Osservatorio sulla Cassazione - Ottobre 2019
15 Novembre 2019
Condotte distrattive punite con la bancarotta: per l'autoriciclaggio servono ulteriori condotte decettive Cass. Pen. – Sez. V – 30 ottobre 2019, n. 44198, sent. L'atto distrattivo compiuto dall'amministratore di una società dichiarata fallita, consistente nella stipula di un simulato contratto d'affitto dell'azienda poi fallita, già punito per il reato di bancarotta, non integra anche la condotta illecita di autoriciclaggio: la fattispecie di cui all'art. 648-ter.1 c.p. richiede, infatti, che a seguito della consumazione del delitto presupposto vengano poste in essere ulteriori condotte aventi natura decettiva, costituite da impiego in attività economiche o finanziarie.
Per liquidare la quota del socio uscente occorre considerare l'effettiva consistenza del patrimonio sociale Cass. Civ. – Sez. VI-1 – 30 ottobre 2019, n. 27768, ord. Nelle società di persone, la liquidazione della quota del socio uscente non può essere redatta facendo riferimento all'ultimo bilancio sociale o comunque ai criteri di redazione del bilancio d'esercizio, dovendosi tenere conto anche dell'effettiva consistenza del patrimonio sociale al momento dell'uscita del socio. Occorre, quindi, tenere conto di tutti i diversi cespiti che, in concreto, formano l'attivo patrimoniale della società.
Mancanza di contabilità sociale: condannato l'amministratore Cass. Civ. – Sez. I – 29 ottobre 2019, n. 27610, sent. La totale mancanza di contabilità sociale, o la sua tenuta in modo sommario e non intelligibile, giustifica di per sé la condanna dell'amministratore al risarcimento del danno, in sede di azione di responsabilità promossa dalla società ex art. 2392 c.c., vertendosi in tema di violazione da parte dell'amministratore medesimo di specifici obblighi di legge, idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale; al di fuori di tale ipotesi, che giustifica l'inversione dell'onere della prova, resta a carico del curatore l'onere di provare il rapporto di causalità tra la condotta illecita degli amministratori e il pregiudizio per il patrimonio sociale.
La prova del contratto sociale ai fini del fallimento della società di fatto Cass. Civ. – Sez. I – 28 ottobre 2019, n. 27541, ord. Al fine della dichiarazione di fallimento di una società di fatto, la sussistenza del contratto sociale può risultare, oltre che da prove dirette specificamente riguardanti i suoi requisiti (affectio societatis, costituzione di un fondo comune, partecipazione agli utili ed alle perdite), pure da manifestazioni esteriori della attività del gruppo, quando, per la loro sintomaticità e concludenza, evidenzino l'esistenza della società anche nei rapporti interni; sì che, finanziamenti e fideiussioni in favore dell'imprenditore, se non sono di per sé idonei ad evidenziare il rapporto sociale, fra quest'ultimo ed il finanziatore o garante, specie se giustificabili in relazione a vincoli di coniugio o parentela, possono costituire, pure in tal caso, indici rivelatori del rapporto stesso, qualora, alla stregua della loro sistematicità e di ogni altra circostanza del caso concreto, siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell'attività dell'impresa, qualificabile come collaborazione del socio al raggiungimento degli scopi sociali.
Gli amministratori non hanno un diritto ex lege al compenso Cass. Civ. – Sez. Lav. – 24 ottobre 2019, n. 27335, sent. La qualifica di amministratore di società di capitali non fa sorgere un diritto ex lege al compenso. Il rapporto che lega l'amministratore alla società si qualifica come di immedesimazione organica, e non è riconducibile a un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa: tale rapporto non è compreso tra quelli previsti dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c., con la conseguenza che p del tutto legittima una previsione statutaria di gratuità delle funzioni dell'amministratore.
Conflitti tra marchi e denominazioni di origine protetta: il criterio temporale di registrazione Cass. Civ. – Sez. I – 23 ottobre 2019, n. 27194, sent. La differenza di funzioni sussistente tra marchi e indicazioni geografiche o denominazioni di origine protetta non esclude, alla stregua della normativa e della giurisprudenza Europea, l'interesse comune, rappresentato dall'uso del nome geografico nell'ambito delle produzioni agricole e alimentari, quale vantaggio competitivo che l'indicazione dell'origine è in grado di garantire al prodotto, per cui il titolare di un marchio registrato in buona fede in epoca precedente la denominazione di origine protetta ben può proseguire, nonostante la successiva registrazione di detta denominazione protetta, l'uso del marchio, ai sensi dell'art. 14, comma 2, del Regolamento n. 510/2006, laddove non ricorrano ragioni di nullità o decadenza del marchio stesso.
Società a ristretta base partecipativa: opera una presunzione di distribuzione di utili non contabilizzati Cass. Civ. – Sez. VI-T – 23 ottobre 2019, n. 27049, ord. In attuazione del principio costituzionale di eguaglianza, formale (art. 3, comma 1, Cost.) e sostanziale (art. 3, comma 2, Cost.), e del principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53, comma 1, Cost.) e del principio, che ne è corollario, del divieto dell'abuso di diritto tributario, la presunzione dell'imputazione degli utili extra bilancio ai soci di una società di capitali, a ristretta base sociale, opera anche nei confronti dei soci di altra società di capitali, che sia socia della società e che, a sua volta, sia a ristretta base sociale.
Esercizio del diritto di voto di un socio titolare di partecipazioni superiori al 30% Cass. Civ. – Sez. I – 21 ottobre 2019, n. 26793, sent. Devono ritenersi legittime, e non contrarie a quanto prescritto dall'art. 110 TUF, la partecipazione all'assemblea di una s.p.a. e l'esercizio del diritto di voto da parte di un socio che, pur essendo titolare di un pacchetto azionario superiore al 30%, abbia già regolarmente lanciato un'offerta pubblica di acquisto e si trovi, pertanto, nella condizione richiesta dall'art. 106 TUF.
Accertamento dell'insolvenza di società in liquidazione Cass. Civ. – Sez. I – 7 ottobre 2019, n. 24948, ord. Ai fini dell'applicazione dell'art. 5, l. fall., la valutazione del giudice che - quando la società è in liquidazione deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali - non può non tener conto anche delle concrete possibilità di realizzo e della relativa tempistica, non essendo questione secondaria il ritardo spropositato nella realizzazione del proprio credito, da valutarsi a cura del giudice, con giudizio che - quando sia espressamente motivato - si sottrae al controllo in questa sede.
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