Quali sono le condizioni di validità della trasmissione degli atti tramite l'applicativo TIAP?

03 Settembre 2019

In tema di fascicolo informatizzato contenuto nel sistema TIAP, qualora le condizioni formali relative alle comunicazioni ovvero all'esatta osservanza delle indicazioni contenute nei Protocolli d'Intesa tra gli uffici giudiziari e gli ordini degli avvocati interessati non ricorrano, le parti non possono che far fede sul fascicolo processuale cartaceo e di quello devono tenere conto per le loro richieste.
Massima

In tema di fascicolo informatizzato contenuto nel sistema TIAP, qualora le condizioni formali relative alle comunicazioni ai sensi dell'art. 64, commi 3 e 4, disp. att. cod. proc. pen. ovvero all'esatta osservanza delle indicazioni contenute nei Protocolli d'Intesa tra gli uffici giudiziari e gli ordini degli avvocati interessati non ricorrano - come nel caso in cui manchi la prevista attestazione formale di corrispondenza tra il contenuto del fascicolo procedimentale cartaceo e quello del fascicolo informatizzato inserito nel sistema TIAP, indispensabile ad attestare la conformità del secondo al primo - le parti non possono che far fede sul fascicolo processuale cartaceo e di quello devono tenere conto per le loro richieste.

Il caso

La Corte di Appello di Palermo, in relazione ad un procedimento i cui atti erano stati digitalizzati ed inseriti nell'applicativo TIAP, nel confermare la statuizione di condanna emessa dal Gip all'esito del giudizio abbreviato, aveva ritenuto utilizzabile un'informativa di polizia giudiziaria, successiva all'emissione della misura cautelare, presente nel fascicolo cartaceo trasmesso dal pubblico ministero in seguito alla richiesta di giudizio immediato, sebbene tale atto non risultasse “dall'indice Tiap”.
Le difese, con il ricorso per cassazione, lamentavano che il mancato inserimento in TIAP, desumibile dall'assenza del relativo indice, avrebbe impedito di compiere una scelta consapevole in relazione al rito richiesto, essendosi determinate sulla base di una discovery parziale, indirizzata da un indice TIAP incompleto e fondata, dunque, su un accesso non integrale agli atti disponibili informaticamente.

La questione

A quali condizioni può ritenersi validamente eseguito l'invio telematico degli atti con il sistema di gestione documentale TIAP? Quale valenza processuale può attribuirsi al fascicolo informatizzato in caso di contestuale inoltro del fascicolo cartaceo? L'incompleta digitalizzazione degli atti cartacei trasmessi con la richiesta di giudizio immediato può determinare una violazione del diritto di difesa?

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha rigettato il ricorso.

Come è noto, l'art. 454 c.p.p. prevede che con la richiesta di giudizio immediato il pubblico ministero trasmetta alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al gip medesimo.

Nel caso di specie: il fascicolo processuale era visibile tramite TIAP ed era stato trasmesso anche in via cartacea all'ufficio GIP/GUP; il fascicolo cartaceo recava l'indice in cui veniva espressamente inserito il faldone contenente l'informativa di polizia giudiziaria in contestazione; nel Protocollo sottoscritto dalla Camera Penale e dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, insieme agli uffici della Procura della Repubblica e del Tribunale di Palermo, risultava chiaramente indicato che la corrispondenza tra il fascicolo informatizzato al TIAP e quello "fisico e cartaceo" poteva essere presunta solo mediante una espressa attestazione di conformità apposta sul frontespizio del fascicolo cartaceo dal cancellerie assegnato a tale incarico, il quale firmava la specifica dizione "TIAP" con cui sola si attestava la corrispondenza; una tale attestazione non era stata apposta sul fascicolo processuale di interesse.

Così ricostruiti i termini della questione, secondo la Suprema Corte, i giudici di merito avevano correttamente valutato il contenuto del fascicolo cartaceo come l'unico regolarmente formato ed altrettanto avrebbero dovuto fare anche le difese, sulla base dell'ordinaria diligenza, avvedendosi del mancato rispetto delle condizioni formali relative alle comunicazioni ai sensi dell'art. 64, commi 3 e 4, disp. att. cod. proc. pen..

In ogni caso, affermano i Supremi giudici, in base all'attuale sistema normativo, il fascicolo cartaceo, inoltrato in osservanza alle regole del codice di procedura penale (“principalmente, art. 416, comma 2, cod. proc. pen.; art. 130 disp. att. cod. proc. pen. e fatto salvo quanto previsto dall'art. 97 disp. att. cod. proc. pen. per le misure cautelari”), deve sempre prevalere su quello informatizzato presente al TIAP, la cui incompletezza non può mai determinare alcuna lesione del diritto di difesa.

Osservazioni

La sentenza si segnala perché affronta la questione delle condizioni di validità dell'invio telematico degli atti processuali mediante il sistema TIAP ed esamina più in generale il tema dei rapporti tra fascicolo digitalizzato e fascicolo cartaceo, negando peraltro, in termini assoluti, che possa verificarsi una lesione dei diritti della difesa in ragione della incompleta riproduzione digitale degli atti inviati all'ufficio giudicante anche in formato analogico.

Il ragionamento della Suprema Corte convince solo in parte.

1. Va premesso che il sistema TIAP (oggi Tiap-Document@) è un applicativo sviluppato dal Ministero della Giustizia per la gestione informatica del fascicolo penale, con possibilità di integrarne i contenuti nelle varie fasi del procedimento.

All'interno di TIAP sono naturalmente contenute solo copie informatiche per immagine di documenti cartacei, che non sostituiscono gli originali. Citando la Suprema Corte: “allo stato, non si tratta di un modello integralmente sostitutivo della struttura cartacea che contraddistingue gli atti processuali, né di un sistema che ne modifica la genesi, permettendone, cioè, la nascita in forma originariamente informatica; va, piuttosto, evidenziato che l'applicativo stesso rende solo informaticamente "disponibili" gli atti processuali, formati, comunque, in originale, su supporto cartaceo. In concreto, attraverso attività di scannerizzazione - che duplicano, nella forma digitale, quelli originali su supporto cartaceo - ed avvalendosi dell'inglobamento dei files relativi nel raccoglitore virtuale che il sistema genera, si crea un cd. fascicolo informatico, di natura virtuale più o meno corrispondente, per completezza, a quello originale di formato cartaceo” (Cass. pen., 29 aprile 2016, n. 44424).

L'applicativo, dunque, ha la funzione di dematerializzare il fascicolo originale, trasformandone i documenti che lo compongono in file consultabili attraverso una specifica piattaforma informatica, consentendo di superare i limiti propri della gestione cartacea del fascicolo, con riguardo alla forma di consultazione degli atti ed alle modalità di ostensione ai difensori, nonchè di scambio tra uffici, realizzati mediante semplice condivisione telematica dei doppioni digitali.

In mancanza di disposizioni in materia di processo penale telematico, che impongano e disciplinino l'uso del gestore documentale, vengono stipulati protocolli d'intesa tra gli uffici giudiziari e le organizzazioni degli avvocati, per regolamentare le modalità di utilizzo del gestore documentale Tiap.

In tali atti di normazione secondariasi prevede, di regola, con specifico riferimento al subprocedimento cautelare, che la trasmissione informatica di sotto fascicoli virtuali sostituisca del tutto quella tradizionale su supporto cartaceo. In questo caso, la possibilità di trasmissione degli atti in copia trova fondamento normativo nell'art. 100 disp. att. c.p.p., che permette espressamente l'invio anche solo della copia degli atti indicati nell'art. 309, comma 5, c.p.p..
La Suprema Corte ha, poi, riconosciuto piena legittimità all'uso di Tiap a fini di comunicazione delle copie degli atti digitalizzati nelle procedure cautelari, invocando il disposto di cui all'art. 64, commi 3 e 4, disp. att. cod. proc. pen., che consente il ricorso a “strumenti tecnici idonei” per la trasmissione delle copie degli atti da un'autorità giudiziaria all'altra “in casi di urgenza ovvero quando l'atto contenga disposizioni concernenti la libertà personale” (Cass. pen., 19 dicembre 2016, sent. n. 3272; negli stessi termini, Cass. pen., 19 dicembre 2016, n. 14869 e Cass. pen., 25 giugno 2018, n. 53986).

Nei citati protocolli di intesa, si prevede, invece, generalmente (così, allo stato, nelle sedi giudiziarie di Napoli e Roma), che la trasmissione informatica degli atti a supporto dell'azione penale si aggiunga a quella cartacea senza sostituirla del tutto (cd. doppio binario). Si tratta di una soluzione chiaramente suggerita dalla mancanza di un adeguato assetto delle attuali strutture informatiche dell'amministrazione giudiziaria - in particolare dall'assenza di postazioni informatiche in udienza per il giudice e per le parti, tali da consentire la costante consultazione del fascicolo digitalizzato - non sembrando, invece, affatto obbligata dal punto di vista normativo. Invero, sebbene la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 130 disp. att. c.p.p. sembri far riferimento alla trasmissione degli atti in originale, prevedendo la possibilità per il PM di trattenere “copia” di quelli inoltrati (“In ogni caso il pubblico ministero può, a fini di indagine, trattenere copia della documentazione e degli atti trasmessi al giudice”), nessuna sanzione processuale è prevista per l'ipotesi di allegazione in sola copia degli atti a sostegno dell'azione penale.
Parimenti, nessuna norma impedisce di trasmettere in sola copia il fascicolo ex art. 431 c.p.p. ovvero gli atti alla Corte di Appello, come implicitamente affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia della sez. V, n. 37370 del 7 giugno 2011 (in cui si dà atto dell'avvenuta digitalizzazione e trasposizione del materiale processuale in supporti magnetici inviati alla Corte d'Appello “sì da rendere astrattamente irrilevante l'eventuale incompletezza dell'incartamento contestualmente trasmesso”).

D'altra parte, nelle sedi giudiziarie in cui è stata assicurata la predisposizione di adeguate postazioni informatiche nelle aule di udienza, si è convenuto espressamente di inoltrare in formato esclusivamente digitale anche gli atti a supporto dell'azione penale (così, negli uffici giudiziari del Distretto di Palermo) e non pare seriamente contestabile che l'attuale quadro normativo consenta di riconoscere valore legale al sistema di trasmissione mediante TIAP anche per tale fase, ricordando che l'art. 64, comma 4, disp. att. c.p.p., con formula aperta, legittima il ricorso a “strumenti tecnici idonei”, per la trasmissione delle copie degli atti da un'autorità giudiziaria all'altra, non solo nei casi contemplati dal terzo comma, bensì anche con riferimento alle ipotesi considerate dal primo comma, in cui sono elencate le forme regolari della trasmissione di copia dell'atto tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento o la consegna al personale di cancelleria (art. 64, disp.att. c.p.p.: 1. La comunicazione di atti del giudice ad altro giudice si esegue mediante trasmissione di copia dell'atto con lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero mediante consegna al personale di cancelleria, che ne rilascia ricevuta su apposito registro custodito presso la cancelleria del giudice che ha emesso l'atto. 2. La comunicazione di atti dal giudice al pubblico ministero, che ha sede diversa da quella del giudice, si esegue mediante trasmissione di copia dell'atto con lettera raccomandata con avviso di ricevimento. 3. In caso di urgenza o quando l'atto contiene disposizioni concernenti la libertà personale, la comunicazione è eseguita col mezzo più celere nelle forme previste dagli articoli 149 e 150 del codice ovvero è eseguita dalla polizia giudiziaria mediante consegna di copia dell'atto presso la cancelleria o la segreteria. In questo ultimo caso, la polizia redige verbale, copia del quale è trasmessa al giudice che ha emesso l'atto. 4. Ai fini delle comunicazioni previste dai commi precedenti, la copia può essere trasmessa con mezzi tecnici idonei, quando il funzionario di cancelleria del giudice che ha emesso l'atto attesta, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo originale).

Ma a quali condizioni gli atti digitalizzati contenuti nel sistema Tiap possono ritenersi validamente trasmessi all'ufficio giudicante? Occorre una formale attestazione di corrispondenza - sia pure con semplice dicitura Tiap sottoscritta dal cancelliere o altra formula equipollente - tra il contenuto del fascicolo procedimentale cartaceo e quello del fascicolo informatizzato, secondo quanto stabilito dall'art. 64, comma 4, disp. att. c.p.p.?

A tale quesito la Suprema Corte ha dato risposta positiva assumendo che, nel confronto tra il fascicolo informatizzato presente nel sistema TIAP ed il fascicolo cartaceo trasmesso all'ufficio giudicante in modalità tradizionale, il primo debba cedere il passo al secondoqualora le condizioni formali relative alle comunicazioni ai sensi dell'art. 64, commi 3 e 4, disp. att. cod. proc. pen. (…) non ricorrano”.

L'affermazione di principio, così come formulata, non convince, condividendosi piuttosto l'ulteriore considerazione fatta dalla Suprema Corte - che in sostanza svuota di contenuto la precedente - secondo cui nell'attuale sistema processuale, in caso di invio degli atti processuali sia in modalità telematica che cartacea (doppio binario), nessuna norma consente di attribuire prevalenza alla (parziale, si aggiunge) riproduzione digitale degli atti, dovendosi porre a base del processo il fascicolo cartaceo formato e inoltrato in osservanza alle regole del codice di procedura penale.

Si intende dire, e a riconoscerlo di fatto è la stessa Suprema Corte, che, pur in presenza di dicitura TIAP o di altra formula equipollente volta ad attestare la corrispondenza tra il fascicolo informatizzato ed il fascicolo originale, non sarebbe comunque consentito – a parte le considerazioni che verranno fatte più avanti sui possibili rimedi in caso di compromissione dei diritti della difesa - disconoscere valenza processuale agli atti regolarmente trasmessi all'ufficio giudicante in modalità cartacea, pur se non integralmente riprodotti nel sistema informatico.
Né vi è alcuna norma processuale che consenta di derogare a tale regime con riferimento alla trasmissione anche degli atti nei subprocedimenti relativi alle misure cautelari, non sembrando appropriato il richiamo operato nella sentenza in commento al disposto di cui all'art. 97 disp. att. codice di rito, per inferirne una diversa regolamentazione per le misure cautelari, in termini di “perfetta sostituibilità formale tra fascicolo informatizzato presente al TIAP e fascicolo cartaceo”. Invero, la richiamata disposizione attuativa, prevedendo l'obbligo di comunicazione “al servizio informatico istituito con decreto del ministro di grazia e giustizia” - ora banca dati nazionale delle misure cautelari - dei provvedimenti con i quali è stata disposta ed eseguita una misura cautelare personale, ovvero dichiarato lo stato di latitanza, fu originata dall'esigenza di poter disporre di informazioni utili ai fini della notifica di atti giudiziari e risponde, tuttora, alla sola esigenza di consentire un controllo della reperibilità dei soggetti attinti da misure cautelari, oltre ad assicurare un continuo monitoraggio dei termini di scadenza, per prevenire il rischio di scarcerazioni. Si fa riferimento, in definitiva, ad un mero registro, popolato con le annotazioni relative ai provvedimenti applicativi delle misure cautelari, la cui disciplina in alcun modo interferisce con la valenza processuale degli atti posti a fondamento dei provvedimenti cautelari.

2. Diverso da quello affrontato nella sentenza in commento è, invece, il caso in cui la trasmissione degli atti o di parte di essi avvenga esclusivamente in modalità telematica (come espressamente previsto nel protocollo d'intesa relativo alla sede giudiziaria di Palermo, anche per la fase successiva all'esercizio dell'azione penale: “La Procura della Repubblica conclusa la fase cd. 415-bis c.p.p., dopo l'esercizio dell'azione penale, provvede ad inoltrare all'ufficio giudicante il fascicolo virtuale, tramite sistema di gestione documentale. Il fascicolo cartaceo, recante nel frontespizio, in maniera visibile, la dicitura T.I.A.P., sottoscritta dal Cancelliere con valore di attestazione di conformità del fascicolo digitale a quello cartaceo, sarà trattenuto presso gli uffici di Procura (…). Nel primo caso sarà trasmessa all'ufficio giudicante la sola copia della copertina”).

In questa ipotesi, non considerata dalla Suprema Corte, sembra legittimo interrogarsi sulle conseguenze della mancata osservanza delle formalità di cui all'art. 64, comma 4, disp. att. cod. proc. pen. e, per dare risposta al quesito, può ricordarsi il principio adottato in una precedente decisione di legittimità concernente l'utilizzo di un altro mezzo tecnico idoneo di trasmissione degli atti processuali, ovvero la posta elettronica certificata (Cass. pen., 28 febbraio 2018, n. 21710, sez. V).
In quel caso la trasmissione degli atti (al Tribunale del riesame) era avvenuta esclusivamente in modalità informatica e la Suprema Corte era chiamata a valutare l'idoneità del mezzo tecnico prescelto dal pubblico ministero a far decorrere il termine di cui all'art. 309, comma 9, c.p.p. Ebbene, i Supremi giudici, dopo aver affermato che l'attestazione di conformità di cui all'art. 64, comma 4, disp. att. cod. proc. pen. è essenziale ai fini della individuazione del dies a quo per le decisioni in tema di misure cautelari personali, perché garantisce l'immediata conoscenza dell'integralità degli atti trasmessi, non hanno disconosciuto valenza processuale agli atti trasmessi via pec senza l'attestazione di conformità, chiarendo solo che il mancato rispetto della disciplina contenuta negli artt. 150 c.p.p. e 64 disp. att. c.p.p. comporta che il termine per la decisione di riesame non possa decorrere dalla data di ricevimento della pec, ma da quello diverso e successivo di effettiva conoscenza degli atti attraverso la stampa del messaggio di posta elettronica certificata e la verifica della loro integralità.

In definitiva, secondo l'argomentare della Suprema Corte, la formalità di cui al sopracitato art. 64 garantisce l'immediata conoscenza della integralità degli atti trasmessi ma non incide sulla loro valenza processuale, una volta che ne sia stato formalmente constatato il contenuto.

Estendendo tale ragionamento al sistema TIAP, può ritenersi che, in caso di inoltro degli atti processuali in modalità esclusivamente telematica, il mancato rispetto delle formalità relative alle comunicazioni ai sensi dell'art. 64, comma 4, disp. att. cod. proc. pen., non impedisca di porre quegli atti a fondamento della decisione del giudice, pur potendoli ritenere regolarmente trasmessi solo al momento della constatazione ed attestazione da parte del cancelliere dell'ufficio ricevente dell'avvenuta condivisione nel sistema informatico.

3. Come anticipato, la sentenza in esame merita attenzione anche nella parte in cui esclude qualsiasi compromissione del diritto di difesa in ragione della incompleta conoscenza degli atti sulla base dei quali si sia optato per il rito abbreviato in seguito all'azione penale.

L'affermazione, resa in questi termini assoluti, non persuade.

Innanzitutto, non pare conferente il richiamo operato dalla Suprema Corte al principio adottato nella sentenza n. 25659 del 15 maggio 2009, concernente il caso, opposto a quello preso in esame nella decisione in commento, in cui la difesa lamentava l'incompletezza del fascicolo trasmesso dal pubblico ministero al GUP, per non esservi inseriti altri atti di indagine asseritamente concernenti le imputazioni contestate. Nell'occasione, i giudici di legittimità hanno condivisibilmente affermato che il giudizio abbreviato, nei suoi caratteri essenziali, corrisponde ad un procedimento "a prova contratta", alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale "sul rito", a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all'udienza preliminare alla stregua degli atti d'indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del dibattimento.

La questione affrontata dalla Suprema Corte nella sentenza in commento nasceva, invece, da una esigenza opposta: la difesa non chiedeva di fare entrare nel giudizio abbreviato più atti di quelli trasmessi dal pubblico ministero; reclamava, piuttosto, una riduzione del materiale probatorio, dolendosi del mancato deposito informatico di un atto messo a disposizione del giudice in modalità cartacea.

Si tratta di un profilo indubbiamente delicato, che presenta aspetti di problematicità proprio con riferimento agli atti trasmessi con la richiesta di giudizio immediato, mancando in questo caso un momento di confronto in udienza prima della eventuale scelta difensiva di procedere nelle forme del giudizio abbreviato, scelta non più revocabile proprio dopo la fissazione dell'udienza camerale (Cass. Penale, sentenza n. 33908 del 7 giugno 2017, sez. V, secondo cui “la richiesta di giudizio abbreviato è revocabile fino all'adozione del provvedimento del giudice che dispone il rito quando è proposta ai sensi dell'art. 438 cod. proc. pen., mentre, laddove è presentata a seguito di decreto di giudizio immediato, può essere revocata fino al momento della fissazione dell'udienza per la ammissione del procedimento speciale”. Nell'occasione, la Suprema Corte ha chiarito che la richiesta di trasformazione del giudizio immediato nel giudizio abbreviato - scandita dal rigido termine di cui all'art. 458, comma 1, cod. proc. pen., assistito dalla comminatoria di inammissibilità - da un lato, presuppone, alla luce del chiaro enunciato normativo: "se la richiesta è ammissibile", un vaglio preliminare da parte del giudice circa l'insussistenza di cause di inammissibilità ictu ocu/i rilevabili; dall'altro, comporta l'attivazione della procedura disciplinata dal comma 2 dello stesso articolo, con l'emissione del provvedimento di fissazione della camera di consiglio ai fini dell'ammissione e della celebrazione del rito. A significare, cioè, che si è in presenza di "effetti giuridici" che, una volta realizzatisi, rendono non più reversibile la richiesta di rito abbreviato formulata dalla parte ai sensi dell'art. 458, comma 1, cod. proc. pen.”).

Proprio allo scopo di consentire all'imputato e al suo difensore di esercitare consapevolmente tale facoltà dopo la notifica del decreto di giudizio immediato, l'art. 139 disp. att. c.p.p. prevede il deposito del fascicolo trasmesso con la richiesta del pubblico ministero nella cancelleria del giudice ed il diritto delle parti di prenderne visione ed estrarne copia. E però, va considerato che ad una trasmissione esclusivamente informatica degli atti processuali digitalizzati mediante il sistema TIAP, non può che corrispondere un deposito esclusivamente telematico di quegli stessi atti ad opera dell'ufficio giudicante. Ed infatti, nei protocolli di intesa stipulati tra gli uffici giudiziari e gli ordini forensi, si prevede che gli avvocati prendano visione del fascicolo, non più recandosi nelle singole cancellerie, dove tradizionalmente erano custoditi i fascicoli trasmessi in modalità cartacea, bensì accedendo a monitor di informazione situati in sale appositamente allestite per la consultazione degli atti in formato digitale.

Ma che accade se, in deroga a quanto concordato, gli atti vengono trasmessi all'autorità giudicante anche in formato cartaceo? Può negarsi in assoluto che ne possa derivare una illegittima compressione dei diritti della difesa? In particolare, durante i termini di cui all'art. 455 c.p.p., può avvedersi l'avvocato della eventuale incompletezza del fascicolo digitale presente nel sistema informatico rispetto a quello trasmesso all'ufficio giudicante in modalità tradizionale?

Invocare l'ordinaria diligenza delle difese è certamente condivisibile, ma neppure può trascurarsi il dovere degli uffici di assicurare, per i casi di inosservanza delle previsioni protocollari, un meccanismo di comunicazione delle modalità di deposito (attraverso una espressa indicazione nel corpo del decreto di giudizio immediato o un'annotazione nel registro informatico o, più in generale, disponendo che i difensori si rechino presso le singole cancellerie prima di accedere alle sale TIAP), per evitare che un legittimo affidamento sulle ordinarie forme di visualizzazione degli atti possa tradursi in una concreta lesione delle prerogative difensive.

Naturalmente, per quanto detto, non è in discussione l'utilizzabilità di atti regolarmente trasmessi all'autorità giudiziaria in modalità tradizionale, né si vuole ammettere la possibilità che la difesa ritratti tout court la richiesta di giudizio abbreviato (essendo pacifico il carattere eccezionale delle deroghe previste dalla legge, non suscettibili di estensione analogica), ma di fronte ad una concreta lesione del diritto di addivenire ad una consapevole scelta processuale dopo la notifica del decreto di giudizio immediato, potrebbe ritenersi fondata una richiesta di restituzione in termini per potersi orientare in modo informato tra le varie strategie difensive.

Pur nelle considerazioni che precedono, nel caso concreto si condivide comunque l'esito di rigetto del ricorso, essendosi limitata la difesa ad invocare una insostenibile inutilizzabilità di un atto regolarmente posto all'attenzione del giudice, senza neppure allegare di essere stata nell'impossibilità di avvedersi del deposito cartaceo della discovery, né tantomeno dimostrare di aver richiesto e ottenuto l'accesso al fascicolo digitale dopo la notifica del decreto di giudizio immediato, per l'esercizio di facoltà difensive diverse e successive rispetto a quelle eventualmente esercitate nella precedente fase cautelare, quando l'atto in contestazione non faceva ancora parte del corredo processuale.

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