Cessione totalitaria di quote sociali ed il novellato art. 20, d.P.R. 131/1986, la stessa non può più essere assimilata ad una cessione di azienda
29 Gennaio 2020
Con l'inedita sentenza emessa nei giorni scorsi dalla CTR Lombardia, n. 166/2020 è stato riconfermato un sentiero già tracciato in precedenza da altre pronunce della commissione regionale lombarda molto importante in riferimento alla questione dell'art. 20 d.P.R. n. 131/1986 (vedi cfr. Riformabile la sentenza di primo grado che non ha applicato retroattivamente l'art. 20 del TUR). Di seguito qualche chiarimento:
L'art. 20 del TUR non attribuisce agli uffici finanziari un generalizzato potere di sostituire alla qualificazione giuridica propria degli atti portati a registrazione una qualificazione diversa, finalizzata ad incrementare l'onere tributario complessivo. Una simile legittimazione determinerebbe per le appellate l'assoggettamento a tassazione di un negozio completamente diverso, negli effetti giuridici ed economici, rispetto a quello voluto ed effettivamente realizzato dalle parti.
Come aberrante conseguenza, infatti, l'imposta di registro non sarebbe più applicata sugli atti soggetti a registrazione - come sancito dal fondamentale art. 1 del TUR quanto piuttosto su un atto arbitrariamente ex post "ricostruito" dall'Ufficio per nulla confacente con la realtà dei fatti. I Giudici di merito ritengono non sussistere, tuttavia, le condizioni per disporre la sospensione facoltativa del giudizio in esame.
Le due tesi che si contendono il campo, e che sono state riproposte in questo grado di giudizio, sono le seguenti:
Ed invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, nel quadro della disciplina di cui all'art. 42 c.p.c. - come novellato dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353 - non vi è più spazio per una discrezionale e non sindacabile facoltà di sospensione del processo esercitata dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale, derivandone, così, l'impugnabilità, ai sensi del citato art. 42 c.p.c., di ogni provvedimento di sospensione del processo, quale che ne sia la motivazione, e la conseguente fondatezza del ricorso ogni qualvolta non si sia in presenza di un caso di sospensione espressamente prevista dalla legge o rientrante nell'ipotesi prevista dall'art. 34. Pertanto, il ricorso avverso l'ordinanza con la quale il giudice abbia sospeso il giudizio in relazione alla pendenza di questione di costituzionalità sollevata in altro processo, appare fondato, dovendo in tal caso il giudice, qualora ritenga rilevante la questione, investire a sua volta la Corte costituzionale e successivamente procedere alla sospensione del giudizio (Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 16198 del 26/06/2013). La coesistenza dell'art. 10-bis della L. 212/2000 e dell'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986 implica che l'art. 20 non possa più essere interpretato in funzione antielusiva (in questo senso si è espressa anche Assonime, nella Circolare 4 agosto 2016 n. 21 e nella circ. 3 giugno 2019 n. 13, nonché l'Agenzia delle Entrate nella risposta 18.6.2019 n. 196). Diversamente, infatti, ove l'art. 20 del d.P.R. n. 131/86 avesse mantenuto natura di norma antielusiva, esso risulterebbe tacitamente abrogato dalla norma, successiva, recata dall'art. 10-bis.
L'art. 10-bis della L. n. 212/2000 non consente, però, di contestare il ricorso a uno strumento negoziale in luogo di un altro, laddove si tratti di una scelta tra diversi tipi negoziali, cui il legislatore riconduce regimi fiscali diversi, atteso che ciò configura una scelta consentita alla luce del principio del legittimo risparmio di imposta (studio del Notariato 17-2018/T). Ad esempio, nelle risposte nn. 13/2019, 138/2019 e 196/2019, l'Agenzia delle Entrate, recependo il novellato assetto normativo, ha affermato che "la circostanza per cui oggigiorno ai fini dell'imposta di registro la cessione diretta dell'azienda continui a scontare la tassazione in misura proporzionale, mentre la cessione indiretta della stessa (tramite il trasferimento delle quote sociali) sconti la tassazione in misura fissa non appare riconducibile ad alcuna logica di fondo del settore impositivo in esame, tale per cui se il contribuente sceglie la seconda - seppure con un percorso articolato - configuri una violazione delle finalità perseguite dalla prima" (sul tema, si veda la circ. Assonime 3.6.2019 n. 13).
Infatti, l'art. 1, c. 1084, L. 30 dicembre 2018 n. 145 ("Legge di bilancio 2019") così dispone: "L'art. 1 comma 87, lett. a) della Legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell'art. 20, comma 1 del Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131". Il richiamato art. 1, c. 87, lett. a) della Legge 27 dicembre 2017, n. 205 ("Legge di bilancio 2018") così ha novellato l'art. 20 TUR: «L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». Quindi, la nuova formulazione dell'art. 20 TUR non consente più di riqualificare gli atti sulla base di elementi esogeni.
La sostituzione della locuzione: «degli atti presentati» con la locuzione «dell'atto presentato» e l'integrazione in calce, hanno posto un importante argine all'interpretazione della natura dell'atto -oltre che degli effetti- che deve essere determinata esclusivamente da elementi contestuali all'atto stesso. La precedente formulazione dell'art. 20 TUR, non era, quindi, solo «una norma interpretativa degli atti registrati», bensì una «disposizione intesa a identificare l'elemento strutturale del rapporto giudico tributario» (Cass. n. 25001/2015) che dava prevalenza alla causa reale ("intrinseca natura" ed "effetti giuridici degli atti") sull'assetto cartolare (“il titolo e la forma apparente"), mirando alla regolazione degli interessi realmente perseguita dalle parti -anche se attraverso ulteriori accordi extra-testuali- e segnatamente del risultato economico emergente dal collegamento tra più negozi (vds. Cass. nn. 101804/2009, 15319/2013, 2713/2002 e 14900/2001), a prescindere da eventuali «intenti elusivi» (vds. Cass., nn. 7335/2014 e 19752/2013). Infatti, secondo la relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge della citata novella, «non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell'atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote)». Con l'altra novella introdotta dalla Legge Bilancio 2018 per l'articolo 53-bis, d.P.R. 131/1986, rubricato “Attribuzioni e poteri degli Uffici”, si restituisce all'art. 20 TUR l'originaria struttura di “imposta d'atto”, regolando -con rinvio all'art. 10-bis, L. n. 212/2000- ogni riqualificazione antielusiva, anche mediante atti collegati o elementi extra-testuali, ove si ravvisi un abuso del diritto. Il successivo intervento della Legge di bilancio 2019, sancisce apertis verbis l'efficacia retroattiva del novellato articolo 20 per tutti i rapporti non esauriti. (vds. CTR Lombardia, Milano, sez. I, 2 dicembre 2019, n. 4839/2019). |