenienti limiti di tempo. Appare così evidente la prima vistosa differenza rispetto ai divieti di origine legale che a tale parametro non devono prestare ossequio. Non viola il principio di temporaneità del divieto convenzionale di alienare il vincolo di destinazione senza limiti di tempo imposto dalla legge, in quanto il contenuto negoziale è predeterminato dall'interesse pubblico perseguito dalla legge stessa (Cass. II, n. 12191/2015). Ne consegue che in mancanza di fissazione di tale termine ovvero in presenza di un termine eccessivo il patto deve considerarsi nullo e, dunque, come non apposto. Ad esempio, Cass. II, n. 15240/2017 osserva che l'attribuzione patrimoniale gratuita (nella specie, sotto forma di legato) di un bene con vincolo perpetuo di destinazione imposto dal disponente con clausola modale, è nulla per violazione dell'art. 1379 c.c., risultando eccessivamente compromesso il diritto di proprietà dell'onerato, i cui poteri dispositivi sul bene — destinato a circolare, a pena di inadempimento, con il medesimo vincolo — risultano sostanzialmente sterilizzati sine die. Si osserva a tal proposito in dottrina che in simili ipotesi non sarebbe possibile ricorrere all'A.G. al fine di ottenere la fissazione o la riduzione del termine, avendo le norme che conferiscono un simile potere al giudice carattere eccezionale ed essendo pertanto insuscettibili di applicazione analogica (Mirabelli, 317). Secondo una diversa ricostruzione, al contrario, l'A.G. potrebbe essere chiamata ad intervenire, ma non fino al punto di concedere la riduzione del termine qualora il dissenziente provi che tale riduzione determinerebbe lo snaturamento dello scopo pratico perseguito con il patto (Bocchini, cit., 67). Altra teoria (Roppo, 574) dà al quesito una risposta diversa, a seconda della tipologia di vizio, nel senso che ove la durata del vincolo ecceda la convenienza, il patto sarebbe affetto da nullità, con preclusione di qualsivoglia intervento giudiziale e possibilità di conversione, ex art. 1424 c.c., in un patto di prelazione (sempre ché il termine non risulti comunque eccessivo) mentre, laddove il termine difetti, il ricorso all'A.G. con la richiesta di sua fissazione (ovvero, a contrario, l'accertamento dell'inutile spirare del limite di tempo secondo convenienza), sarebbe possibile applicando analogicamente l'art. 1331, comma 2 c.c. Segue. b) La rispondenza ad un apprezzabile interesse Il secondo requisito richiesto ai fini della validità del patto consiste nella sua rispondenza ad interessi meritevoli di tutela. L'interesse in questione può anche essere non patrimoniale, morale o affettivo, ovvero indiretto, nel senso che il patto giova ad altro soggetto che si trovi in una situazione che giustifichi l'interesse a tale beneficio (Mirabelli, 317) e deve essere tale da superare, in un ipotetico bilanciamento, il sacrificio derivante dall'indisponibilità (relativa) del bene. Anche il difetto del menzionato requisito implica la nullità del patto Pactum de non alienando e patto di prelazioneSi è detto supra che, relativamente al quesito della ricorribilità all'A.G. al fine di ottenere la fissazione di un termine alla durata del vincolo, una delle teorie sviluppate in dottrina fornisce al quesito una risposta diversa, a seconda della tipologia di difetto lamentato, nel senso che, ove la durata del vincolo ecceda la convenienza, il patto sarebbe affetto da nullità, con preclusione a qualsivoglia intervento giudiziale e possibilità di conversione, ex art. 1424 c.c., in un patto di prelazione (sempre ché il termine non risulti comunque eccessivo) mentre, laddove il termine difetti, il ricorso all'A.G. con la richiesta di sua fissazione (ovvero, a contrario, l'accertamento dell'inutile spirare del limite di tempo secondo convenienza), sarebbe possibile applicando analogicamente l'art. 1331, comma 2 c.c. Anche da tali riflessioni si coglie, dunque, l'esistenza di una differenza tra pactum de non alienando e patto di prelazione: precisamente in tale ultimo frangente non si registra la ricorrenza di un divieto di alienare quanto, piuttosto, una limitazione relativamente all'individuazione del soggetto destinato ad acquistare, nel senso che, a parità di condizioni, va riconosciuta preferenza, nella vendita, in favore del prelazionario. Se ne trae la conclusione per cui il concedente la prelazione non è tenuto, in assoluto, a non alienare a terzi, potendo rivolgersi a questi solo dopo che, interpellato il prelazionario mediante denuntiatio, quest'ultimo non abbia manifestato la propria intenzione di acquistare a parità di condizioni. La differenza tra le due fattispecie è chiara anche in giurisprudenza. Così Cass. II, n. 15709/2013 chiarisce che il patto di prelazione per il caso di vendita, stipulato senza limiti di tempo, non ricade nel divieto di rapporti obbligatori che tolgono senza limitazioni cronologiche al proprietario la facoltà di disporre dei suoi beni, in quanto tale patto non comporta l'annullamento dell'indicata facoltà, restando sempre il proprietario perfettamente libero di disporre o meno dei suoi beni ed alle condizioni che preferisce, bensì soltanto un limite relativo alla libera scelta della persona del compratore, la quale nella normalità dei casi, a parità di condizioni per tutto il resto, è indifferente per il venditore. Peraltro nella medesima occasione la S.C. ha altresì osservato — con ciò evidenziando un'ulteriore differenza esistente tra le due fattispecie — che, relativamente alla prelazione, deve ritenersi ammissibile un intervento del giudice che, su istanza di una delle parti, stabilisca un termine finale ritenuto congruo per l'esercizio del diritto di prelazione ai sensi dell'art. 1183 c.c.. BibliografiaAlcaro, Promessa del fatto del terzo, in Enc. dir., Milano, 1988; Bavetta, La caparra, Milano, 1963; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Bocchini, Limitazioni convenzionali al potere di disposizione, Napoli, 1977, 118; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1949; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Cherubini, La promessa del patto del terzo, Milano, 1992; D'Avanzo, voce Caparra, in Nss. 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