Il falso nell'annotazione al SICP si configura solo se ne viene definito il contenuto attestativo
18 Febbraio 2020
Massima
Il cancelliere della segreteria del Procuratore della Repubblica che abbia attestato di aver evaso le richieste di archiviazione di centinaia di procedimenti, annotando al SICP, contrariamente al vero, l'avvenuto inoltro delle stesse al Giudice delle indagini preliminari, risponde del reato di falso? Con la sentenza in commento la quinta Sezione penale della Cassazione torna ad occuparsi del Sistema Informativo della Cognizione Penale (S.I.C.P.), ossia del Registro unico nazionale che gestisce, in quasi tutti i gradi di giudizio, le fasi del procedimento penale e, per rispondere al quesito, annulla con rinvio l'ordinanza emessa dal Tribunale del riesame, per essersi, il giudice a quo, “sottratto alla necessaria compiuta definizione del contenuto attestativo dell'annotazione nel registro informatico della procura”, non risultando chiarito “se detta annotazione dia conto della sola condizione giuridica del procedimento, ossia della conclusione delle indagini preliminari con richiesta di archiviazione, e non anche degli accadimenti successivi quali la materiale trasmissione al giudice delle indagini ...; ovvero se l'annotazione attesti anche la materiale trasmissione del fascicolo procedimentale all'ufficio del g.i.p.”. Il caso
Il Tribunale di Cagliari, quale giudice del riesame, con ordinanza pronunciata il 3/6/2019 riduceva a sei mesi la durata della misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio nei confronti dell'indagata, chiamata a rispondere, al capo a), del delitto di cui agli artt. 81 e 479 c.p. (falsità ideologica continuata commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici), perchè, quale cancelliere responsabile della segreteria del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei, attestava falsamente di aver evaso le richieste di archiviazione di ben 493 procedimenti penali, annotando al SICP, l'avvenuto inoltro delle stesse al Giudice delle indagini, e ciò contrariamente al vero, in quanto i fascicoli venivano trasmessi molto tempo dopo, anche con oltre un anno di ritardo. L'indagata risponde anche, al capo b), del reato di cui agli artt. 81 e 615-ter c.p. (accesso abusivo continuato ad un sistema informatico o telematico, aggravato dall'aver commesso il fatto con riguardo ad un sistema informatico di interesse pubblico), perchè, nella qualità di pubblico ufficiale, servendosi della password assegnatale, con violazione dei doveri inerenti al servizio svolto e con abuso di potere, accedeva e si manteneva nel sistema informatizzato dell'amministrazione giudiziaria SICP contro la volontà dell'amministrazione di appartenenza, poiché raccoglieva informazioni riservate fuori dai casi consentiti e per ragioni estranee alle finalità poste a fondamento del potere di accesso. Infine, al capo c), la contestazione di cui al agli artt. 56, 326 c.p. (tentata rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio), perchè con le condotte di accesso abusivo descritte, l'indagata accedeva al SICP, nella sottosezione del Registro delle Notizie di Reato, inseriva le proprie generalità e ricercava l'esistenza di procedimenti a proprio carico, senza riuscire tuttavia ad apprendere la notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati unicamente per le cautele adottate dalla Procura di Lanusei che l'aveva iscritta con un nome di fantasia. Avverso l'ordinanza emessa dal giudice del riesame, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagata censurando l'ordinanza sotto quattro distinti profili, di cui il primo – che è quello che qui rileva e che per altro ha trovato accoglimento – riguardava l'erronea applicazione dell'art. 479 c.p. e il conseguente vizio di motivazione. Si è infatti sostenuto che lo "scarico" al SICP dei fascicoli interessati da richieste di archiviazione non comporta alcuna asseverazione dell'invio dei fascicoli stessi al G.I.P., sicché il reato di cui all'art. 479 c.p. non poteva considerarsi integrato in relazione al ritardato (in alcuni casi, anche oltre l'anno), materiale invio da parte dell'indagata dei fascicoli, unico elemento che il Tribunale del riesame sembrava aver valorizzato per ritenere sussistente il reato, che invece sarebbe a consumazione istantanea. Gli ulteriori motivi, rilevanti per gli altri reati contestati all'indagata, hanno riguardato – il secondo - la scarsa rilevanza delle intercettazioni e la circostanza che alcuni accessi erano avvenuti su richiesta della polizia giudiziaria o di un sostituto, come tali non idonei ad integrare il reato di cui sub b); quanto poi al reato sub c), ed in questo il terzo ed il quarto motivo del ricorso, il Tribunale del riesame aveva omesso di esaminare le relative questioni ritenendole assorbite in quelle concernenti i capi precedenti.
La quinta Sezione della Corte di cassazione, con la sentenza in commento, ha annullato l'ordinanza impugnata limitatamente alle imputazioni provvisorie di cui ai capi a) e c) e alle esigenze cautelari, con conseguente rinvio per nuovo esame al Tribunale di Cagliari, avendo ritenuto fondato il primo, il terzo ed il quarto motivo, e se sul terzo e quarto motivo ha concluso rilevando che l'"assorbimento" delle questioni relative all'imputazione provvisoria sub c) si era di fatto tradotto in una mancanza di motivazione su una delle imputazioni provvisorie, inficiando in tal modo anche la valutazione relativa alle esigenze cautelari, sul primo motivo si è più diffusamente soffermata ed è su questo che si intende, in questa sede, prestare maggiore attenzione.
La questione
La questione che la Corte affronta, nel censurare l'ordinanza impugnata, in accoglimento del primo motivo di censura, può essere sintetizzata nei seguenti termini: perché possa configurarsi il reato di falso ideologico a carico del cancelliere della Procura che attesti – contrariamente al vero - di aver evaso le richieste di archiviazione annotando al SICP l'avvenuto inoltro delle stesse al Giudice delle indagini preliminari, è necessario fornire la compiuta definizione del contenuto attestativo dell'annotazione. In altri termini, chiarire quale contenuto abbia l'annotazione al SICP e se essa attesti o meno un accadimento specifico è essenziale ai fini dell'integrazione del reato di falso ideologico. Essendosi il Tribunale di Cagliari sottratto alla compiuta, doverosa, definizione di quale sia il contenuto dell'attestazione che, con l'annotazione al SICP, si effettua, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio l'ordinanza impugnata. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, con la decisione in commento, indica al giudice di merito (in questo caso il Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice del riesame) uno dei presupposti per ritenere integrato il reato di falso ideologico commesso da un pubblico ufficiale che attesti, in un registro informatico, un determinato accadimento: è cioè necessario che venga “a monte” chiarito quale contenuto abbia quella annotazione nel sistema informatico. In altri termini, quando il falso venga commesso su un registro informatico e dunque mediante la compilazione di campi il più delle volte predefiniti dal sistema telematico, realizzata anche attraverso la c.d. “spunta” della voce ad essa relativa, potrà dirsi integrato il reato di falso se l'annotazione al sistema contempli quello specifico accadimento che, contrariamente al vero, si attesta essere accaduto.
Nel caso specifico, il cancelliere della Procura che annoti al SICP di aver trasmesso al GIP le richieste di archiviazione – senza avervi concretamente provveduto, o provvedendovi, ma successivamente – dovrà rispondere del reato di falso solo se quella annotazione al registro informatico dia conto anche della materiale trasmissione del fascicolo procedimentale all'ufficio del g.i.p.. Diversamente, e pur se la Corte sul punto non si esprime in termini così netti, può ragionevolmente sostenersi che se l'annotazione dà conto della sola condizione giuridica del procedimento, ossia della conclusione delle indagini preliminari con richiesta di archiviazione, e non anche dei successivi accadimenti, quali appunto la materiale trasmissione del fascicolo al Gip (e la Corte indica, a titolo esemplificativo, anche il caso della notificazione della richiesta alla persona offesa), difficilmente vi sarebbero margini per ritenere integrato il reato di falso ideologico, mancando, nell'annotazione, quel contenuto attestativo (ossia di aver evaso le richieste con l'avvenuto inoltro delle stesse al gip) idoneo a configurare la falsità ideologica
Una volta che sia stato definito quale sia il contenuto attestativo dell'annotazione nel registro informatico, e che si sia chiarito se il sistema telematico preveda, nell'ambito delle richieste di archiviazione al gip, anche un campo da compilare o una voce da spuntare relativa alla trasmissione del fascicolo al gip, solo allora il reato di falso ideologico si può configurare ed anzi, in questo caso, la circostanza che il fascicolo sia stato inviato tempo dopo, integra un accadimento successivo del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato che, in quanto reato istantaneo, si perfeziona con la mera attestazione e dunque con l'annotazione.
Anche sotto quest'ultimo profilo l'ordinanza impugnata è stata infatti censurata dalla Suprema Corte: essa aveva dato rilevanza alla “inerzia dell'ufficio trasmittente per periodi di tempo quali quella rilevati dall'indagine in oggetto, in cui i ritardi arrivano anche a 10 mesi" e, valorizzando la circostanza che “la mancata trasmissione dei fascicoli all'ufficio del gip, in un numero così cospicuo e protratta per un lasso di tempo di questa portata non può costituire il frutto di una prassi fisiologica” aveva concluso affermando che l'attestazione contenuta nei registri informatici afferente il passaggio di quei procedimenti all'ufficio di destinazione doveva ritenersi non conforme a verità ed integrare essa stessa un falso.
La Corte ha invece evidenziato che il falso ideologico è un reato istantaneo (cfr. Cass. pen., sez. 5, n. 4132/1996) ed è pertanto errato riconnettere il perfezionamento del falso “ad un accadimento successivo all'attestazione, ossia all'«inerzia» nella trasmissione del fascicolo per un periodo di tempo "non fisiologico" (e del tutto genericamente individuabile): fatto, questo, all'evidenza estraneo alla fattispecie delineata dall'art. 479 cod. pen.”. Osservazioni
La sentenza in commento si colloca nel solco della pronuncia n. 40500/2019 – che si è tra l'altro soffermata sulla nascita e l'evoluzione del SICP - ed è in linea con le altre, costanti ed uniformi, pronunce della Suprema Corte che riconoscono, per esempio, rilevanza di atto pubblico ai registri di passaggio esistenti nei pubblici uffici: rispetto a queste ultime – ed in ciò la grande novità – applica quegli stessi principi anche al SICP, ossia ad un registro informativo informatico, che ha sostituito i registri cartacei, e che è diventato il Registro unico nazionale.
Per giurisprudenza ormai costante “nella nozione di atti pubblici rientrano non solo quelli produttivi di effetti rispetto a situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, ma anche quelli che si caratterizzano per la sola documentazione di attività o di dichiarazioni avvenute in presenza del pubblico ufficiale o da lui percepite. Sono pertanto compresi in quella nozione anche gli atti nei quali si concretizza la corrispondenza tra uffici autonomi o strutturati gerarchicamente (i cosiddetti “atti interni”), perchè anche questi possono assumere rilevanza giuridica nella documentazione di fatti inerenti all'attività funzionale del pubblico ufficiale. Questi principi, espressi con riferimento ai registri di passaggio cartacei, valgono anche per il SICP.
Come affermato dalla Corte nella pronuncia n. 40500/2019 “il S.I.C.P. - Sistema Informativo della Cognizione Penale – costituisce la banca informativa di tutti i dati fondamentali della fase di cognizione del processo penale ed assicura, ai vari attori dell'azione penale, sia della fase cognitiva, sia di quella esecutiva, la condivisione delle informazioni necessarie alle rispettive attività”; si tratta di un “sistema, introdotto in attuazione del decreto ministeriale 27 marzo 2000, n. 264, Regolamento recante norme per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari e correlate regole procedurali, adottate con D.M. 27/4/2009, rappresenta, in applicazione dell'art. 6 del citato D.M. 264/2000, un supporto informatico che contiene e aggrega i dati dei modelli previsti dal D.M. 30 settembre 1989, nonché ogni altro elemento utile per lo svolgimento dell'attività degli Uffici giudiziari, relativamente alla fase della cognizione penale”.
Ebbene, dalla messa in esercizio del SICP non è più consentita la tenuta dei registri in forma cartacea e delle relative rubriche e, proprio per garantire la corretta tenuti dei registri, il Ministero della Giustizia ha emanato una serie di circolari contenenti specifiche tecniche atte a garantire l'immediatezza e la completezza dei dati, con la conseguenza che, anche in base alla normativa secondaria, vi è una totale immedesimazione dei registri cartacei in quelli informatici, con conseguente idoneità a comprovare le relative iscrizioni ed annotazioni.
Secondo la Corte, le annotazioni al SICP sono equiparate alle annotazioni contenute nei registri cartacei ed hanno dunque lo stesso valore di queste ultime, sono cioè destinate a documentare e dunque a provare gli accadimenti ivi contenute. Tuttavia, proprio perchè il SICP è un sistema informatico, è necessario che venga chiarito quale contenuto abbia l'annotazione: perchè infatti possa affermarsi che una attestazione è falsa è indispensabile individuare con esattezza che cosa il sistema attesti. Un sistema informatico con il quale viene gestito un Registro è normalmente connotato da una serie, spesso conseguenziale, di voci, inserite in percorsi predefiniti e in qualche modo anche obbligati, che partono da un insieme più grande, una macroarea, fino ad arrivare, attraverso il percorso che l'operatore attiva con la c.d. “spunta” delle voci via via corrispondenti o semplicemente "entrando" nel sottoinsieme di interesse, alla annotazione finale.
Nel caso del SICP, poi, gli alberi, le voci e più in generale, i percorsi che compaiono nel sistema e che si attivano nei vari uffici giudiziari non sono necessariamente gli stessi e ciò proprio in ragione delle specificità delle funzioni svolte e dello stato del procedimento penale: ciò che si legge “lato procura”, per intendersi, può non corrispondere a ciò che si legge “lato gip” o “lato dibattimento”, atteso che i poteri e le facoltà variano a seconda dell'ufficio che opera e del grado di giudizio in cui si trova il procedimento. A titolo esemplificativo, e traendo spunto proprio dal caso analizzato nella sentenza in commento, nel caso di una richiesta di archiviazione, il GIP vede al SICP solo che l'ufficio di Procura ha richiesto l'archiviazione e non anche che abbia trasmesso il fascicolo; l'ufficio del P.M. vede invece, nell'albero della Definizione fascicolo, l'Archiviazione e, dopo aver manualmente inserito la data della stessa, deve “spuntare” la successiva voce “Trasmissione al gip” perchè la richiesta di archiviazione possa essere compiutamente evasa (e perchè possa essere visionata dal gip, come richiesta di archiviazione).
Correttamente, dunque, la Suprema Corte richiede una maggiore precisione da parte dell'organo inquirente prima e comunque dell'autorità giudiziaria di merito, nella indicazione del contenuto dell'annotazione informatica, costituendo essa il corpo del reato di falso e potendosi configurare la falsità ideologica solo con riferimento all'attestazione contenuta nell'annotazione, rispetto alla quale ogni accadimento successivo non assume rilievo, trattandosi di reato istantaneo; se quella annotazione nel sistema informatico non contempla l'accadimento e dunque il fatto che si assume essere non corrispondente al vero, non si potrà, per converso, configurare alcun reato di falso ideologico rispetto ad esso.
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